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3 e 4 settembre – Giornate di inizio anno pastorale a Valdocco

Il 3 e 4 settembre confratelli e consigli della CEP sono invitati a Valdocco per le giornate di inizio anno pastorale. Il programma della due giorni, la cui partecipazione è prevista per case, prevede:

3 settembre 2021

Borgomanero, Bra, Chatillon, Cumiana, Fossano, Ivrea, Lombriasco, San Benigno Canavese, To-Agnelli, To- Andrea Beltrami, To-Monterosa, To-Rebaudengo, To-Filippo Rinaldi, To-San Francesco di Sales, To-Centro Ispettoriale, To-Valsalice, Vigliano Biellese.

15.30 Accoglienza, saluti e preghiera iniziale
16.00 Intervento di don Stefano Martoglio (Vicario del Rettor Maggiore) “Riflessione post capitolare in vista del capitolo ispettoriale”. Possibilità di confronto e domande.
17.15 Pausa
17.30 Intervento dell’ispettore, del Regolatore del Capitolo Ispettoriale X e di alcuni incaricati di settore
18.00 Lavori di gruppo per case
19.00 Vespro
19.30 Cena

Aggiungi a calendario.

4 settembre 2021

Alessandria, Asti, Avigliana, Casale, Chieri, Colle don Bosco, Castelnuovo Noviziato, Cuneo, Lanzo, Novara, Rivoli Cascine Vica, To-Crocetta, To-San Giovanni Evangelista, To-San Paolo, To-Maria Ausiliatrice, Venaria, Vercelli, Vilnius e Telsiai.

Orario di massima
9.30 Accoglienza, saluti e preghiera di Lodi.
10.00 Intervento di don Stefano Martoglio (Vicario del Rettor Maggiore) “Riflessione post capitolare in vista del capitolo ispettoriale”. Possibilità di confronto e domande.
11.15 pausa
11.30 Intervento dell’ispettore, del Regolatore del Capitolo Ispettoriale X e di alcuni incaricati di settore
12.00 Lavori di gruppo per case
13.00 Pranzo

Aggiungi a calendario.

Per accedere al teatro sarà necessario essere in possesso del green pass Covid 19 o della esenzione vaccinale rilasciata dal medico.
Comunicare al segretario ispettoriale (segretario@salesianipiemonte.it) dei partecipanti alla cena o al pranzo

ADMA 2021 – 2025: un sogno di speranza salesiana e mariana anche per te

In preparazione al nuovo anno pastorale 2021-2022, don Alejandro Guevara Rodríguez, Animatore spirituale dell’ADMA Valdocco, porge un messaggio di speranza salesiana e mariana a tutti i membri dell’Associazione. Di seguito la lettera di don Alejandro, con la possibilità di scaricare i documenti nelle varie lingue dedicati alla “bussola di navigazione ADMA” dei prossimi quattro anni.

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Cari amici. Iniziamo un nuovo anno pastorale e vogliamo condividere con voi un orizzonte di Speranza salesiana e mariana. Tutti noi apparteniamo alla Famiglia Salesiana e ci sono degli elementi che ci uniscono nella stessa spiritualità. Senza dubbio Don Bosco é il padre della nostra famiglia, però proprio lui ci ha lasciato il dono più bello che un figlio può dare a noi: la Mamma, la Mamma della nostra famiglia che é MARIA AUSILIATRICE. Lei, come buona mamma conserva uniti a tutti i suoi figli, ci ama, ci protegge, ci aiuta… a ciascuno di noi, nella nostra situazione e condizioni. Noi amiamo Maria e questo nostro amore deve essere ravvivato e incrementato ogni anno. Siamo chiamati a fare bruciare nei nostri cuori l’amore verso Maria, perché in questo modo saremo quello che Don Bosco ha pensato per noi: mariani. Essere mariani appartiene alla nostra identità; non è secondario, è identitario. Senza Maria non siamo salesiani.

Durante questi mesi passati tutti gli animatori, animatrici spirituali, tanti presidenti laici dei gruppi locali di ADMA abbiamo iniziato un cammino di conoscenza e di costruzione di un sogno mariano. Abbiamo ascoltato gli eventi più importanti vissuti: CG 28 dei salesiani, gli orientamenti post capitolari, abbiamo riletto la carta d’identità carismatica della FS, la lettera del RM (ACG 343) sull’ADMA e anche abbiamo accolto i suggerimenti e le proposte di tutti, per costruire insieme quello che vuole essere la nostra “bussola di navigazione” per i prossimi quattro anni.

Questo lavoro vuole essere soltanto il primo passo di un cammino per coinvolgere pian piano a tutti gli animatori, animatrici spirituali, presidenti laici di ADMA, consigli locali e arrivare a tutti soci e devoti di Maria Ausiliatrice. Siamo chiamati ad amare a Maria insieme e per questo scopo vi invitiamo a conoscere, però soprattutto partecipare nel nostro sogno mariano, che é per te. Tu sei destinatario di questo sogno e vogliamo invitarti a partecipare.

Ti presento il nostro sogno per te, con il desiderio di diffonderlo a farlo conoscere a tutti i membri della nostra Famiglia Salesiana, peró anche andando oltre i conosciuti. Vogliamo chiederti il tuo aiuto perché tanti possano vivere e godere questo sogno mariano. Maria vuole essere Madre di TUTTI. Nessuno é escluso dell’amore e della protezione della nostra Madre Ausiliatrice.

Alejandro Guevara Rodríguez, sdb. Animatore spirituale ADMA Valdocco.

ADMA 2021-2025 – Orientamenti:

Don Mauro Zanini nuovo direttore di Valdocco San Francesco di Sales

Nella giornata di mercoledì 25 agosto, presso la Chiesa di San Francesco di Sales a Valdocco, l’Ispettore don Leonardo Mancini ha insediato don Mauro Zanini come nuovo Direttore della Comunità Valdocco San Francesco di Sales. Oltre alla partecipazione dei confratelli di casa, vi è stata anche la presenza di una rappresentanza della Casa del Michele Rua in cui don Mauro ha prestato servizio come Direttore negli ultimi anni. Tra questi anche don Stefano Mondin, che proprio nella stessa mattinata aveva vissuto la cerimonia liturgica di insediamento.

L’Ispettore, in entrambi i casi, ha desiderato commentare l’articolo 55 delle Costituzioni salesiane prendendo spunto da I <<RICORDI CONFIDENZIALI AI DIRETTORI>> DI DON BOSCO:

Il direttore nella comunità
Il direttore rappresenta Cristo che unisce i suoi nel servizio del Padre. È al centro della comunità, fratello tra fratelli, che riconoscono la sua responsabilità e autorità.
Suo primo compito è animare la comunità perché viva nella fedeltà alle Costituzioni e cresca nell’unità. Coordina gli sforzi di tutti tenendo conto dei diritti, doveri e capacità di ciascuno.
Ha responsabilità diretta anche verso ogni confratello: lo aiuta a realizzare la sua personale vocazione e lo sostiene nel lavoro che gli è affidato.
Estende la sua sollecitudine ai giovani e ai collaboratori, perché crescano nella corresponsabilità della missione comune.
Nelle parole, nei contatti frequenti, nelle decisioni opportune è padre, maestro e guida spirituale.

Di seguito qualche scatto della cerimonia, a cura del confratello Antonio Saglia.

Museo Casa Don Bosco: “Lock art” – Mostra temporanea dal 9 settembre

Dal 9 settembre al 21 novembre 2021, Museo Casa Don Bosco è lieto di ospitare la mostra temporanea “Lock art – Viaggio attraverso il mondo passando tra salotto e cucina, realizzata in collaborazione con ArtFullFrame: la visione speciale di 15 fotografi di tutto il mondo che raccontano il tempo della pandemia. Curatrice della mostra, in qualità di direttore artistico e capoprogetto, è Chiara Candellone Sticca.

L’inaugurazione dell’evento si terrà mercoledì 8 settembre 2021 alle ore 17.00 con la presenza del Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, X successore di don Bosco, a fare gli onori di casa.

Il Museo Casa Don Bosco, attraverso le fotografie esposte in mostra, intende farsi portavoce di quella quotidianità familiare che ci ha aiutati a superare momenti complessi, facendoci riscoprire la bellezza delle relazioni e della straordinarietà nell’ordinarietà così come espresso dalla Direttrice del Museo Casa Don Bosco, Stefania De Vita:

«I musei sono bussole, ti guidano in un viaggio bellissimo, dentro e fuori di te. I visitatori di LockArt incontreranno cultura e mondi diversi guardando attraverso l’obiettivo dei giovani fotografi. Percorso comune è il lockdown, condizione che ha creato distanze enormi rendendo, allo stesso tempo, il mondo piccolissimo. Abbiamo sentito tutti molto forte la mancanza degli affetti, della famiglia e delle nostre radici: quale luogo migliore quindi se non Museo Casa Don Bosco per un ritorno a casa.»

Tutte le informazioni sulla mostra sono visionabili sul sito del Museo Casa Don Bosco alla pagina dedicata.

Cinquant’anni di servizio pastorale: don Giampaolo Del Santo, padre Luigi Aimetta e don Piergiovanni Bono

Sono giunti a cinquant’anni di servizio pastorale: don Giampaolo Del Santo (salesiano), padre Luigi Aimetta (missionario dello Sma, rientrato recentemente in Italia) e don Piergiovanni Bono, sacerdote diocesano. Hanno vissuto il loro percorso in tante Chiese sparse per il mondo. Di seguito la storia raccontata nell’articolo pubblicato su “La Fedeltà“.
Il loro servizio sacerdotale dura da 50 anni. Un lungo percorso pastorale speso in città diverse d’Italia e del mondo, per approdare infine tutti e tre nella nostra diocesi, dove stanno offrendo il loro ministero sacerdotale a favore di parrocchie o istituti religiosi, per confessioni, assistenza spirituale e celebrazioni liturgiche. Sono don Giampaolo Del Santo (salesiano), padre Luigi Aimetta (missionario dello Sma, rientrato recentemente in Italia), e don Piergiovanni Bono, sacerdote diocesano. Nei mesi scorsi hanno festeggiato il loro “giubileo sacerdotale“. Conosciamo meglio il loro percorso e la loro visione presbiterale.

Don Giampaolo Del Santo è nato a Pavia da papà carabiniere, originario delle Langhe, e mamma casalinga del Veneto. Ha due fratelli sposati, di cui uno molto più giovane di lui, nato subito dopo aver lasciato casa ed intrapreso gli studi che lo hanno portato al sacerdozio nella famiglia religiosa fondata da don Bosco. Realtà in cui ha assunto per anni diversi incarichi importanti; come insegnante e direttore di case e centri salesiani per la formazione all’impiego (anche a Fossano, per ben 29 anni, dove poi è ritornato nel 2015). Ora si dedica pienamente alla cura spirituale, laddove lo chiamano e hanno bisogno di lui, con la piena disponibilità del suo ministero sacerdotale, con l’affabilità che lo ha sempre contraddistinto e per la quale si è sempre fatto ben volere dai fossanesi che lo hanno incontrato.

  1. Facevo la seconda media statale nel 1956, con un sacco di problemi di salute, e sono quindi stato bocciato per le tantissime ore di assenza. Intanto frequentavo l’oratorio festivo salesiano di Valdocco. Il direttore mi chiamò e mi propose di frequentare la terza media all’oratorio. Avevo pensato anche di farmi salesiano, ma c’era ancora tempo e poi io ero molto attaccato a mia mamma. Così ho iniziato la terza media, andando già a Valdocco alle 5,30 del mattino per servire messa. Poi scuola dalle 8 fino alle 12. E al pomeriggio di nuovo, nel suo ufficio. Così per un anno. Poi ho proseguito a Chieri; una scelta che ho fatto io perché mi piaceva l’Oratorio, dove ho avuto insegnanti molto validi. Dopo la quinta ginnasio ho infine deciso di farmi salesiano. Diciamo che la mia vocazione è maturata a poco a poco. Quindi c’è stato il noviziato a Pinerolo per un anno, poi a Foglizzo per il liceo, e l’ultimo anno dedicato alla pedagogia e psicologia, perché noi salesiani dobbiamo fare tre anni di tirocinio con i ragazzi (io ho poi dato anche l’esame alle Magistrali statali). Il tirocinio l’ho svolto a Saluzzo in una casa poverissima: un’esperienza davvero molto bella, circondati da gente che ci voleva bene. Ad Avigliana, insieme ad altri cinque salesiani, ho fatto il maestro alle scuole elementari per 60 ragazzi orfani. Poi sono stato a Salerno e quindi a Castellammare di Stabia a studiare teologia. Sono andato giù malvolentieri e poi sono invece stato contento di aver conosciuto posti molto belli, anche per la gente, davvero tanto generosa. Sono stato ordinato prete a Pont Canavese il 4 aprile del 1971, che in quell’anno era la Domenica delle Palme. E ho celebrato la prima messa all’asilo con i bambini piccoli, un vero spasso! La seconda messa al carcere Le Nuove di Torino, la terza all’ospedale: tre luoghi significativi. Sono stato a Peveragno sette anni come consigliere, e a Lombriasco. Nel 1979 sono giunto a Fossano: inizialmente come insegnante, poi direttore del Centro (di formazione professionale), e dal 1998 al 2008 direttore generale di tutto l’Istituto. Sono andato poi a Vercelli per svolgere il medesimo incarico, e successivamente a Bra come direttore della Casa, ma, per problemi di salute, ho infine lasciato ogni incarico e sono ritornato a Fossano nel 2015.
  2. Innanzitutto, premetto che per me se uno cambia strada e in quella trova la sua felicità, ben venga! Di questi 50 anni posso solo dire grazie al Signore. Ci sono stati momenti belli e momenti tristi, ma mai ho pensato minimamente di cambiare. Poi il rapporto con la gente e i ragazzi aiuta, perché ti accorgi che, con tutti i tuoi limiti, hanno bisogno di te. Ci sono quelli che dopo cinquant’anni ricordano ancora quello che si è fatto insieme. Il Signore è stato molto buono con me ed anch’io non posso che esserlo con lui verso gli altri. Non sempre c’è la perfezione, però bisogna essere ottimisti. Tutto si può sempre aggiustare quando c’è la buona volontà.
  3. Il ricordo più bello a Fossano? È legato all’incarico che mi diede monsignor Natalino Pescarolo, di avviare la pastorale del lavoro in diocesi (intorno al ’94-’95). Ho imparato tanto, con un contributo grandissimo da parte di tutti. Alla sera ci dedicavamo alla riflessione politica con quelli che si dichiaravano cristiani, di qualsiasi schieramento. E poi mi è piaciuto molto il gruppo degli insegnanti che ho avuto qui. Non dimentichiamo che nell’83 abbiamo avuto la disgrazia dell’omicidio di un nostro coadiutore salesiano; si pensò anche di chiudere l’Istituto a Fossano e invece tutte le cose che lui aveva nel cuore per questo Istituto si sono sviluppate nel giro di due anni, grazie anche all’impegno lodevole degli insegnanti e alla generosità dei benefattori.
  4. Secondo me non si mettono i ragazzi al primo posto. Sono loro che devono agire. Il catechismo non è solo una questione di lezioni e via. Ad un certo punto sono loro a dover essere intraprendenti. Quando si entusiasmano fanno le cose meglio di noi. Invece pensiamo sempre che siano loro, a cui abbiamo fatto una bella predica con tante raccomandazioni, a dover seguire noi. Manca davvero l’esempio, da parte delle famiglie (che non ci sono e che non pregano più) e dei preti. È vero, questi fanno tantissimo, hanno anche quattro parrocchie da seguire, ma poi cosa diventano? Dei manager. Forse manca la figura del sacerdote che andava a trovarli a casa, incontrava la famiglia, stava con loro.
  5. Esorterei a lavorare insieme. Non si può lavorar da soli. Che siano confratelli o che siano laici, ma insieme, mettendosi al pari degli altri, ognuno con il suo ministero; quello del laico come quello sacerdotale, né più né meno. La Chiesa non è dei preti, perciò bisogna collaborare con tutti. E così scopri che tutti, forse, hanno bisogno di te, come tu ne hai degli altri.

Padre Luigi Aimetta, genolese, cresciuto in una famiglia di sette fratelli e quattro sorelle, è sacerdote della Società missionaria africana (Sma), la cui chiamata è chiaramente espressa nella dicitura del nome. Una vocazione che padre Luigi, dopo i primi studi al seminario di Fossano, e la formazione teologica che lo ha portato all’ordinazione sacerdotale, ha fatto sua, spendendo anni di missione in Costa d’Avorio, in Italia, come economo e come animatore, e quindi a Guadalupa. Dal 2018, anno in cui è ritornato definitivamente in patria, è a disposizione per le necessità della diocesi nell’ambito del suo ministero sacerdotale, che finora ha prestato soprattutto nelle parrocchie del centro storico di Fossano.

  1. Ero andato in seminario a Fossano (frequentato fino al primo anno di teologia) per poter giocare a pallone; la mia passione è sempre stata quella. Dopo 50 anni, posso dire che il buon Dio ha permesso anche quello per aiutarmi a capire che la missione è un lavoro di squadra, non qualcosa di individuale. Quindi il calcio mi ha permesso di affinare il gioco di squadra, dove le partite non sono mai una uguale all’altra. Dalla voglia di collaborare insieme è nata la vocazione, in cui anche mio papà ha avuto un ruolo importante, desiderando per me che io andassi avanti negli studi seminariali solo se l’avessi voluto veramente, e non dietro la spinta di qualcuno. Per me quelle parole sono state fondamentali. Il momento forte è stato quando ho scelto la missione. Andando a Rivoli per la propedeutica, mi si è aperto un mondo che non conoscevo, ho compreso una prospettiva nuova che mi ha subito affascinato. Conoscevo la Società missionaria africana (dal fondatore irlandese che era passato in seminario e da mio fratello che vi era entrato prima di me) dalla quale ho scoperto uno spazio universale. Per confrontarmi con questo spazio ho fatto del noviziato, e poi teologia a Lione e due anni in Africa, in Costa d’Avorio. E lì mi sono trovato a casa mia. Ho capito che quello era il mio posto. Ho dovuto quindi terminare gli studi a Genova (dove, nel frattempo, la Sma aveva aperto una casa) e poi sono stato ordinato sacerdote a Genola il 27 giugno del 1971. Per partire, quindi, subito dopo, come missionario.
  2. Siamo tutti, anche noi sacerdoti, dei poveri peccatori. Ma questo ci mostra che la misericordia di Dio è ancor più grande e straordinaria. Nulla è impossibile a Dio. Capita, fa parte della vita, di avere dei momenti di rigetto. Però alla fine ti affidi a Dio e Lui ti aiuta a vivere il tutto come un dono.
  3. Ricordo due episodi particolari (“le mie gemme”), uno accaduto all’inizio, appena arrivato in missione. Una sera giungono i vecchi del quartiere e mi dicono che il capotribù sta morendo all’ospedale. Battezzato, anche se poi, nella vita aveva acquisito sette mogli, voleva fare il matrimonio. Vado all’ospedale e tra le diverse persone c’erano le mogli che aspettavano il “verdetto” di quell’uomo, che intanto non poteva parlare, ma avrebbe dovuto “sceglierne” una con un cenno del capo. Ho invitato a pregare perché il suo cuore si orientasse verso Dio, esortando poi a lasciar fare a Lui. Tre mesi dopo quell’uomo, che nel frattempo si era ripreso, mi viene a trovare. E mi spiega che la scelta di una donna rispetto alle altre, avrebbe creato delle lotte tra di loro (che pure stimava tutte) e tra i figli stessi. Una situazione che lui non voleva. Perciò mi disse che prima avrebbe messo a posto le cose e poi sarebbe ritornato. Nel frattempo, diede ad ogni donna un pezzo di terra con la casa, perché ognuna di loro potesse mantenersi con i figli. E si sposò infine con quella con cui non ebbe figli (cosa straordinaria per un africano!). Qualche mese dopo quell’uomo morì. Nella predica io dissi alla gente: “Dio ha visto il cuore retto di questa persona, che non voleva discussioni, e lo ha premiato“. È stato l’inizio della mia missione: capire che Dio agisce al di là di quello che io so fare o non so fare, imparando così ad affidare molto di più il proprio cammino a Dio. Alla fine della mia missione mi trovavo invece in una parrocchia dove si parlavano 60 lingue diverse. “Cosa capiranno?” mi chiedevo. Anche perché non tutti sapevano il francese. “Siamo contente lo stesso“, rispose un gruppo di donne alla mia domanda, “perché abbiamo capito che quando parli lo fai perché ci vuoi bene”. Da allora ho capito che si possono celebrare tante messe, però, come prete, rischi anche di fare le cose senza voler bene.
  4. La cosa per me più importante è proporre ai giovani di oggi un progetto di vita che sia “alto” e che superi i limiti di quello che si è vissuto fino adesso. Che prospettiva ha il giovane nell’ambiente attuale della Chiesa? Siamo in una fase di forte cambiamento globale e la Chiesa stenta a proporsi con vesti nuove. Non si riesce ad immaginare una proposta di vita che non sia una brutta fotocopia del passato. Un tempo diventare prete voleva dire raggiungere un certo livello sociale, oggi tutto questo, qui da noi, è finito. Mentre questo modello è attuale in Africa. Con tutte le incognite che potrà avere in futuro.
  5. Che abbiano sempre la gioia di dire: “Ho sbagliato, ma ho amato“. Se essere prete corrisponde ad un’esigenza forte di amore verso le persone che incontri, allora diventa anche entusiasmante poter immaginare di vivere questo ministero.

Don Piergiovanni Bono, fossanese, cresciuto in una famiglia di quattro fratelli e due sorelle, è stato sacerdote “fidei donum”, in Argentina e in Cile, dedicando il suo ministero, in patria come in missione, soprattutto nelle parrocchie, come vicecurato prima, e parroco poi. Attualmente è cappellano nelle Case di riposo Craveri-Oggero e Sant’Anna e cappellano volontario della Casa di reclusione Santa Caterina a Fossano.

  1. C’erano i curati (e anche le catechiste) che esortavano per farci entrare in seminario. E dopo aver preso un “treno”, vai avanti. Dopo alcune esperienze come vicecurato, sono stato 16 anni in Argentina, per poi rientrare in Italia, in diocesi, con una parentesi di due anni, e quindi ripartire per il Cile per altri 10 anni.
  2. Impegnandosi, non c’è il tempo di pensare ad altre cose. Poi c’è chi ti aiuta e magari no, ma si va avanti.
  3. Ricordo, della missione, il lavoro che si è fatto con i disabili, fisici e psichici, bambini e adulti, a Comodoro in Argentina, nelle parrocchie di tutta la città. Cercavamo di farli uscire dalle proprie case, per poterli fare incontrare tra di loro, offrendo un momento di respiro sia ai genitori che a loro stessi. Si è incominciato piano piano per poi proseguire nel tempo. C’erano le scuole speciali a cui noi li portavamo, perché mancava il servizio dei mezzi di trasporto, e allora al mattino si faceva il giro. Inoltre, ogni mese si teneva un incontro, oltre quello annuale, per tutti. Un’esperienza che è durata qualche anno, oltre all’impegno di parroco e catechista (con tutta la catechesi familiare da svolgere) in una parrocchia di 20mila abitanti. Come prete ero da solo, ma coadiuvato dai laici, che si sono sempre dimostrati accoglienti e di cui conservo un bel ricordo. In Cile avevo invece una parrocchia diffusa su 150 km, per cui avevo abbastanza da girare; otto paesetti da andare a visitare lungo il lago, per cui la gente era più difficile da riunire.
  4. Intanto manca “la materia prima“; noi eravamo sei in famiglia, in altre ancora di più. Adesso ce n’è uno, al massimo due, per nucleo familiare. Con più figli, forse, sarebbe più facile che sorgesse qualche vocazione. Pur non escludendo che la mentalità di oggi sia più fredda, più laica o laicista che dir si voglia. E poi forse, come clero, non siamo quello stimolo che dovremmo essere. Se vedono noi, quale entusiasmo possono avere? Non siamo una comunità, e abbiamo un mucchio di forze che non sono utilizzate.
  5. Che nonostante le nostre miserie il buon Dio può lavorare, e quindi invitando a non guardare i limiti, sapendo che Lui usa la zappa, e tutti gli strumenti, per seminare. E dando l’esempio.

LE DOMANDE

  • Qual è stata la sua formazione e quale occasione iniziale l’ha spinta verso la vocazione sacerdotale?
  • Come è stato possibile vivere la fedeltà sacerdotale in un tempo come questo, in cui tanti, prima o poi, sembra che vogliano cambiare strada nella vita?
  • Può condividere un ricordo o un impegno che ha vissuto più volentieri?
  • Alle nuove generazioni che cosa manca oggi per intraprendere una scelta sacerdotale?
  • Dovesse essere proprio lei formatore di novizi, come li incoraggerebbe alla propria scelta vocazionale?

Comincia il percorso di formazione per gli aspiranti all’ADMA Primaria di Valdocco

Domenica 13 giugno è iniziato a Valdocco il percorso di formazione per coloro che intendono conoscere l’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA). Di seguito l’articolo pubblicato dall’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS.

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Seguendo il carisma proprio del gruppo, prima di ogni altra attività sono state previste l’Eucarestia, celebrata nella Basilica di Maria Ausiliatrice, e la recita del Rosario; solo dopo ha avuto avvio il momento di presentazione del percorso, di conoscenza e condivisione.

Don Guido Errico, Rettore della basilica, ha invitato tutti i presenti a riflettere sul fatto di essere riuniti proprio sotto la basilica, dove sono poste le fondamenta da cui è iniziata la costruzione di pietra del Santuario, e dove anche gli aspiranti all’ADMA possono porre le basi del loro cammino.

Renato Valera, Presidente dell’ADMA Primaria, ha poi evidenziato che in tutto il mondo tanti gruppi camminano insieme per conoscere Maria e per trasformare attraverso di Lei la loro vita, a imitazione di Gesù.

Don Alejandro Guevara, Animatore Spirituale Mondiale dell’ADMA, ha invece proposto di guardare al giorno d’inizio del cammino come a quello del concepimento di una nuova vita. Gli aspiranti, in quest’ottica, sono chiamati a nascere come figli di Maria, ad incorporarsi come membri nella Sua associazione. Per questo don Guevara ha manifestato il desiderio che questo cammino li porti ad innamorarsi sempre più di Maria.

Ancora, Tullio Lucca, già Presidente dell’ADMA Primaria, ha aggiunto poi che alla base di questo cammino di fede e di spiritualità c’è un rapporto d’amore con Maria, che guida gli aspiranti tutti insieme verso Gesù, facendogli fare esperienza di popolo e di famiglia. E ha anche ricordato l’intuizione di Don Bosco quando fondò la basilica: non basta una basilica di pietre, ne occorre una di persone che devono porre alla base della loro esperienza un legame forte con Gesù Eucarestia e con Maria. “È il Totus tuus di Luigi Maria Grignion de Montfort, motto di Papa Giovanni Paolo II: Tutto con Maria, tutto per Maria, tutto attraverso Maria che ci porta a Gesù perché è piena trasparenza di Gesù”.

Infine, parando dell’apostolato, ha manifestato l’importanza di portare Gesù e Maria agli altri attraverso un amore concreto al fratello, seguendo il motto di Don Bosco Da mihi animas coetera tolle, e testimoniando con la propria vita l’amore ricevuto da Maria.

L’incontro si è concluso con l’ultima annotazione di don Guevara, che ha sottolineato come, sebbene sia Maria a guidare il percorso formativo, gli aspiranti membri dell’ADMA sono accompagnati anche da tutte le altre persone che fanno parte dell’associazione.

Basilica e Casa don Bosco, a Valdocco c’è aria di ripresa – Avvenire

Si riporta di seguito l’articolo pubblicato oggi su Avvenire a cura di Marina Lomunno con l’intervista a don Guido Errico, Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino – Valdocco, in merito alle attività portate avanti durante il lockdown e quelle di questo nuovo periodo di ripresa.

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Basilica e Casa don Bosco, a Valdocco c’è aria di ripresa

Il rettore don Guido Errico: anche in pieno lockdown, non si sono mai fermate le visite grazie alle tecnologie digitali. E adesso le porte si riaprono anche per ragazzi e animatori dell’Oratorio

«Se abbiamo ripreso? In realtà qui non abbiamo mai chiuso»

scherza don Guido Errico, rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice, Casa Madre dei Salesiani dove si venerano le spoglie mortali di don Bosco. Ma poi ripercorre oltre un anno di pandemia raccontando gli sforzi messi in campo dalla comunità salesiana di Valdocco, sempre nell’osservanza delle regole anticontagio, per non interrompere il legame con i fedeli, soprattutto i giovani:

«Mentre stiamo parlando – prosegue commosso – in Basilica 150 giovani con i loro animatori stanno partecipando alla Messa d’inaugurazione dell’Estate ragazzi, che finalmente abbiamo potuto riavviare in sicurezza: è una rinascita per i più piccoli e gli educatori che tornano insieme con un obiettivo formativo comune. E poi è ripartita l’accoglienza e l’ospitalità con possibilità di pernottamento nella foresteria della Basilica per i gruppi di pellegrini che ritornano a Torino».

In questi giorni ha riaperto anche il «Museo Casa don Bosco» con ingresso dal cortile della Basilica, inaugurato nell’ottobre 2020 e chiuso dopo qualche mese causa Covid. La visita, fino a qualche settimana fa possibile solo online, ora si può fare “dal vivo” per ripercorrere il miracolo della famiglia salesiana partita da queste mura con un prete sognatore, i suoi primi giovani e mamma Margherita, e oggi presente in 133 nazioni dei 5 continenti.

«Col ritorno dei pellegrini – sottolinea il rettore – sono arrivate anche le prime pre- notazioni al Museo, e questo ci fa molto felici anche se la nostra Casa pure in lockdown è stata sempre aperta: con le Messe festive, feriali e la novena di Maria Ausiliatrice, mediante la diretta tv e il web con riprese di qualità, siamo entrati nelle case dei fedeli ma anche di chi è lontano permettendo di sentirci un’unica famiglia. La festa di Maria Ausiliatrice, in maggio, pur senza la tradizionale processione per le vie di Valdocco, ci fatto riscoprire con la preghiera raccolta nel cortile una dimensione inedita di comunità con tutti i rappresentanti della famiglia salesiana. Ora guardiamo avanti, sempre fiduciosi sotto il manto di Maria Ausiliatrice».

Marina Lomunno

SNIPERWEBTV RACCONTA “EDUCHIAMO CON PASSIONE”

Sniperwebtv racconta il nuovo progetto che l’Istituto Salesiano S. Lorenzo ha prodotto per avviare una raccolta fondi da destinare ai più colpiti della pandemia.

“Educhiamo con passione” è il libro fotografico che l’Istituto Salesiano S. Lorenzo ha prodotto, grazie alla collaborazione del Lions club di Novara Ticino.

Il progetto ha come scopo quello di raccogliere fondi da destinare ai più colpiti dalla pandemia. Abbiamo raccolto le testimonianze del direttore e di alcuni studenti.
Il volume, grazie alla collaborazione con il Lions club di Novara Ticino, è un lavoro di reportage fotografico pedagogico che ha testimoniato come professori e studenti hanno vissuto questa pandemia all’interno dell’Istituto.

Valdocco, a casa di don Bosco tra fede e accoglienza assediati dallo smog – La Repubblica

Si riporta di seguito l’articolo pubblicato da La Repubblica il 14 giugno a cura di Jacopo Ricca in merito al quartiere di Valdocco, con un breve intervento del parroco di Maria Ausiliatrice don Guido Dutto e del responsabile della Caritas parrocchiale Mauro Minoi.

Valdocco, a casa di don Bosco tra fede e accoglienza assediati dallo smog

Il muro di Berlino, come lo chiamavano con amara ironia gli abitanti del quartiere, è caduto tra il 2015 e il 2016 con l’apertura del nuovo corso Principe Oddone, ma da anni la visuale di Valdocco era già cambiata. Il traffico della nuova autostrada urbana si è sommato a quello di corso Regina Margherita e di via Cigna, tra le arterie più inquinate di Torino e ideale confine del quadrato che forma il quartiere dove proprio lo smog è uno dei problemi più sentiti.

L’interramento della ferrovia che da sempre impediva di vedere cosa ci fosse oltre, verso ovest, è stata la grande rivoluzione del quartiere dove don Bosco arrivò nel 1846 da Castelnuovo. Qui è stato aperto il primo oratorio e qui ogni anno i pellegrini visitano il luogo dove riposano le spoglie del santo, nella basilica di Maria Ausiliatrice che, come ricorda il parroco don Guido Dutto, non ha mai chiuso nemmeno durante il lockdown. Sarà l’influenza della vicina Porta Palazzo o proprio della ferrovia, ma il quartiere Valdocco non ha mai perso quella caratteristica di accoglienza che era già viva ai tempi di don Bosco.

C’è ovviamente il complesso salesiano che comprende oltre alla Basilica, la Chiesa di San Francesco di Sales, la Cappella Pinardi, gli edifici della scuola media e di quella professionale, la parrocchia e l’oratorio, ma anche le “camerette” dove visse Don Bosco. Ma ci sono anche spazi occupati, come il Neruda nell’ex scuola conciatori di corso Ciriè, luoghi di riferimento per le comunità straniere come la sede dell’Unione Cristiana Evangelica Cinese in via Salerno. E poi c’è la scuola De Amicis che l’associazione Vicolo Grosso nel tempo è riuscita ad aprire agli abitanti, trasformandolo in un punto di riferimento per Valdocco.

Nicoletta Daldanise, imprenditrice di origine campana, ha scelto il quartiere appena arrivata a Torino:

«Mi occupo di trasformazioni urbane con progettazioni e volevo provarne ad attivarne uno a Torino e Valdocco mi sembrava lo spazio giusto — racconta — Ci vedevo un potenziale: era un quartiere non attraversato perché c’erano i lavori di corso principe Oddone che rendevano impossibile raggiungere l’altra parte della città».

Quelle trasformazioni in parte si sono realizzate nel frattempo, il muro di Berlino è caduto, ma i problemi che aveva costruito insieme al cantiere del passante sono rimasti. Molti negozi storici hanno chiuso e non sono stati sostituiti e la desertificazione commerciale ha permesso ai pusher di continuare a frequentare la zona che proprio durante gli anni del cantiere era diventata uno dei centri di spaccio di Torino.

Le cose nel frattempo sono migliorate, anche grazie alle battaglie dei residenti, come Fabio Ottino e il suo comitato che hanno fatto marce e petizioni per chiedere l’intervento delle forze dell’ordine e l’installazione delle telecamere. Nelle vie interne a Valdocco gli spacciatori non ci sono più. Il problema resta su Corso Principe Oddone.

Nel frattempo sono arrivate famiglie giovani e professionisti: «Molti amici da Vanchiglia si stanno spostando qui perché con bambini piccoli trovano la tranquillità» spiega Daldanise che ha aperto Portmanteau, un piccolo bed&breakfast in via Biella. Il palazzo dove vive e lavora è uno di quelli meglio tenuti di tutto il quartiere, ma durante la pandemia molti hanno approfittato della situazione per cercare di abbellire gli interni dei cortili. Il prezzo di vendita degli appartamenti è aumentato.

Anche secondo il parroco di Maria Ausiliatrice, don Guido Dutto, da due alla guida della comunità, ma nei 6 anni precedenti vice, il quartiere è cambiato:

«Questa è una parrocchia senza territorio: il santuario di Maria Ausiliatrice porta da tutta Torino e anche da fuori fedeli — precisa — È complicato far sentire il senso di appartenenza della comunità di quartiere».

I ragazzi che fanno catechismo ad esempio sono 400 ma 280 sono da fuori parrocchia.

La Caritas parrocchiale invece si occupa solo delle persone in difficoltà di Valdocco:

«Abbiamo scelto per il centro di ascolto e di assistenza di lungo corso di occuparci degli abitanti del quartiere — chiarisce il responsabile Mauro Minoi — Sennò non ce la faremmo».

Nell’ultimo anno sono state 178 le famiglie assistite e in particolare 482 migranti.

«Gli italiani che si rivolgono a noi sono relativamente pochi — precisa il parroco — Ma sicuramente la composizione è molto cambiata».

Il comitato da Margherita a Dora passando per Oddone è nato proprio tra i nuovi abitanti del quartiere, ma nel tempo ha radunato anche gli storici tanto che spesso si riunisce nella pasticceria di Corgiat in via Ravenna. È uno dei pochi negozi a resistere: «Abbiamo bisogno di un luogo dove parlarci e dove scambiare mutuo aiuto — dice Daldanise — Valdocco è meno sfilacciato di altri quartieri anche se anche qui non tutte le comunità straniere sono facilmente raggiungibili, è attraverso la scuola che ci arriviamo». Il traffico e l’assenza di parcheggi sono un problema e l’assenza di spazi pubblici.

Minoi della Caritas spera che la prossima amministrazione apra un centro diurno, ma anche altri servizi sono carenti. Ad esempio non c’è una banca, il primo bancomat è a 15 minuti a piedi, «mancano molti negozi e se invece ci fossero si potrebbe vivere meglio il quartiere».

Alla De Amicis di via Masserano con l’associazione Vicolo Grosso è stato aperto anche uno spazio per scambiare vestiti usati, il Barattolino: «Si tratta di un negozio dell’usato dentro la scuola, aperto due volte a settimana, dove si scambiano vestiti o altri prodotti» conferma Azaria Andreasi, una delle mamme che da anni si batte per l’apertura del cortile della scuola al quartiere. «Non ci sono spazi sociali — dice — Qui gli interventi per far vedere che ti occupi delle cosiddette periferie i 5stelle non li hanno fatti. Alle elementari nella classe di mia figlia su 25 bambini 5 erano italiani». Ora il cortile è al centro di un intervento di restauro, ma la De Amicis resta un punto nodale di Valdocco.

Un po’ come lo spazio occupato Neruda che dà casa a 120 persone, quasi tutti migranti, e durante la pandemia ha fornito assistenza, anche sanitaria, a centinaia di altri torinesi. Come spesso accade coi centri sociali a Torino le lamentele arrivano più da fuori che non dagli abitanti del quartiere che condividono gli tessi problemi degli occupanti:

«Il grande problema è l’inquinamento, poi il fatto che non ci sono aree verdi. Il Cottolengo è una risorsa importante, ma manca un centro di salute territoriale e nessuno se ne fa carico» spiega Alice Scavone.

Tutti speravano che il progetto “Valdocco vivibile” — che dovrebbe dare un volto green al quartiere, abbattendo le isole di calore e favorendo la riduzione dello smog — partisse ma finora non si è visto nulla:

«Sarebbe davvero un bel progetto che permetterebbe anche di rivitalizzare i giardini dove ora chi non ha un posto dove stare è un po’ costretto a sostare».

La strada per il rilancio del quartiere è ancora lunga.

Il ringraziamento ai benefattori e collaboratori della festa di Maria Ausiliatrice

Nella giornata di oggi, 15 giugno, nel cortile di Valdocco, si è tenuto un momento di ringraziamento e di convivialità con tutti coloro che hanno collaborato per la buona riuscita della festa di Maria Ausiliatrice del 24 maggio scorso, sia come benefattori che servizio d’ordine. Dopo un breve rinfresco, si è passati alla visita del Museo Casa Don Bosco, con la consegna di un piccolo dono in ricordo della giornata.

Di seguito qualche scatto dell’evento a cura di Antonio Saglia: