Eretta la nuova comunità “San Giuseppe” della Sede Centrale Salesiana di Roma

Con Decreto 568/SG/2017, il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, ha eretto canonicamente la comunità salesiana “San Giuseppe”, con sede a Roma, Via Marsala 42, che ha come scopo lo svolgimento dei servizi della Sede Centrale Salesiana.

Tale comunità ha richiesto una erezione canonica, perché ha cambiato diocesi; essa ora appartiene alla Diocesi di Roma. L’erezione della nuova comunità, che ottempera alle norme e le condizioni del Codice di Diritto Canonico, delle Costituzioni e dei Regolamenti Salesiani, è avvenuta con il consenso del Vicario del Papa per la diocesi di Roma e del Consiglio Generale della Congregazione.

La nuova comunità è posta alle dirette dipendenze del Rettor Maggiore, il quale delega al suo Vicario le facoltà di animazione e governo della comunità di cui all’articolo 161 delle Costituzioni che si riferisce alle facoltà dell’ispettore. Egli opera con un Consiglio costituito dall’Economo Generale altri due membri del Consiglio Generale, nominati per un triennio.

Nel decreto viene istituita anche l’Assemblea straordinaria rappresentativa dei Salesiani delle comunità dipendenti dal Rettor Maggiore, che opera secondo un proprio regolamento ed è convocata in preparazione del Capitolo Generale.

La nuova comunità conta attualmente 38 Salesiani ascritti come “soci”.

Non poteva esserci scelta migliore per l’elezione del patrono della comunità: come ben rappresentato nel grande quadro posto sul transetto della basilica del Sacro Cuore a Roma, attualmente adiacente alle strutture della nuova comunità, Maria, Gesù e l’intera Chiesa sono poste sotto la paterna cura di San Giuseppe e, non a caso, sopra la scena è riportato: “Ite ad Joseph” (Andate da Giuseppe).

da ANS – Agenzia Info Salesiana

Miei cari giovani, il mondo con voi ha un bel regalo e avrà un futuro pieno di speranza

Il Rettor Maggiore ha inviato un messaggio in occasione della festa di San Giovanni Bosco a tutti i giovani del mondo, credenti o non credenti o di altre religioni. Quest’anno, da Dili, Timor Est, ha manifestato con la forza la sua parola e ha ricordato: miei cari giovani “il mondo con voi ha un bel regalo e avrà un futuro pieno di speranza”.

Miei cari giovani,
ricevete il mio saluto pieno di affetto e la promessa della mia preghiera per tutti voi.

Anche quest’anno, come l’anno scorso, in questo giorno della Festa di San Giovanni Bosco, 31 gennaio, mi trovo in un’altra parte del mondo. Questa volta in Asia, Timor Est. Da qui desidero rendermi presente nei più diversi luoghi del mondo dove ci sono giovani che sperimentano la gioia di sentire che il Signore ha regalato loro Don Bosco come Padre e Maestro della Gioventù.

È ancora vivo in me il ricordo dell’incontro di Papa Francesco con i giovani del Cile e del Perù, avvenuto alcuni giorni fa. D’altra parte, vi è ovunque un grande movimento per la preparazione del Sinodo dei Vescovi, convocato sul tema: “Giovani, Fede e Discernimento vocazionale”. Lo stesso Papa Francesco vuole incontrarsi, durante la settimana che precede la Domenica delle Palme, con delegazioni di giovani di tutto il mondo, perché desidera avere «un incontro in cui voi sarete protagonisti: giovani di tutto il mondo, giovani cattolici e giovani non cattolici; giovani cristiani e di altre religioni; e giovani che non sanno se credono o non credono: tutti. Per ascoltarli, per ascoltarci, direttamente, perché è importante che voi parliate, che non vi lasciate mettere a tacere».

Tutto questo suscita in me una immensa gioia.
Posso farvi una confidenza? Quando percorro il “mondo salesiano”, nelle nazioni più diverse, e mi incontro con voi giovani, vedo i vostri volti, il vostro sorriso, il vostro sguardo sincero, pulito, autentico, e mi dico: il mondo, la Chiesa, la nostra Famiglia Salesiana e il Movimento Giovanile Salesiano in tutto il mondo, hanno un grande presente e un promettente futuro.

L’anno scorso vi ho scritto (vi ricordate?), dicendovi, tra l’altro, che noi crediamo in voi. Oggi confermo la mia totale fiducia, e dico ancor di più. Miei cari giovani, non rinunciate ai vostri sogni e ai vostri ideali, anche se qualche volta questo può sembrarvi difficile. Continuate a cercare appassionatamente la vostra felicità, ma quella felicità profonda e autentica, che vi farà sentire contenti e realizzati. Una felicità che è molto lontana da tutto quello che è superficiale e vuoto; lontana da tutto ciò che è “usare e gettare” le cose, e, ve lo dico con grande dolore, a volte anche, “usare e gettare-scartare” le persone.

Pensando a voi mi piace ricordare quello che in una occasione vi disse e vi scrisse l’allora Papa Benedetto XVI: «Cari giovani, la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth».
Qualcuno mi chiederà se questo messaggio è valido anche per i giovani non cristiani. La mia risposta è, senza alcun dubbio: sì. Il messaggio vale per tutti voi, miei cari giovani.
Ascoltate, vi racconto una esperienza che ho fatto qualche settimana fa. Stavo visitando l’Ispettoria Salesiana di Guwahati, in Assam, nell’Est dell’India, e durante un incontro in una presenza salesiana con giovani universitari di varie religioni (cattolici, indù, musulmani) sono rimasto profondamente impressionato al vedere che loro stessi proponevano di recitare insieme il “Padre Nostro”. Mi sono commosso. E mi sono congratulato con loro per il significato della loro proposta. Perché quei giovani, capaci di chiamare Dio “Padre!”, l’Unico Dio, saranno capaci di costruire un mondo di Pace, di vera Giustizia, di Fraternità Universale.
È la stessa cosa che ha affermato Papa Francesco durante la sua visita nel Bangladesh: «Sono contento – egli ha detto – che, insieme ai cattolici, ci siano con noi molti giovani amici musulmani e di altre religioni. Col trovarvi insieme qui oggi mostrate la vostra determinazione nel promuovere un clima di armonia, dove si tende la mano agli altri, malgrado le vostre differenze religiose».
Ed è per questa ragione che mi permetto di suggerirvi, più ancora di chiedere a voi, giovani del “mondo salesiano” e di qualsiasi altra realtà, di aprire il vostro cuore a Dio e di lasciarvi sorprendere da Lui. Lasciate che entri nel più profondo delle vostre vite. Non vi deluderà mai. Fate l’esperienza dell’incontro con Lui, e per quanto vi è possibile, pregate, entrate in dialogo con Lui.

Può il Rettor Maggiore chiedere questo ai giovani del mondo? Certamente. E lo faccio a nome di Don Bosco che, nella comunione con Dio, vi ama profondamente. E ve lo chiedo perché sono profondamente convinto. Che non ci capiti quello che racconta Edith Stein (filosofa del secolo XX e oggi Santa), la quale, parlando di se stessa nella sua adolescenza, affermava che «aveva perso in modo consapevole e deliberato l’abitudine di pregare». Vi invito, miei cari giovani, a coltivare e a intensificare quell’esperienza vibrante che è la preghiera come dialogo con Dio. E poi, continuate ad essere generosi nella vostra vita, continuate ad offrire il vostro tempo e le vostre qualità ad altre persone, continuate a cercare il modo di crescere nella vita interiore; lasciatevi aiutare e accompagnare da chi, avendolo prima vissuto, può regalarvi quel dono che è l’apertura all’ascolto, con il cuore preparato e pronto ad accogliere quello che Dio, attraverso lo Spirito, vi sussurra nel profondo del vostro cuore.

Abbiate fiducia in Maria, la Madre del Signore, Madre Ausiliatrice. La Madonna vi accompagnerà in ogni momento della vita: nei crocevia del cammino e anche nei momenti di difficoltà. Coraggio! Non perdetevi d’animo perché, come ha detto Papa Francesco: «la vita vale la pena di essere vissuta a fronte alta».

Con tutto l’affetto del vostro sempre padre, fratello e amico in Don Bosco,

Roma, 31 gennaio 2018
Ángel Fernández Artime, sdb Reitor-Mor

 

Continuano i festeggiamenti per il trentennale della Cooperativa Sociale E.T.

Si riporta la notizia relativa al trentennale della Cooperativa Sociale E.T. , ringranziando “La Voce e il Tempo”,  e la giornalista Marina Lomunno, autrice dell’articolo pubblicato.

Per un’occasione di crescita. Con questa motivazione nasceva 30 anni fa a Torino, la cooperativa sociale ET, Educativa Territoriale. Ai tempi l’educativa di strada muoveva i primi passi, era quasi un extraterrestre (di qui il nome ET dal celeberrimo film di Spielberg), ma per chi lanciò questa sfida – un salesiano, don Emilio Zeni, e alcuni cooperatori salesiani – non c’era nulla di nuovo: già don Bosco con il suo sistema preventivo – a cui si ispira il lavoro della cooperativa – nella Torino dell’800 andava a cercare i suoi ragazzi per strada e nelle carceri. Così, celebrare il trentennio di attività «per offrire occasioni di crescita» a partire dai bisogni dei giovani più fragili proprio a Valdocco, come è accaduto ieri con il convegno «Se trent’anni vi sembrano pochi», è l’occasione per riflettere su chi sono i giovani più poveri oggi, al di là delle semplificazioni che riducono i ragazzi difficili del 2018 a “baby gang” o a “Neet”. «Dal 1987 E.T. ne ha fatta di strada» ha sottolineato il presidente Andrea Calabrese, presentando una realtà, aderente a Confcooperative, che oggi impiega 110 operatori ci cui 90 soci lavoratori.

«Tutti impegnati nell’educativa di strada per far fronte alla devianza giovanile a Torino e nelle periferie dove l’educatore lavora tra il cortile, il cancello della comunità, la panchina e si spinge fino dentro le nuove frontiere dell’educazione che sono i centri commerciali e l’integrazione dei migranti. Ma anche con il settore “Animando” che si rivolge direttamente alle famiglie, con gli educatori a domicilio, per affrontare problemi di apprendimento, disturbi dell’alimentazione o bisogni educativi speciali».

Una storia vissuta fra gli alti e bassi del welfare, ma che ha mantenuto vive le premesse «di creare un ente che rispecchiasse il carisma salesiano e che fosse a servizio del territorio per abitare i sogni dei ragazzi nessuno escluso», come ha evidenziato don Enrico Stasi, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta «e per dare opportunità di futuro stringendo alleanze educative con le istituzioni e le fondazioni». Ed ecco perché, tra gli intervenuti, sia l’assessore regionale alle Politiche giovanili Monica Cerutti che Sonia Schellino, assessore alle Politiche sociali del Comune di Torino come pure i rappresentati di Fondazione Crt e Compagnia di San Paolo hanno rilevato quanto iniziative come ET siano necessarie per aiutare le istituzioni a non considerare i giovani solo come “problema”. Nella tavola rotonda, moderata dal salesiano don Domenico Ricca, cappellano del Carcere minorile torinese “Ferrante Aporti” con don Luca Ramello, direttore dell’Ufficio giovani della diocesi e don Stefano Mondin, responsabile della pastorale giovanile salesiana subalpina, è stato invitato Luciano Moia, caporedattore di Avvenire che ha chiesto ai numerosi educatori in sala di

«far sapere con più forza i tanti successi educativi che realtà come ET, facendo rete nel territorio e unendo positività, raggiungono con tanti adolescenti a cui la famiglia o la scuola non danno più ascolto. Se non ci facciamo sentire prenderà sempre più il sopravvento la cultura dominante che presenta il mondo giovanile dipingendolo violento o attraverso gli stereotipi dell’ideologia del gender».

 

Nell’edizione de “La Voce e Il Tempo” di domenica 11 Febbraio 2018, un nuovo editoriale sul tema giovani e politiche sociali dal titolo “Baby gang, neet? I ragazzi non sono solo problemi”

Educare per strada per «dare occasioni di crescita»: con questa motivazione nasceva 30 anni fa a Torino, alla vigilia
delle celebrazioni del primo centenario dalla morte di don Bosco, la cooperativa sociale E.T. , Educativa di Territorio.

Nel 1987 l’educativa di strada muoveva i primi passi, era quasi un extraterrestre (di qui il nome E.T dal film cult di Spielberg), ma per chi lanciò questa sfida – un salesiano, don Emilio Zeni, e alcuni cooperatori salesiani – non c’era nulla di nuovo: già don Bosco con il suo sistema preventivo – a cui si ispira il lavoro della cooperativa – nella Torino dell’800 andava a cercare i suoi ragazzi per strada, nelle carceri, nei borghi più desolati della città.
Così, celebrare il trentennio di attività «per offrire occasioni di crescita» a partire dai bisogni dei giovani più fragili proprio a Valdocco, come è accaduto venerdì 2 febbraio con il convegno «Se trent’anni vi sembrano pochi», è stata l’occasione per riflettere chi sono i giovani più poveri oggi, al di là delle semplificazioni che riducono i ragazzi difficili del 2018 a «baby gang» o a «neet», come ha evidenziato l’assessore regionale alle Politiche giovanili Monica Cerutti, ringraziando a nome della Regione il mondo salesiano. «Dal 1987 E.T. ne ha fatta di strada» ha introdotto il presidente Andrea Calabrese, presentando una realtà, aderente a Confcooperative, che oggi impiega 110 operatori di cui 90 soci lavoratori. «Tutti impegnati nell’educativa di strada per far fronte alla devianza giovanile a Torino e nelle periferie dove l’educatore lavora tra il cortile, il cancello della comunità, la panchina e si spinge fino dentro le nuove frontiere dell’educazione che sono i centri commerciali e l’integrazione dei migranti». Ma anche con il settore «Animando», che si occupa di animazione con un taglio educativo, e poi con le attività della Cooperativa che si rivolge direttamente alle famiglie, con gli educatori a domicilio, per affrontare problemi di apprendimento, disturbi
dell’alimentazione o bisogni educativi speciali. Una storia vissuta fra gli alti e bassi del welfare, ma che ha mantenuto vive le premesse «di creare un ente che rispecchiasse il carisma salesiano e che fosse a servizio del territorio per abitare i sogni dei ragazzi, nessuno escluso» come ha evidenziato don Enrico Stasi, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta «e per dare opportunità di futuro stringendo alleanze educative con le istituzioni e le fondazioni».

Ed ecco perché, tra gli intervenuti, sia l’assessore Cerutti che Sonia Schellino, assessore alle Politiche sociali del Comune di Torino come pure i rappresentati di Fondazione Crt e Compagnia di San Paolo hanno rilevato quanto iniziative come E.T. siano necessarie per aiutare le istituzioni a non considerare i giovani solo come «problema» ma persone da valorizzare e accompagnare nella crescita. Ne è convinto anche Luca Facta, direttore di Federsolidarietà Piemonte (Confcooperative) che ha evidenziato come realtà come E.T. operino in linea con la Dottrina sociale della Chiesa che mette al centro del lavoro l’uomo e la
sua dignità e per questo, in un periodo storico dove sembra affermarsi solo la logica del profitto, il mondo cooperativistico di ispirazione cristiana «deve essere più visibile».

Nella tavola rotonda, moderata dal salesiano don Domenico Ricca, cappellano del Carcere minorile torinese «Ferrante Aporti» con don Luca Ramello, direttore dell’Ufficio giovani della diocesi e don Stefano Mondin, responsabile della pastorale giovanile salesiana subalpina, è stato invitato Luciano Moia, caporedattore di Avvenire a cui è stato chiesto come il mondo dei media «legge la realtà giovanile». Moia, riprendendo l’invito di Luca Facta, ha chiesto ai numerosi educatori in sala di «far sapere con più forza i tanti successi educativi che realtà come E.T., facendo rete nel territorio e unendo positività, ogni giorno faticosamente raggiungono con tanti adolescenti a cui la famiglia o la scuola non danno più ascolto. Se non ci facciamo sentire prenderà sempre più il sopravvento la cultura dominante che presenta il mondo giovanile dipingendolo violento o attraverso gli stereotipi dell’ideologia del gender».

 

Asti: I ragazzi dell’oratorio mettono in scena il sogno di Don Bosco

Si riporta la notizia della redazione astigiana de “La Stampa” apparsa ‘edizione in edicola il giorno 02/02/2018:

I ragazzi dell’oratorio mettono in scena il sogno di Don Bosco

I ragazzi dell’oratorio di Montegrosso e Montaldo Scarampi guidati dal parroco don Ivano e da suor Domenica hanno ricordato don Giovanni Bosco. In particolare hanno portato in scena il racconto del sogno che fece il Santo dei giovani quando vide mamma Margherita in Paradiso. A calarsi nei panni della mamma del Santo, Alice Rondoletti e Beatrice Marello mentre Davide Tiri ha interpretato don Bosco e Davide Pregno ha spiegato le varie parti del racconto.

 

Imparare, lavorando? In Italia si può fare, ecco i primi passi avanti con il sistema duale

Il primo numero 2018 del magazine specializzato “Parts” ha pubblicato uno speciale sul sistema duale e il recente report su “Monitoraggio sulla Sperimentazione del Sistema Duale degli enti Forma e Confap” mappando i percorsi di circa 4mila allievi  con annesso coinvolgimento di 3.250 imprese.

 

Don Enrico Peretti, direttore generale dei Salesiani Italiani per la Formazione Professionale e il Lavoro (CNOS-FAP), coordinatore del Progetto “La nostra via Duale”

Il sistema duale italiano

Il sistema duale, cioè la possibilità di imparare lavorando, fa un passo in avanti per uscire dalla sperimentazione con il rifinanziamento di 50 milioni di euro per il 2018. Un monitoraggio sui percorsi di 4mila ragazzi e 3.250 imprese, promuove il primo anno

“L’apprendistato in Italia si può fare: le aziende sono interessate e disponibili e i risultati formativi sono più che incoraggianti”, afferma Paola Vacchina, presidente di Forma, l’associazione nazionale che riunisce i principali Enti di formazione professionale. Combattere la disoccupazione giovanile, ridurre la dispersione scolastica, ampliare l’offerta formativa e rafforzare il collegamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro passano anche dal rilancio del sistema di formazione e istruzione professionale in Italia e dall’offerta di percorsi che consentano ai ragazzi di misurarsi presto con il mondo del lavoro. Hanno dai 15 ai 17 anni e studiano e lavorano. Guadagnano inizialmente 500 euro al mese, che però salgono presto, appena
l’azienda impara a conoscerli e ad apprezzarli. All’impresa questi dipendenti costano meno di un tirocinante, perché c’è un contributo di 3mila euro per le spese relative al tutor aziendale più una decontribuzione che arriva fino al 40% per chi assume l’apprendista al termine del percorso formativo. Ad aprile 2017 erano quasi 11mila in Italia i ragazzi con un contratto di apprendistato di primo livello: sono iscritti a percorsi della formazione e istruzione professionale (IeFP), diventeranno meccanici, elettricisti, operatori del legno, parrucchieri, estetiste, ristoratori e camerieri, svolgendo una buona metà delle ore di
formazione direttamente in azienda, retribuiti per le ore di lavoro svolte. Tra i settori produttivi collegati ai CCNL dei contratti utilizzati per gli apprendisti, si ritrovano il Turismo, l’Alberghiero, l’Acconciatura ed estetica e il Commercio, ma in prima posizione compare il settore metalmeccanico, con un’incidenza del 20%, e il manifatturiero in generale. Quest’ultimo dato è contenuto nel monitoraggio realizzato al termine del primo anno di sperimentazione dei percorsi formativi del sistema duale su 148 Centri dalla rete Forma e Confap, distribuiti in 14 regioni italiane. Il report ha mappato i percorsi di circa 4mila allievi, con 3.250 imprese coinvolte, di cui il 66% ha collaborato attivamente alla programmazione e realizzazione dei percorsi di apprendistato per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale. Il report si intitola “Monitoraggio sulla Sperimentazione del Sistema Duale degli enti Forma e Confap” ed è stato presentato in una conferenza stampa al Senato l’8 luglio scorso. Più di mille dei giovani coinvolti vivono nella sola Lombardia e una netta concentrazione di allievi si registra in generale nelle regioni settentrionali, in particolare appunto in Lombardia (26%), Veneto (19%) e Piemonte (16%). Il 18% dei ragazzi ha sottoscritto contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma, a fronte del 7% del dato complessivo della sperimentazione nazionale (dato INAPP). Per le imprese, è di assoluto rilievo il peso consistente delle piccole: si tratta di oltre il 90% del totale, seguite da una percentuale residuale di medie (7%) e grandi (1%). Secondo il report, il coinvolgimento di tante piccole imprese denota la capacità degli Enti di formazione di aver ideato approcci e soluzioni organizzative adatte a realtà poco strutturate come, appunto, le aziende piccole. Nel motivare le ragioni del loro coinvolgimento, il 54% delle imprese ha risposto di averlo fatto per l’opportunità di formare una risorsa giovane, un altro 26% per la sostenibilità del costo azienda derivante dagli incentivi economici. Il livello di soddisfazione registrato dagli attori coinvolti (operatori, imprese, allievi, famiglie) è elevato: su scala da 1 a 4 si attesta in media sopra il 3. Il sistema duale rappresenta quindi l’occasione per attuare un modello formativo integrato tra sistema educativo e lavoro che, da un lato, favorisca la creazione di un rapporto continuativo e coerente tra formazione e lavoro e, dall’altro, migliori la transizione aula-azienda, riducendo il gap tra competenze acquisite in contesti formativi e competenze richieste dal tessuto produttivo. Le difficoltà registrate nel primo anno di sperimentazione sono legate soprattutto alla poca conoscenza dello strumento contrattuale dell’apprendistato da parte delle imprese e dei consulenti del lavoro: il 21% delle imprese ha riportato l’opposizione dei consulenti del lavoro per questo tipo di contratto. Le aziende non si sentono invece ostacolate dal carico formativo dell’apprendistato né dai vincoli derivanti dalla normativa sul lavoro minorile. Il monitoraggio tuttavia ha registrato la proattività dei Centri di formazione di fronte a tali difficoltà: spesso infatti i Centri di formazione si sono fatti carico anche
delle problematiche di tipo giuslavoristico. “Questi numeri danno ragione dell’importanza di investire in modo strutturato e non più sperimentale per creare un collegamento diretto fra il mondo della formazione e la spendibilità professionale in azienda dei nostri ragazzi”, afferma don Enrico Peretti, direttore generale dei Salesiani Italiani per la Formazione Professionale e il Lavoro (CNOS-FAP), coordinatore del Progetto “La nostra via Duale”. “Il modello di riferimento è evidentemente quello tedesco, che da anni ha stabilizzato il rapporto ormai inscindibile fra il mondo della formazione e quello del lavoro. Stiamo facendo pressione all’interno del mondo istituzionale affinché si intuisca il doppio valore del sistema duale, che da una parte genera giovani professionisti che soddisfano le proprie capacità di autonomia attraverso il lavoro, dall’altra rappresenta una modalità di riattivazione della macchina produttiva italiana per le aziende, le quali potranno contare su allievi formati. Con la sperimentazione del sistema duale, infatti, è potenziato il rapporto con le imprese, che diventano non più solo luoghi di accoglienza degli allievi per esperienze di tirocinio, ma veri e propri partner per la progettazione e la realizzazione congiunta dei percorsi formativi”. Permane ancora il paradosso di avere 5,6 milioni di giovani europei disoccupati e il 36% delle imprese che riporta difficoltà a reclutare personale qualificato, con i più alti tassi di disoccupazione giovanile nei Paesi in cui vi è una maggiore diffusione di un’istruzione secondaria superiore di tipo generale, come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, mentre i giovani inseriti in percorsi di apprendistato conseguono risultati occupazionali migliori rispetto ai coetanei che, allo stesso livello di qualifica, hanno frequentato percorsi formativi all’interno della scuola (Wallenborn & European Training Foundation, 2011). In Italia, una ricerca Cedefop (2012) dimostra che lo status di lavoratori dei giovani europei di età compresa tra i 18 e i 24 anni era del 34,2% tra coloro che avevano frequentato un percorso di studi di tipo generale (licei), del 53,4% tra coloro che avevano frequentato un percorso di IeFP ordinario all’interno di un istituto formativo e del 78,3% tra i giovani che avevano frequentato un percorso di IeFP in modalità duale sia in apprendistato sia in alternanza scuola-lavoro.

CAGLIERO 11: è disponibile online l’edizione di Febbraio 2018

E’ disponibile il Bollettino di Animazione Missionaria Salesiana “Cagliero 11” relativo al mese corrente, la pubblicazione del Settore per le Missioni per le Comunità Salesiane e gli amici delle missioni Salesiane.

INTENZIONE MISSIONARIA SALESIANA
ALLA LUCE DELL’INTENZIONE DI PREGHIERA DEL SANTO PADRE

Per i Salesiani di America

Perché come educatori dei giovani e del laicato
sappiano formare, alla luce del Vangelo, ai valori dell’
onestà, della giustizia, della solidarietà e del servizio.

L’America, in diversi paesi, è stata segnata da intensi conflitti sociali e dalla piaga della corruzione. Come educatori dei giovani e formatori dei laici siamo chiamati a educare alla dimensione sociale della carità, alla trasparenza e alla rettitudine.
Pregiamo affinché gli sforzi educativi della Famiglia Salesiana portino frutti di giustizia e solidarietà nella Società civile.

25 anni di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS con un nuovo e-book

Ecco il comunicato stampa di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS, l’associazione non profit voluta e guidata da Salesiani d’Italia, che annuncia la pubblicazione di un e-book dal titolo “Cosa ti direbbe lui? 2 – 10 consigli per i giovani alla #DonBosco maniera” per celebrare il 25esimo anno di fondazione della federazione.

 

– COMUNICATO STAMPA –

10 CONSIGLI DI DON BOSCO RILETTI DA 10 EDUCATORI DI OGGI.
UN E-BOOK PER CELEBRARE 25 ANNI ACCANTO AI GIOVANI PIÙ SOLI

(Roma, 25 gennaio 2018) – Dal prossimo 26 gennaio sarà online il nuovo e-book di Salesiani per il Sociale dedicato alla figura di Don Bosco. “Cosa ti direbbe lui? 2 – 10 consigli per i giovani alla #DonBosco maniera” è una pubblicazione voluta e realizzata dall’ufficio nazionale in occasione della festa del santo dei giovani (31 gennaio) e per celebrare il 25esimo anno di fondazione della federazione. Dieci suggerimenti indirizzati a ragazzi e ragazze d’oggi, riletti in chiave moderna e corredati da canzoni e cortometraggi contemporanei.
Una seconda edizione che non si è fermata a collezionare le citazioni più celebri di San Giovanni Bosco ma è partita da queste per attualizzare dieci imperativi che oggi il santo di Torino avrebbe rivolto ad ogni giovane. La novità di quest’anno è che a scrivere i commenti alle citazioni sono stati dieci educatori di case famiglia e oratori sparsi in tutta Italia: Catania, Casale Monferrato, Cisternino, Torre Annunziata, Verona, Roma, Arese, Prato, Camporeale e Corigliano d’Otranto. «In un Paese in cui i dati sulla povertà educativa minorile sono sempre più allarmanti – si legge nella presentazione – abbiamo voluto dar voce a chi con occhio attento e professionale, vive ogni giorno con questi giovani, incrocia i loro sguardi, li ascolta, e affronta le loro difficoltà. È attraverso il loro impegno che il “sistema preventivo” di Don Bosco prende forma e sostanza, ancora oggi».
“Cosa ti direbbe lui? 2” si inserisce all’interno di due eventi importanti: il 25esimo anno di attività di Salesiani per il Sociale e il Sinodo del prossimo ottobre, indetto da Papa Francesco e con al centro proprio i giovani. Per questo motivo la prefazione è stata curata da don Michele Falabretti, responsabile dell’ufficio nazionale di pastorale giovanile della CEI. «Nessuno di noi ha avuto la fortuna di stringere la mano a San Giovanni Bosco o di vederlo all’opera nel cortile di Valdocco – afferma Falabretti – ma è come se lo avessimo fatto. Don Bosco ci ha, infatti, lasciato la sua storia e qualcosa di scritto: recuperare le sue parole, ci aiuta a tenerlo vicino e a percepire che la sua passione educativa non si è mai spenta. Chiunque viva l’esperienza dell’oratorio non ha potuto, almeno una volta nella vita, evitare di chiedersi: “se fosse qui, cosa direbbe”?».
L’ebook è stato curato da Mariana Ciavarro, pedagogista sociale e cooperatrice salesiana.
La copertina è stata, invece, realizzata dall’illustratrice d’infanzia Stefania Gagliano. L’ebook è scaricabile gratuitamente all’indirizzo www.salesianiperilsociale.it/ebook-consigli in formato epub (per lettori di libri digitali) o in pdf (per dispositivi Windows o Macintosh).

 

 

FESTEGGIAMENTI DEL 30° DELLA COOPERATIVA SOCIALE E.T.

Si riporta, qui di seguito, la comunicazione di Cooperativa E.T. relativa alla conferenza stampa di Martedì 30 Gennaio 2018 e al convegno “1987-2017: se trent’anni vi sembran pochi” di Venerdì 2 Febbraio 2018.

Per fare una vita ci vogliono migliaia di ore” cantavano i Nomadi. Ma non è di una canzone che vogliamo parlare, bensì del compleanno della Cooperativa sociale E.T.: 30 anni, ovvero una vita. E stiamo parlando di una vita fatta di migliaia di passi negli oratori. nei cortili, nelle strade e nelle scuole. Di migliaia di incontri, di visi, di voci, di storie di vita vissuta con i giovani e i meno giovani. Arrivati a 30 anni si raggiunge finalmente la maturità, ma non si invecchia mai quando si accettano  sempre nuove sfide  educative con rinnovato entusiasmo.

La conferenza stampa del 30 gennaio alle ore 10:00 presso la sala convegni di Confcooperative Piemonte a Torino in Corso Francia, 329.

Verranno presentate una serie di iniziative a partire dal convegno del 2 febbraio “1987-2017: se trent’anni vi sembran pochi” – il tempo di E.T. per abitare i sogni dei ragazzi, nessuno escluso, accompagnandoli con lo stile di Don Bosco”,  presso la Sala Sangalli di Valdocco, in piazza Maria Ausiliatrice 32, a Torino.

Al convegno parteciperanno, tra gli altri, l’Ispettore Salesiano Don Enrico Stasi, gli assessori di Regione Piemonte e Comune di Torino Monica Cerruti e Sonia Schellino ed il regista Gabriele Vacis. Il calendario dei festeggiamenti proseguirà con un programma di eventi che verrà presentato nel corso della conferenza stampa.

Don Domenico Ricca: serve presenza quotidiana degli adulti

Don Domenico Ricca, intervistato da Avvenire dalla giornalista Marina Lomunno, ha fornito l’ispirazione per l’apertura del giornale del 16 gennaio sul tema della violenza dei ragazzini a Napoli e Torino.

Un giusto tributo all’opera di migliaia di salesiani che lavorano accanto ai giovani “discoli e pericolanti”
Marina Lomunno

Si ringrazia la redazione di Avvenire e la giornalista, Marina Lomunno, per la realizzazione dell’articolo e per la concessione dell’utilizzo.

Il messaggio di Papa Francesco durante la 104° Giornata del Migrante e del Rifugiato.

Domenica 14 gennaio 2018 si è tenuta la 104° Giornata del Migrante e del Rifugiato. Segue il discorso del Santo Padre.

“Accogliere, proteggere, promuovere e integrare
i migranti e i rifugiati”

 

Cari fratelli e sorelle!

«Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34).

Durante i miei primi anni di pontificato ho ripetutamente espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Si tratta indubbiamente di un “segno dei tempi” che ho cercato di leggere, invocando la luce dello Spirito Santo sin dalla mia visita a Lampedusa l’8 luglio 2013. Nell’istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta.

Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca (cfr Mt 25,35.43). Il Signore affida all’amore materno della Chiesa ogni essere umano costretto a lasciare la propria patria alla ricerca di un futuro migliore. Tale sollecitudine deve esprimersi concretamente in ogni tappa dell’esperienza migratoria: dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno. E’ una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere con tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà, i quali sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie possibilità.

Al riguardo, desidero riaffermare che «la nostra comune risposta si potrebbe articolare attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare».

Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. In tal senso, è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare. Allo stesso tempo, auspico che un numero maggiore di paesi adottino programmi di sponsorship privata e comunitaria e aprano corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti. Non sono una idonea soluzione le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali.Torno a sottolineare l’importanza di offrire a migranti e rifugiati una prima sistemazione adeguata e decorosa. «I programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo». Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale. Di conseguenza, è necessario formare adeguatamente il personale preposto ai controlli di frontiera. Le condizioni di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, postulano che vengano loro garantiti la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base. In nome della dignità fondamentale di ogni persona, occorre sforzarsi di preferire soluzioni alternative alla detenzione per coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati.

Il secondo verbo, proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio. Tale protezione comincia in patria e consiste nell’offerta di informazioni certe e certificate prima della partenza e nella loro salvaguardia dalle pratiche di reclutamento illegale. Essa andrebbe continuata, per quanto possibile, in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali e la garanzia di una minima sussistenza vitale. Se opportunamente riconosciute e valorizzate, le capacità e le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono. Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione. Per coloro che decidono di tornare in patria, sottolineo l’opportunità di sviluppare programmi di reintegrazione lavorativa e sociale. La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo offre una base giuridica universale per la protezione dei minori migranti. Ad essi occorre evitare ogni forma di detenzione in ragione del loro status migratorio, mentre va assicurato l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria. Parimenti è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento. Nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale». Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio.

Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore. Tra queste dimensioni va riconosciuto il giusto valore alla dimensione religiosa, garantendo a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professione e pratica religiosa. Molti migranti e rifugiati hanno competenze che vanno adeguatamente certificate e valorizzate. Siccome «il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli», incoraggio a prodigarsi affinché venga promosso l’inserimento socio-lavorativo dei migranti e rifugiati, garantendo a tutti – compresi i richiedenti asilo – la possibilità di lavorare, percorsi formativi linguistici e di cittadinanza attiva e un’informazione adeguata nelle loro lingue originali. Nel caso di minori migranti, il loro coinvolgimento in attività lavorative richiede di essere regolamentato in modo da prevenire abusi e minacce alla loro normale crescita. Nel 2006 Benedetto XVI sottolineava come nel contesto migratorio la famiglia sia «luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori». La sua integrità va sempre promossa, favorendo il ricongiungimento familiare – con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti –, senza mai farlo dipendere da requisiti economici. Nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in situazioni di disabilità, vanno assicurate maggiori attenzioni e supporti. Pur considerando encomiabili gli sforzi fin qui profusi da molti paesi in termini di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria, auspico che nella distribuzione di tali aiuti si considerino i bisogni (ad esempio l’assistenza medica e sociale e l’educazione) dei paesi in via di sviluppo che ricevono ingenti flussi di rifugiati e migranti e, parimenti, si includano tra i destinatari le comunità locali in situazione di deprivazione materiale e vulnerabilità.

L’ultimo verbo, integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini». Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. Insisto ancora sulla necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi. Mi preme sottolineare il caso speciale degli stranieri costretti ad abbandonare il paese di immigrazione a causa di crisi umanitarie. Queste persone richiedono che venga loro assicurata un’assistenza adeguata per il rimpatrio e programmi di reintegrazione lavorativa in patria.

In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative sopra proposte, ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie.

Durante il Vertice delle Nazioni Unite, celebrato a New York il 19 settembre 2016, i leader mondiali hanno chiaramente espresso la loro volontà di prodigarsi a favore dei migranti e dei rifugiati per salvare le loro vite e proteggere i loro diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale. A tal fine, gli Stati si sono impegnati a redigere ed approvare entro la fine del 2018 due patti globali (Global Compacts), uno dedicato ai rifugiati e uno riguardante i migranti.

Cari fratelli e sorelle, alla luce di questi processi avviati, i prossimi mesi rappresentano un’opportunità privilegiata per presentare e sostenere le azioni concrete nelle quali ho voluto declinare i quattro verbi. Vi invito, quindi, ad approfittare di ogni occasione per condividere questo messaggio con tutti gli attori politici e sociali che sono coinvolti – o interessati a partecipare – al processo che porterà all’approvazione dei due patti globali.

Oggi, 15 agosto, celebriamo la solennità dell’Assunzione di Maria Santissima in Cielo. La Madre di Dio sperimentò su di sé la durezza dell’esilio (cfr Mt 2,13-15), accompagnò amorosamente l’itineranza del Figlio fino al Calvario e ora ne condivide eternamente la gloria. Alla sua materna intercessione affidiamo le speranze di tutti i migranti e i rifugiati del mondo e gli aneliti delle comunità che li accolgono, affinché, in conformità al sommo comandamento divino, impariamo tutti ad amare l’altro, lo straniero, come noi stessi.

Dal Vaticano, 15 agosto 2017

Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria

 

FRANCESCO