Nuovo messale, intervista a suor Elena Massimi che ha curato la parte musicale

Pubblichiamo un articolo nel quale suor Elena Massimi, FMA, spiega la parte musicale del nuovo Messale, che lei ha curato.

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Qualcuno potrà stupirsi quando, aprendo la nuova edizione in italiano del Messale Romano, si troverà davanti il pentagramma che accompagna le parole pronunciate dal sacerdote o dai fedeli. Non in tutte le parti del rinnovato libro liturgico lo si incontra, ma in più punti sì. Ad esempio nel saluto iniziale. Uno spartito indica la melodia che il celebrante può intonare allargando le braccia: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi»; e un’altra battuta segnala come l’assemblea possa rispondere cantando: «E con il tuo spirito». È ben più “musicale” il nuovo Messale che sta per arrivare nelle parrocchie della Penisola. Perché, come si legge nella Presentazione della Cei, «il canto non è un mero elemento ornamentale ma parte necessaria e integrante della liturgia solenne». Per la prima volta le partiture entrano a pieno titolo nel corpo del testo e non finiscono in appendice come era accaduto nel Messale ancora in uso, quello datato 1983. Non solo. Aumentano i brani proposti. E si torna a privilegiare le formule ispirate al gregoriano evitando che il libro dell’Eucaristia diventi un luogo di sperimentazione. «Il canto apre al mistero e contribuisce alla manifestazione del Signore. Per questo è stato particolarmente valorizzato in questa nuova edizione», spiega suor Elena Massimi, che ha coordinato e curato il lavoro relativo alle melodie del Messale.

Figlia di Maria Ausiliatrice, un passato da musicista, collaboratrice dell’Ufficio liturgico nazionale, è docente di teologia sacramentaria alla Pontificia Facoltà di scienze dell’educazione “Auxilium” di Roma. C’era anche lei lo scorso 28 agosto all’udienza in Vaticano durante la quale la prima copia del Messale è stata consegnata a papa Francesco da una delegazione della Cei guidata dal cardinale Gualtiero Bassetti. Per due anni la religiosa è stata alle prese con gli spartiti che poi sono entrati nel volume. Affiancata da un’équipe di dieci esperti: sacerdoti e laici, monaci e consacrate, studiosi e compositori.

Nel nuovo Messale sono state inserite le melodie per il segno della croce, per il saluto, per i primi prefazi dei diversi Tempi e solennità (Avvento, Natale, Epifania, Quaresima, Pasqua, Ascensione e domeniche del Tempo ordinario). Ancora. Troviamo musicati i testi dell’anamnesi (“Annunziamo la tua morte Signore…”), della dossologia finale della Preghiera eucaristica (“Per Cristo, con Cristo, in Cristo…”), del Padre Nostro, dell’acclamazione “Tuo è il regno…”, della pace (“Scambiatevi il dono della pace”), del saluto finale, della benedizione e del congedo (“Andate in pace”; “Rendiamo grazie a Dio”). «Così viene evidenziata l’importanza del canto, a cominciare da quello del sacerdote che negli anni è stato trascurato – afferma la liturgista –. Intendiamo ridare ad alcune sezioni della Messa la dignità che è loro più propria, ossia quella di essere cantate. Pensiamo ai prefazi: è un testo lirico, poetico; se non viene cantato si attenua la sua forza».

Le melodie presenti fra le pagine del volume sono quelle dal «tono semplice d’ispirazione gregoriana: il tono di Do per i riti d’introduzione e di conclusione; il tono di Re per la liturgia eucaristica», chiarisce la docente. E aggiunge: «Erano già presenti nel Messale del 1983 ma venivano proposte come seconda opzione, mentre la prima era quella di nuova composizione». Quest’ultime, però, non hanno attecchito. Come ha mostrato l’analisi della prassi liturgica che è stata utilizzata per scegliere quali musiche privilegiare, quali salvare e quali accantonare. «Negli ultimi quarant’anni la Chiesa italiana ha recepito soprattutto le melodie di stampo gregoriano che sono ormai entrate nella mente e nell’orecchio di presbiteri e fedeli e che vengono intonate senza difficoltà durante i riti», riferisce la docente. Partiture che sono state, quindi, riprese e riadattate ai nuovi testi. Com’è il caso del Padre Nostro che cambia con l’aggiunta di un “anche” («come anche noi li rimettiamo») e con la nuova espressione «non abbandonarci alla tentazione». Racconta suor Massimi: «Fra le mani abbiamo avuto diversi adattamenti della melodia alla preghiera rivista. Alla fine ne abbiamo scelti tre e li abbiamo testati in alcune parrocchie, case di spiritualità, Seminari del Nord, del Centro e del Sud Italia. La versione confluita nel Messale è quella risultata più “naturale” alle assemblee».

Il pentagramma va a braccetto anche con alcuni testi del Triduo pasquale o di altre celebrazioni di particolare significato, come la Messa del Crisma o la Pentecoste.

La musica accompagna, ad esempio, il prefazio del Giovedì Santo oppure il prefazio e il congedo della Veglia e della Domenica di Pasqua. «Tutto ciò per ribadire la centralità del Triduo all’interno dell’Anno liturgico», dice suor Elena. Il Messale si conclude con un’appendice musicale più ampia rispetto all’edizione precedente dove sono state spostate le nuove composizioni del 1983 che sono convalidate dall’esperienza di questi decenni e dove, fra l’altro, sono state inserite anche le melodie in tono solenne per alcune parti della Messa.

Però, all’appello mancano altri “elementi” della celebrazione che la musica ha sempre scandito ma di cui il nuovo Messale non prevede melodie ad hoc: il Kyrie; il Gloria; il Santo. «È stata una scelta deliberata – nota la docente –. Nella Penisola le parrocchie conoscono una rilevante diversificazione musicale fra Nord e Sud. Pertanto non abbiamo inteso indicare melodie standard ma desideriamo lasciare le comunità libere di trarle dal repertorio locale». E per i canti d’ingresso, d’offertorio e di comunione? «Vale il Repertorio nazionale varato dalla Cei nel 2007», suggerisce la religiosa.

Certo, lo stesso Messale ricorda che i brani devono essere «adatti al momento e al carattere del giorno o del Tempo», che devono essere adeguati «alle capacità dell’assemblea», che va privilegiato l’organo a canne anche se il vescovo può consentire l’impiego di altri strumenti adeguati «all’uso sacro». Insomma si sentirà più canto a Messa? «Il Messale – conclude suor Massimi – offre una vasta gamma di possibilità. Faccio fatica a immaginare un’intera liturgia feriale cantata. Tuttavia, sarebbe bene che nelle Messe festive venisse cantato almeno il “Mistero della fede” o la dossologia. E a Natale il prefazio, anche per sottolineare lo specifico rilievo della celebrazione».

 

UPS, il 15 ottobre inaugurazione dell’anno accademico

Pubblichiamo il comunicato stampa dell’Università Pontificia Salesiana sull’inaugurazione del nuovo anno accademico. Ricordiamo che per le norme vigenti contro la diffusione del COVID-19, l’ingresso sarà contingentato ai soli invitati. L’evento verrà trasmesso in streaming.

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Giovedì 15 ottobre 2020 l’Università Pontificia Salesiana inaugura il nuovo anno accademico.

L’evento, che segna anche la conclusione delle celebrazioni dell’80° dalla Fondazione, avrà una connotazione diversa dal solito a motivo dell’emergenza sanitaria che impone una partecipazione contingentata.

In rispetto delle disposizioni vigenti relative alla sicurezza delle persone e degli ambienti, l’ingresso sarà su invito, precedentemente confermato.

Come da tradizione, l’Inaugurazione prevede la Celebrazione eucaristica presieduta dal Rev.mo don Ángel Fernández Artime, Gran Cancelliere dell’UPS e Rettor Maggiore dei Salesiani, e l’Atto Accademico con la Relazione del Rettore, prof. don Mauro Mantovani, e la Prolusione che quest’anno sarà tenuta dalla prof.ssa Marica Branchesi, Astrofisica del Gran Sasso Science Institute.

L’Atto Accademico sarà trasmesso in diretta streaming sul sito dell’Università.

Tra gli invitati è prevista la presenza del card. Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, della Sindaca di Roma Virginia Raggi, e di Elena Bonetti, Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Pietro Sebastiani, Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Isabel De Oliveira Capeloa Gíl, Presidente della Federazione Internazionale della Università Cattoliche (IFCU), Andreas Corcorán, Vice Segretario Generale della International Association of Universities (IAU) e Michael Murphy, Presidente della European University Association (EUA).

Il sacrificio di Willy – La riflessione di don Domenico Ricca sul disastro educativo

Il sacrificio di Willy Monteiro Duarte. Si riporta di seguito l’intervento di don Domenico Ricca, cappellano nel carcere minorile di Torino, pubblicato su La Voce e il Tempo in merito alla vicenda.

Il sacrificio di Willy, il destino dei carnefici
Intervento – Violenza cieca dietro l’uccisione del giovane Willy Monteiro Duarte. Don Domenico Ricca, cappellano nel carcere minorile di Torino, riflette sul disastro educativo

Dopo i fatti di Colleferro, Willy Monteiro Duarte, uno splendido ragazzo di vent’anni ucciso da cosiddetti «balordi», e di Matera dove due minorenni inglesi vengono stuprate da un branco, si sono letti molti commenti.

Credo sia necessario superare ogni aggettivazione, perché in quei cosiddetti «balordi»”, magari ci stiamo anche noi, perché a quasi tutti noi piacciono i vincenti, i bulli, gli spacconi, gli sboroni. Come si è scritto in questi giorni ci piacciono nella politica, in tv, al cinema, nel paese e nel quartiere, piacciono gli imbecilli che sbraitano, urlano, si atteggiano, comandano, rompono a tutti, noi li ammiriamo pur proclamando, a parole, la nostra diversità. Noi li votiamo, li eleggiamo, li vezzeggiamo, in una parola li alleviamo. Forse per una narrazione più vera di questi fatti occorre uno sguardo più approfondito al contesto, o come si suole chiamare al brodo di cultura in cui sono immersi. È un brodo di cultura della violenza, dell’istigazione all’odio contro lo straniero, del femminicidio basato sulla presunzione che «tu sei mia», delle parole gridate, urlate, con accanimento, verso chi non la pensa come noi snaturando così il significato più vero di ogni parola pronunciata per stabilire una buona relazione. Tuttavia chi, come lo scrivente, svolge il suo ministero pastorale in carcere, sa molto bene che anche di questi «balordi» Dio ha compassione e misericordia, offre loro una sponda di salvezza. Li ha segnati con un marchio, indelebile, non per farne uno stigma ma perché gli altri si prendano cura di loro, perché Dio ha detto «nessuno tocchi Caino». E quindi con razionalità e passione farà di tutto, perché, una volta in carcere, condannati, anche per loro non si butti via la chiave.

Al là di tutte legittime esecrazioni del momento, mi pare appropriato quanto Massimo Recalcati, scrive in apertura del suo ultimo saggio «Il gesto di Caino»: «Il racconto bilico – quello di Caino – appare implacabile e disincantato: la violenza del crimine viene al mondo solo attraverso l’uomo e segna indelebilmente il rapporto con il fratello. L’innocenza della natura appare scossa da un vortice imprevisto; non si tratta solo di un impulso irrazionale, né tantomeno di una regressione dell’umano alla dimensione primitiva dell’animale, mostra che nella violenza si manifesta il carattere perverso e narcisistico del desiderio umano; la sua spinta a distruggere l’alterità, l’aspirazione alla propria divinizzazione, il desiderio dell’uomo di essere Dio».

Distruggere l’alterità, rendersi opachi ad ogni prospettiva di relazione per superare un conflitto, farsi giustizieri, onnipotenti, come Dio, andare oltre il peccato dei progenitori nel paradiso dell’Eden, con la soppressione del fratello che si mette di traverso alla propria realizzazione (Gen 4,1-14).

Il cristiano poi spenderà ogni energia per questo mondo malato. Non è un caso se Papa Francesco ha intitolato le sue udienze estive «guarire il mondo». Così ha esordito nell’udienza del 5 agosto. «Nelle prossime settimane, vi invito ad affrontare insieme le questioni pressanti che la pandemia ha messo in rilievo, soprattutto le malattie sociali. E lo faremo alla luce del Vangelo, delle virtù teologali e dei principi della dottrina sociale della Chiesa. … È mio desiderio riflettere e lavorare tutti insieme, come seguaci di Gesù che guarisce, per costruire un mondo migliore, pieno di speranza per le future generazioni (cfr. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 183).

In quest’ottica credo sia più che mai opportuno guardare avanti, seminare speranza. Il Vescovo di Tivoli e Palestrina mons. Mauro Parmeggiani così si è espresso nell’orazione funebre di Willy: «Perché la morte barbara ed ingiusta di Willy non cada nell’oblio impegniamoci tutti – istituzioni, forze dell’ordine, uomini e donne della politica, della scuola, dello sport e del tempo libero, Chiesa, famiglie e quanti detengono le chiavi di un potere enorme: quello dei media ed in particolare dei media digitali – a comprometterci insieme, al di là di ogni interesse personale e senza volgere lo sguardo altrove fingendo di non vedere – impegniamoci tutti, dicevo – a riallacciare un patto educativo a 360 gradi». Quel patto educativo che mi sta molto a cuore, su cui più volte abbiamo ragionato anche sulle pagine di questo giornale.

Vorrei che ci rimanesse dentro la convinzione, che dopo la notte viene il giorno, che si parlasse di questa vicenda triste, con velata melanconia, sorretta però da una luce che proviene proprio dalle parole di Willy Monteiro «Non ti preoccupare, ci penso io a loro… ». Si racconta – lo riporta il quotidiano Avvenire il 7 settembre – che quando gli educatori avevano qualche problemino a gestire il gruppetto degli adolescenti di Azione Cattolica di Paliano, quando al campo-scuola della diocesi di Palestrina in una stanza – succede – si andava su di giri, Willy arrivava puntuale con quell’intercalare da piccolo uomo: «Non ti preoccupare, ci penso io a loro…», diceva ai ‘grandi’, ai responsabili. Poteva avere 15-16 anni, ma già era lì, ben formata nella sua coscienza, tutta la voglia di non girare la faccia dall’altra parte. Purtroppo quel «ci penso io» gli è costata la vita.

don Domenico RICCA sdb, Cappellano dell’Ipm «Ferrante Aporti» – Torino

Avvenire – Sussidio pastorale per la scuola. La Cei: studiare, per cercare un senso nella vita

Il nuovo documento della Commissione CEI per l’educazione cattolica, nel giorno di riapertura delle scuole, incoraggia tutti a “testimoniare, discernere e servire”. Di seguito l’articolo pubblicato da Avvenire a cura di Enrico Lenzi.

Da «una pastorale “della” scuola» a «una pastorale “per” la scuola». Sta tutto in questo cambio di preposizione il senso del nuovo sussidio che lunedì 14 settembre, nel giorno di riapertura ufficiale delle scuole in Italia, viene pubblicato dalla Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. Si tratta di un documento che in qualche modo si pone al termine del decennio che la Chiesa italiana ha voluto dedicare al tema dell’educazione (gli Orientamenti pastorali 2010/2020 sull’Educare alla vita buona del Vangelo), ma che al tempo stesso intende rivolgere il proprio sguardo al futuro, come sottolinea nella sua presentazione il vescovo Mariano Crociata presidente della stessa Commissione Cei.

Del resto, ribadisce il sussidio – intitolato significativamente «Educare, infinito presente» -, per «la Chiesa la scuola è una realtà da amare in cui stare con passione e competenza, contribuendo alla costruzione del progetto scolastico».

Ma se la presenza e l’attenzione della comunità cristiana al tema della scuola ha radici lontane, quello che deve cambiare secondo il documento della Commissione episcopale, è la modalità di approccio e lo stile di presenza. Un cambio al quale sono chiamati tutti: dai docenti ai genitori, dagli studenti al personale, fino alle realtà educative e alle stesse parrocchie. Insomma «l’attenzione alla scuola deve diventare una responsabilità di tutta la comunità». Proprio per questo, riflettono i vescovi della Commissione, non si può continuare a procedere «a compartimenti stagni», cioè con pastorali che prendano in considerazione solo un unico aspetto senza mettersi a confronto con altre che hanno come destinatari gli stessi ragazzi e giovani.

Il documento della Cei (nella versione integrale) – che si suddivide in tre parti più una quarta che riporta testi, interventi, discorsi sul tema della scuola e dell’educazione – offre una analisi e una osservazione sull’esistente, a cominciare «dalla difficile esperienza vissuta nei primi mesi del 2020 con l’improvvisa e prolungata chiusura delle sedi scolastiche a causa della pandemia». E se il ricordo alla didattica a distanza «ha permesso di limitare le conseguenze sulla crescita e l’apprendimento degli alunni», ha anche «fatto affiorare interrogativi di fondo sul ruolo della scuola nella società, sul valore insostituibile della relazione educativa, sull’apporto integrativo delle tecnologie nella didattica». Secondo il sussidio Cei, infatti, alla base di qualsiasi intervento nella scuola, «non può dimenticare che la relazione educativa è il suo cuore», in un «patto di corresponsabilità che lega in primo luogo insegnanti e alunni, ma si estende anche all’interno del corpo docente, alle famiglie e alle forze vive del territorio in un dialogo che riconosce a ciascuno le proprie responsabilità specifiche e pone tutti in rapporto di rispettosa collaborazione». Proprio la collaborazione è l’approccio auspicato da quel cambio di preposizione – “per” – che il documento propone. Il tutto per «ridare senso alla routine dello studio, perché lo studio serve a porsi domande, a non farsi anestetizzare dalla banalità, a cercare senso nella vita».

Un obiettivo proposto alla scuola e a tutte le sue componenti (a cui il testo riserva singoli spazi), richiamando tutti e ciascuno ai valori della «testimonianza, del discernimento e del servizio». Ovviamente i vescovi italiani indicano questo cammino in primo luogo alle comunità cristiane (parrocchie, associazioni, gruppi professionali e altro), pur ribadendo che nella crescita completa di una persona «non può mancare la dimensione religiosa», che la Chiesa offre con la presenza dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) anche nella scuola statale.

Questo coinvolgimento di tutti vuole portare al superamento «della frammentazione all’integrazione dell’azione pastorale», che vuol dire «realizzare un modo di pensare e un agire pastorale davvero unitario e centrato sulla persona. I giovani hanno bisogno di essere aiutati a unificare la vita» e la «pastorale per la scuola può essere un prezioso banco di prova per sviluppare un agire più integrato e aperto a diverse presenze». Anche per questo il sussidio ribadisce l’importanza di un Ufficio nazionale della scuola e quello dell’Irc, il Centro studi della scuola cattolica e il Consiglio nazionale della scuola cattolica. E un capitolo è dedicato proprio alla scuola cattolica e ai corsi di formazione professionale di area cattolica che «hanno un ruolo primario di promozione e di riferimento nella pastorale per la scuola».

Il sussidio Cei offre a tutta la scuola – cattolica e paritaria – anche alcuni esempi progettuali da mettere in campo: da momenti religiosi offerti alla scuola alla Settimana dell’educazione che diverse diocesi realizzano da qualche anno; dal sostegno allo studio all’attenzione vero l’orientamento, per citarne alcuni.

Servizio civile, è tempo di normalità

Il sistema del Servizio Civile Universale, dopo l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, è tornato alla sua normalità.

 Gli operatori volontari del servizio civile universale di Salesiani per il Sociale di Piemonte e Valle d’Aosta sono tornati in attività il 16 aprile sospese durante l’emergenza Coronavirus a partire dal 10 marzo. Il servizio è ripreso a partire dalle esigenze dei territori e della capacità delle varie sedi dei progetti di rimodulare i loro servizi.  “In questi mesi i progetti di servizio civile hanno rappresentato strumenti preziosi per garantire supporto quotidiano e assistenza alle comunità, in uno sforzo comune reso possibile grazie al contributo dell’intero sistema di servizio civile, che ha saputo reinterpretare il proprio ruolo e adattarsi a contesti nuovi e complessi”, conclude il Dipartimento, che il 31 luglio scorso ha anche aggiornato la Circolare sull’impiego degli operatori volontari SCU, tenuto conto della proroga dello stato di emergenza al 15 ottobre 2020. Finalmente anche la Formazione Generale è ripresa in presenza il 5 settembre scorso a Torino Valdocco dopo che nei mesi scorsi era stata attivata la modalità di formazione a distanza, garantendo agli operatori l’adeguato accompagnamento. I 103 operatori volontari, rispettando le norme di sicurezza per contrastare la diffusione Covd-19, hanno potuto riflettere su motivazioni, risorse e cambiamento rispetto alla loro esperienza di Servizio Civile attraverso la modalità del Teatro Sociale e di Comunità del Social and Community Theatre Centre dell’Università degli Studi di Torino (SCT Centre | UNITO).

Il nuovo libro edito da Elledici: “Al servizio del dono. La nuova edizione del Messale”

L’Editrice Salesiana Elledici segnala l’uscita del nuovo libro “Al servizio del dono. La nuova edizione del Messale“, un pratico strumento per meglio comprendere quali cambiamenti comporterà nella pratica della Celebrazione il Nuovo Messale Romano.

Al servizio del dono
La nuova edizione del Messale

Dentro al libro

  • Un libro chiaro, immediato e completo, che aiuterà a rispondere alle tante domande che ci porremo alla luce della nuova edizione del Messale Romano.
  • Ogni momento della Celebrazione viene analizzato in vista dei
    cambiamenti attesi.
  • Il libro mostra come si possa arrivare ad avere testi vicini alla cultura, al linguaggio e alla fede dei cristiani di oggi, senza nulla togliere alla verità e ai testi di partenza.

Autore

Paolo Tomatis, docente di Liturgia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale (sezione di Torino), l’Istituto di Liturgia Pastorale di Santa Giustina di Padova e la Facoltà teologica di Milano. È presidente dell’Associazione Professori di Liturgia, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano di Torino e membro della Consulta dell’Ufficio Liturgico Nazionale.

Catechesi: come ricominciare? La lettera di Mons. Cesare Nosiglia

Lunedì 7 settembre 2020 l’Arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, ha inviato ai parroci, ai catechisti e alle famiglie due lettere con alcune indicazioni importanti per ricominciare la catechesi in parrocchia. Di seguito il testo della lettera indirizzata alle famiglie.

Cari genitori,

desidero raggiungervi in questo tempo particolare per manifestarvi la mia vicinanza e la mia preghiera: è un periodo complesso e delicato che segna profondamente le nostre vite. Anche la comunità cristiana è stata obbligata a rivedere la programmazione pastorale, i calendari e le possibilità di incontro. Vorremmo ricominciare, nei modi adatti a questa situazione e alle sue incertezze, la catechesi in parrocchia con tutti coloro che iniziano o proseguono il loro percorso di iniziazione alla vita cristiana. Per questo vi invito ad avviare o continuare il dialogo con i catechisti e i preti delle vostre parrocchie, magari coinvolgendo anche padrini e madrine, per pensare insieme come e quando riprendere.

In particolare, per i genitori dei ragazzi che attendono di celebrare uno dei sacramenti dell’iniziazione –la (prima) partecipazione all’Eucaristia, la Cresima – o la Riconciliazione e non hanno potuto farlo nel Tempo di Pasqua a causa della pandemia, sarà l’occasione per progettare i tempi e i modi del cammino verso la celebrazione e dell’accompagnamento dopo la festa.

I sacramenti potranno essere celebrati tra settembre e dicembre 2020, a piccoli gruppi di ragazzi con le loro famiglie e la comunità riunita. Poiché è nel cuore della comunità che si vive e si testimonia l’unione nella fede e nell’amore, vi invito ad accogliere, con gioia e responsabilità, la proposta di partecipare, insieme con i vostri figli, alla proposta degli incontri e alla messa domenicale. È questa comunità, di cui siete parte, che insieme a voi, ai ragazzi e ai catechisti preparerà al meglio la celebrazione dei sacramenti: partecipando attivamente con canti e preghiere e testimoniando la gioia di accogliere il dono che Dio, in essi, fa alla Chiesa.

Per i bambini e i ragazzi che iniziano quest’anno, o riprendono il cammino già avviato negli anni scorsi, e per le loro famiglie, suggerisco di iniziare a incontrarsi in parrocchia in Avvento. I mesi compresi tra settembre e novembre non saranno una “pausa”. Valorizzeremo questo tempo per prepararci al meglio: i catechisti dedicheranno tempo alla formazione e insieme –famiglie, catechisti e comunità tutta – ci incontreremo per continuare a conoscerci e “mantenere i contatti” e per condividere la vita cristiana nella quale desideriamo che i nostri ragazzi crescano. Cari genitori, è attraverso di voi che il Signore rivela ai vostri figli la sua presenza e la sua amicizia.

Ciò che i ragazzi vivono in famiglia ha un valore prezioso ed unico per la scoperta e la crescita nella fede. Gesti, atteggiamenti, parole e insegnamenti di vita quotidiana, semplici momenti di preghiera vissuti insieme in casa, la cura delle relazioni e del tempo condiviso sono una palestra di comunione, di fraternità, dei servizio e di perdono che vale molto più di ogni pur necessario insegnamento da parte dei catechisti e dei preti.

Vi ringrazio di cuore e invito voi e i vostri figli ad accogliere queste mie indicazioni, preparando con fede e riconoscenza le celebrazioni dei sacramenti e il tempo dell’Avvento.

Il tempo di grazia che viviamo in questi mesi ci aiuti a esprimere la nostra riconoscenza al Signore, testimoniando a tutti, fiducia e speranza.

Vi benedico di cuore.

Cesare vescovo, padre e amico

Il Piemonte ospita la 106esima Giornata del Migrante e del Rifugiato

Il Piemonte si prepara a celebrare la 106esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Di seguito l’interventi dell’Arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, pronunciato durante la conferenza stampa tenutasi mercoledì scorso presso l’Arcivescovado di Torino, insieme al Vescovo di Asti e incaricato regionale Migrantes della Cep, mons. Marco Prastaro.

CONFERENZA STAMPA
160esima Giornata Mondiale
del Migrante e del Rifugiato
(Torino, Arcivescovado, 9 settembre 2020)

INTERVENTO DI MONS CESARE NOSIGLIA ARCIVESCOVO DI TORINO

Grazie della vostra presenza. Lo scopo di questo incontro non è quello di affrontare il vasto e complesso problema dei migranti nel nostro Paese ma presentare agli operatori della comunicazione il senso e le modalità con le quali stiamo operando a Torino per celebrare la Giornata Mondiale dei Migranti in programma in queste settimane con una serie di iniziative culturali, religiose e sociali che sfocerà nella Messa solenne del 27 Settembre in Duomo e trasmessa da Rai 1.Non mi dilungo sul programma che avete e in cui si possono notare diverse iniziative interessanti e qualificate come sono gli spettacoli teatrali, i cineforum, il meeting dei giovani, presentazioni di pubblicazioni sull’argomento, concerti musicali e altro ancora.

Resta tuttavia fondamentale che queste iniziative e la Giornata Mondiale stessa aiutino a riflettere sulla presenza e sulla realtà complessa degli immigrati che ci troviamo a gestire in questi mesi in particolare. Voglio aggiungere che far leva sull’allarmismo e sull’invasione come già è avvenuto in passato non aiuta ad affrontare seriamente il problema ma suscita solo paura e timore che, collegato anche al Coronavirus, suscita ancora di più rifiuti e scelte drastiche che nulla hanno a che vedere con l’accoglienza delle persone ma ne fanno dei capri espiatori di ben altre situazioni che nulla o poco hanno a che fare con i migranti.

Non è che non manchino i problemi, ma affrontarli in maniera errata ci fa dimenticare che si tratta di persone deboli e indifese senza diritti e isolati in se stessi.

Quando incontro o ho a che fare con una persona migrante, ringrazio Dio perché mi ha offerto un dono grande che mi sollecita a riconoscerlo e ad accoglierlo nella persona di tanti nostri fratelli e sorelle che sono giunti nel nostro Paese e necessitano di una costante solidarietà e prossimità, come si usa tra figli dello stesso Padre Celeste. Gli immigrati sono portatori di una ricchezza di culture, tradizioni, valori umani e spirituali, religiosi e civili, che può arricchire la nostra Comunità sia sotto il profilo culturale che sociale. Mai ci stancheremo di predicare a tutti, e con voce alta e forte, che la presenza di tanti immigrati nel nostro Paese è una risorsa positiva che non va solo accettata, ma valorizzata in tutti i suoi molteplici aspetti. Grazie al lavoro quotidiano di responsabili nelle rispettive Chiese locali dell’azione concreta di accoglienza e valorizzazione di questi nostri fratelli si offrono a tutti i cittadini e fedeli del nostro Paese un supporto e un incisivo invito a promuovere nelle comunità e nella società quello spirito di condivisione dei rispettivi problemi e necessità ma anche ricevere quanto di buono e valido essi possono fare al nostro Paese.

Provengono da paesi e culture diverse ma questo fatto invece di creare divisione e impedimento deve suscitare amore e impegno comune a costruire una società che trova la sua ricchezza nelle persone che la compongono prima che nel pure necessario sviluppo economico e sociale.Ma soprattutto dobbiamo mettere l’accento più in quello che ci unisce che in quelle diversità di cui ciascuno è portatore.

Verso quelli che sono cristiani poi, nelle comunità etniche che sono presenti sul territorio ne scaturisce un obbligo ancora più stretto perché, se siamo uniti nei doni di Grazia, così decisivi ed importanti per la salvezza, come non possiamo esserlo in altri aspetti del vissuto quotidiano? Possiamo, come cristiani e credenti in Gesù Cristo, professare nelle chiese la stessa fede e lo stesso amore e poi dividerci nella vita di ogni giorno, quando i problemi, le necessità e i bisogni familiari e sociali ci interpellano e rappresentano spesso, per molti di voi, situazioni di fatica e di difficoltà?

Interrogativi che devono attraversare la coscienza e la vita delle nostre comunità per stimolare la ricerca di vie ed impegni concreti di accoglienza, integrazione e solidarietà verso tutti gli immigrati presenti nel nostro territorio.Il lavoro che si compie giorno per giorno nelle sedi diocesane della Migrantes o della Caritas è un segno di grande speranza, perché conferma quanto il Vangelo ci annuncia, mostrandoci che la fede in Cristo è fonte prima di comunione e di salvezza per tutti.

L’immigrazione ci invita a considerare ogni popolo ed ogni uomo una ricchezza per tutta l’umanità. Operare e lavorare su questo significa anche riconoscere a tutti quei diritti fondamentali che sono propri di ogni persona umana e di ogni famiglia, superando discriminazioni, indifferenza, rifiuti preconcetti ed estraneità sia sul piano religioso che civile: il diritto alla cittadinanza in primo luogo a partire dai minori nati nel nostro Paese, il diritto al lavoro che in questo tempo di crisi sta diventando sempre più precario o è assente del tutto, alla casa, il diritto alla scuola per i ragazzi, alla salute e così via; diritti che la Costituzione italiana pone a fondamento del vivere civile del nostro popolo.

Prevenire, gestire ed accompagnare le persone immigrate e, se ci sono, le loro famiglie in difficoltà, è il compito di tutti.La solidarietà va di pari passo con la giustizia perché “non è possibile dare per carità ciò che prima è dovuto per giustizia”.Nello stesso tempo non dobbiamo mai dimenticare che ogni persona abbisogna di un sostegno morale e spirituale altrettanto e a volte anche più importante di quello materiale per avere la forza di affrontare situazioni di abbandono, di divisione e di sofferenza.
Per cui l’accompagnamento deve essere a tutto campo e gli stessi operatori hanno bisogno di una preparazione etica e spirituale, per gestire il rapporto con umanità e fraterna condivisione, badando a tutta la persona e alle sue necessità più profonde.
Preghiamo il Signore affinché questo obiettivo sia raggiunto presto nel nostro Paese e si possa guardare per il futuro ad una società multietnica, fatto positivo e arricchente per tutti. Ringrazio sentitamente la Migrantes diocesana per il generoso e capillare lavoro che svolge a servizio delle comunità cristiane degli immigrati e ringrazio i sacerdoti, i catechisti e i responsabili delle varie comunità etniche per quanto fanno a favore della formazione e della crescita umana e spirituale di ciascun immigrato e della sua famiglia.

Speriamo che il prossimo grande evento che celebreremo a Torino, la Giornata Mondiale del migrante e rifugiato possa suscitare interesse e partecipazione da parte di tutta la popolazione oltre che l’assunzione di impegni precisi da sottoporre alle competenti istituzioni e alle nostre Diocesi piemontesi e comunità, per affrontare e promuovere una accoglienza sorretta da una nuova cultura e mentalità che apra vie condivise ed efficaci sia nei confronti dei migranti come di ogni altra povertà e criticità di cui soffre tanta popolazione povera del nostro Paese.

Torino,9 settembre 2020

✠ Cesarevescovo, padre e amico

Cagliero 11 – “Per la nostra Casa Comune” Settembre 2020

Si riporta Cagliero 11 e l’intenzione missionaria salesiana del mese di Settembre 2020.

Intenzione Missionaria Salesiana, alla luce dell’intenzione di preghiera del Santo Padre.

CAGLIERO 11 – N°141, SETTEMBRE 2020

ECCOMI, MANDA ME!

Don Alfred Maravilla SDB, Consigliere Generale per le Missioni

Da molti anni ormai, ogni ultima domenica di settembre, il Rettor Maggiore presiede l’invio missionario presso la Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco. A causa della pandemia, quest’anno l’invio della 151a spedizione missionaria è stato rimandato a una data ancora da definire.Gesù è il Missionario del Padre: è stato inviato dal Padre; la suavita e il suo ministero rivelano la sua volontà di essere inviato e la sua totale obbedienza alla volontà del Padre (Gv 4,34). Gesù, a sua volta, ci attira nella sua missione e ci invia in missione in tutto il mondo. La missione della Chiesa è evangelizzare. Oggi essa continua a mandare evangelizzatori ovunque (Evangelii Nuntiandi, 15) perché, attraverso la nostra testimonianza di fede e l’annuncio del Vangelo, la gente possa conoscere Gesù. La vocazione missionaria nella Chiesa, infatti, è soprattutto una risposta sempre nuova alla domanda del Signore: “Chi manderò?” È un invito a uscire da noi stessi, a uscire dalle nostre zone di comodità e a dare una risposta libera e consapevole per renderci totalmente disponibili ovunque il Signore ci manderà: “Eccomi, manda me!” (Is 6,8). La vocazione missionaria salesiana è una partecipazione alla natura missionaria della Chiesa (Ad gentes, 2). Mentre ogni salesiano è chiamato a vivere lo spirito missionario, elemento essenziale del carisma di Don Bosco, alcuni salesiani sono chiamati ad essere missionari ad exteros (fuori dal proprio paese o dalla propria cultura) e ad vitam (come impegno per tutta la vita). Infatti, la vocazione missionaria salesiana è una chiamata all’interno della nostra comune vocazione salesiana. Come tale ha bisogno di preghiera e di
discernimento con l’aiuto di una guida spirituale. Grazie ai missionari salesiani, sin dal 1875, il carisma di Don Bosco è oggi presente in 134 paesi. Una volta accertata la propria vocazione missionaria, uno può scrivere direttamente al Rettor Maggiore manifestando la sua totale disponibilità ovunque sarà inviato. Forse, il Signore ti chiama ad essere missionario?

Per la riflessione:

  • Forse Dio mi chiama ad essere un missionario?
  • Come possiamo vivere oggi lo spirito missionario di Don Bosco?

Ogni anno, dal 1875, i missionari partenti ricevevano e ricevono una croce piena di significato. Ogni suo elemento presenta un aspetto profondo della spiritualità missionaria salesiana.

La Croce

Il primo, potente, simbolo è la croce in sé stessa. Ricevere la Croce porta tante emozioni e sfide spirituali. Centra la vita missionaria nella persona di Cristo e in Cristo crocifisso. Implica dapprima ricevere e poi offrire il grande insegnamento della Croce: l’amore infinito del Padre che offre il meglio di sé, suo Figlio; l’amore fino alla fine, del Figlio, che, obbediente e generoso, si consegna alla volontà del Padre per la salvezza dell’umanità.

La Missione e la Croce

Nell’iconografia tradizionale missionaria si può apprezzare la figura del missionario che mostra la croce alla gente. Quel gesto, che ad alcuni potrebbe sembrare un po’ ingenuo, se non colonizzatore, significa per noi Salesiani che ” la nostra scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero”
(Cost. Salesiane, n°34).

Il Buon Pastore

La croce, secondo il carisma salesiano, si vive nella consegna pastorale illimitata. Il Buon Pastore rivela la cristologia salesiana: la carità pastorale, nucleo dello spirito salesiano, “l’atteggiamento che conquista con la mitezza e il dono di sé” (Cost. Salesiane, n°10-11).

ESSERE MISSIONARI PER UNA VITA SIGNIFICATIVA

Ayubowan! ( Lunga vita!)
Da quando sono rientrato nel 1996 per la teologia nelle Filippine dalle missioni della Papua Nuova Guinea dove ho fatto il tirocinio, il desiderio di tornare in missione mi è rimasto dentro come una scintilla di luce che continua a bruciare. Fin da aspirante, ho sempre sognato di andare in missione. E anche se mi ci è voluto un bel po’ di tempo per dare ancora una volta a questo desiderio ardente la possibilità di risplendere di nuovo, sento che è valsa la pena aspettare. Finalmente, l’11 ottobre 2015, mentre celebravo il mio 25° anno di professione, il 15° anno di sacerdozio e il 45° anno di vita qui sulla terra, ho avuto il coraggio di immergermi ancora una volta nelle acque profonde della vita nelle missioni.

Sono volato su una piccola isola chiamata “Lacrima dell’India”: Sri Lanka. Ho affrontato le sfide di una nuova cultura prevalentemente influenzata dal buddismo e dall’induismo; adattandomi al cibo che è per lo più “indiavolato con peperoncino rosso e piccante” nella preparazione; intrecciando la lingua con il Sinhala e la lingua tamil, essenziale per poter comunicare con la gente del posto; e rendendomi disponibile ad aiutare e andare incontro alle necessità della Visitatoria per quanto riguarda il personale, l’apostolato creativo e sostenibile, e cento e cento altre richieste; tutto questo richiede molta pazienza, amore e umiltà da parte di uno come me che sta cercando di essere un missionario.

Più che “fare”, ci si aspetta molto di “essere”, perché in realtà, sono tornato come un bambino piccolo che impara tutto per la prima volta nelle missioni. Ho imparato anche che “AMORE” si pronuncia “DARE” nelle missioni: rinunciare alla mia vita passata, ai miei desideri presenti e ai miei progetti futuri per ciò che lasituazione mi chiede.

Ma nella misura in cui questa vita è carica di richieste, ho avuto anche qualche inaspettata fonte di reale consolazione. Un giorno, durante un ritiro che stavo predicando, chiesi a un salesiano studente di teologia del posto di immaginare come si vedeva a dieci anni da quel momento. Mi rispose: “Padre mi vedo come un sacerdote salesiano…”, e prima di interrompermi, continuò: “…ma non come un semplice sacerdote, voglio essere un sacerdote missionario che si offre di andare in un luogo lontano… perché voglio vivere una vita significativa”. Sentito questo, ho sorriso e ho detto: “poi, in fondo, c’è davvero qualcosa di più di tutto ciò”. Per chi sogna di andare in missione: essere in un territorio di missione non ti rende automaticamente missionario. Essere missionario è un processo e sicuramente ci vorrà un po’ di tempo…fidati di una persona che cerca di esserlo.

Jesu Phitai! Gesù vi benedica!

Noel Sumagui missionario filippino nello Sri Lanka

“Intorno al fuoco vivo del Sinodo”, il libro di don Rossano Sala su L’Osservatore Romano

Sull’edizione del 5 settembre de L’Osservatore Romano è uscita la presentazione dell’ultimo libro di don Rossano Sala, “Pastorale giovanile 2. Intorno al fuoco vivo del Sinodo. Educare alla vita buona del Vangelo» (Torino, Elledici, 2020, pagine 608, euro 28). Il quotidiano della Santa Sede ne riporta l’invito alla lettura di Papa Francesco, e stralci dell’introduzione – a firma di don Rossano Sala – e della parte conclusiva scritta da Padre Giacomo Costa, SJ.