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CFP Vercelli: testimonianza Debora e Francesca della Cooperativa Maria Cecilia di Biella

Dal sito del CFP di Vercelli.

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Il 20 aprile abbiamo sentito la testimonianza di Debora e Francesca della Cooperativa Maria Cecilia di Biella su ciò che provano e vivono nello svolgere il loro impegno a favore di persone che arrivano da altri paesi ma anche di persone del luogo.

Francesca ci ha raccontato del suo servizio al Cas di Cossato. I miei genitori hanno sempre accolto persone immigrate in casa:

Ora vivo con altre 17 donne al Centro di Accoglienza delle donne. All’inizio (avevo 22 anni) un po’ mi spaventava la cosa, voleva dire differenze culturali, abitudini diverse, differenza di età, ecc. Poi in quelle persone ho iniziato a riconoscere mia zia, mio nipote, la mia amica.
Sono donne molto sensibili, non si aprono facilmente, stanno con noi 6 mesi/1 anno le sosteniamo nella parte burocratica e sanitaria o per il permesso di soggiorno.

Uno dei drammi peggiori che vivono e il problema della tratta, fenomeno di inganno, …”se mi dai 10 mila euro, ti porto in Italia e ti prometto il mondo, ma ti devi fidare di me”.

Si fidano di persone che poi le mettono sulla strada, allora bisogna offrire loro un sostegno emotivo e non solo: il poter chiudere la loro porta della camera a chiave, diventa un privilegio. La struttura che le accoglie, per quanto antiquata a loro sembra un hotel 5 stelle. Così si ritrovano poi a ripagare il debito per tutta la vita.

Vivo al Cas per una mia scelta personale oltre che professionale. Tante cose prima mi sembravano banali ora guardo le cose con occhi diversi. Per esempio il carrello della spesa per le donne, che figata, ci faccio un giro, gli sembra un parco divertimenti o il fatto che io guidassi l’auto cosa che a loro sembra una cosa assurda.

Poi Debora ha raccontato la sua esperienza:

Insegno ai migranti che arrivano in Italia ma è aperta a tutti, anche per chi vive qui da un po’ e hanno bisogno di imparare l’italiano. All’interno dell’aula ci sono diverse culture. Bisogna imparare a rispettare. Dietro l’italiano c’è l’opportunità per stare assieme, e si impara a stare assieme, a rispettarsi, nonostante la diversa provenienza e cultura. La scuola è diventata una grande famiglia, c’è una palestra e con il tempo abbiamo aperto un laboratorio.

Pensate alla loro difficoltà di arrivare in un paese sconosciuto e devono cercare di esprimersi. Mettiamoci nei panni di chi arriva qui è ed completamente disorientato, a volte basta una parola buona: fa piacere a chi arriva perché non si sente trasparente.

Per sentire il bene, va sperimentato non possiamo sentirlo per telefono. Fate voi la differenza, date voi l’esempio.

Il mio impegno è di riuscire ad arrivare a loro, dandogli gli strumenti per poter stare bene qui: e non è solo per il problema dell’italiano.

In passato sono stata in missione In Africa, ho imparato molto, vai perché vorresti cambiare le cose e invece ti rendi conto che la gente cambia te! Ti accolgono in un modo speciale, pieno d’amore, soprattutto i bambini. Ci sono persone che ti accolgono con il sorriso, diversamente da come noi accogliamo la gente in Italia. Ti insegnano a condividere la tua vita con loro.

Nonostante tutti i problemi che hanno, sono sempre sereni: quando penso all’Italia mi viene da dire che abbiamo troppo. Li si viveva una vita essenziale condividendo con gli altri il poco che c’era. Il bene è generativo, io dono all’altro ma nello stesso tempo mi fa stare bene a me.

Hanno concluso l’incontro facendo scrivere agli allievi che cosa li avesse colpiti di più delle loro parole su un post. Debora e Francesca, grazie per il vostro esempio!