CNOS-FAP Vigliano Biellese: dal contabile al lattoniere “Gli over 40 ritrovano lavoro”

Si riporta l’articolo oggi pubblicato su La Stampa nella sezione dedicata alla cronaca di Biella in merito ai corsi per adulti “over 40” promossi dal CNOS-FAP di Vigliano Biellese.

Dal contabile al lattoniere “Gli over 40 ritrovano lavoro”

Dal contabile al muratore, fino al lattoniere: passa attraverso i mestieri di una volta la rivincita di tutti quei quarantenni che, da un giorno all’altro, hanno perso il lavoro. E infatti, sulla sessantina di persone che lo scorso gennaio si sono iscritte ai corsi per adulti del Cnos-Fap di Vigliano biellese, sono già 40 quelle che hanno trovato un impiego.

Per alcuni si tratta di un contratto rinnovabile, per altri di un tirocinio annuale, ma mai come quest’anno le aziende hanno dimostrato una simile necessità di manodopera specializzata. Merito sicuramente degli indirizzi attivati dal Cnos-Fap: operatore in import-export, manutentore di impianti meccanizzati, addetto al magazzino e alle macchine utensili, ma anche corsi di carpenteria e lattoneria.

«Generalmente i riscontri li abbiamo dopo qualche mese dal termine dei corsi ma quest’anno – dice il referente dell’Istituto Stefano Ceffa -, appena concluse le lezioni, la maggior parte dei nostri studenti stava già lavorando».

Il corso che ha ottenuto il maggior consenso è quello per addetto alle macchine utensili:

«Mi sono trovato una classe di persone volenterose e motivate. Ora, tutti gli iscritti, sono già stati inseriti in realtà lavorative»,

spiega Valeria Dalle Rive.

«Principalmente le mie lezioni di import-export sono state seguite da quarantenni che avevano bisogno di reinventarsi: su 13 iscritti, 7 stanno già lavorando»,

racconta Cristiano Marcone.

«Gestisco i corsi lattoneria e carpenteria con i migranti – conclude Marika Romano -. Una classe straordinaria con persone volenterose e spendibili nel modo del lavoro».

Quest’anno i nuovi corsi (come sempre gratuiti) inizieranno entro novembre e si concluderanno ad aprile. Per frequentarli basta avere più di 18 anni. Sarà possibile iscriversi presso la sede di Vigliano entro settembre.

E.B.

L’arrivo dei Salesiani a San Benigno: 140 anni fa

Si riporta l’interessante articolo pubblicato sul settimanale canavesano Il Risveglio popolare di giovedì 4 luglio 2019, in merito all’arrivo del Noviziato dei Salesiani presso San Benigno, a cura di Marco Notario.

COME DON BOSCO CERCÒ E TROVÒ UNA SEDE PER IL SUO NOVIZIATO
140 anni fa l’arrivo dei Salesiani a San Benigno (e in Canavese)

SAN BENIGNO – (Oggi) la Comunità Salesiana di San Benigno celebra i 140 anni dalla venuta dei primi Salesiani a San Benigno (5 luglio 1879) e di conseguenza in Canavese. La motivazione della scelta del nostro paesello è stata in partenza curiosa e financo (se vogliamo, nello stile salesiano) umoristica. Tutto nacque da un problema che don Bosco aveva a Valdocco: l’alta presenza di ascritti e professi, cosicché capitava che

taluno manifestasse qualche preoccupazione per un numero sì grande di vesti nere in un medesimo luogo (Memorie Biografiche, XIII, p. 92).

Insomma, era necessario trovare una sede separata, magari in campagna, per tanti “cornaiassi” (termine piuttosto in uso da noi nei riguardi di novizi e seminaristi in talare). L’attenzione cadde su San Benigno. Chi lo desidera può leggersi il capitolo 13 del volume XIV delle “Memorie Biografiche“.

Sponsor entusiasta fu l’allora parroco cavalier don Antonio Benone, che voleva a tutti i costi don Bosco nella sua parrocchia, e per questo aveva incominciato a fare alcuni piccoli restauri nel palazzo cardinalizio che non era in buone condizioni.

Per la verità, c’era ancora di mezzo… un vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Moreno. Monsignor Moreno oggi è in odore di santità, ma a quei tempi, chissà perché, ce l’aveva con Don Bosco e si oppose:

“Mai e poi mai permetterò a don Bosco di stabilirsi nella mia diocesi”.

Cose di santi. Ciò nonostante don Benone continuò a tessere la sua tela ed ebbe una fortuna: vedere il palazzo cardinalizio dichiarato nel 1877 (Regio Decreto firmato da Vittorio Emanuele II e dal ministro Coppino) monumento nazionale. Il demanio poté cederlo in uso e custodia al Municipio e su questo puntò don Benone per procedere. Intanto nel 1878 diventava vescovo monsignor Davide Riccardi, altro sant’uomo che però su don Bosco la vedeva diversamente dal predecessore e permise che i Salesiani si prendessero “pure tutte le facoltà che possono accordarsi da un vescovo cattolico” (e i Salesiani, a dire il vero, dal dito si presero la mano e il braccio, visto il profluvio di case che poi essi fondarono in Canavese). Il Comune di San Benigno, con delibera del 24 novembre 1878, concedeva il palazzo in subcessione a don Bosco. La subcessione avvenne tra l’altro – dietro consiglio di quel mangiapreti (ma amico di don Bosco) come il ministro Urbano Rattazzi -, che fece superare le difficoltà burocratiche stabilendo un affitto di lire… 1! Però il sindaco, cav. Giovanni Bobbio, che non era uno sprovveduto, in cambio pose la condizione “sine qua non” di un utilizzo di pubblica utilità per il paese, fra cui scuole gratis per i “giovani comunisti” (niente di politico: si intendevano i “giovani del Comune”!).

Nemmeno don Bosco però era uno sprovveduto e riuscì a inserire l’aggiunta di poter ospitarvi pure il noviziato (e il primo maestro ne sarà don Giulio Barberis). I salesiani arrivarono il 5 luglio 1879. Ecco il racconto tratto dalle Memorie Biografiche (Vol. XIV, p. 335):

“I primi abitatori della casa di San Benigno furono i chierici ascritti dell’anno scolastico 1878-79. Terminati i loro esami al 3 di luglio, mossero il giorno 5 da Torino in numero di cinquanta, facendo a piedi il viaggio (pare addirittura che abbiano guadato a piedi il fiume Malone, ndr). fino alla nuova residenza per trascorrervi le vacanze estive. Furono accolti festosamente dalle autorità e dalla popolazione”.

Finite le vacanze si decise che… i novizi vi rimanessero per l’anno 1879/1880 per l’anno di prova. Don Bosco stesso fu a San Benigno la prima volta il 18 ottobre 1879. E così nacque l’opera salesiana a San Benigno e in Canavese.

Muzzano, il paese dove la tradizione diventa arte e amore per le radici

«Appena c’era un problema in famiglia, oppure la necessità di scambiare due parole o di chiedere un consiglio, andavamo dai salesiani – raccontano i residenti -. C’era sempre qualche religioso pronto ad ascoltarti e a darti una parola di conforto»

Si riporta un interessante articolo su Muzzano pubblicato oggi da La Stampa nella sezione di Biella a cura di  Emanuela Bertolone.

13 giugno 2019 – La Stampa
“Muzzano, il paese dove la tradizione diventa arte e amore per le radici”

A fronte dello spopolamento costante dei paesi di montagna, c’è un Comune in cui, da più di un secolo, il numero degli abitanti è pressoché rimasto uguale: è Muzzano, paese popolato costantemente da 600 persone. Ad appena otto chilometri da Biella, in questo luogo sembra non mancare nulla: dal negozio di alimentari alla tabaccheria, ma si possono trovare anche un ristorante (la storica trattoria Renghi) ed un bed&breakfast. Un piccolo centro dove, nonostante la forte vocazione contadina, risiedono principalmente famiglie con bambini: quasi tutti lavorano a Biella, ma dicono che mai per un momento hanno pensato di lasciare Muzzano per trasferirsi a vivere in città. L’asilo comunale segue il metodo Montessori ed è frequentato da 26 bambini, mentre per le elementari e le medie ci si appoggia alla vicina «Scuola di Valle» di Graglia.

LA FEDE

La vita dei muzzanesi è sempre stata contraddistinta da un forte senso religioso. Fino allo scorso anno, infatti, in paese era presente la comunità salesiana, che per decenni ha fatto parte della vita dei muzzanesi.

«Appena c’era un problema in famiglia, oppure la necessità di scambiare due parole o di chiedere un consiglio, andavamo dai salesiani – raccontano i residenti -. C’era sempre qualche religioso pronto ad ascoltarti e a darti una parola di conforto».

La casa di Muzzano è stata fondata nel 1957. Per decenni si è occupata della formazione professionale dei ragazzi per poi diventare il luogo destinato ai ritiri spirituali della diocesi. Da oltre 30 anni ospita, il giorno dopo Pasquetta, il tradizionale raduno dei ragazzi degli oratori di tutto il Biellese. Oggi la casa viene principalmente utilizzata come centro di accoglienza per gruppi, famiglie e comunità parrocchiali a sostegno di attività religiose, spirituali e sociali. In paese si respira anche un forte spirito associazionistico: dalla Pro loco presieduta di Ivan Valcauda al Centro Incontro guidato da Maria Teresa Milano fino agli Alpini, il cui gruppo da 12 anni è presieduto da Valter Graziano. «La scorsa domenica abbiamo festeggiato i 90 anni di fondazione – dice il presidente -. Ancora oggi siamo gli unici nel Biellese ad aver ottenuto il premio nazionale Fedeltà alla Montagna. Grazie al nostro aiuto eravamo riusciti, nel 1987, a fare in modo che la scuola elementare di Bagneri non chiudesse: ogni giorno in cui le condizioni meteo erano avverse accompagnavamo noi la maestra a scuola».

ARTIGIANI E ARTISTI

E del resto quello che non manca a Muzzano è l’amore per le tradizioni. In questo luogo si possono ancora trovare un fabbro ed un falegname: artigiani che ancora svolgono i mestieri tramandati dai loro nonni. Anche le nuove generazioni sono affascinate dalla storia che si respira a Muzzano e dal suo passato. E’ il caso della scultrice di 34 anni Cecilia Martin Birsa, che ha deciso di vivere e di lavorare stabilmente in paese: «Ho scelto di svolgere qui la mia attività perchè ho bisogno di tranquillità e di isolamento: sono una scultrice che realizza opere fatte con la pietra di torrente, un lavoro particolare che potrei svolgere solo qua – racconta -. A Muzzano esiste una comunità incredibile: non solo vengo aiutata tutte le volte che devo trasportare pietre pesanti, ma quando arrivano turisti in paese c’è sempre qualcuno che li informa della mia attività e li accompagna a visitare il mio laboratorio».

“Ave Maria” ieri e oggi: Il CNOS-FAP di Vigliano sul “Il Biellese”

Si riporta l’articolo pubblicato sul giornale “Il Biellese” di martedì 4 giugno 2019, in merito alla presenza degli allievi del Centro di Formazione CNOS FAP di Vigliano nella Parrocchia salesiana di San Giuseppe Operaio.

LA TAPPA NELLA PARROCCHIA SALESIANA
“Ave Maria” ieri e oggi
Alle 8.15 di ieri non c’era Bartolomeo Garelli, il primo dei ragazzi di don Bosco , ma la comunità degli allievi del Centro di Formazione CNOS FAP.

Chi conosce il mondo salesiano sa che “tutto iniziò” con un “Ave Maria” recitata da don Bosco l’8 dicembre del 1841.

Il 3 giugno di 178 anni dopo il mondo salesiano riparte ancora sempre da quella stessa “Ave Maria”. Alle 8.15 di ieri mattina non era Bartolomeo Garelli, il primo dei ragazzi di don Bosco, c’era la comunità degli allievi del Centro di Formazione CNOS FAP di Vigliano con i loro insegnanti. Davanti a loro l’effige della Vergine Bruna che, dopo la salita dei giovani del Centro di Formazione del 22 maggio scorso, ha restituito la visita scendendo “giù dai colli” per continuare a posare lo sguardo su chi “Beato” è “visto dai suoi occhi”.

Un momento semplice in cui giovani e insegnanti si sono lasciati “guardare” e con una di quelle semplice “Ave Maria” che hanno mosso il mondo, quello salesiano sopratutto, hanno messo ai piedi della Vergine un anno di sacrifici, di successi, di sofferenze insieme al desiderio di bene e di futuro che abita il cuore di ogni uomo. Percorso identico lo hanno fatto pochi minuti dopo i “cuccioli” della Scuola dell’Infanzia che insieme alle maestre si sono trovati ai piedi della stessa Madre. Con la fresca genuinità della loro età, chi con un saluto, chi con un bacio mandato, chi con lo sguardo carico di curiosità, tutti hanno salutato quest’ospite dal volto bruno che lì, vicino al busto di don Bosco pareva, ma è certo così, esserci da sempre. S. C.

I ragazzi del don Bosco di Cumiana vincono il progetto “Cosmo Explorers”

Si riporta la notizia pubblicata il 22 maggio su La Stampa, articolo a cura di Antonio Lo Campo, riguardo alla premiazione dei ragazzi del Don Bosco di Cumiana per la vittoria di un progetto didattico a cui hanno partecipato: “Cosmo Explorers”.

Hanno vinto i ragazzi di un Istituto di Cumiana, il «Don Bosco». Sono gli allievi della scuola secondaria di primo grado, che hanno partecipato a «Cosmo Explorers», un progetto didattico finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e realizzato da Infini.to, INAF e ALTEC. Ma hanno vinto un po’ tutti i 150 ragazzi (e docenti) delle scuole di tutta Italia che oggi, al Centro Spaziale di ALTEC a Torino, hanno presentato i loro progetti spaziali, scelti come i migliori.

Inaugurato da Attilio Ferrari, Presidente di Infini.to, e Fabio Massimo Grimaldi, Presidente di ALTEC, e presentato da Marco Berry, l’evento odierno ha visto la partecipazione di decine di team distribuiti su tutto il territorio nazionale, che si sono sfidati a colpi di razzi, fionde gravitazionali e pannelli solari.

Una competizione che ha visto coinvolti circa 1000 studenti e 100 insegnanti, volta alla creazione del migliore programma di esplorazione spaziale utilizzando un videogioco: Kerbal Space Program, un simulatore di volo che permette al giocatore di sperimentare la costruzione di razzi, satelliti, navicelle e rover, mandarli in orbita o intraprendere lunghi viaggi interplanetari tenendo in considerazione gravità, spinta dei motori, carburante a disposizione.

Il progetto vuole mettere in campo un modo nuovo di fare STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), sviluppare competenze a scuola, e tenta di colmare questa lacuna introducendo un nuovo metodo didattico, con lo scopo di favorire l’attitudine al lavoro in gruppo in modo divertente e coinvolgente. Il docente stesso utilizza un videogioco che diventa un potente strumento d’apprendimento. La creazione di un programma di esplorazione spaziale deve far appello a moltissime conoscenze che gli studenti devono maturare e padroneggiare in autonomia per portare a termine gli obiettivi che loro stessi si prefiggeranno.

A pari merito al secondo posto, per le medie di primo grado, si sono classificati i gruppi dell’Istituto Comprensivo di Govone (CN) e dell’Istituto Comprensivo di Vistrorio (TO). Per la categoria delle Scuole Secondarie di secondo grado, il primo posto è stato assegnato al gruppo di studenti del Liceo Saffo di Roseto degli Abruzzi (Teramo), mentre al secondo posto, pari merito, si sono classificati il gruppo del Liceo Ariosto-Spallanzani di Reggio Emilia gli studenti dell’I.T.I.S. E. Majorana di Somma Vesuviana (NA).

«In occasione dei 50 anni dal primo allunaggio – spiegano i ragazzi del Don Bosco di Cumiana – abbiamo realizzato un progetto, con manovre assai complesse ma efficaci, per sbarcare sulla Luna». «Abbiamo sviluppato tecniche innovative per mettere in orbita terrestre un veicolo spaziale – dicono invece i ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Govone . «Anche noi abbiamo progettato un sistema di propulsione per la messa in orbita di una nave spaziale – aggiungono gli studenti dell’Istituto Comprensivo Vistrorio di Vico – Il nostro sogno? Diventare ingegneri aerospaziali: quello che abbiamo visto qua in ALTEC è straordinario, e ci fa comprendere ancora di più l’importanza delle missioni spaziali».

A gruppi i ragazzi hanno visitato una riproduzione del terreno marziano, il centro di test dei rover marziani e il centro di controllo che segue le missioni con astronauti. A tutti gli studenti che hanno portato a termine il progetto verranno riconosciute 40 ore di alternanza scuola lavoro, che possono estendersi fino a 80 nel caso gli studenti abbiano contribuito attivamente a migliorare la visibilità dell’iniziativa a livello nazionale.

Antonio Lo Campo

Don Domenico Ricca, cappellano del carcere minorile di Torino: «Dietro le sbarre ho imparato a non giudicare»

Si riporta la notizia pubblicata sul Corriere della Sera di lunedì 27 maggio 2019 redatta da Dario Basile, in merito all’esperienza di don Domenico Ricca da 40 anni Cappellano del carcere minorile di Torino.

«Dietro le sbarre ho imparato a non giudicare»

È diventato il cappellano del carcere minorile di Torino esattamente quarant’anni fa e, da dietro le sbarre, ha visto la città cambiare. Don Domenico Ricca, per tutti Meco, ha uno sguardo severo che si scioglie in un sorriso gentile. Oggi, settantaduenne, continua a dedicare la sua vita ai ragazzi reclusi.

Che ricordo ha del suo primo ingresso nel carcere nel 1979?

«La prima impressione fu traumatica. Il direttore mi accolse dicendomi: caro reverendo io non insegnerò mai a lei come si fa il cappellano e lei non mi insegnerà come si fa il direttore. Gli interni del penitenziario erano veramente brutti, era una struttura molto simile a quella degli adulti. Mi trovai davanti ottanta detenuti, tutti maschi».

Chi erano i ragazzi incarcerati?

«Una ventina provenivano dai campi nomadi della città, gli altri erano tutti italiani. Principalmente ragazzi di periferia, provenivano da Vallette, Falchera e Mirafiori».

Perché i ragazzi finiscono in carcere?

«In quegli anni c’era ancora molta povertà, degrado, mancanza di cultura. Io, da chierico, passavo davanti al carcere Le Nuove e vedevo i parenti che facevano la fila per le visite. Erano persone povere, sofferenti. Se tu oggi vai davanti al Ferrante, in quei due giorni alla settimana in cui ci sono i colloqui, il panorama non è molto cambiato. Il carcere è la discarica. Lì vanno a finire quelli che non hanno avuto risorse o che non sono stati in grado di saperle cogliere. Perché gli mancano gli strumenti. Io prima di entrare al Ferrante, insegnavo in una scuola di periferia e molte mattine andavo a svegliare i ragazzi per portarmeli a scuola, perché nessuno badava a loro».

Qual è la responsabilità dei genitori?

«Io vado sempre cauto nel dare delle responsabilità ai genitori perché so quanto sia faticoso il mestiere di allevare i figli, ieri come oggi. Forse si può dire che il problema è l’incapacità di capire cosa stia cambiando nei loro ragazzi. Quello che i genitori non fanno mai abbastanza è indagare la vita relazionale dei loro figli, che incide tantissimo. Ma questo vale anche per i ceti medi. Gli omicidi in ambito famigliare avvengono in quegli ambienti. A volte i ragazzi non si fan seguire, a volte il rapporto si è rotto fin dall’infanzia. Il papà di un ragazzo omicida mi ha chiesto: padre dove abbiamo sbagliato? Io non gli ho risposto niente, l’ho abbracciato e abbiamo pianto insieme».

Lei è stato vicino ad Erika ed Omar, protagonisti di un fatto di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica

«In quel periodo la gente mi chiedeva se quei due ragazzi erano normali. Perché volevano sentirsi dire che non erano normali, così i loro figli erano salvi. Ma in queste cose distinguere la normalità dall’anormalità è un assurdo, perché quei due ragazzi potevano essere i nostri figli. Quella vicenda mi ha insegnato che non bisogna mai giudicare».

Come ha visto cambiare la città da dentro il carcere?

«Quando sono arrivato, il territorio soffriva ancora molto. Erano anche anni di grandi proteste. Ricordo i picchetti davanti alla Fiat, la marcia dei quarantamila. Poi alla fine degli anni Ottanta la riforma del Codice penale ha letteralmente svuotato il carcere, siamo arrivati ad avere un solo detenuto. Nel decennio successivo, gli arrivi erano legati principalmente al dilagare della droga. Sono anni di reati molto gravi, come gli omicidi. In quel periodo si sentiva forte la collaborazione del territorio. C’erano diversi artigiani che assumevano questi ragazzi per fargli fare dei tirocini, la gente era abituata a venire a vedere i tornei in carcere, a partecipare. Poi il cambiamento più grosso arriva negli anni Duemila. Con l’immigrazione sono arrivati i ragazzi stranieri e la cittadinanza ha incominciato a distaccarsi. Come è cambiata la città così sono cambiati i ragazzi: rispetto a ieri, oggi sono molto meno violenti. Io dico sempre che i giovani del Ferrante non sono tanto diversi da quelli che sono fuori».

Chi sono oggi i ragazzi reclusi?

«In questo momento abbiamo una quarantina di ragazzi. Uno su tre è italiano. Gli altri sono stranieri, anche comunitari. Gli immigrati sono più esposti perché hanno meno risorse, meno tutele, meno garanzie di diritti».

Servirebbe lo ius soli?

«Avessimo lo ius soli potremmo lavorare più facilmente sulla prevenzione».

Non deve essere semplice fare il cappellano tra i ragazzi musulmani.

«All’inizio alle mie celebrazioni venivano solo i cattolici, adesso partecipano un po’ tutti. Anche se mi sono battuto e ho ottenuto che avessimo un imam una volta ogni quindici giorni».

Il carcere minorile andrebbe superato?

«Io sono dell’idea che per i reati come i furti, dove non ci sono violenze sulle persone, dovrebbe essere totalmente superato. E per gli altri reati bisognerebbe pensare di più alla giustizia riparativa. Ti accorgi che certi sono proprio piccoli, ma che cosa ci stanno a fare là? Invece per alcuni, paradossalmente, è un momento di pace, dove si fermano un po’. I ragazzi hanno una grandissima adattabilità e così si abituano anche al carcere. È la loro salvezza».

La magia della vita: don Silvio Mantelli (Mago Sales) e don Luca Barone su Rai Due

La magia ed il miracolo del sorriso al centro della puntata andata in onda su Rai Due domenica 26 Maggio nel programma “Sulla Via di Damasco“, in compagnia del salesiano don Silvio Mantelli, in arte Mago Sales. Mago per passione, don Silvio è riuscito a sorprendere la conduttrice e i telespettatori con uno dei suoi tanti giochi di prestigio, raccontando dei suoi spettacoli e della missione di essere gioia in un mondo triste, individualista, aiutando le persone, nel solco del messaggio di Don Bosco, a riscoprirsi bambini recuperando la capacità di meravigliarsi, di stupirsi, di sognare.

Ed il carisma salesiano ha conquistato anche il primo protagonista della puntata, don Luca Barone, che ha presentato Colle Don Bosco (Asti), il luogo dove è iniziata la missione del santo e amico dei giovani, raggiungendo 134 nazioni del mondo. Nell’altro servizio, Christopher Castellini, amico del Mago Sales e illusionista mentale, ha raccontato la sua sfida personale contro la distrofia muscolare.

E dopo le sorprese di un altro mago, Walter Rolfo, il programma di Vito Sidoti si è concluso con l’illusionista, Arturo Brachetti, e la magia che Dio ha operato su di lui con la vocazione di far sognare e di far sorridere uomini, donne e bambini di tutto il mondo.

L’asilo della Sacra Famiglia in visita al CNOS-FAP Savigliano

Si riporta la notizia proveniente dal settimanale d’informazione Il Saviglianese in merito la visita al CNOS-FAP di Savigliano da parte della scuola d’infanzia della Sacra Famiglia.

SCUOLA – I bambini della scuola dell’infanzia Sacra Famiglia, presso la scuola professionale salesiana Cnos-Fap di Savigliano, hanno messo le “mani in pasta” e, per un giorno, sono stati protagonisti di un vero e proprio laboratorio di “arte bianca”. Sotto l’esperta guida del professore Matteo Sorasio e degli allievi, dalle manine dei bambini hanno iniziato a prendere forma dolci biscotti alla marmellata e deliziosi salatini. Istruiti nei vari passaggi che vanno dalla conoscenza degli ingredienti, all’impasto e alla cottura, i bimbi sono tornati a scuola con il frutto del loro lavoro e, soprattutto, entusiasti di aver fatto un’esperienza oltre che bella anche… molto buona!

«Ringraziamo tutto lo staff del Cnos-Fap – fanno sapere dalla scuola dell’infanzia – in particolare i dirigenti don Lele e Andrea Trucco, gli allievi e i collaboratori, per aver permesso ai nostri bambini di vivere momenti come questi, che arricchiscono il loro bagaglio di conoscenza, alimentano la voglia di sapere e sprigionano lo stupore della loro tenera età!».

“Pedalare insieme” – L’iniziativa salesiana a Lombriasco

Si riporta la notizia proveniente dal Corriere di Saluzzo con la presentazione dell’attività estiva proposta dalla casa salesiana di Lombriasco: una biciclettata estiva per le strade della Valtellina.

LOMBRIASCO – Ottavio Forzatti, un dinamico coadiutore salesiano, introduce il programma del prossimo giro della Valtellina che si svolgerà nelle vacanze estive e che, fin da ora potrebbe interessare chi volesse condividere questa interessante esperienza. Il consiglio per chi desiderasse saperne di più, è di contattare Ottavio presso l’istituto dei Salesiani a Lombriasco.

«Tutti i nostri giri in sella alla bici – racconta Ottavio – ebbero inizio dal terribile incidente, nel 1979, costato la vita a tre salesiani coadiutori del Colle Don Bosco: Nane Bernardi, Leo Defend e Bepi Scremin».

Quest’anno ricorre il 40° della loro morte, e Ottavio ricorda:

«Nane era colui che mi diceva continuamente: dobbiamo organizzare un giro in bicicletta fino a Venezia, per occupare i ragazzi durante l’estate, come faceva Don Bosco nelle passeggiate autunnali, facendoli sia faticare che divertire, per toglierli dall’ozio delle vacanze estive» .

Tre anni dopo quella data, si è realizzato il sogno di Nane, non solo andando in bici fino a Venezia, ma andandoli a trovare nei loro cimiteri e visitando le loro famiglie a Bassano del Grappa, Salzano e a S. Vito al Tagliamento. Con i ragazzi e con alcuni volenterosi genitori, i nostri infaticabili ciclisti sono tornati da loro dopo 10, 20, 30 anni, sempre accolti in maniera favolosa. Sono 35 anni che ogni anno viene organizzato un giro ciclistico molto speciale in Italia e in Europa con lo spirito di Don Bosco, per essere fedeli a Don Bosco, il quale, per le colline del Monferrato, compiva delle autentiche imprese, movendo a piedi centinaia di ragazzi. Nei paesi dove passavano, improvvisavano spettacoli vari, teatrini, canti e suoni con la banda. E alla sera quella buona gente non faceva mancare loro un piatto di minestra e una fetta di polenta e per dormire… bastavano i fienili!

“Pedalare Insieme per Costruire Insieme” è il motto che guida questi ardimentosi, fin dal primo giro, ed è bello vedere di quali cose sono capaci i giovani… anche quelli di oggi!

Gianni Varetto

M’interesso di te – Salvati dai Salesiani 114 minori «invisibili»

Si pubblica qui a seguire un articolo proveniente da “La Voce e il Tempo” riguardo il progetto M’interesso di te, di cui è stato il report annuale a Roma, il 31 gennaio 2019. Articolo a cura di Stefano Di Lullo.

Centoquattordici minori stranieri soli che vagavano per le strade della città, senza alcuna protezione, grazie all’impegno dei Salesiani ora non sono più «invisibili»: alcuni hanno un lavoro, altri sono inseriti nei percorsi formativi e professionali, soprattutto sono lontani dal pericolo di cadere nei circuiti criminali e dello sfruttamento sessuale.

Si tratta di «M’interesso di te», il progetto nazionale partito un anno fa in forma sperimentale a Torino, Napoli e Catania, finanziato dalla Federazione Scs/Cnos, Salesiani per il Sociale, grazie al fondo di beneficienza di Intesa Sanpaolo, rivolto ai quei ragazzi migranti soli usciti da qualsiasi servizio di accompagnamento.

Il report del primo anno è stato presentato a Roma presso la sede dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) il 31 gennaio nella festa di Don Bosco.

«Mentre vivevo per strada attorno alla stazione di Porta Nuova un amico mi ha telefonato segnalandomi delle persone che potevano aiutarmi. Così ho incontrato un’educatrice, Giulia, che mi ha suggerito di andare in oratorio. Grazie all’aiuto di don Mauro e degli altri operatori mi sono iscritto a scuola e adesso sto svolgendo un tirocinio come addetto per lo stampaggio».

È la testimonianza di Ousman, partito dal Gambia e approdato in Sicilia nel 2017. Dopo aver vissuto 8 mesi nelle strade di Torino è stato intercettato dagli educatori dell’oratorio San Luigi a San Salvario che seguono il progetto «M’interesso di te». La scorsa estate Ousman ha anche prestato servizio come animatore nelle attività dei centri estivi. In Italia secondo l’Atlante minori stranieri accompagnati di Save the children nel 2017 sono arrivati 17.337 minori di cui 15.779 senza alcun accompagnatore. A questa cifre vanno aggiunti i Msna che non vengono intercettati alla frontiera: si tratta di oltre 5 mila ragazzi, a Torino diverse decine, un quarto dei minori accolti nelle strutture di accoglienza.

«Si tratta di adolescenti», sottolinea don Mauro Mergola, direttore dell’oratorio salesiano San Luigi, «che non sono mai entrati nelle comunità di accoglienza dedicate o che le hanno abbandonate perché troppo ‘strette’ per loro».

Molti di essi vivono in precarie condizioni igieniche in alloggi di fortuna. Tutto parte da «Spazio Anch’io», la postazione dei Salesiani al Parco del Valentino dove gli educatori tutti i pomeriggi  stanno accanto ai ragazzi che si incontrano sulla strada accompagnandoli a riprendere in mano la propria vita. È lì che avviene il primo approccio. Presso l’oratorio Ss. Pietro e Paolo è allestita un’accoglienza diurna dove i minori tutti i giorni possono trovare riparo, un luogo dove fare due chiacchiere, mangiare qualcosa, fare una doccia, lavarsi i vestiti.

«Oltre a ciò», spiega don Mergola, «abbiamo strutturato percorsi di inserimento lavorativo per offrire ai ragazzi opportunità di crescita che tengano presente l’orizzonte occupazionale su cui poter impostare un cammino strutturato verso l’autonomia».

I giovani, attraverso il centro CnosFap dei Salesiani, hanno svolto tirocini nelle aziende Astelav di Vinovo, seguendo il progetto di rigenerazione di elettrodomestici usati, e Stige di Mappano, attraverso un la tipografia industriale.

Tre ragazzi sono stati accolti nel progetto di housing sociale presso la casa parrocchiale del Sacro Cuore di Maria (via Campana 8). Dopo l’esperienza positiva del primo anno il progetto è stato rifinanziato dal fondo di Intesa Sanpaolo coinvolgendo anche i neo maggiorenni (18-25 anni)

«che spesso», evidenzia don Mergola, «si trovano ad interrompere i percorsi formativi in quanto la legge, in particolare con l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza voluto dal Ministro Salvini, non può più tutelarli».

Stefano Di Lullo

La Voce e il Tempo
Tutte le info sul Progetto