13.11 Beato Artemide Zatti
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Beatificato il 14-04-2002
Artemide Zatti nacque a Boretto (Reggio Emilia) il 12 ottobre 1880. Non tardò a sperimentare la durezza del sacrificio, tanto che a nove anni già si guadagnava la giornata da bracciante. Costretta dalla povertà, la famiglia Zatti, agli inizi del 1897, emigrò in Argentina e si stabilì a Bahía Blanca. Il giovane Artemide prese subito a frequentare la parrocchia retta dai Salesiani, trovando nel parroco don Carlo Cavalli, uomo pio e di una bontà straordinaria, il suo direttore spirituale. Fu questi a orientarlo verso la vita salesiana. Aveva 20 anni quando si recò nell’aspirantato di Bernal. Assistendo un giovane sacerdote affetto da tubercolosi, ne contrasse la malattia. L’interessamento paterno di don Cavalli – che lo seguiva da lontano – fece sì che si scegliesse per lui la casa salesiana di Viedma dove c’era un clima più adatto e soprattutto un ospedale missionario con un bravo infermiere salesiano che in pratica fungeva da “medico”: padre Evasio Garrone. Questi invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per ottenere la guarigione, suggerendogli di fare una promessa: “Se Lei ti guarisce, tu ti dedicherai per tutta la tua vita a questi infermi”. Artemide fece volentieri tale promessa e misteriosamente guarì. Dirà poi: “Credetti, promisi, guarii”. La sua strada ormai era tracciata con chiarezza ed egli la intraprese con entusiasmo. Accettò con umiltà e docilità la non piccola sofferenza di rinunziare al sacerdozio. Emise come Salesiano coadiutore la sua prima professione l’11 gennaio 1908 e quella perpetua il 18 febbraio 1911. Coerentemente alla promessa fatta alla Madonna, egli si consacrò subito e totalmente all’ospedale, occupandosi in un primo tempo della farmacia. Quando però nel 1913 morì padre Garrone, tutta la responsabilità dell’ospedale cadde sulle sue spalle: ne divenne infatti vicedirettore, amministratore, esperto infermiere stimato da tutti gli ammalati e dagli stessi sanitari che gli lasciavano man mano sempre maggiore libertà d’azione. Si è detto che la sua principale medicina era lui stesso: l’atteggiamento, le battute, la gioia, l’affetto. Non voleva solo somministrare medicine, ma aiutare i pazienti a vedere nella propria situazione un segno della volontà di Dio, soprattutto quando la morte era vicina. Non fu solo un infermiere, ma un educatore alla fede di ogni persona, nel momento della prova e della malattia. Un “buon samaritano” con lo stile di don Bosco, “segno e portatore dell’amore di Dio”.
“Credetti, promisi, guarii”