Si riporta di seguito la lettera dell’Ispettore del Piemonte e Valle d’Aosta don Leonardo Mancini con gli auguri per la Festa di don Bosco.
A confratelli e laici corresponsabili di
Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania
Carissimi/e,
un saluto cordiale a tutti voi.
Vi scrivo in prossimità della festa del nostro padre Don Bosco, per farvi gli auguri e per affidare alla sua intercessione tutti coloro che fanno parte delle nostre comunità educativo-pastorali. Affidiamo all’intercessione di Don Bosco in modo particolare quanti oggi si trovano in condizioni di difficoltà materiale o spirituale; tra gli altri desidero ricordare il Sig. Giacomo Bonassoli e Don Silvio Carlin, che si trovano entrambi in gravi condizioni di salute.
Oltre a questo vorrei però chiedere a Don Bosco, per me e per voi, anche un altro dono particolare: gli chiedo che ci insegni ad imitare il suo sguardo. Sono senz’altro tante le caratteristiche di Don Bosco che ci colpiscono, ma adesso desidero fermarmi unicamente sul suo sguardo, su come lui ha scelto di guardare il mondo; o meglio, sulla prospettiva a partire dalla quale egli ha scelto di guardare il mondo.
Anni fa uscì una serie di disegni, ripresi da sue foto o quadri, che raffiguravano gli occhi di Don Bosco visti da punti di vista e con tagli differenti. Era un modo per dire che il suo sguardo aveva una fascino particolare ed anche una sorprendente capacità di trasmettere affetto: lo sguardo era senz’altro uno degli strumenti che permettevano a Don Bosco di infondere quell’amore dimostrato e personalizzato che lui chiamava “amorevolezza”; il suo sguardo “parlava” alla persona e la faceva sentire unica!
Per giungere a maturare quello sguardo, oltre all’aiuto indispensabile dello Spirito Santo che modella il cuore a chi permette di lasciarselo plasmare, credo che Don Bosco sia passato attraverso la convinzione che bisognasse scegliere una prospettiva particolare da cui guardare il mondo: bisognava scegliere di guardarlo dalla parte dei giovani, con gli occhi stessi dei giovani (ma con il cuore di Dio): Amate quello che amano i giovani, perché i giovani amino quello che amate voi.
L’esperienza vissuta in carcere con Don Cafasso all’inizio del suo ministero sacerdotale, esperienza che gli permette di conoscere le drammatiche conseguenze a cui va incontro un ragazzo abbandonato a sé stesso, gli insegna (anche se lui aveva già cominciato a capirne la necessità alla scuola attenta di Mamma Margherita) che per aiutare davvero gli altri – ed in particolare i giovani – bisogna prima conoscerli, capirli, amarli, mettersi nei loro panni, accorgersi delle loro ferite, amare quello che loro preferiscono, guardare il mondo come loro lo vedono.
Ho l’impressione che spesso noi educatori corriamo il rischio di seguire il procedimento opposto: chiediamo ai giovani di guardare il mondo solo come lo vediamo noi, e non accettiamo il confronto.
Mi pare che Don Bosco non faccia così. Andando – potremmo dire – alle periferie
geografiche ed esistenziali del mondo giovanile, camminando in una sorta di esodo personale – quello richiesto dalla sua vocazione – egli prova a guardare le cose come si vedono da lì, dalla periferia; ed in particolare come si vedono con gli occhi dei giovani del carcere. Credo che questo gli permetta di comprendere meglio perché un giovane arriva alla reclusione: egli intuisce la solitudine di chi giungendo dalle vallate di montagna per lavorare a Torino si trova presto senza soldi, senza aiuti, lontano dagli affetti familiari e possibile vittima di sfruttamenti. Gli appare evidente il rischio che i ragazzi – trovandosi in questa situazione – cadano nell’illecito, che scivolino verso modalità di vita poco dignitose, che diventino via via incapaci di cogliere ciò che è davvero importante, che perdano il gusto di ricercare il senso dell’esistenza, il progetto che dall’eternità Dio ha sognato per ciascuno di loro; che considerino Dio come un nemico, o comunque come insignificante e assente dalla loro vita. E nello stesso tempo, dentro lo sguardo dei ragazzi carcerati, Don Bosco intuisce anche sogni, desiderio di riscatto, consapevolezza della propria fragilità…
Don Bosco comprende allora che deve trovare il modo di aiutare i ragazzi offrendo loro gli strumenti ed i sostegni adeguati. Capisce che c’è bisogno di amici dell’anima (se fuori trovassero un amico…) ma anche di amici del corpo: cioè di chi dia da mangiare, dormire, giocare, imparare, lavorare e faccia sentire l’affetto di un papà e di una mamma ora lontani.
Don Bosco sceglie di fatto una “visione prospettica periferica”, e probabilmente non perché voglia limitare ai ragazzi più poveri (anche se li preferisce: specialmente i più poveri) la sua azione educativa e pastorale, ma perché comprende che quel punto di vista gli permette poi di allargare lo sguardo e il suo raggio d’azione davvero su tutti: è partendo dai piccoli, dai poveri, che si raggiungono anche i “grandi”, mentre è raro che si riesca ad includere tutti se si utilizza il procedimento contrario!
Non sorprende la scelta “periferica” di Don Bosco: è dello stesso genere infatti la scelta dell’Incarnazione da parte del Verbo. Dio anticipa il tipo di prospettiva esplorata da Don Bosco, decidendo di porsi Lui stesso alla “periferia” della creazione, dove il peccato sta minando la salvezza terrena ed eterna dell’uomo e dell’intero universo; egli sceglie perciò di vivere, insegnare, lavorare, amare, morire… da uomo, caricandosi il peccato del mondo. Il maestro della visione prospettica periferica scelta da Don Bosco è il Signore Gesù.
Celebrare la festa di Don Bosco credo allora che possa significare anche riscoprire il suo “sguardo prospettico periferico”, il punto di osservazione da lui scelto per guardare il mondo, ed imitarlo, per quanto ci è possibile! È il punto di osservazione che anche il Papa ci chiede di avere nel guardare la realtà. È un tipo di prospettiva, di sguardo, sul quale tutta la Chiesa – in uscita – è invitata a verificarsi.
Carissimi, in questo tempo di pandemia siamo chiamati una volta di più a guardare il mondo come lo stanno guardando adesso i giovani; in questa sorta di “reclusione” in cui tutti siamo costretti, probabilmente maturano nuove povertà ed anche nuovi sogni. Ci aiuti Don Bosco ad assumere il suo sguardo per capire che cosa sta abitando il cuore dei giovani
e per meglio contribuire alla salvezza della gioventù, «questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società» (MB II 45).
Buona festa a tutti!
Valdocco, 31 gennaio 2021
Con grande affetto in Don Bosco
Don Leonardo Mancini