La celebrazione di San Giuseppe nella Chiesetta in Riva – Il Biellese

La celebrazione in onore di San Giuseppe nella chiesetta in Riva presieduta da don Genesio Tarasco, direttore della comunità dei Salesiani di don Bosco di Vigliano. Di seguito l’articolo pubblicato da Il Biellese nella giornata odierna, a cura di Maria Teresa Prato.

NELLA CHIESETTA SACELLO IN RIVA

«San Giuseppe è per noi un grande dono»

Novena e celebrazioni per onorare il patrono della Chiesa Universale

Nella chiesetta sacello di San Giuseppe in Riva la pandemia in corso non ha fermato la devozione al santo, nell’anno a lui dedicato ed indetto da Papa Francesco per celebrare il 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa Universale.

La tradizionale novena in suo onore, organizzata dalla Pia Unione del Transito che ha sede nella chiesetta, si è svolta dal 10 al 19 marzo, seppur in forma più contenuta e fatte salve tutte le prescrizioni per la prevenzione della pandemia da Covid-19.

Tutti i pomeriggi della novena ha avuto luogo la recita delle litanie seguita dalla Messa celebrata da don Giuseppe Tabarelli dei Salesiani di Vigliano. Venerdì 19 marzo, giorno della ricorrenza liturgica del santo, al mattino, il parroco rettore don Piero Grosso ha presieduto la Messa cantata per i priori, i benefattori e per tutti i Giuseppe e le Giuseppine, mentre la Messa solenne del pomeriggio è stata celebrata dal superiore vicario don Genesio Tarasco direttore della comunità dei Salesiani di don Bosco, affiancato da don Giuseppe Tabarelli. La funzione è stata accompagnata dai canti dei fedeli con all’organo Francesco Masserano.

«San Giuseppe è per noi un grande dono» ha detto don Genesio nell’omelia.

«La sua adesione completa alla volontà di Dio vede il realizzarsi della promessa fatta dal Signore di venire ad abitare i mezzo a noi; quella promessa che, fin dai tempi di Abramo, la fede in Dio fece sperare contro ogni speranza. La vita di Giuseppe ci dimostra che la fede, come dono di Dio, attecchisce solo in un contesto d’amore poiché, al di là del sogno dell’angelo che apparve a Giuseppe, fu la sua capacità d’amore e comprensione che gli fece avere fiducia in Maria ed accettare una situazione che sarebbe stata inimmaginabile per chiunque altro. Lui accettò, senza riserva alcuna, il progetto di salvezza nato dalla fantasia d’amore di Dio che sempre riesce a sorprenderci».

Al termine della funzione il presidente della Pia Unione Gabriele Prola, nel porgere i ringraziamenti, ha donato un segno di riconoscenza a don Giuseppe per il suo prezioso servizio durante la novena, auspicando che egli possa divenire “cappellano” della chiesetta portando ancora il suo operoso e fecondo contributo. Don Genesio ha ringraziato la Pia Unione per l’accoglienza, in tutti questi anni in cui ha imparato a conoscerla e ha ringraziato don Giuseppe per il suo servizio svolto nella novena del santo di cui porta il nome. La Pia Unione ricorda ai devoti che, alle 17 di ogni primo mercoledì del mese, nella chiesetta sacello si celebra sempre la santa Messa.

MARIA TERESA PRATO 

Agnese: «Quello che perdiamo con la didattica a distanza» – La Voce e il Tempo

Scuola e didattica a distanza. Di seguito la testimonianza di Agnese, una studentessa maturanda del liceo salesiano Valsalice riportata su la Voce e il Tempo.

Agnese: «Quello che perdiamo con la didattica a distanza»
Scuola e pandemia – Abbiamo chiesto ad una maturanda del liceo salesiano Valsalice di Torino di scrivere come si vive l’ultimo anno delle superiori «a distanza»

(Di Redazione – 12 Marzo 2021)

Se mi chiedessero: «Agnese, preferisci la sveglia alle 6 e la corsa per non perdere il pullman oppure accendere la web-camera del tuo computer e sederti al tavolo della tua camera, ancora in sonno veglia?», probabilmente risponderei d’istinto: la seconda opzione. Ma la verità è che, per quanto sia bello passare dall’essere ancora in pigiama all’essere «già» in pigiama, la didattica a distanza è solo un’eco lontano della vera scuola.

A parer mio, la nuova modalità non ha nulla a che vedere con la scuola tradizionale. Mi spiego: la scuola è la chiacchierata con la compagna mentre aspetti l’apertura delle classi; è lo sguardo che si incrocia per le scale; è la battuta che provoca la risata; è il volto turbato prima dell’interrogazione; è il «face to face» col professore; è l’attesa della campanella; è il mettersi ogni secondo in discussione. Insomma, la scuola è relazione, apprendimento, gioia, tristezza, crescita personale… è vita!

Al contrario, la lezione da remoto diviene un mero meccanismo di ascolto – prendo appunti – capisco – ripeto. E tu sei quel quadretto a piè di schermata, solo, stereotipato e un po’ fragile, con le tue angosce e le tue felicità che non puoi condividere; con tanti desideri, tanti aneliti, tante parole, tanti perché e tanti come, che pian piano rinchiudi in te stesso e divengono calore di fiamma lontana.

Non si può dunque paragonare il vivere della scuola col vivacchiare della didattica a distanza, la lezione in presenza con quella da remoto, l’immensità con la limitatezza. Dico questo e ne sono convinta, perché arrivati in quinta liceo sembra un lontano ricordo la scuola ordinaria, tra i banchi, senza mascherine, con i professori e i volti «nudi» dei compagni.

Ma «di necessità, virtù» dicevo all’inizio, e, da maturanda ringrazio sia di esser riuscita a fare la maggior parte dei miei anni di liceo nella normalità, sia per lo sforzo cercato per creare una modalità che non disperdesse nel nulla gli anni passati.

Nessuna luce in fondo al tunnel? Beh, sì: la maturità. Infatti, se pur l’incertezza sia stata la linea guida di questi ultimi mesi, sembra che, in questa situazione, proprio la maturità sia l’unica piacevole certezza. Innanzitutto, perché la prova finale promuove la messa in gioco del candidato, che dà voce di sé con una relazione iniziale personale. Quindi i professori valutano le capacità acquisite e perfezionate negli anni, e non solo negli ultimi cinquanta minuti. Inoltre, l’assenza di scritti è sicuramente un ulteriore aspetto positivo, in quanto limita l’incognita e riconosce il cammino senza racchiudere l’individuo in base all’andamento della prova stessa.

Infine, la bellezza di avere, probabilmente, gli stessi professori (con cui il rapporto è divenuto un vero legame), in un momento così importante della propria vita e che per sempre sarà ricordato, è un vero e proprio onore.

Dunque, a questo punto posso dire che preferirei mille volte sentire il suono della sveglia quasi all’alba e vedere dal pullman appena preso per un fiato, la città che lentamente si sveglia mentre vado a scuola.

Agnese DONNA
III Liceo Classico, Valsalice

“Don Bosco, l’autobiografia nelle lettere” – La Stampa

Si avvia alla conclusione l’edizione dell’epistolario di Don Bosco curato da don Francesco Motto. Si riporta l’articolo pubblicato nella sezione Vatican Insider de La Stampa del 13 marzo scorso.

Don Bosco, l’autobiografia nelle lettere
Con il nono volume, si avvia alla conclusione l’edizione critica dell’epistolario del Santo curato dallo storico don Francesco Motto

Ancora cinquecento lettere – duecento inedite – che vanno ad aggiungersi alle migliaia già pubblicate, interamente autografe o solo firmate. Scritte in italiano, ma pure in francese. Missive sparse in tanti archivi, recuperate, trascritte per la prima volta o verificate nelle trascrizioni correnti, messe in ordine cronologico, annotate in modo sobrio ma offrendo le informazioni necessarie a comprenderle nei passaggi poco chiari. Parliamo dell’edizione critica dell’epistolario di don Bosco che, con questo nuovo volume, il nono – relativo al triennio 1884-1886 e con don Bosco ormai settantenne – si avvia alla conclusione. Restituendoci un profilo nitido del santo sacerdote, fondatore, educatore, consigliere, direttore spirituale, imprenditore, viaggiatore, nella cornice del suo tempo. Con il prossimo volume – il decimo, corredato di un robusto apparato di indici, e pronto a quanto pare nel giro di un anno e mezzo all’incirca – andrà dunque a conclusione la fatica editoriale di don Francesco Motto, già direttore dell’Istituto Storico Salesiano, attuale presidente dell’Associazione Cultori Storia Salesiana, che nel 1988 al congresso internazionale a Roma per il centenario della morte di don Bosco, aveva comunicato l’avvio dell’edizione critica di questo epistolario.

Anche il nuovo volume, con la premessa e le note del curatore – oltre agli utili indici e alle appendici – reca nuove tessere al mosaico sin qui composto dagli studiosi impegnati alla biografia documentata del grande santo piemontese. Come? «Confermando, smentendo, correggendo acquisizioni precedenti, colmando lacune. E svelando corrispondenti ignoti alla storia salesiana. Italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, belgi, polacchi, inglesi, tedeschi, austriaci, ungheresi, ma pure cileni, argentini, uruguaiani, brasiliani…: laici ed ecclesiastici, uomini e donne, ricchi e poveri, aristocratici e popolani, con cui don Bosco entra in stretto contatto per mille ragioni», sintetizza don Motto. Che, fra le novità offerte dal nuovo tomo, sottolinea il leit motiv relativo alla salute di don Bosco, ormai semicieco e un po’ malandato sia pure con sprazzi di inattesa ripresa qua e là: «Sono vecchio, semicieco, perciò legga con pazienza questo povero scritto», si legge nel post scriptum di una lettera spedita da don Bosco il 22 luglio 1886 da Pinerolo nella quale ad un sodalizio di operai cattolici chiede preghiere per la sua persona e i suoi orfanelli che – fa notare – «in questo momento oltrepassano il numero di duecentodiecimila». «Nelle lettere degli anni precedenti don Bosco si interessava per lo più della salute dei corrispondenti e dei loro familiari, ma a settant’anni, sofferente, sempre più “ombra di se stesso” è ormai costretto a riferirsi continuamente della propria, anche perché deve continuamente scusarsi della grafia quasi illeggibile, dei ritardi nel rispondere, della rinuncia ad alcuni appuntamenti previsti, della stessa brevità delle risposte. Non manca il caso, commovente anziché no, in cui non riesce a finire la lettera iniziata e chiede di farlo ad un altro», spiega don Motto. E aggiunge: «Eppure con grande fatica fisica e psichica non cessa di scrivere personalmente a particolari autorità civili e religiose, ad alcuni confratelli, a determinati benefattori, a illustri personaggi mai conosciuti di persona. Eppure decide, anche contro il parere dei medici e dei confratelli più autorevoli, di sobbarcarsi a faticosissimi viaggi in Francia nel 1884-1885 e soprattutto a quello in Spagna a Barcellona nel 1886».

È il decisionismo che lo porta a non rinunciare alla guida della Congregazione, tutt’al più aiutato dai collaboratori più fidati: dal braccio destro don Michele Rua, vicario con pieni poteri dal 1885, a don Giovanni Bonetti direttore del «Bollettino Salesiano», a don Giovanni Battista Lemoyne: quest’ultimo in particolare diventato segretario di concetto di don Bosco e segretario del Capitolo superiore. È il decisionismo che lo vede portare a conclusione vertenze disparate, continuare a tenere conferenze, viaggiare, scrivere a vescovi, sindaci, imprenditori, deputati, persino capi di Stato, oltre a benefattori di vari Paesi. Esempi? Dal ministro degli interni Agostino Depretis al Duca Tommaso Gallarati Scotti, dal Prefetto di Propaganda Fide cardinal Giovanni Simeoni all’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe cui chiede aiuti economici, fino a Leone XIII al quale presenta richieste per l’apertura di noviziati, domanda dispense dai requisiti per l’età dei suoi ordinandi, propone onorificenze per i benefattori. Balzano agli occhi in tempi di epidemia e contagi, le tante lettere a preti e suore, conti e marchesi, dove – come in precedenza aveva già fatto – torna a consigliare quale antidoto spirituale al colera, la preghiera e le medagliette di Maria Ausiliatrice.

«Tante ferite da curare quando riapriranno le scuole» – La Voce e il Tempo

Si segnala l’intervista al prof. Alessandro Antonioli dell’Istituto Salesiano Edoardo Agnelli di Torino nell’articolo pubblicato da La Voce e il Tempo di questa domenica: “Tante ferite da curare quando riapriranno le scuole”, a cura di Alberto RICCADONNA.

Professore, come è nata questa iniziativa?

Durante il primo lockdown ho pensato di mettere a disposizione di tutti una mia grande passione, quella di raccontare i poemi epici. E così è nata la serie «A casa con Ulisse», con un target omogeneo che includeva anche gli adulti. A fine ottobre ne ho invece iniziata una sull’Eneide specifica per i ragazzi delle superiori: i video sono più brevi e accompagnati da semplici grafiche che ripercorrono i concetti fondamentali. Ho pensato che potevano essere utili ad altri docenti per le lezioni a distanza oppure agli alunni per lo studio di queste opere meravigliose.

Nelle scuole del Piemonte è tornata la didattica a distanza, con gli studenti costretti a casa davanti al computer. Perché, secondo lei, i ragazzi si lamentano di questa modalità?

Intanto perché azzera la socialità di cui fanno esperienza a scuola, impedendo loro di condividere tanti momenti scolastici: intervalli, lezioni, interrogazioni, gite, ritiri o altre attività. La didattica a distanza va a incidere su una componente fondamentale della scuola, la relazione. Quella professore-alunno, ma anche e soprattutto quella fra compagni di classe: lo schermo atrofizza le interazioni e lo scambio. Anche la soglia dell’attenzione è più bassa e questo rende più faticoso l’apprendimento per i ragazzi. Tra l’altro, non tutti possono permettersi un computer e una connessione stabile: qualcuno deve badare ai fratelli, qualcun altro deve dividere la camera o il device con un parente, qualcun altro ancora ha i genitori in smart working a casa. Il contesto familiare incide non poco.

È la didattica a distanza il vero problema della scuola?

Nell’ultimo periodo, la didattica a distanza sembra diventata la radice di tutti i mali: se qualcosa nella scuola non funziona, è colpa della Dad. Come se fosse diventata il tappeto sotto cui nascondere la polvere e lo sporco che si sono accumulati negli anni, frutto di tagli scellerati sulla scuola. La Dad non è il male assoluto, è accettabile ma soltanto come soluzione temporanea. Il problema più grave è la mancanza di un progetto forte sulla scuola del futuro: in questo momento non ha funzionato nulla, dai banchi a rotelle fino al Piano per il rientro in sicurezza della regione Piemonte. Chiudere le scuole è una sconfitta, delle istituzioni in primis, che in questi ultimi mesi si sono mosse poco, male e sempre in ritardo.

Cosa comporta, per un insegnante, la preparazione delle lezioni a distanza? L’Istituto Agnelli come si sta organizzando?

In generale cerchiamo di spiegare di meno, di svolgere più esercizi insieme e di essere più interattivi. Lavoriamo molto per ricercare o spesso per creare noi stessi i contenuti multimediali da sottoporre ai ragazzi. Proponiamo occasioni di ritrovo, di riflessione e di condivisione anche da casa. Come scuola, dopo esserci formati, stiamo sperimentando una didattica nuova, ricca di laboratori a distanza che permettano ai ragazzi di lavorare insieme. Oppure organizziamo degli incontri a distanza con autori: l’anno scorso con Benedetta Tobagi e Pietro Bartolo, il mese prossimo con Fabio Geda. Collaboriamo fra docenti per proporre percorsi multidisciplinari, mentre i colleghi dell’istituto tecnico stanno lavorando su intelligenza artificiale, realtà virtuale e sui robot dell’industria del futuro. Tanti progetti che speriamo appassionino e coinvolgano i ragazzi in un momento di fatica e disagio.

Ecco, si parla molto dei danni prodotti sugli studenti dalla chiusura delle scuole. Quali sono?

In questi mesi nei ragazzi sono emersi disturbi psicologici, è aumentato il fenomeno di dispersione scolastica, gli alunni hanno sofferto per la mancata socialità. Sono punti delicati e importantissimi, su cui si dovrebbe articolare un solido progetto per il rientro a scuola. Qualche settimana fa David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, è stato ascoltato in Senato in merito agli effetti della didattica a distanza e della situazione dei giovani: noia, solitudine, tristezza, insofferenza, disinteresse… Lazzari è stato molto chiaro: non basta spegnere il pc e abbandonare la scrivania per rimediare ai malesseri dei ragazzi e per rimotivarli allo studio. Purtroppo, e lo dico con molta amarezza, non mi sembra che al Ministero o in Regione stiano lavorando su questi punti. Si vive alla giornata e questa incertezza pesa moltissimo sui ragazzi.

Come immagina il mondo della scuola quando l’emergenza sarà finalmente superata? Tutto tornerà come prima oppure qualcosa è cambiato per sempre?

La pandemia ha dato un forte input all’utilizzo di piattaforme e altri strumenti digitale: docenti e alunni hanno maturato competenze specifiche che torneranno utili anche in presenza. Nulla però sarà come prima. Avremo nuove sfide davanti a noi: al di là del recupero degli argomenti, che tanto preoccupano i politici, ci saranno ferite e disagi di cui dovremo prenderci cura. Ci sono già adesso, anche se non si vedono o non si vogliono vedere.

Il coraggio degli Oratori aperti anche nella pandemia – La Voce e il Tempo

Il fondamentale servizio degli oratori nel lockdown: un grande sforzo per garantire l’attività educativa e il sostegno allo studio nel rispetto delle misure di sicurezza. Di seguito l’articolo pubblicato oggi su La Voce e il Tempo a cura di Stefano Di Lullo.

NEI COMUNI E NELLE PERIFERIE TORINESI – NEL TEMPO DEL COVID I CENTRI ORATORIANI RESTANO L’UNICO LUOGO DI INCONTRO INFORMALE CHE OFFRE UN CAMMINO EDUCATIVO PER GLI ADOLESCENTI E I GIOVANI

Il coraggio degli Oratori aperti anche nella pandemia

Chiusi in casa, relazioni annientate, tensioni familiari, incertezza sul futuro. Senza più attività sportive, aggregative, e perché no, anche culturali. Ansie e frustrazioni. Sono i danni che il Covid sta provocando negli adolescenti e nei giovani al di là di tutte le note difficoltà legate alla scuola.

Un’àncora di salvezza a questa situazione è certamente rappresentata dalla collaudata esperienza, particolarmente fruttuosa nell’area torinese, degli oratori, presidi sul territorio che hanno rappresentato gli unici luoghi informali di incontro possibile al di là delle panchine o dei locali nelle settimane in zona gialla.

Come mostrano i servizi che pubblichiamo tutte le settimane nella pagina «Oratori» de La Voce e il Tempo (in questo numero a pag. 29) i centri oratoriani stanno ripartendo con attività in presenza nel rispetto delle norme anticontagio per restituire ai ragazzi le relazioni perdute e sostenerli nel delicato percorso di crescita. Una moltitudine le iniziative, da Grugliasco a Settimo Torinese, da Rivoli a Ciriè, da Volpiano a Chieri e nelle periferie di Torino, portate avanti dagli oratori diocesani, molti affiliati alla Noi Torino, da quelli salesiani e di altre congregazioni religiose come i missionari della Consolata o i giuseppini del Murialdo.

Oltre ai progetti degli oratori in strada che intercettano i ragazzi più fragili sono ripartite le attività di doposcuola, quelle del sabato pomeriggio ed anche il «cortile» a piccoli gruppi come prevedono i protocolli. Gli oratori di Grugliasco nelle scorse settimane hanno rivolto un forte appello alla Città perché affianchi gli educatori nel sostenere gli adolescenti nelle attività di sostegno allo studio per guarire le ferite lasciate dai lockdown. Alcune parrocchie come Stimmate di San Francesco, Santo Volto e Cottolengo a Torino hanno unito le forze per aprire a turno l’oratorio del sabato a disposizione delle famiglie dei quartieri Parco Dora e Madonna di Campagna. Nei comuni fuori Torino l’oratorio è rimasto l’unica «piazza» di riferimento in cui i genitori possono confrontarsi sulla crescita dei propri figli. Imponenti poi i progetti degli oratori salesiani a sostegno dei ragazzi fragili e a contrasto della dispersione scolastica.

Molti oratori hanno accolto gli studenti che facevano fatica a collegarsi con la didattica a distanza.

«Abbiamo offerto agli studenti strumentazioni e supporto», spiega don Stefano Mondin, delegato della Pastorale giovanile dei Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta, «sono stati attivati anche aiuti per le famiglie colpite dalla crisi economica generata dalla pandemia. In generale abbiamo aiutato gli adolescenti a mantenere l’ordinario della vita. Ora stiamo strutturando con i Comuni e le fondazioni bancarie un piano per i garantire l’avvio dei Centri estivi».

Nella periferia di Borgo Vittoria l’oratorio San Martino della parrocchia Nostra Signora della Salute, affidata ai giuseppini del Murialdo, è sempre rimasto accanto alle famiglie.

«Alcuni nuclei familiari vivono in 5 o più persone in pochi metri quadrati», afferma il viceparroco don Samuele Cortinovis, «è molto difficile gestire la didattica a distanza e in generale una quotidianità, ed ecco che allora diventa fondamentale avere un punto di riferimento come l’oratorio».

«Stiamo vivendo una sorta di ‘terra di mezzo’ delle attività pastorali, degli oratori in particolare», sottolinea don Luca Ramello, direttore della Pastorale giovanile diocesana, «l’alternanza dell’andamento della pandemia e delle misure di prevenzione rendono complessa ogni progettazione e realizzazione delle proposte educative. Eppure, proprio come risposta a questo tempo, i nostri oratori stanno rivelando un sorprendente ‘coraggio creativo’, per usare una espressione di Papa Francesco, riferita a San Giuseppe. Sono coraggiosi perché sanno unire tutela della salute e instancabile passione educativa, per non lasciare sole le giovani generazioni. Ma sono anche creativi perché sono consapevoli che è cambiato il mondo e sono in prima linea nel rinnovamento del nostro stile pastorale, con sperimentazione e audacia».

«L’oratorio aperto», conclude don Stefano Votta, presidente dell’associazione Oratori Noi Torino, «permette di superare i conflitti che i ragazzi hanno in casa con se stessi e con la propria vita spirituale: in oratorio possono ricostruire le relazioni in un ambiente educativo dove si allontana il rischio di gesti di delinquenza come può avvenire sulle strade. Proprio in questo momento c’è bisogno degli oratori».

Labs to Learn al banco di prova – Vita Diocesana Pinerolese

Il free press cattolico Vita Diocesana Pinerolese n°4 di domenica 28 febbraio 2021 ha dedicato un articolo al progetto Labs to Learn. Si riporta di seguito il testo a cura di M.M.

SALESIANI – LABS TO LEARN AL BANCO DI PROVA

L’Associazione Giovanile Salesiana Per Il Territorio ha avviato in ottobre il nuovo progetto “Labs to Learn”, un progetto che si prefigge di contrastare la dispersione scolastica e prevenire la povertà educativa incrementando il numero dei giovani con difficoltà che assolvono l’obbligo scolastico, accedono alla formazione superiore e/o all’inserimento lavorativo, avviando un percorso di crescita personale secondo le proprie inclinazioni e aspirazioni.

Il progetto è rivolto a circa 1140 minori e adolescenti tra gli 11 e i 17 anni e le rispettive famiglie, nelle città di Alessandria, Bra, Casale Monferrato, Vercelli e Torino. Labs to Learn è un progetto ambizioso, perché si propone di validare modalità innovative e non convenzionali per favorire l’apprendimento, sviluppare le competenze trasversali, rinforzare le reti di prossimità, e concorrere alla costruzione di comunità educanti propositive e consapevoli.

Il progetto muove dall’esperienza degli oratori e dei centri di formazione professionale salesiani per proporre un’alleanza educativa con gli altri enti della comunità, con l’obiettivo di sperimentare percorsi di inclusione non convenzionali.

Giovedì 4 febbraio la cabina di regia ha incontrato i referenti dei sette territori sedi di realizzazione del progetto. A pochi mesi dell’avvio era necessario fare il punto sia sulle azioni avviate che su quelle di prossima attivazione. Infatti, la pandemia ha costretto non solo a ripensare alcune delle attività previste ma anche, sempre di più, a riflettere sulle modalità e strategie d’intervento, non solo del progetto ma più in generale sul lavoro educativo. Proprio su questo tema il dibattito ha evidenziato come alla sfida educativa già in essere, si sia aggiunta la sfida “Covid”.

Ovvero quella di trovarsi dinanzi non soltanto alla gestione di un transitorio periodo di emergenza, quanto piuttosto ad una revisione del lavoro di cura con i minori, soprattutto di quelli più fragili e vulnerabili. I diversi territori hanno condiviso le fatiche del lavoro quotidiano dove le distanze e la lontananza hanno messo a dura prova un lavoro sociale che fa della “presenza” e “sull’esserci” il suo tratto distintivo.

È emersa l’opportunità di potenziare le attività strutturate e di valorizzare al meglio le risorse dei diversi territori, portatori di differenti specificità e peculiarità. M.M.

Da studente Cnosfap a imprenditore: l’esperienza di Alin

Allievo della realtà Cnosfap, Alin Cazacu è stato in grado di aprire la propria attività -una pizzeria- anche grazie agli insegnamenti ricevuti durante gli anni come studente del corso di Addetto alle vendite del Cnosfap di Serravalle Scrivia.

Di seguito si riporta la notizia pubblicata sulla testata NoviOnline:

Alin Cazacu ha coronato il suo sogno di aprire un’attività in proprio, grazie ad una seria preparazione al mondo del lavoro e alla possibilità di stage in azienda per mettere subito in pratica ciò che era stato appreso ‘sui banchi’. Oggi ha 27 anni e vive a Sardigliano. Da tre – con il suo socio e migliore amico – ha aperto la pizzeria Il Quadrifoglio a Cassano Spinola. In questo periodo sono impegnati solo nell’asporto, ma la speranza è quella di riprendere a pieno regime l’attività di sala, giacché era diventata un punto di riferimento per i paesi limitrofi.

Alin ha frequentato il corso del Cnos di Serravalle per addetto alle vendite: “Me lo aveva consigliato un mio amico”, racconta “Mi aveva parlato di un bell’ambiente, utile per apprendere ed essere inseriti nel mondo del lavoro”.
Così il percorso formativo lo ha portato prima a fare uno stage in un negozio di abbigliamento, poi di cominciare a lavorare in una pizzeria come dipendente.
“In negozio ho messo in pratica le nozioni imparate soprattutto su come ci si pone verso la clientela, essere educato e come capire le esigenze di chi ti sta di fronte. Il corso è stato molto utile perché mi hanno insegnato anche l’inglese – indispensabile di questi tempi – e ho potuto prendere l’abilitazione haccp per la somministrazione di cibi e bevande che mi è tornato utile in seguito, risparmiando tempo e soldi. Infine, ho perfezionato le conoscenze teoriche in tirocinio: teoria e pratica per una formazione completa”.

Spiegano dalla sede della scuola professionale: “Il corso completamente gratuito prevede 300 ore di stage in collaborazione con le attività commerciali della zona (soprattutto l’Outlet) nel terzo anno di frequentazione, dopo i primi due in cui si insegnano materie integrative professionalizzanti”.
A seconda dell’indirizzo scelto gli insegnamenti cambiano: “Tecniche di vendita, gestione della cassa, organizzazione del punto vendita… oltre a inglese, russo e cinese commerciale, lingue richieste per rapportarsi con la clientela che arriva a Serravalle”.

Così dopo qualche anno da dipendente, Alin e il suo amico hanno deciso di mettersi in proprio. Ora sforna e serve pizze a Il Quadrifoglio e non vede l’ora di tornare ad apparecchiare i tavoli per tutti i clienti che hanno imparato a conoscerlo, apprezzare la sua professionalità e gustare le sue pizze.

Per informazioni
CNOSFAP SERRAVALLE SCRIVIA
Via Romita 67
0143 686465
email: segreteria.serravalle@cnosfap.net

La collaborazione tra Standox e il CFP – Carrozzeria Autorizzata

Il brand Standox, di Axalta, crede nella formazione dei giovani, futuro di tutti i settori. Per questo motivo sceglie di investire nella scuola. Un esempio è la collaborazione con i centri professionali che si dedicano alla carrozzeria come il Cnos-Fap di Fossano e il Cnos-Fap di Rebaudengo.
Si riporta, di seguito, l’articolo pubblicato oggi, 26 febbraio 2021, su “Carrozzeria Autorizzata“.

Standox per le “giovani leve”: scopriamo come imparano “l’arte del verniciare”.

Mettere le persone, ma soprattutto i giovani, al centro delle proprie strategie e credere molto nella formazione delle “giovani leve”: Standox, uno dei brand di Axalta, che crede in questi valori, è di nuovo protagonista di importanti collaborazioni in questo ambito.

Per Standox, infatti, le giovani leve sono il futuro per tutti i tipi di settori, anche in quello Refinish; ma trovare ragazzi, spiega l’azienda, che si appassionano al mondo della carrozzeria a tal punto da arrivare a farne una professione, non è una cosa così semplice e scontata.

Per il marchio, dunque, collaborare con scuole professionali di carrozzeria è punto di forza nonchè di orgoglio: vedere studenti che cercano di apprendere al meglio il mestiere del “carrozziere” è un investimento per il futuro.

Dalle prima collaborazioni ad oggi

Oltre 20 anni fa è nata la prima collaborazione tra Standox e il Cnos-Fap di Fossano (Cuneo), uno dei 58 istituti della federazione nazionale Cnos-Fap che si occupa di formazione e aggiornamento professionale. Tanti ragazzi da allora si sono avvalsi del know-how dei tecnici e trainer Standox e parecchi sono ora diventati carrozzieri.

Standox, insieme al concessionario del Piemonte Ap-Nice, ha da poco avviato una collaborazione con un altro istituto facente parte della federazione Cnos-Fap, quello di Rebaudengo (Torino). La scuola si occupa da decenni di formazione professionale nei settori dell’elettronica, meccanica e dell’autoveicolo, tra i quali la carrozzeria.

Orlando Pisciottano – Titolare Ap-Nice afferma:

“Collaborare con Standox Italia e il Cnos Fap di Rabuadengo è per noi fonte di soddisfazione e motivazione! Insieme lavoriamo per “costruire” il futuro nelle nostre carrozzerie.” 

La scuola di carrozzeria

Ma vediamo da vicino come funziona questa “scuola di carrozzeria”. La durata è triennale e i ragazzi si dividono tra giornate teoriche in aula e giornate propriamente tecniche di laboratorio: qui entra in gioco anche Standox.

Durante le prove in laboratorio, gli studenti hanno la possibilità di approcciarsi alle fasi pratiche della riparazione avvalendosi dei prodotti vernicianti Standox, oltre a tutte le attrezzature necessarie per imparare l’arte del refinishing.
Grazie alla collaborazione tra Standox e Ap-Nice, i ragazzi hanno la possibilità di seguire un percorso formativo dove i tecnici delle rispettive società saranno i loro docenti. I tecnici mostreranno in presenza le tecniche più adatte da utilizzare, i cicli applicativi e come leggere il colore.

Inoltre, se le restrizioni Covid 19 lo premetteranno, gli studenti saranno ospiti per una giornata presso il Centro Tecnico Axalta Refinish Italia di Covenago Brianza (Milano), a conclusione dell’anno scolastico.

In aula…

Il 4 febbraio scorso si è tenuta la prima giornata in aula con un Tecnico Axalta Refinish. La lezione è stata incentrata su come leggere ed identificare il colore corretto. Il tecnico ha illustrato le varie tecniche concentrandosi su quelle digitali più attuali e performanti grazie l’utilizzo dello Spettrofotometro Standox Genius iQ, in dotazione della scuola.

I ragazzi hanno inoltre avuto modo di fare alcune prove di lettura colore da pezzi di lamiera verniciati e, grazie al software colore Standowin iQ,  la formula colore viene trasmessa direttamente alla bilancia. Tutti hanno testato in prima persona l’importanza di identificare la corretta tinta prima di una qualsiasi riparazione e la rapidità e facilità di questa operazione, grazie all’ausilio di strumenti innovativi e di ultima generazione.

Fabrizio Berta – Direttore CFP Salesiano Cnos-Fap Rabuadengo – dice:

“Collaborare con aziende leader del settore e persone altamente professionali, ci supporta nella nostra filosofia di avere una formazione d’eccellenza, in tutti gli ambiti.”

Standox, infine, conclude così:

“In bocca a lupo a tutti i ragazzi che vogliono imparare “l’arte del verniciare”  … !

Cnos Fap Savigliano – Una crostata per dire grazie ai sanitari dell’ospedale impegnati contro il Covid-19

Da Il Saviglianese, un articolo con la notizia di un dolce preparato dai ragazzi del CNOS-Fap di Savigliano per ringraziare i sanitari dell’ospedale impegnati nella lotta al Covid-19.

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Crostata di cioccolato per ringraziare i sanitari del SS. Annunziata Quando ti dicono «grazie di cuore» per qualcosa fa sempre piacere. Ancor meglio se questa frase è fatta di cioccolato, su una bella crostata anch’essa farcita al cioccolato. È il regalo che la scuola salesiana Cnos-Fap della nostra città ha voluto fare agli operatori sanitari del Santissima Annunziata. «Un modo per dire il nostro grazie – spiega il direttore Gianluca Dho, a nome di allievi e formatori della scuola – per tutto quello che hanno fatto e continuano a fare per la salute delle nostre comunità» . La grande crostata è stata divisa ed inviata ai reparti maggiormente coinvolti nella cura del Covid-19. L’Asl, tramite il nostro giornale, vuole esprimere «un pubblico ringraziamento da parte del personale della Direzione sanitaria, del Pronto soccorso, dell’Anestesia e Rianimazione e della Medicina Covid dell’ospedale di Savigliano» per il gradito omaggio.

Osservatore Romano – Una scuola nuova

Sull’edizione cartacea e online de L’Osservatore Romano di oggi, 23 febbraio, è uscito un articolo che parla dei progetti “UsAid – “La risposta del VIS, Salesiani per il sociale Aps e CNOS-FAP all’emergenza COVID-19 in Italia – Salesian Solidarity with Italy: the Emergency Response to COVID-19” e di “Dare di più a chi ha avuto di meno”.

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È un progetto che si protrarrà oltre l’estate, probabilmente fino a ottobre, quello voluto e finanziato dall’agenzia governativa di sviluppo UsAid, per far fronte all’emergenza conseguente al covid-19. In partnership con Salesian Missions, associazione presente in oltre 100 Paesi del mondo, sono stati destinati a circa 24.000 tra studenti, insegnanti, migranti e rifugiati di 16 regioni italiane più di 470 dispositivi tra tablet e pc, allo scopo di rispondere all’emergenza educativa e sociale che è andata, in questi mesi, a sovrapporsi all’emergenza sanitaria.

Tra le conseguenze della pandemia si registrano, infatti, nei quartieri e nelle periferie delle città italiane, un marcato aumento della dispersione scolastica tra gli studenti in condizioni di maggiore fragilità, una maggior disuguaglianza tra i minori che hanno accesso agli strumenti didattici e quelli emarginati dalla scuola a distanza, tra le famiglie con maggiori mezzi, anche culturali, e quelle più vulnerabili.

Mitigare l’impatto di una crisi in cui, secondo una recente ricerca, sempre più diffusi sono i problemi di connettività (44,7 per cento), di mancanza di dispositivi (42%) e di incapacità di utilizzo dei software (25,9%) richiede interventi che agiscano su più fronti e non occasionali, ma inseriti in percorsi di recupero e accompagnamento, tesi a costruire relazioni sociali che siano di modello e guida per i più giovani, disorientati dal venire meno del contatto diretto con i coetanei e con gli educatori, in passato alimentati nel contesto scolastico e nei circuiti parrocchiali.

Anche per questo, il progetto prevede la sperimentazione, in alcuni comprensori, di nuove modalità di insegnamento per le materie laboratoriali, ricorrendo, in aula, alla realtà virtuale. Questa strada è stata scelta dai missionari salesiani, nella convinzione che limitarsi alla distribuzione di dispositivi per la connessione non avrebbe potuto sortire sufficienti benefici: i ragazzi, in particolari se provenienti da situazioni difficili di solitudine o emarginazione, vanno seguiti nella crescita, per evitare che siano esposti ad ulteriori rischi.

Così, a partire da Torre Annunziata, è nata l’idea delle Aule Dad: «Grazie al progetto “Dare di più a chi ha avuto di meno”, teso al contrasto della povertà educativa minorile, finanziato durante il primo lockdown dai fondi dell’impresa sociale Con i bambini, abbiamo raggiunto un accordo con l’istituto Giacomo Leopardi, per poter continuare a seguire da casa i bambini in Dad», spiega Rino Balzano, assistente sociale dell’associazione Piccoli passi grandi sogni di Torre Annunziata. Fondamentale, infatti, è non disperdere i frutti di un’esperienza di dialogo e vicinanza durata nei mesi dell’isolamento, quel legame di confidenza e apertura essenziale per gli adolescenti.

Un progetto, unico e di grande valore, anche perché flessibile. Nella seconda fase del lock-down, infatti, quando le uscite erano consentite, ma le lezioni in presenza non erano ancora possibili, grazie alla collaborazione con la scuola che ha ceduto gli strumenti all’associazione, sono state aperte diverse aule per offrire ai ragazzi la possibilità di seguire le lezioni con il sostegno degli educatori. «Abbiamo formato piccoli gruppi di 3-4 ragazzi, sempre gli stessi e con il medesimo educatore, in moda da creare delle bolle in sicurezza — spiega Balzano — e siamo arrivati ad accogliere in classe oltre 25 studenti al giorno, garantendo anche il supporto didattico». Questo si è reso necessario perché dalla scuola giungevano comunicazioni dei numerosi casi di ragazzi e bambini che non riuscivano ad accedere al portale per la Dad o che non erano in condizioni di scaricare compiti e verifiche.

L’aspetto centrale, tuttavia, riguarda il supporto emotivo per evitare qualsiasi forma di isolamento nell’adolescente, per mantenere viva la socialità, la voglia di stare insieme agli altri, anche se a distanza. «Certo, il futuro è incerto — prosegue Balzano — noi per i ragazzi ci siamo sempre, anche ora con le scuole parzialmente aperte e con molti ragazzi che rischiano di non trovare un’ancora a cui aggrapparsi». Un impegno educativo e sociale che, fortunatamente, non rappresenta un unicum: similmente diverse aule dell’istituto Don Bosco di Napoli sono state allestite per la Dad, grazie all’intervento di UsAid e della casa salesiana del capoluogo campano.

Mentre nella prima fase della pandemia, infatti, avevano provveduto le scuole stesse alla fornitura di pc o tablet a chi non poteva permetterseli, da ottobre, con il venir meno di questo servizio, le attività di studio sono state possibili solo negli spazi allestiti in sicurezza e destinati ai ragazzi: queste non solo erano occupate al mattino, ma anche al pomeriggio, dove, sempre in presenza degli insegnanti, si alternava il secondo turno. Al mattino i ragazzi erano suddivisi in due classi, ognuna con un proprio educatore, mentre il pomeriggio c’era un solo gruppo da 10, con il relativo insegnante.

L’esperimento ha funzionato molto bene e, con il passaparola, le presenze sono via via aumentate, anche perché le scuole hanno aderito al progetto, segnalando gli studenti in difficoltà. Poiché le richieste di adesione andavano moltiplicandosi, sono stati introdotti turni extra da parte degli educatori, non essendo sufficiente la capacità di accoglienza delle aule Dad per soddisfare le nuove necessità. A differenza della primavera scorsa, infatti, dall’autunno le attività lavorative hanno ripreso più o meno regolarmente, e, in assenza dei genitori, i ragazzi sarebbero stati ancora più abbandonati a loro stessi. Alla partnership originaria con UsAid, partecipa ora anche l’associazione della rete salesiana con sede in Sicilia Don Bosco 2000, da oltre 20 anni impegnata sul fronte della cooperazione internazionale, sia con progetti a sostegno delle comunità locali in Africa, che con programmi di accoglienza e sostegno a migranti, richiedenti asilo, minori e donne, italiani e stranieri, vittime dirette e indirette di qualsiasi forma di abuso psico-fisico o di discriminazione socio-culturali.

In questo quadro di azione, con UsAid, la Colonia Don Bosco di Catania ha accolto tre giovani gambiani, che, almeno per tutta la durata del progetto, saranno ospitati presso la struttura, dove avverrà anche la fase di orientamento e alfabetizzazione. Questa attività ha consentito all’associazione di avanzare formale richiesta al Servizio Centrale di inserimento nel progetto Siproimi di Aidone, in provincia di Enna. È giunto in questi giorni il benestare che ha permesso il trasferimento dei giovani. Tra loro, il più piccolo, ha già iniziato il percorso scolastico, tanto desiderato, presso l’istituto alberghiero di Catania. Ora, attraverso l’accoglienza integrata prevista dal Siproimi, sarà possibile pensare al loro futuro con un minimo di progettualità, che comprenda la tutela legale con richiesta di protezione internazionale e un buon servizio di assistenza sociosanitaria, psicologica e scolastica.

In occasione, poi, della festa di san Giovanni Bosco, lo scorso 31 gennaio, Don Bosco 2000 ha inaugurato lo sportello itinerante del progetto Usaid per il sostegno ai soggetti in situazioni di gravi difficoltà a causa dell’emergenza covid-19: grazie alla disponibilità del direttore dell’oratorio, don Giuseppe Cutrupi, è stato attivato il servizio 24 ore al giorno.

di Silvia Camisasca