1918 – 21 marzo – 2018: centenario della nascita del beato Alberto Marvelli, Exallievo dell’oratorio

Il 21 marzo 1918 nasceva a Ferrara Alberto Marvelli. Sono passati 100 anni da quel lontano giorno e tanti nel mondo conoscono la sua vita, il suo impegno educativo, caritativo, sociale e politico.

di don Pierluigi Cameroni, SDB,
Postulatore Generale delle Cause
dei Santi della Famiglia Salesiana

Alunno dell’oratorio salesiano di Rimini, sull’esempio di Domenico Savio, matura la propria fede con una scelta decisiva: “Il mio programma si compendia in una parola: santo”. In soli 28 anni ha realizzato una vita a “misura piena”: spesa tutta nell’amore a Dio e al prossimo.

Quando il 5 ottobre 1946 la sua vita fu tragicamente interrotta, tanti credettero di averlo perso per sempre e che il suo impegno, il suo sostegno e il suo esempio sarebbero andati perduti. Non fu così: i santi hanno una vita “postuma”. Oggi Alberto è vivo ed operante più che mai: il bene che ha operato sulla terra si è dilatato nel tempo e nello spazio. La sua santità esemplare è divenuta modello per i laici impegnati nel mondo, alla ricerca di identità cristiana e di coerenza con la fede. Ha aperto una strada nuova, percorribile per tutti. La diffusione della sua testimonianza nel mondo, i molti giovani che l’hanno preso come modello, sono il segno sicuro della sua persona viva ed operante in mezzo a noi.

Celebrare il suo centenario, in questo anno speciale che la Chiesa dedica ai giovani con il Sinodo, significa non commemorare, ma riconoscere questa presenza, come indicò san Giovanni Paolo II il giorno della sua beatificazione il 5 settembre 2004: “A voi laici spetta di testimoniare la fede mediante le virtù che vi sono specifiche: la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell’intraprendere opere utili all’evangelizzazione e alla promozione umana. A voi spetta pure di mostrare – in stretta comunione con i Pastori – che il Vangelo è attuale, e che la fede non sottrae il credente alla storia, ma lo immerge più profondamente in essa”.

(Articolo tratto da ANS – Agenzia Info Salesiana)

Don Rossano Sala: i giovani chiedono una Chiesa che ascolti, che accolga, che sia viva e autentica

Don Rossano Sala, Segretario speciale del Sinodo dei Vescovi del 2018, in esclusiva per ANS – Agenzia Info Salesiana parla dei giovani e della riunione pre-sinodale.

In una lunga e profonda intervista don Rossano Sala, parla della situazione giovanile, della Chiesa e del prossimo Sinodo, illustrando chiaramente la necessità di ascoltare il mondo dei giovani. Il tema del prossimo Sinodo interpella da vicino i Salesiani, che vivono per i giovani, e li interroga e li invita a vivere questa esperienza come figli di un santo che con i giovani seppe vivere un rapporto di fiducia, amicizia e familiarità.

Cosa significa questa riunione pre-sinodale dei giovani?

Il Sinodo pensato da Papa Francesco è un momento per dare la parola ai giovani, un momento in cui la Chiesa deve convincersi che non si può parlare dei giovani se non li lasciamo parlare, se non li abbiamo prima ascoltati. L’incontro pre-sinodale è un momento in cui i giovani possono dire le loro opinioni senza filtri.

Cosa desiderano e cosa chiedono alla Chiesa i giovani?

Molte conferenze episcopali manifestano che i giovani non chiedono nulla alla Chiesa, che sono irritati dalla presenza della Chiesa e non si sentono a proprio agio al suo interno. Ci chiediamo: questi sono giovani nichilisti, sono giovani che ci odiano? No! Dietro queste considerazioni ci sono delle motivazioni che dovrebbero farci riflettere.

Quindi, cosa succede con i giovani?

I giovani sono più di altri scandalizzati dagli scandali sessuali ed economici. I giovani si aspettano come sacerdoti dei ministri preparati, disponibili al dialogo… Sono molte le motivazioni per cui i giovani non ci seguono, perché non siamo significativi per loro… Invece, vogliono una Chiesa che diventi una casa, una famiglia, una Chiesa che sia un luogo di accoglienza, dove un giovane si possa sentire bene…

I giovani chiedono che la Chiesa sia una famiglia. Non è questo un messaggio salesiano?

Per noi Salesiani questo discorso è bello e importante. Abbiamo ricevuto da Don Bosco quello che viene chiamato lo spirito di famiglia. Il fatto che un giovane si senta a casa, si senta accolto, possa parlare apertamente ed entrare in un contatto di tipo familiare fa parte della nostra spiritualità. Pensiamo a cosa significa la Lettera da Roma di Don Bosco, che parla di fiducia, amicizia, familiarità…

Ecco la video-intervista:

(Articolo tratto da ANS – Agenzia Info Salesiana)

 

Si segnala, inoltre, l’approfondimento dell’edizione del 25 marzo 2018 di “Credere“, a cura di Emanuela Citterio, che focalizza l’attenzione su Don Rossano Sala e la sua spiegazione sul perché la Chiesa si sta mettendo in ascolto delle nuove generazioni:

DON ROSSANO SALA: SONO OTTIMISTA PERCHÉ CONOSCO I GIOVANI DI OGGI

Scelto dal Papa come segretario del Sinodo dei giovani, il 47enne sacerdote salesiano spiega perché la Chiesa si sta mettendo in ascolto delle nuove generazioni

Testo di Emanuela Citterio

«Lavorare con i giovani è stata l’esperienza più entusiasmante della mia vita. Chi sta con loro non può che essere ottimista». A confidarlo è don Rossano Sala, uno dei due segretari speciali del Sinodo dei vescovi sui giovani, che si terrà dal 3 al 24 ottobre a Roma. Nato a Calò di Besana, in Brianza, don Rossano è sacerdote salesiano dal 2000 e ha sempre vissuto in mezzo ai ragazzi: per due anni a Brescia nell’oratorio e nel collegio salesiani, per quattro anni nella scuola superiore di Bologna, per altri sei anni di nuovo a Brescia come direttore dell’Istituto , che comprende una parrocchia, un oratorio, una scuola superiore e un centro di formazione professionale. Nel 2010 gli è stato chiesto di portare questa esperienza a livello universitario, prima a Torino dove ha insegnato per due anni Teologia, e dal 2012 a Roma alla Pontificia università salesiana, dove è docente di pastorale giovanile.

Don Rossano è anche direttore di Note di pastorale giovanile, rivista che da cinquant’anni si occupa dell’accompagnamento di tutti coloro che lavorano con i giovani. In questi anni è riuscito a unire un’esperienza sul campo «bella, gratificante e impegnativa» alla riflessione teorica. E forse è proprio per questo che papa Francesco l’ha scelto – in modo, comunque, del tutto inaspettato – insieme al padre gesuita Giacomo Costa per accompagnare un evento che vede la Chiesa interrogarsi sulle sfide che riguardano le nuove generazioni.

In questi giorni, fino al 25 marzo, si svolge a Roma il presinodo, una novità assoluta: 300 giovani da tutto il mondo si sono confrontati per arrivare a un documento condiviso che sarà consegnato nelle mani dei 300 padri sinodali che si riuniranno a ottobre. «Anche questa è un’invenzione di papa Francesco», spiega don Rossano. «Per ascoltare innanzitutto coloro di cui si sta parlando». Al presinodo ognuna delle 114 Conferenze episcopali del mondo ha inviato due o tre giovani, ma sono stati invitati anche aderenti ad altre confessioni cristiane e altre religioni, non credenti o appartenenti ad associazioni giovanili non confessionali, e ragazzi che hanno vissuto o vivono situazioni particolari, come il carcere, la tratta di persone, la tossicodipendenza.

UNA CHIESA IN ASCOLTO

«Vogliamo ascoltare qui e adesso le domande dei giovani che vivono all’inizio del terzo millennio, non rispondere a domande precostituite che i giovani facevano una volta ma ora non fanno più», afferma don Rossano. «L’idea è che tutti i giovani in tutte le situazioni possano partecipare, anche attraverso i social media e il sito www.synod2018.va . È un bel segno di una Chiesa che vuole essere universale, un gesto di ascolto a 360 gradi».

Sui giovani don Rossano è ottimista a ragion veduta: «Chi ne parla male, in genere, non li frequenta. Se si sta con loro, si scopre come siano davvero la ricchezza del mondo e della Chiesa, per il loro entusiasmo, la loro voglia di fare. Certo, cercano accompagnamento e aiuto, però sono una promessa. A volte si dice che i giovani sono il futuro. In realtà sono il presente. Sono gli adulti del futuro, ma sono anche i giovani di oggi. E sono il presente della società e della Chiesa».

Ma perché questa attenzione sui giovani in questo momento storico? «Un Sinodo si fa perché c’è qualche sfida importante che la Chiesa ritiene opportuno affrontare», risponde don Rossano. «Alla fine di ogni assemblea sinodale il Papa chiede ai partecipanti su cosa vogliono discutere nella successiva, e questa richiesta viene fatta anche alle Conferenze episcopali.

Il tema emerso a maggioranza, alla fine del Sinodo sulla famiglia, è stato quello dei giovani. Si è trattato, quindi, di una richiesta della Chiesa universale, che poi il Papa ha fatto sua, declinando il tema su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.

Cosa sta dietro questa richiesta? Probabilmente una fatica da parte della Chiesa di essere generativa nei confronti dei giovani. Anche perché siamo in un tempo di metamorfosi: la Chiesa sa che alcuni strumenti della sua tradizione non funzionano più, perché sta cambiando il mondo. Pensiamo solamente al mondo digitale: non abbiamo una tradizione ecclesiale che ci dice cosa dobbiamo fare, perché semplicemente non c’è mai stato prima di adesso. Questo signica che la Chiesa deve interrogarsi sui
nuovi linguaggi, su come interagire coi giovani che vivono in un mondo virtuale, di fronte a un cambiamento antropologico di questa portata. Vuol dire che ci sono delle novità che ci interpellano e che ci chiedono di metterci in un atteggiamento di discernimento. Non possiamo far finta che non esista il mondo globalizzato o il mondo digitale. Anche a livello educativo c’è la necessità di rispondere alle domande delle nuove generazioni che sono — in realtà, lo sono da sempre — la porzione più
delicata e promettente della società, ma anche quella più a rischio. I giovani sono sismografi e sentinelle dei cambiamenti, cioè quelli che li sentono per primi, per questo ci richiedono di impegnarci di più».

SPAZIO ALL’AUDACIA

Ma questo Sinodo potrebbe anche avere un effetto “collaterale”: «Aiutarci a riscoprire la giovinezza della Chiesa», afferma don Rossano. «Cosa vuol dire, per la Chiesa, assumere o riassumere un dinamismo giovanile? Intendo dire: un dinamismo di entusiasmo, coraggio, capacità di rischiare, mettersi in gioco in maniera rinnovata, non aver paura del cambiamento, essere desiderosa di andare incontro alle persone così come sono, svecchiarsi rispetto ad alcuni stili e modalità di essere?».

Parlare di “giovinezza della Chiesa”, soprattutto in Europa, suona quantomeno azzardato, con una gerarchia ecclesiale lontana, anche anagraficamente, dal mondo giovanile: «Questo è vero», risponde don Rossano. «I giovani, però, sono spesso più vicino ai nonni che ai padri e alle madri. Il punto è cosa vuol dire assumere per la Chiesa un ruolo di “anzianità vera”. Il Papa lo sottolinea molto: il legame fra gli anziani e i giovani è un legame importante, perché anziano vuol dire anche sapiente, che ha una padronanza della vita che i giovani non hanno, una visione più ampia. Molte Conferenze episcopali rivelano piuttosto il fatto che la Chiesa non riesce a intercettare le domande dei giovani. È interessante che la Chiesa sia saggia, il problema è che non sia vecchia nel senso di continuare a proporre dei modelli che sono superati».

Per ovviare a questo problema, il Sinodo punta sull’ascolto e il discernimento, attraverso tappe ben precise: il 6 ottobre 2016 è stato annunciato il tema, il 13 gennaio scorso è stato pubblicato il documento preparatorio, il 25 marzo si chiuderà il presinodo, a fine maggio uscirà lo “strumento di lavoro”, e infine tutto il materiale raccolto verrà discusso a ottobre al Sinodo, che durerà quasi un mese. L’assemblea si chiuderà con delle proposizioni che verranno consegnate al Papa, il quale preparerà un’esortazione apostolica che dovrebbe uscire a marzo del prossimo anno.

UNA CHIESA CHE SIA CASA

«In questo momento si legge molto la nostalgia spirituale dei giovani», anticipa don Rossano, che sta già facendo sintesi dei contributi arrivati dalle Conferenze episcopali e attraverso il questionario online, al quale hanno risposto 200 mila giovani di tutto il mondo. «Una Conferenza episcopale ha detto che abbiamo a che fare con una “generazione mistica”, alla ricerca di trascendenza in un mondo dominato dall’immanenza, dove sembra che il consumo sia al primo posto. Certo, i ragazzi consumano. Ma non sono riempiti da questo e se ne rendono conto. Molte ricerche mostrano che sono alla ricerca più di beni relazionali che materiali, soprattutto nel nostro mondo occidentale, in particolare di amicizia, amore, famiglia.

Paradossale, in un momento in cui la famiglia vive una crisi per molti motivi. E quando parlano della Chiesa la intendono nell’ottica familiare. Sono alla ricerca di una Chiesa che non sia istituzionale, ma accogliente, una Chiesa che sia casa». «I giovani sono anche spesso critici nei confronti della Chiesa», continua don Rossano. «Ma a mio parere molte delle loro critiche sono costruttive. Molti tengono le distanze e non chiedono nulla alla Chiesa. Quando si chiede loro perché, rispondono: “È fonte di scandalo dal punto di vista sessuale o economico”; “I ministri sono impreparati nei nostri confronti, non riescono a cogliere le nostre domande, non sono in grado di accompagnarci”; “Molte volte la liturgia della Chiesa e le omelie non dicono niente alla nostra vita”. Quando si va in profondità, ci si accorge che le loro sono critiche verso una Chiesa che vogliono più santa, vera,
coerente». Don Rossano sogna una Chiesa che faccia leva sul bene che c’è nei giovani: «C’è un’immagine molto bella nella Bibbia, quella del giovane Giosuè. Mosè muore e gli affida il popolo e lui non sa bene cosa fare.

“Sii forte e coraggioso”, gli dice. È un’espressione che mi colpisce molto. Mi sembra sintetizzi il messaggio che papa Francesco rivolge ai giovani, ma anche alla sua Chiesa: “Sii forte e coraggiosa”».

Una “casa senza muri” che accoglie e sostiene i giovani da 25 anni

«Salesiani per il sociale è una casa salesiana senza muri. Se nel 1993 non ci fossimo dotati di questo strumento civilistico non avremo ricevuto tutti i frutti maturati in questi anni». Con le parole di Don Stefano Martoglio, superiore della regione salesiana “Mediterranea”, si è aperta l’Assemblea ordinaria 2018 di Salesiani per il Sociale che ha visto radunati a Roma oltre settanta rappresentanti degli enti che costituiscono la Federazione.

Un evento che ha voluto celebrare i 25 anni di attività dedicati ai giovani del nostro Paese. «Questa realtà ha dimostrato – continua Martoglio – di saper durare negli anni per il suo modo di operare ma soprattutto per il suo metodo che mette in relazione persone con gli stati di vita più diversi (religiosi e laici) e tutto questo in linea con lo spirito del Concilio Vaticano II». Durante la mattinata di lavori, una finestra è stata aperta sulla storia della Federazione, nata il 9 luglio 1993, e che oggi conta più 80 enti nonprofit, tutti ispirati e guidati dalla passione educativa di San Giovanni Bosco. Un’associazione pioniera nell’aver creduto da subito nel grande valore dell’obiezione di coscienza (oggi Servizio Civile) e che in questi mesi si prepara ad affrontare con coraggio il nuovo assetto associazionistico introdotto con la Riforma del Terzo Settore.

L’assemblea è stata anche l’occasione per lanciare lo spot celebrativo del venticinquesimo anniversario realizzato dalla sede nazionale e disponibile sui diversi canali social di Salesiani per il sociale.

Ecco una galleria fotografica:

Medellìn: Ex-soldati, una volta curate le ferite di guerre, diventano motori di pace

Jazmin, dalle forze rivoluzionarie colombiane alla scuola: “Così ho ricominciato a vivere”

La sua storia è stata una delle testimonianze al convegno «Cicatrici di guerra, matrici di pace»
organizzato dalle Missioni Don Bosco

Avere quattordici anni in Colombia può essere difficile. Molti ragazzi e bambini si sono uniti per anni alle Farc, le Forze armate rivoluzionare della Colombia, spesso nel tentativo di migliorare la situazione economica famigliare. È la storia di tanti adolescenti, come Jazmin, che oggi ha vent’anni, e si è raccontata a Torino in occasione del convegno «Cicatrici di guerra, matrici di pace», organizzato giovedì 15 marzo da Missioni Don Bosco.

Emozione palpabile in Sala Sangalli durante l’ascolto delle testimonianze della piccola delegazione di Ciudad Don Bosco invitata a Torino e descrivere l’azione pacificatrice che i salesiani stanno svolgendo in Colombia.

Padre Rafael Bejarano,SDB, Jovana Ruiz e Claudia Yazmin hanno consentito agli oltre cento partecipanti al convegno organizzato da Missioni Don Bosco di venire a contatto diretto con il piano di reinserimento sociale che riguarda gli ex bambini soldato della “interminabile” guerra che dal 1954 al 2016 ha insanguinato il Paese latinoamericano.

Con loro tre, il contributo di Bruno Desidera, giornalista che ha ricapitolato la storia del conflitto, prima anche ideologico e poi solo militare, fino all’arduo raggiungimento di un cessate il fuoco purtroppo non ancora rispettato da tutte le formazioni in campo, e di Alessia Andena che ha riportato le impressioni della visita di Missioni Don Bosco a settembre 2017 a Ciudad Don Bosco e spiegato le ragioni del sostegno che questa organizzazione dà convintamente a quel progetto educativo.

Padre Rafael è il direttore della struttura di accoglienza situata a Medellin, città “di confine” con il territorio un tempo occupato dalle Forze armate rivoluzionarie (Farc). Ha ringraziato coloro che sostengono Ciudad Don Bosco dall’Italia perché hanno compreso che la cura rivolta agli adolescenti e ai giovani fuggiti o salvati dalle squadre di combattenti (in oltre 15 anni, la media di un centinaio all’anno) costituisce uno degli elementi di possibile pacificazione profonda della Colombia. Il referendum che in prima battuta respinse l’accordo di pace fra governo e Farc del 2016 è un indice preciso di quanto il perdono reciproco faccia fatica a sposarsi con le esigenze di giustizia. Eppure, come ha spiegato efficacemente Claudia Yazmin rispondendo a una precisa domanda dal pubblico, il compromesso fra l’esigenza di giudicare chi ha commesso atrocità e la possibilità di rendere irreversibile il ritorno a una normale vita civile è la sola via possibile. E i giovani che escono da Ciudad Don Bosco possono essere i promotori di un atteggiamento dei Colombiani che guari al futuro. Jovana Ruiz ha illustrato le tappe del questo cammino proposto dagli educatori salesiani agli ex bambini soldato: la prima fase è quella della conquista della fiducia, un dato non scontato per persone che hanno dovuto imparare a diffidare di chiunque, a non poter considerare amico neppure il compagno di stanza. E poi la “capacitazione”, come la esprime efficacemente la lingua spagnola, che parte dalla ripresa dei percorsi scolastici interrotti e passa attraverso pratiche di acquisizione della consapevolezza di sé manomessa da anni di ubbidienza cieca degli ordini militari. Infine il ritorno: nella famiglie, quando possibile e con modalità dettate da prudenza, alla vita sociale attraverso tirociniii e inserimenti lavorativi con l’affiancamento degli educatori.

Il presidente di Missioni Don Bosco, Giampietro Pettenon, ha salutato i presenti al convegno a Torino Valdocco e gli amici che lo hanno seguito in diretta streaming attraverso il sito dell’associazione. Ha spiegato che l’obiettivo dei salesiani nel mondo è sempre quello di offrire opportunità di crescita e di inserimento sociale ai ragazzi in maggiori difficoltà. Questo spirito si trova in ognuno dei progetti di formazione professionale sparsi nei cinque continenti, che siano attuati in piena concordia con i governi locali, come in Colombia, o che siano identificati come pura istituzione formativa laddove culture o forze politiche non accettino la “firma” religiosa, come in Laos.

Elisabetta Gatto, antropologa in forza a Missioni Don Bosco, che ha preparato e moderato il convegno, ha commentato che il “modello” presentato per la Colombia potrà essere validamente proposto anche in altri Paesi dove conflitti ultradecennali e ostilità radicali sembrerebbero non lasciar spazio ad alcuna speranza di pace.

Gli insegnavo a camminare: Proposta di Lettura in preparazione al prossimo Sinodo

In un tempo nel quale si avverte l’emergenza educativa e la comunità cristiana è impegnata a riflettere sul grande tema della educazione, è necessario mettersi in ascolto della Parola di Dio, che è il massimo esperto di questo campo.

La Bibbia non propone una teoria dell’educazione né offre le indicazioni metodologiche che spettano alle scienze dell’educazione, ma è ricca di una saggezza pedagogica, che sarebbe un peccato trascurare.

“Gli insegnavo a camminare – Bibbia e Educazione” di Francesco Mosetto edito da LAS – ROMA presenta cinque percorsi biblici. Il primo delinea come, secondo le Scritture del Primo Testamento, “Dio educa il suo popolo”. Il secondo è dedicato ai maestri di sapienza, il cui insegnamento è trasmesso negli scritti detti appunto “sapienziali”. Il terzo invita a guardare a Maria e Giuseppe “educatori” di Gesù. Nel quarto osserviamo il cammino educativo che Gesù maestro fa compiere ai discepoli. Il quinto capitolo è dedicato a san Paolo, pastore ed educatore delle giovani comunità che ha fondato.

 

 

Migrazione circolare, giovani e opportunità di sviluppo

Ecco qui di seguito l’articolo pubblicato da ANS – Agenzia Info Salesiana in occasione della Sessione del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU tenutosi il 14 Marzo 2018 a Ginevra:

 

Oggi, mercoledì 14 marzo, si svolge a Ginevra, a margine della 37a Sessione del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, un evento collaterale intitolato “Circular migration and youth” (Migrazione circolare e giovani) nell’ambito del programma cofinanziato dall’Unione Europea, del progetto multi-Paese “Co-partners in Development” (Collaboratori nello Sviluppo). L’evento è organizzato dall’ONG Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (VIS) e dal Movimento Internazionale Contro ogni forma di Discriminazione e Razzismo (IMADR), in partenariato con “Don Bosco 2000” e i Salesiani di Don Bosco.

Intervengono Michela Vallarino, Vicepresidente del VIS, Agostino Sella, Presidente di Don Bosco 2000, don Francois Coly, Direttore della casa salesiana di Tambacounda, in Senegal, insieme alla testimonianza di Seny Diallo, coordinatore del Centro Don Bosco di Tambacounda.

Barbara Terenzi, Coordinatrice dell’Ufficio Diritti Umani e Advocacy del VIS, che ha curato l’evento, ne è anche moderatore e facilita l’intervento dei rappresentanti di alcuni Uffici territoriali delle realtà salesiane appositamente giunti a Ginevra: Leslie Tavares, dalla Repubblica Dominicana, Meaza Tesfagiorgis, dall’Etiopia, Walter Thyrniang, dallo Zambia, e Gianpaolo Gullotta del VIS in Ghana.

È per me motivo di grande soddisfazione poter condividere con le persone da me formate questa esperienza concreta delle dinamiche e del come si possa realmente contribuire alla realizzazione di politiche a livello globale in favore della promozione e protezione dei diritti umani e soprattutto dei giovani e delle bambine e dei bambini al centro di tutta la cura del mondo salesiano” ha dichiarato la dott.ssa Terenzi.

L’evento ha la doppia finalità da una parte di completare il rafforzamento tecnico e istituzionale dei partner del progetto multi-Paese e dall’altro evidenziare l’esperienza positiva realizzata da Don Bosco 2000 in Senegal con un progetto pilota di migrazione circolare, realizzato anche grazie alla presenza consolidata dei Salesiani di Don Bosco in quel Paese.

La “migrazione circolare” è oggi ritenuta uno degli approcci più avanzati per affrontare la questione delle migrazioni, soprattutto con riferimento ai giovani, che sono i soggetti più a rischio di migrazione irregolare – soprattutto quando, a causa dell’estrema povertà, dei disastri ambientali e dei conflitti, vedono compromessi lo sviluppo e l’inserimento nel mondo del lavoro.

Per questo oggi a Ginevra viene presentata la buona pratica già realizzata in Sicilia da diverse realtà salesiane, che prevede uno scambio fra l’attività di accoglienza e di addestramento che viene offerta ai giovani migranti giunti in Sicilia e la possibilità di rientrare nel Paese di origine arricchiti di un addestramento mirato, in settori quali l’agricoltura, l’artigianato e il turismo. E ciò al fine di avviare altri interventi mirati e contribuire ad uno sviluppo sostenibile presso la propria comunità. Infatti, a Tambacounda oggi si sta lavorando alla realizzazione di un orto di circa 1 ettaro con prodotti biologici, ad irrigazione a goccia e pannelli solari.

I giovani formati in Sicilia rientrati nel loro villaggio addestrano, a loro volta, i loro compagni, con l’obbiettivo di arrivare a replicare questo tipo di impresa nei villaggi limitrofi e raggiungere una consolidata produzione tutto l’anno, laddove un tempo la terra veniva lavorata solo alcuni mesi l’anno.

Un’esperienza che tende a trasformare il giovane migrante in un cooperante che opera nel suo Paese di origine, forte della esperienza acquisita durante il tempo trascorso nel Paese di accoglienza.

Una storia che serve anche a sensibilizzare gli altri giovani sul rischio insito nella migrazione irregolare, sui pericoli del viaggio e sulle possibilità di finire nelle reti dei trafficanti.

“Sono sicura che oggi Don Bosco sarebbe con noi in prima linea alla ricerca di soluzioni nuove e positive per uno sviluppo sostenibile che veda i giovani buoni cristiani e buoni cittadini per una cittadinanza globale” ha concluso la dott.ssa Terenzi.

(Articolo tratto da ANS – Agenzia INFO Salesiana)

“Quale Chiesa dai giovani?” Le risposte dal Festival Internazionale della Creatività di Roma

Si pubblica, qui di seguito, l’articolo a cura di Stefania Careddu su “Avvenire” di Sabato 10 Marzo 2018 che delinea i tratti salienti e le nuove idee progettuali per il Sinodo dei giovani emerse dall’edizione europea, appena conclusasi, del Festival internazionale della Creatività nel management pastorale, che si è svolto nella Pontificia Università Lateranense, il 9 e il 10 marzo. Cuore pulsante della manifestazione il “Creative pastoral lab”, un laboratorio partecipativo nato con l’obiettivo di riformulare nuovi modelli di Chiesa attraverso lo sguardo delle nuove generazioni. “Quale Chiesa dai giovani”? era il tema di un evento, il cui filo conduttore è stato proprio il contributo di rinnovamento che il talento dei giovani può dare alla Chiesa. I partecipanti, oltre 150 da tante diocesi italiane con presenze anche dall’estero (Romania, Polonia e Austria, ndr), sono stati i veri protagonisti della kermesse, perché le nuove idee progettuali sono nate dal loro lavoro di gruppo.

Originalità e audacia per ringiovanire il volto della Chiesa

L’ascolto dei ragazzi e l’esigenza di un nuovo «paradigma» al centro del Festival della creatività. Parlano dal Covolo, Fabene, Saba, Chavez, Carpi
La Chiesa deve «ringiovanire il proprio volto» e per farlo ha bisogno dei giovani e della loro originalità. Si tratta di «mettere in discussione i modi di fare abituali e, a partire dall’ascolto, discernere con audacia e creatività le strade su cui il Signore la chiama», ha detto senza esitazione il vescovo Fabio Fabenesottosegretario del Sinodo, per il quale «il primo passo di una pastorale creativa non può che essere da parte degli adulti rispettare la novità e la diversità delle nuove generazioni, prendendole sul serio e senza giudicarle a priori». Intervenendo alla prima giornata del Festival internazionale della creatività sul tema “Quale Chiesa dai giovani”, organizzato a Roma dalla Scuola internazionale di management pastorale della Lateranense, insieme all’ateneo, a Creativ e alla Villanova University (Pennsylvania), Fabene ha chiarito che «non si può sperare in un’autentica riforma della Chiesa senza interpellare voci nuove e se necessario critiche, come sono quelle dei giovani». Sono loro, ha detto facendo riferimento anche al coinvolgimento nelle fasi del prossimo Sinodo, che «possono aiutarci a capire meglio cosa il Vangelo insegna, come si può vivere la fede nel nostro tempo e come la Chiesa può e deve rinnovarsi per adempiere sempre meglio la propria vocazione e la propria missione». È arrivato il momento di «abbandonare modi di fare ormai inefficaci, attività che hanno fatto bene ma che hanno fatto il loro tempo e sono arrivate al terminal», ha tagliato corto don Pascual Chavez, rettore maggiore emerito dei salesiani, che ha esortato ad «andare incontro ai ragazzi, lì dove si trovano, incoraggiandoli a non rinchiudere la loro vita in una cassaforte».
Occorre promuovere «una pedagogia dell’accoglienza, che comporta un’apertura all’inconosciuto e all’estraneo» e «una pedagogia della compagnia, che sia capace di accettare tutta la realtà e di inserirsi in un percorso», ha suggerito l’arcivescovo di Sassari, Gian Franco Saba, ricordando che questo «implica lo sforzo di non rinchiudersi nell’astrattismo e di recepire invece il plurale». Del resto, la formazione che «è l’architrave del cambiamento», non ha a che fare «con il riempire il sacco di qualcuno, ma – ha chiarito Saba – con l’opera del “plasmare” che punta a forgiare le potenzialità che già sono all’interno del soggetto».
«L’obiettivo della formazione è costituire uno stato profondo, una polarità dell’anima che orienti la vita», ha osservato da parte sua l’arcivescovo Enrico dal Covolo, rettore della Lateranense, evidenziando che «la via per uscire dalla crisi e dall’emergenza educativa è rappresentata dall’università la cui missione non è tanto quella professionalizzante quanto quella di creare menti e cuori aperti, che possano poi inserirsi in maniera feconda nelle varie occupazioni, vocazioni e situazioni in cui il giovane verrà a trovarsi». Soprattutto, ha rilevato il presule, in un momento di disorientamento, in «cui è crollata miserevolmente la scala dei valori», e di «disaffezione politica». La sfida è quella di «generare modelli di pastorale che sappiano ripensare le forme di annuncio e permettere alla Chiesa di avere uno sguardo giovane», ha concluso Giulio Carpi, direttore della Scuola di Management Pastorale, per il quale serve dunque «un cambiamento di paradigma».

I MIEI PAPI del Cardinal Tarcisio Bertone: Mercoledì 14 marzo 2018 a Valdocco, ore 17

Gli incontri, i ricordi, i segreti di un testimone del nostro tempo

“I MIEI PAPI” di Tarcisio Bertone – Editrice Elledici –

Mercoledì 14 marzo 2018 ore 17:00 Aula Sangalli – Valdocco

Il Cardinale Tarcisio Bertone ha vissuto i momenti salienti della storia contemporanea del Vaticano ed è oggi testimone del cuore della cattolicità.

Questo volume raccoglie un percorso che comprende sette incontri con i sette grandi Pontefici (Pio XII, Giovanni XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) che hanno costruito, negli ultimi settant’anni, la Chiesa che oggi viviamo.

Il volume si avvale della Prefazione del Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
Numerosi sono i richiami ai rapporti tra i Papi e il mondo salesiano.

Il libro – come scrive nella introduzione il Cardinale Ravasi – «è proprio una storia di incontri, un “percorso concreto”, come lo definisce il suo stesso autore che qui testimonia “il suo desiderio di incontrare i Papi”. L’itinerario che propone comprende una collana settenaria di incontri che partono da lontano e progressivamente si avvicinano fino al punto di trasformare l’incontro in un abbraccio».

L’avvincente lettura di questo libro di memorie, ricco di testimonianze inedite, permetterà di conoscere meglio la figura di questo Cardinale, ex Segretario di Stato del Vaticano, a contatto con i “suoi” Papi.

Il libro verrà presentato Mercoledì 14 marzo 2018, alle ore 17, presso la Sala Sangalli Valdocco, Via Maria Ausiliatrice, 32 a Torino, alla presenza dell’autore.
Sua Eminenza risponderà alle domande del giornalista Domenico Agasso jr. de La Stampa – Vatican Insider.

 

“È possibile rigenerare le vocazioni religiose anche con i social media?”

Si pubblica l’articolo di approfondimento di Missioni OMI – Rivista Mensile di Attualità Missionaria , a cura di suor Naike Monique Borgo, orsolina scm, in merito ai nuovi orizzonti ai quali la Pastorale Vocazionale può affacciarsi a cavallo di questa epoca social. 

Una riflessione sull’opportunità di
investire in una pastorale vocazionale attraverso i social

Nel giugno 2016 ho discusso una tesi in Strategie di Comunicazione all’Università di Padova intitolata “È possibile rigenerare le vocazioni religiose anche con i social media?”. La mia congregazione ha deciso di provare ad aprire strade nuove per la nostra missione chiedendomi prima di studiare e poi di occuparmi di comunicazione. Da tre anni collaboro per l’ambito comunicativo con alcuni uffici della diocesi di Vicenza, dove vivo. Vi starete forse chiedendo come ho impostato la tesi e, probabilmente, qualcuno starà pensando che i social media non sono affatto la soluzione al calo delle vocazioni religiose … sono però nuove frontiere periferiche, anche per la pastorale.

Vocazione religiosa: di cosa parliamo?

Il mio lavoro è stato uno studio limitato all’Italia. Discutendo in un’università molto laica, come è quella di Padova, ho dovuto spiegare cosa intendessi per vocazioni religiose, osando abbinarvi diverse competenze acquisite negli anni di studio. Se in questo contesto sappiamo bene cos’è la vocazione alla vita religiosa, non è altrettanto scontato pensare alla vocazione religiosa come “una vocazione alla felicità nel governo delle relazioni”, ovvero il riconoscimento di un bisogno alla felicità che si fa ricerca ed incontra Dio in una specifica chiamata. Oltre a tale bisogno, va anche individuata una specifica competenza richiesta ai religiosi: conoscere bene se stessi in quanto strumento prevalente nelle loro relazioni, perché la vita che scelgono è una vita di relazioni a tutti i livelli. Il “governo” delle relazioni non è inteso come potere, quanto piuttosto come la capacità di sapersi relazionare con i diversi pubblici che si incontrano e quindi come stile di servizio. Sembra banale, ma non possiamo dare per assodata la capacità di distinguere contesti, luoghi, persone e questo può talvolta creare imbarazzi reciproci: nel contesto sociale attuale italiano si usano sempre meno le formule di cortesia, per esempio, e la cultura pop (popolare) rischia di portarci ad un appiattimento generale, che noi nuove generazioni di religiosi respiriamo abbondantemente prima di entrare in congregazione. Distinguere luoghi e contesti permette anche di gestire non solo le relazioni, ma gli eventuali interventi, il modo di comportarsi, lo stesso modo di vestire e parlare… Regole che in qualche modo si rischia di perdere e che per un religioso che sceglie di “investire” tutta la propria vita nelle relazioni, al centro delle quali c’è quella con il Signore Gesù, sono fondamentali. Quindi, non “governo” come abuso o potere relazionale, quanto come capacità relazionale piena.

Le vocazioni religiose nell’Italia di oggi

Ho quindi indagato la situazione dei religiosi in Italia. Molti sono i dati che ho potuto recuperare grazie all’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. In Italia, le vocazioni religiose sono in forte diminuzione: nel 2002 c’erano 108mila religiose, mentre nel 2014 solo 82mila. I sacerdoti religiosi nel 2002 erano 18500, mentre nel 2012 15600; negli stessi anni i religiosi non sacerdoti erano rispettivamente 3700 e 3300. Questi dati vanno però contestualizzati all’interno di un significativo cambiamento della società italiana: aumentano le culture straniere presenti in Italia, le lingue e anche le religioni. La proposta della chiesa cattolica non è più esclusiva come fino a qualche decennio fa. Nello stesso tempo, però, bisogna sottolineare che il bisogno di spiritualità continua a persistere anche nei giovani, così come rivela uno studio promosso dall’Università Cattolica di Milano (Bichi R., Bignardi P. (a cura di), Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 2015): “Più di un intervistato ha sottolineato come il bello del credere risieda, in definitiva, nella stessa esperienza del credere. Cioè, nell’aver fede e nel trovarvi un fondamento per la propria speranza. Un’esperienza, come a volte essi stessi dicono, che “fa bene”. Anche quando l’oggetto della fede non dovesse essere individuato nella prospettiva cristiana”.

La chiesa e la comunicazione

I documenti della chiesa cattolica che si occupano di comunicazione sono stati oggetto di un altro intenso capitolo, nel quale ho messo in luce come da sempre la comunicazione sia stata centrale per la fede cristiana. La nostra è infatti una fede che ha come caratteristica la diffusione del Kérigma, ma viviamo in un contesto sociale i cui codici linguistici non rispondono più “all’ecclesialese” e i nostri messaggi rischiano di essere per “addetti ai lavori”. Anche per questo sono nate oltre cinquant’anni fa le Giornate mon- diali per le comunicazioni sociali, nei cui messaggi viene richiamata la preziosità dei mezzi di comunicazione, nonostante i timori ed i dubbi che, come ogni novità, hanno portato. Del resto, chi di noi ha dimestichezza con i mezzi di comunicazione, comprende facilmente come la comunicazione mediata abbia alcune caratteristiche che la comunicazione diretta non ha. Pensiamo alla sintesi di Twitter, alla possibilità di condivisione di contenuti che i social media e gli istant messaging come WhatsApp e Telegram permettono.

Come gestiamo la comunicazione?

La parte più rilevante della mia ricerca è consistita nell’indagine delle strategie di pastorale giovanile e vocazionale di alcune famiglie religiose. Inizialmente volevo trovare istituti da comparare con il mio, ma il lavoro si è notevolmente ampliato portandomi a considerare sia istituti maschili che femminili, di vita attiva e di vita claustrale, per un totale di venticinque casi… aggiungendo alcune perle da oltre oceano: una comunità di monache passioniste americane che “infrangono” la clausura gestendo una radio ed un’eremita inglese che utilizza l’e-commerce per pubblicizzare e vendere i propri prodotti. Casi particolari che mi hanno comunque fatto pensare alle buone pratiche già diffuse online. In generale, non c’è ancora una pastorale giovanile e vocazionale integrata e organizzata con l’online, ma buoni tentativi. In Italia il caso che ho trovato più strutturato è quello di una congregazione numerosa che ha nel proprio Ufficio comunicazioni un team composto da laici e religiosi. A loro erano affidati tutti i canali ufficiali: un sito internet costruito su piattaforma wordpress ed i canali social, oltre che la quotidiana rassegna stampa, il convegno mondiale annuale con gli altri addetti dei vari uffici comunicazioni a livello mondiale. Questa congregazione all’estero ha sviluppato App per accompagnare la preghiera personale, per aiutare la riflessione e – per quanto possibile – verifica anche i profili personali dei religiosi. Altra esperienza interessante è di un istituto che ha scelto di mappare completamente i media istituzionali e stava riflettendo su una sorta di vademecum interno per dare linee guida di comportamento deontologico ai membri dell’istituto. Oltre alle famiglie religiose, ho intervistato anche una decina di opinion leaders, considerati tali perché lo sono diventati navigando in rete oppure per specifiche competenze professionali. Ho quindi concluso presentando il progetto per la mia congregazione che avevo ideato e gestito fino al momento della tesi.

Alcuni spunti di riflessione

 

Complessivamente, quello che è emerso è che come religiosi dobbiamo essere presenti nei social media per portare una voce diversa e quindi dobbiamo avere gli strumenti che ci permettono di stare in modo diverso in queste realtà che integrano la nostra quotidianità. Come sostiene suor Pina Riccieri infatti, i social media ci mostrano per quello che siamo realmente, facendo emergere anche quello che di noi quotidianamente cerchiamo di frenare. Di fatto, per i formatori, i social media sono utili a comprendere altri aspetti dei formandi: peculiarità, dinamiche, attitudini. Diventano una sorta di generazione. Il primo punto è dunque una ‘specifica formazione’, mentre il secondo è il cosa proporre e qui entra il termine scelto per il titolo della tesi “rigenerare” che ho intenso nel senso di dare un nuovo slancio, un respiro più profondo alle vocazioni religiose già esistenti. I social media impongono la creazione di contenuti specifici, soprattutto di storytelling sulla vita religiosa, ma anche di utilizzare modalità diverse… La creatività può aiutare i religiosi a far riaccendere in loro il fuoco talvolta sopito della vocazione religiosa. Il terzo elemento è la ‘consapevolezza’ che i social non sono un luogo di discernimento puro, ma possono essere considerati una piazza nella quale molti possono intercettarci e anche lì s’impone – a mio avviso e per la mia breve esperienza – una pastorale giovanile e vocazionale integrata, nel senso di online e offline. Durante la tesi ho incrociato online molte donne che non conoscevano il mio istituto e che si sono appassionate alla nostra missione chiedendo informazioni, seguendoci sui social, venendo alle nostre iniziative. Alcuni istituti che ho conosciuto hanno anche vocazioni arrivate dai social e adeguatamente vagliate negli anni. Dobbiamo esserci, con competenze specifiche, ma soprattutto lasciando guardare le nostre vite che ancora sono dipinte come angeliche e, nel contempo, tutelandoci con la giusta dose di privacy, ma se siamo per tutti, i social ci connettono ancora di più e ci aiutano a vivere la nostra consacrazione. Servono però tanta sapienza evangelica e coraggio per vivere queste nuove periferie esistenziali e pastorali.

 

Con Maria verso Panama 2019

Il cammino di preparazione verso la Giornata mondiale della gioventù di Panama 2019

C’è già grande fermento per l’edizione numero trentaquattro della Giornata mondiale della gioventù (GMG), il grande raduno internazionale dei giovani voluto forrtemente da Giovanni Paolo II a partire dal 1985. A fare da Paese ospitante è il turno di Panama, che vedrà le sue strade riempirsi di giovani da tutto il mondo dal 22 al 27 gennaio 2019. È la più piccola nazione ad aver mai ospitato questo evento, e si prevede una grande partecipazione internazionale nonostante le date poco favorevoli. Gli ultimi tre grandi eventi (Spagna 2011, Brasile 2013 e Polonia 2016) hanno infatti visto un incremento notevole della presenza di giovani rispetto alle edizioni precedenti, superando i tre milioni di persone. Quasi certamente saranno coinvolti anche i Paesi adiacenti per dare supporto alla logistica e all’organizzazione.

Maria compagna del cammino

Nel discorso fatto ai volontari della GMG di Cracovia nel 2016, papa Francesco aveva indicato Maria come modello per vivere l’attesa del successivo raduno di Panama. Per ciascuno dei tre anni di preparazione all’evento, infatti, è stato scelto un motto evangelico legato alla Madonna, come ha sottolineato lo stesso papa Francesco:

“Il nuovo tratto del nostro itinerario si ricollega al precedente, che era centrato sulle Beatitudini, ma ci spinge ad andare avanti. Mi sta a cuore infatti che voi giovani possiate camminare non solo facendo memoria del passato, ma avendo anche coraggio nel presente e speranza per il futuro. Questi atteggiamenti, sempre vivi nella giovane Donna di Nazareth, sono espressi chiaramente nei temi scelti per le tre prossime GMG. Quest’anno (2017) rifletteremo sulla fede di Maria quando nel Magnificat disse: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Il tema del prossimo anno (2018) – «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30) – ci farà meditare sulla carità piena di coraggio con cui la Vergine accolse l’annuncio dell’angelo. La GMG 2019 sarà ispirata alle parole «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola» (Lc1,38), risposta di Maria all’angelo, carica di speranza”.

È la prima volta che la figura di Maria viene scelta come fulcro centrale dei grandi raduni delle Giornate mondiali della gioventù. L’11 febbraio scorso nel giorno della festa della Madonna di Lourdes, il vescovo di Panama, José Domingo Ulloa Mendieta, è stato in visita alla Santa casa di Loreto per affidare a Maria la preparazione della GMG.

Il logo dell’evento

A disegnare il logo scelto dagli organizzatori come simbolo dell’evento è stata una giovane studentessa di architettura, la ventenne Amar Calvo, dell’Università di Panama. Nel suo intento c’è l’idea di rappresentare la tenerezza e l’abbandono di Maria nel suo “Fiat”. Diversi gli elementi che lo compongono: la forma della M di Maria e del cuore che rappresenta il suo amore di madre; la strada, ad indicare che lei è il sentiero per l’incontro con Gesù; la stilizzazione dell’immagine di Maria come segno di tenerezza; il profilo dell’istmo di Panama per ricordare il luogo; i cinque puntini bianchi che formano la corona di Maria simboleggiano i cinque continenti; e infine la croce, che è il simbolo delle GMG dalla loro nascita nel 1985. Anche i colori hanno il loro significato: il rosso indica l’amore e la passione di Cristo e ricorda il rosso della bandiera di Panama, così come anche il blu, che è anche il colore della Vergine Maria e fa riferimento anche all’Oceano Pacifico, mentre il celeste, oltre ad indicare Maria è anche il colore del Mare dei Caraibi.

Il patroni della GMG

Come ognuno degli eventi precedenti, anche la Giornata mondiale della gioventù di Panama avrà dei santi patroni ed intercessori. San Giovanni Paolo II è, ormai stabilmente, il patrono di ogni evento. Accanto a lui san Giovanni Bosco, al quale i cristiani di Panama sono particolarmente devoti. E con loro santi e sante latinoamericani: la beata Maria Romero Meneses del Nicaragua, l’azteco san Juan Diego Cuauhtlatoatzin, i peruviani san Martino de Porres e santa Rosa da Lima, il salvadoregno beato Oscar Arnulfo Romero e il giovane messicano san José Sánchez del Rio.

Informazioni utili

Il principale sito di riferimento della Giornata mondiale della Gioventù di Panama è www.panama2019.pa, dove trovare tutte le informazioni, i temi, i materiali, e che sarà aggiornato con l’avvicinarsi dell’evento con i programmi e le informazioni per le iscrizioni.

Per gli italiani il Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile metterà presto a disposizione il sito che conterrà anche informazioni sui sussidi e su altre iniziative specifiche.

Da segnalare anche la pagina ufficiale del Vaticano, dove è possibile trovare i documenti, le foto e i video di tutte le precedenti GMG.

GMG in un minuto

Si intitola così una rubrica periodica pubblicata sul canale ufficiale della GMG 2019 su Youtube. Ogni puntata fornisce informazioni sulla Giornata mondiale della gioventù 2019. Informazioni sul Paese dell’America centrale, sui luoghi dove si svolgeranno gli eventi principali della GMG, sull’inno, sul logo e tanto altro. Basta cercare ‘Jornada Mundial de la Juventud Panamá 2019’ nel motore di ricerca di Youtube per accedere ai contenuti. Ogni puntata è disponibile in cinque lingue: spagnolo, inglese, francese, italiano e portoghese.

Jornada Mundial de la Juventud Panamá 2019

 

Francesco: giovani potete migliorare il mondo!

 

Cari giovani, con il ricordo pieno di vita del nostro incontro alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2016 a Cracovia, ci siamo messi in cammino verso la prossima meta che, se Dio vorrà, sarà Panama nel 2019. Per me sono molto importanti questi momenti di incontro e dialogo con voi, e ho voluto che questo itinerario si facesse in sintonia con la preparazione del prossimo Sinodo dei Vescovi, che è dedicato a voi giovani. In questo cammino ci accompagna nostra Madre, la Vergine Maria, e ci anima con la sua fede, la stessa fede che lei esprime nel suo canto di lode. Maria dice: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Lei sa rendere grazie a Dio, che ha guardato la sua piccolezza, e riconosce le grandi cose che Egli realizza nella sua vita; e si mette in viaggio per incontrare sua cugina Elisabetta, anziana e bisognosa della sua vicinanza. Non resta chiusa a casa, perché non è una giovane-divano che cerca di starsene comoda e al sicuro senza che nessuno le dia fastidio. È mossa dalla fede, perché la fede è il cuore di tutta la storia di nostra Madre. Cari giovani, anche Dio vi guarda e vi chiama, e quando lo fa vede tutto l’amore che siete capaci di offrire. Come la giovane di Nazareth, potete migliorare il mondo, per lasciare un’impronta che segni la storia, quella vostra e di molti altri. La Chiesa e la società hanno bisogno di  noi. Con il vostro approccio, con il coraggio che avete, con i vostri sogni e ideali, cadono i muri dell’immobilismo e si aprono strade che ci portano a un mondo migliore, più giusto, meno crudele e più umano. Durante questo cammino, vi incoraggio a coltivare una relazione di familiarità e amicizia con la Vergine santa. È nostra Madre. Parlatele come a una Madre. Con lei, rendete grazie per il dono prezioso della fede che avete ricevuto dai vostri antenati, e affidate a lei tutta la vostra vita. Come una buona Madre vi ascolta, vi abbraccia, vi vuole bene, cammina con voi. Vi assicuro che se lo farete non ve ne pentirete. Buon pellegrinaggio verso la Giornata mondiale della gioventù del 2019.

Che Dio vi benedica.

papa Francesco, 21 marzo 2017

Si segnala, inoltre, il Video del Papa pubblicato a Marzo 2018 su “Formazione al discernimento spirituale“:

Si segnala l’articolo integrale, qui di seguito, realizzato da Missioni OMI – Rivista Mensile di Attualità Missionaria a cura di Angelica Ciccone.