Dal sito del CFP di Fossano.
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Se fosse tutto qui, non sarebbe nemmeno il caso di dare la notizia: dalla pubblicazione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi alle numerose testimonianze della senatrice Liliana Segre, la guerra è un racconto che talvolta torna a visitare le nostre lezioni.
Ma la signora Lucia Castellino, di 97 anni – portati in maniera straordinariamente lucida e serena – ha raccontato, insieme a suo nipote Giuseppe, di 84 anni, la quotidianità attraversata dalle persone comuni durante la seconda guerra mondiale, sia prima, sia dopo l’8 settembre.
E l’incontro con una persona quasi centenaria, capace di farsi seguire e di catturare un pubblico lontanissimo da quelle vicende, non è mai incolore. Perché abbiamo avuto questa occasione? Lo dobbiamo a Lucas, un allievo del terzo anno di Termoidraulica: Giuseppe è suo nonno.
Incontro che è iniziato con un chiaro messaggio da parte di Lucia Castellino: “la guerra sia maledetta!”: è un disastro per chi la perde ed è un disastro anche per chi la vince. La distruzione è l’unica certezza di una guerra.
Dopo questo monito iniziale sono iniziati racconti delle memorie vissute da entrambi. Ne è risultato un quadro di esperienze talvolta leggere, ma più spesso pesanti e dolorose, accadute durante la guerra: il pianto dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, (Lucia Castellino aveva 14 anni), il fratello e il cognato morti combattendo o nella ritirata di Russia, la povertà (“Anche se, la fame vera e propria, non l’abbiamo conosciuta: apparteneva a chi viveva in città”), il dramma di un gelato pagato quattro soldi – un ventesimo di lira – che cade dal cono e si squaglia nella polvere, l’officina del papà costretta a riparare pezzi meccanici sia per i Nazisti sia per i partigiani, le brigate regolari e corrette del comandante Piero Cosa in valle Pesio, gli sbandati, i partigiani irregolari, il lavoro di “elektriker” dello zio costretto a servire la Whermacht, la carezza di un soldato nazista ad una vacca che fa dire a Lucia “Ho pensato che se uno accarezza una vacca, conosce la vita dei campi, quindi lui era come ero io, un contadino che di sicuro amava più la campagna che le armi”…
La storia è sempre un racconto di eventi accaduti. Ma quando il racconto è narrato da qualcuno che l’ha vissuto direttamente, qualcuno che – si può dire – l’ha respirato giorno dopo giorno, la storia acquisisce uno spessore diverso: non è più un sapere lontano di cui non sono chiari i confini, i dolori, le tragedie, ma diventa piuttosto un’esperienza comprensibile, vicina a quelle che tutti noi viviamo nella sicurezza delle “nostre tiepide case”.
Lucia e Giuseppe ci hanno ricordato di scolpire queste parole nel nostro cuore, ce le hanno ripetute come se fossimo i loro figli, affinché non dimentichiamo mai di maledire la guerra.