Articoli

I “CATECHISTI” ROSMINI E DON BOSCO, UN’ACCOPPIATA VINCENTE – FAMIGLIA CRISTIANA

Alla vigilia della festa del 31 gennaio, “Famiglia Cristiana” pubblica la storia dell’ incontro tra il Santo dei giovani e l’Abate riformatore avvenuto nel 1846 così come ci viene consegnata dalle “Memorie biografiche” del sacerdote torinese, redatte da Giovanni Battista Lemoyne. Di seguito l’articolo pubblicato il 22 gennaio 2021 su “Famiglia Cristiana“, a cura di Antonio Tarallo.

Le vite degli uomini santi si incrociano spesso. E così è stato nel 1800 per due uomini che hanno rappresentato la Chiesa del Piemonte: don Giovanni Bosco e il filosofo Antonio Rosmini. Due menti, due cuori, due biografie del tutto – e in molto – assai differenti. Hanno animato il dibattito ecclesiale di un’epoca complessa e – al contempo – ricca: sono anni difficili che precedono l’ unità d’ Italia.  La forte tempra spirituale di Rosmini si consumava nei dibattiti politico-culturali, nella missione diplomatica romana, vicino a papa Mastai Ferretti, Pio IX, e nello studio “matto e disperatissimo” (come scriverebbe Leopardi) della dottrina cristiana.  Don Bosco, invece, sacerdote “di strada” era sempre alla ricerca dei mezzi materiali per aiutare concretamente i suoi ragazzi “pericolanti e pericolosi”.

Il santo sacerdote torinese, di diciotto anni più giovane del fine letterato, durante la sua missione, si rivolse a lui in più occasioni per poter chiedere aiuti economici per la sua opera.  Ma prima di tutto ciò, vi è un episodio assai particolare: un incontro che avvenne sul “campo dell’ educazione”, potremmo dire. Educare, verbo fondamentale per entrambi: chi in un modo, chi in un altro, entrambe le figure erano dedite a questo ideale di “formazione”. L’ uno, Don Bosco, aveva a cuore le anime dei ragazzi; l’ altro, il Rosmini, le menti degli italiani. Eppure avvenne un giorno in cui i due cooperano assieme per il catechismo dei “poveri e abbandonati” ragazzi.

Oratorio di San Francesco di Sales, in Valdocco, a Torino. Siamo nel 1846. Mentre Don Bosco è intento a fare catechismo ai suoi ragazzi “ebbe la visita di due rinomatissimi sacerdoti forestieri”, così viene descritta la scena nelle “Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco” raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne (1904). Lasciamoci, allora, avvolgere da questo avvincente racconto: «Trovandosi in Torino, si presentarono all’Oratorio per fare conoscenza con Don Bosco. Erano circa le ore due. I giovani stavano allogandosi, e Don Bosco vedendovi mancare parecchi catechisti si torturava il capo per improvvisarne e disporre le classi, quando i due Ecclesiastici accostatisi a lui, mostrarono vaghezza di parlargli. – Vi è questo signor Abate, disse uno dei due accennando al compagno, ed io pure, che desideriamo di visitare il suo Oratorio e di osservare il metodo che la S. V. vi tiene. – Troppo volentieri, rispose Don Bosco, io farò loro visitare l’Oratorio in tutte le sue particolarità; ma piuttosto dopo le funzioni: ora, come vedono, sono qui tutto occupato tra queste centinaia di giovani. Ma è Iddio che in questo momento li ha mandati. Abbiano la bontà di aiutarmi a fare il Catechismo e poi parleremo a nostro bell’agio. Ella, soggiunse ad un di essi che gli sembrava di maggiore autorità, vorrebbe favorire di fare il catechismo alla classe che è nel coro dove sono i più grandicelli? – Ben volentieri! rispose quel sacerdote. – Ella, proseguì Don  Bosco rivolgendosi al secondo, avrà in presbiterio la classe d’i più dissipati! Anche il secondo religioso aderì all’invito colla miglior voglia del mondo».

Il silenzio dei ragazzi alla spiegazione di quel sacerdote, sorprese immensamente don Bosco che si era posto in un luogo “donde poteva udire colui che catechizzava in coro, l’udì parlare della fede con esempi e paragoni. – La fede, diceva, si aggira intorno a quelle cose che non si vedono; delle cose che noi vediamo, non si dice: “Io le credo”; le cose che noi vediamo, le giudichiamo: si credono invece le cose che non sono a noi sensibilmente presenti”. Il giovane sacerdote torinese aveva trovato un catechista perfetto: un oratore che riusciva a parlare – con semplicità – del mistero di Dio. Questo catechista aveva un nome: Antonio Rosmini.

“I giovani sono sismografi e sentinelle del loro tempo”: Famiglia Cristiana intervista don Rossano Sala

Pubblichiamo l’intervista di Famiglia Cristiana a don Rossano Sala, autore del libro “Intorno al fuoco vivo del Sinodo” (Elledici), di cui è stato segretario speciale. L’articolo è a firma di Antonio Sanfrancesco.

“I giovani sono sismografi e sentinelle del loro tempo. E oggi siamo di fronte ad un grande passaggio ecclesiale che ci sta portando verso una “fede di convinzione”. Non si tratta di trovare responsabili o di incolpare qualcuno, ma di entrare con fiducia e coraggio in una nuova epoca”.

Don Rossano Sala, salesiano, docente di Teologia Pastorale e pastorale giovanile alla Pontificia Università Salesiana di Roma, ha racconto nel libro Intorno al fuoco vivo del Sinodo (Elledici, pp. 608, con un invito alla lettura di papa Francesco), uscito di recente, la sua esperienza di segretario speciale del Sinodo dei giovani del 2018.

È ancora vivo quel fuoco? E come si trasmette?
«Utilizzo due immagini evangeliche per rispondere. La prima è quella del fuoco, che rimanda alla parola di Gesù quando dice di “essere venuto a portare il fuoco sulla terra”. Il Sinodo ha cercato di riaccendere nel cuore della Chiesa questo affetto profondo per le giovani generazioni. Questo fuoco si trasmette nel momento in cui lo si è ricevuto da Dio, in quanto l’ evangelizzazione è l’ irradiazione della rivelazione di Dio. E c’ è un unico modo per irradiare: essere luminosi! L’ altra immagine è quella del seminatore perché il Sinodo è stato una grande semina. Nella parabola si vede molto bene che il seminatore è molto generoso, perché semina dappertutto, e disinteressato, perché affida con fiducia il seme alla terra. Fuor di metafora, il Sinodo è ora affidato alle chiese locali, alle diocesi. Tocca a loro far germogliare e fruttificare i tanti semi che sono stati gettati».

Lei ha affrontato il tema del Sinodo, e dei suoi frutti, con lo “schema” delle costellazioni. Perché?
«Penso alla pastorale giovanile come un “campo di ricerca e di azione” piuttosto che a una disciplina specifica o a un’ azione puntuale. Le costellazioni sono un’ immagine bella per dire questo, perché hanno una loro singolarità, ma insieme formano un unico cielo stellato. Ne ho identificate cinque: la prima legata ai nostri modelli teologici e antropologici; la seconda ruota intorno ai temi dell’ accompagnamento, dell’ annuncio e del discernimento vocazionale; la quarta approfondisce i temi dell’ educazione, della scuola e dell’ università; la quinta è più direttamente “salesiana”, perché si riferisce a don Bosco, all’ oratorio e alla famiglia. La terza, “Giovani, Chiesa e Sinodo”, sta al centro del libro, perché lì ci stanno gli otto contributi più specifici che vengono dal percorso sinodale».

Scarsa frequenza, disaffezione, pochi sacramenti. Perché alla Chiesa di oggi mancano i giovani? Di chi è la responsabilità?
«I giovani sono sismografi e sentinelle del loro tempo. Sono i più sensibili ai cambiamenti d’ epoca. E oggi siamo di fronte ad un grande passaggio ecclesiale che ci sta portando da una “fede di tradizione” verso una “fede di convinzione”. Non si tratta di trovare responsabili o di incolpare qualcuno, ma di entrare con fiducia e coraggio in una nuova epoca della vita di fede. Nel 1969 il giovane teologo Joseph Ratzinger affermava profeticamente che la Chiesa del futuro “diventerà più piccola, dovrà ricominciare tutto da capo. Essa non potrà più riempire molti degli edifici che aveva eretto nel periodo della congiuntura alta. Essa, oltre che perdere degli aderenti numericamente, perderà anche molti dei suoi privilegi nella società. Essa si presenterà in modo molto più accentuato di un tempo come la comunità della libera volontà, cui si può accedere solo per il tramite di una decisione”. Ecco cosa sta avvenendo: dobbiamo farcene una ragione ed entrare nel migliore dei modi in questo nuovo scenario».

I viaggi del cuore – All’ascolto della lezione di Don Bosco, gigante della Santità

Pubblichiamo un articolo di Famiglia Cristiana di don Davide Benzato che conduce la trasmissione “I viaggi del cuore” ogni domenica mattina alle 9 su Rete4 e che sarà dedicata a Don Bosco.

La puntata de “I viaggi del cuore” dedicata a Don Bosco, e in particolare alla Basilica di Maria Ausiliatrice di domenica 27 su Rete 4.

Guide della puntata, il Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice, don Guido Errico, il suo predecessore, don Cristian Besso, e il presidente di Missioni Don Bosco, Giampietro Pettenon i quali accompagneranno gli spettatori dei “Viaggi del cuore” di Rete 4 a conoscere i luoghi dove si è formata e ha mosso i primi passi la storia dei salesiani.

***

C’è una frase di Chiara Amirante che mi viene in mente pensando a don Bosco: «L’amore non è cieco, l’amore ci vede molto bene. Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’amore». San Giovanni Bosco diceva: «Camminate coi piedi per terra e col cuore abitate in cielo». Questo santo è difficilmente catalogabile perché non si può ridurre all’aspetto sociale. Pur essendo stato uno dei santi che vi ha maggiormente inciso a livello mondiale, non si può negare che sia stato un mistico, con sogni rivelatori e profezie che ancora oggi parlano in modo forte a chi abbia il gusto di leggerli. È stato un santo che ha influito concretamente nella storia d’Italia e della Chiesa, amico di Papi a cui non temeva di parlare con franchezza e conoscente della Casa Savoia, a cui consegnò profezie drammatiche all’epoca della legge Rattazzi, che comportò la soppressione degli ordini religiosi.

Un santo che ha avuto un’infanzia durissima, una vocazione anomala per i tempi, sentendo di dover essere vino nuovo in otri nuovi, preso per pazzo da molti, rischiando il ricovero coatto, disposto a passare giorni e notti coi ragazzi inventandosele tutte, a partire dai giochi di prestigio, per tirarli via dalla strada. Un santo che non ha tenuto nulla per sé, vivendo povero con i poveri e aiutando chiunque senza pensare ai propri interessi, dando le basi di un metodo preventivo e formativo che ha fatto la storia, tutt’oggi valido e diffuso nel mondo.

San Giovanni Bosco, canonizzato il primo aprile 1934 da papa Pio XI, fondatore delle Congregazioni dei Salesiani e delle figlie di Maria Ausiliatrice, è un santo che difficilmente si può descrivere con poche parole. Con “I Viaggi del Cuore” cercheremo di conoscere meglio questo gigante della Chiesa, visitando il centro salesiano di Valdocco, a Torino, dove la sua opera ebbe inizio. Oggi ci lasciamo ispirare da tre delle sue frasi che si ricordano: «In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene», «La Santità consiste nello stare sempre allegri», «Amate ciò che amano i giovani a fine che essi amino ciò che amate voi».

 

 

 

Suor Smerilli: Una conversione ecologica per rigenerare il mondo

Pubblichiamo un articolo di Famiglia Cristiana nel quale suor Alessandra Smerilli, docente all’Auxilium e consigliere di Stato Vaticano, racconta la sfida dell’economia dopo l’esperienza del Covid-19.

***

«Si dice che, dopo il Covid-19, dobbiamo ripartire. Ma davvero siamo convinti che sia utile ripartire facendo esattamente quello che facevamo prima? Nel gruppo di lavoro di cui faccio parte, preferiamo usare il verbo “rigenerare”, andare verso una trasformazione dell’economia, del mondo del lavoro e della società imparando da ciò che abbiamo vissuto. Crediamo sia questa la vera sfida, dopo il trauma della pandemia che ha investito tutto il pianeta». Religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, suor Alessandra Smerilli, 45 anni, originaria di Vasto (Chieti), insegna Economia politica alla Pontificia facoltà di scienze dell’educazione Auxilium di Roma, l’università delle suore Salesiane. Papa Francesco l’ha nominata lo scorso anno consigliere di Stato della Città del Vaticano. E in questo ruolo sta coordinando una task force di economisti all’interno di una commissione fortemente voluta dal Papa, che ha il compito di elaborare proposte innovative a partire dall’esperienza del Covid-19.

CREATIVITÀ EVANGELICA
«Quello che stiamo vivendo è un periodo delicato e decisivo», afferma suor Smerilli, «che può essere l’occasione per una transizione positiva, ma che richiede grandi cambiamenti: nel mondo del lavoro, nell’economia, nella nostra stessa organizzazione sociale, nel nostro equilibrio con la natura. Il Papa ha chiesto a noi economisti delle proposte concrete per affrontare queste sfide, che abbiano basi solide ma anche la creatività del Vangelo». La direzione verso cui la commissione post Covid-19 del Vaticano sta lavorando è quella di un modello economico più sostenibile e dell’ecologia integrale, per questo suor Alessandra è coinvolta anche nell’anno di celebrazioni della Laudato si’, l’enciclica sulla custodia del creato di papa Francesco, a cinque anni dalla pubblicazione il 24 maggio 2015. «Questi cinque anni sono stati il periodo della ruminatio», afferma suor Smerilli. «La Laudato si’ è stata accolta subito con entusiasmo, anche in ambienti non cattolici. Sono partite iniziative in tutto il mondo: penso alle famiglie che si sono unite per ridurre i consumi, alle nuove “comunità Laudato si’”, alle università e alle parrocchie che stanno attuando la conversione ecologica e danno spazio a una spiritualità del creato, all’interessante fenomeno dei monasteri a impatto zero, a tante persone non credenti che si sono mosse ispirate dall’enciclica. All’inizio si è trattato di iniziative sporadiche, che poi però sono state messe a sistema da chi, profondamente convinto, si è fatto promotore del cambiamento. L’anno di celebrazione sarà un altro inizio, cui seguiranno sette anni – un numero biblico, non a caso, per far crescere queste pratiche di transizione ecologica e replicarle, fare massa critica e aumentare l’impatto sulla politica e su chi deve prendere decisioni».

UN ANNO DI INIZIATIVE
A partire dal primo settembre, giornata per la salvaguardia del Creato, fino a maggio del 2021, il programma dell’anno della Laudato si’ vedrà coinvolte Chiese locali, ordini religiosi, scuole e università, imprese e parrocchie, attraverso eventi, seminari e occasioni di confronto. Anche l’arte avrà un ruolo importante: «Lo spirito della Laudato si’ parte da uno sguardo contemplativo sul creato», afferma suor Alessandra. «L’arte in questo processo è importantissima perché ci dice gratuità, passione. Ci dice che a smuoverci è la tensione verso il bello, non tanto il fatto che “dobbiamo” cambiare i comportamenti». Un’eredità che questo anno vuole lasciare sono le living chapel, le cappelle viventi: luoghi di preghiera all’aperto, realizzati con materiali ecosostenibili, all’insegna dell’armonia tra spiritualità e natura, grazie all’apporto delle arti, dalla musica all’architettura. La prima living chapel è sorta nell’orto botanico di Roma. «La seconda si sta progettando in Veneto». «L’obiettivo dell’anno di celebrazione della Laudato si’ e dei sette anni seguenti è entrare nel concreto della transizione ecologica», continua la religiosa salesiana. «Cosa vuol dire per un’università, per esempio, essere completamente sostenibile? La Georgetown University di Washington, negli Usa (retta dai Gesuiti), ha trasformato strutture, comportamenti e persino la didattica, in modo da essere in linea con la Laudato si’. E in questi mesi metterà a disposizione di altri atenei la propria esperienza».

VITA DONATA PER IL VANGELO
Donna, economista e religiosa. Questi tre aspetti contraddistinguono in modo profondo l’impegno di suor Alessandra Smerilli, che di recente è stata chiamata a far parte anche del Comitato di donne per le pari opportunità del Governo italiano, voluto dalla ministra Elena Bonetti per il dopo emergenza sanitaria. «Sono cresciuta in un oratorio salesiano», racconta la religiosa. «A 16 anni ero animatrice di altri ragazzi e molto presto, a partire dall’incontro con la parola del Vangelo, ho avvertito la chiamata a seguire Cristo, e a farlo con i giovani e per i giovani. Queste sono le due dimensioni che mi porto dentro. Quando poi ho conosciuto le Figlie di Maria Ausiliatrice, mi ha colpito questo carisma dentro la famiglia salesiana che ha più a che fare con le giovani donne, con il femminile. E da allora anche questa è un’attenzione che ho sempre più sviluppato, anche perché sono convinta che la questione femminile sia una delle sfide cruciali del nostro tempo. Lo si è visto anche durante il lockdown. Da una parte, a essere penalizzate sono state soprattutto le donne, molte delle quali hanno dovuto rinunciare al lavoro per l’impossibilità di conciliarlo con gli impegni familiari. È vero che molti uomini hanno vissuto la stessa situazione di lavoro entro le mura domestiche durante la pandemia, ma i dati ci dicono che solo il 55% ha contribuito di più rispetto al solito alla gestione della casa e dei figli. Dall’altro lato si è visto che i Paesi governati da donne – penso alla Nuova Zelanda o alla Germania, per esempio – hanno reagito molto meglio alla crisi. Una recente analisi sul New York Times ha riconosciuto alle leader di questi Paesi chiarezza nella comunicazione, capacità di empatia e di mettersi nei panni dei cittadini, di comunicare in modo chiaro ed efficace, chiarezza nelle decisioni e non confusione rispetto a quanto si è visto in tanti altri Paesi. Forse la dimensione del prendersi cura, più sviluppata dalla parte femminile dell’umanità, ha permesso una reazione migliore di fronte a emergenze dove la salute viene messa in discussione. Ci sono capacità che le donne hanno sviluppato più degli uomini, per ragioni anche culturali, che sono particolarmente adatte ad affrontare i problemi del nostro tempo. Rinunciare a questo contributo sarebbe come guardare con un occhio solo: la visione della realtà è deformata».

ECONOMISTA PER OBBEDIENZA
Se è diventata religiosa per scelta, suor Alessandra ha cominciato a studiare economia per “obbedienza”. «Volevo occuparmi dei giovani e lavorare nel sociale. Invece la mia superiora, al momento di scegliere la facoltà, mi chiese di iscrivermi a Economia. Lei guardava avanti e mi disse che l’economia sarebbe diventata sempre più importante, e che come educatrici non potevamo non occuparcene. All’inizio mi crollò il mondo addosso, poi studiando ho capito che mi interessava andare a fondo dei modelli di teoria economica. Grazie all’incontro con studiosi come Antonio Maria Baggio e Luigino Bruni, ho trovato la mia strada: ho capito che era possibile fare economia in modo scientifico, ma mettendo al centro valori diversi rispetto a quelli classici. Alcune teorie economiche su cui basiamo la nostra vita danno per scontato, per esempio, che sia sempre e comunque meglio per le persone avere più beni, possedere sempre di più. Oggi sono convinta che sia necessario rimettere l’economia al suo posto in un quadro più ampio, renderla davvero strumento al servizio di un benessere che è uno star-bene delle persone in tutti i sensi». Per affrontare le sfide del futuro, secondo suor Smerilli, sarà fondamentale puntare sulla cooperazione piuttosto che sulla competizione: «Serve una politica lungimirante, un nuovo protagonismo dello Stato e una rinnovata cooperazione fra i governi», afferma l’economista. «Papa Francesco l’ha detto benissimo il 27 marzo: “Nessuno si salva da solo”. Questo virus, un esserino invisibile l’ha reso evidente: si può fare tanto nella gestione dell’epidemia, ma poi basta l’arrivo di un aereo da un altro Paese per rimettere tutto in discussione. L’Europa si sta mostrando forte in questo senso, ma ci aspettano profondi cambiamenti, soprattutto nel mercato del lavoro. È essenziale capire dove si sta andando per intervenire per gestire la transizione. Non dobbiamo aspettare che milioni di persone perdano il lavoro per riconvertire alcuni settori della produzione. Va fatto subito, prima che ci sia la crisi sociale. In questo senso, il Green New Deal, il progetto europeo per la transizione ecologica dell’Unione europea, può essere un’occasione per creare nuovi posti di lavoro e, nello stesso tempo, per andare verso un’economia riconciliata con l’ambiente e la natura, con tempi e ritmi di lavoro umani».

Famiglia Cristiana – “Le Parrocchie si raccontano”: la Parrocchia abbaziale di San Benigno Canavese

Il settimanale di ispirazione cattolica Famiglia Cristiana dedica un articolo alla Parrocchia abbaziale di Santa Maria Assunta di San Benigno Canavese. Si riporta di seguito l’articolo oggi pubblicato.

LE PARROCCHIE SI RACCONTANO/ A SAN BENIGNO CANAVESE (TORINO)

FEDE E STORIA A BRACCETTO

Sorse come abbazia benedettina nel 1003. Oggi, l’Assunta non vuole essere un silenzioso scrigno del passato, ma cuore pulsante del territorio.

Lorenzo Montanaro

Una chiesa dal cuore antichissimo, capace però di parlare alla gente di oggi: è la parrocchia abbaziale di Santa Maria Assunta a San Benigno Canavese (in provincia di Torino ma nella diocesi di Ivrea). Le radici di questo luogo sacro affondano nei secoli, fino all’epoca medievale. Era infatti il febbraio 1003 quando, per volontà di Guglielmo da Volpiano (figura di spicco della riforma monastica cluniacense), venne posta la prima pietra dell’abbazia benedettina di Fruttuaria, destinata nel tempo a diventare un punto di riferimento spirituale e culturale noto in tutta Europa. Molti secoli più tardi (era il 1776), il cardinale Amedeo delle Lanze, divenuto abate, diede un nuovo volto all’intero complesso, trasformandolo in una “piccola San Pietro”, sul modello della basilica romana, con uno stile in cui si fondono elementi barocchi e neoclassici. Oggi, grazie anche agli scavi archeologici che hanno riportato alla luce alcuni tra gli elementi più antichi, la chiesa, con le sue stratificazioni, è uno scrigno di raro pregio. «La sfida più grande» spiega il parroco don Gaetano Finetto,

«è far sì che questo luogo dalla storia millenaria non diventi un museo, ma resti una testimonianza di fede viva».

Attorno alla chiesa opera una comunità dinamica e dai tanti volti.

«Molti degli abitanti di San Benigno lavorano o studiano a Torino», spiega ancora il parroco, «il che rende più difficile organizzare dei percorsi strutturati».

Tuttavia, le proposte non mancano: la catechesi interessa 200 bambini e ragazzi tra la seconda elementare e la terza media. Il percorso coinvolge, per gruppi, anche i genitori: nelle “domeniche insieme” vivono con i propri figli dalla Messa al gioco, al pranzo condiviso. Ben viva è anche la tradizione dell’oratorio, che si riallaccia alla figura stessa di don Bosco: infatti, fin dal 1879, a San Benigno sono presenti i Salesiani che lì gestiscono anche una scuola media e un centro di formazione professionale.

Grazie a questa preziosa osmosi, la parrocchia può contare su un nutrito gruppo di animatori, che, dopo aver seguito un percorso di formazione, si mettono a disposizione dei più piccoli. La Messa domenicale di riferimento per famiglie e giovani è quella delle 10.30, animata anche dalla presenza di un coro. Durante alcune celebrazioni i legami con la storia dell’abbazia si fanno particolarmente intensi. È il caso della penultima domenica dell’anno liturgico, quando si fa memoria della dedicazione della chiesa a Santa Maria Assunta. I fedeli vanno in preghiera sulla tomba del cardinale Amedeo delle Lanze, che fu una figura di riferimento e che pare abbia rinunciato al soglio pontificio pur di prendersi cura dell’abbazia.

A proposito di Papi: molti ricordano ancora, con emozione, il 19 marzo 1990, quando papa Giovanni Paolo II visitò la chiesa e celebrò l’Eucarestia con la comunità.

SULLE ORME DI SAN GIOVANNI BOSCO

Salesiano, originario del Veneto, 67 anni, don Gaetano Finetto è da sei anni alla guida della parrocchia abbaziale di Santa Maria Assunta a San Benigno Canavese. Ordinato sacerdote nel 1980, prima dell’attuale incarico è stato parroco in diverse località italiane, da Gorizia a Terni. Attualmente è anche vicario episcopale per la vita consacrata. La sua scelta vocazionale sulle orme di don Bosco lo ha portato a cercare un dialogo privilegiato con i giovani.

«Con loro cerco di costruire un rapporto personale. Se li incrocio per strada, un pensiero o una semplice battuta possono trasformarsi in occasione di incontro».

Tra le sue proposte, il tentativo di coinvolgere nella vita di fede tutti i borghi che costituiscono il paese.

ADMA: 150 anni di vita

In occasione dei festeggiamenti dei 150 di vita dell’Associazione di Maria Ausiliatrice, ADMA, riportiamo due articoli pubblicati su due differenti riviste (Ed. San Paolo): Maria con te Famiglia Cristiana.

MARIA NEI FATTI
“NOI, FAMIGLIE SOTTO IL MANTO DELLA MADONNA”

(Lorenzo Montanaro)
Famiglie sotto il manto della Vergine. L’Adma (Associazione di Maria Ausiliatrice) festeggia i suoi primi 150 anni, ma è più giovane che mai. E pur restando fedele allo spirito di don Bosco, che la fondò personalmente nel 1869, l’anno seguente alla consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, ha saputo rinnovarsi: un cambio di pelle radicale, grazie al quale l’associazione riesce a fronteggiare le tante sfide del presente. E a guardare al futuro con speranza, in una logica d’inclusione che, partendo da Torino, abbraccia l’Italia e i 5 continenti.

La nuova rotta, inaugurata a partire da una ventina d’anni, sta tutta in un’intuizione semplice quanto dirompente: fare delle famiglie il motore propulsivo.

«Don Bosco aveva fondato l’Adma per custodire la fede del popolo, sotto la guida di Maria»

ricorda don Pierluigi Cameroni, 63 anni, dal 2007 animatore spirituale dell’associazione.

«Oggi la dimensione di fede popolare va costruita e coltivata soprattutto in famiglia».

Dai racconti di chi, per primo, ne ha fatto esperienza, emerge che il cammino si è svolto in modo assolutamente naturale, «senza grandi proclami, senza marketing o strategie».

Più di tutto, a contare, è stato il passaparola: un primo nucleo di famiglie, unito saldamente nella preghiera comune e nella condivisione, ha iniziato a invitare coppie di amici, che, trovandosi bene, hanno a loro volta esteso l’invito ad altre persone.

Oggi la sezione torinese dell’Adma, detta “la primaria”, appunto perché la più antica per fondazione, conta 200 iscritti ” ufficiali” e una marea di amici e simpatizzanti.

Agli ultimi esercizi spirituali comunitari, tenutisi lo scorso agosto a Pracharbon (Valle d’Aosta) hanno partecipato oltre 650 persone. Di tutte le età. Sì, perché i “senior” (per decenni ossatura dell’associazione) continuano ad avere un posto speciale, ma a loro si sono affiancati tanti giovani e giovanissimi, che hanno portato una ventata di freschezza.

«Bellissimo il confronto intergenerazionale»,

dice don Cameroni.

«Altrettanto preziosa l’osmosi tra religiosi e laici, che hanno un ruolo di primo piano e sono il volto della Chiesa del domani».

Basta partecipare all’incontro di preghiera che si tiene ogni 24 del mese (giorno in cui il gruppo fa memoria di Maria Ausiliatrice) per averne un’idea. La chiesa di San Francesco di Sales (da lui il nome di “Salesiani”, che don Bosco volle dare alla sua congregazione), all’interno del grande complesso di Valdocco (là dove il sogno del “santo dei giovani” ha preso avvio) è gremita di gente. Come in famiglia, ci si saluta, ci si abbraccia. Poi, nel silenzio, l’adorazione eucaristica, le confessioni, i misteri del Rosario. E la dolcezza dei canti mariani. Quello di Torino, basato sulla centralità di famiglie e giovani, è un modello che sta prendendo piede in altre realtà italiane: in Lombardia ad esempio (soprattutto nelle province di Milano e di Brescia), in Valle d’Aosta, in Liguria (Genova e La Spezia), ma anche in Sicilia, dove peraltro l’Adma è da sempre molto radicata. Ma c’è uno sguardo che si estende ben oltre, fino a includere il mondo intero. L’associazione infatti è presente in 50 Paesi.

«A seconda del luogo prende forme diverse. Questa è stata una straordinaria intuizione di don Bosco»,

spiega Renato Valera, 46 anni, presidente Adma.

Circa 120.000 gli iscritti sparsi in tutto il pianeta, raccolti in 800 gruppi. Per dar voce a questa immensa ricchezza esistono momenti di incontro mondiale, come i Congressi di Maria Ausiliatrice, cui partecipa l’intera famiglia salesiana. Il prossimo si terrà dal 7 al 10 novembre a Buenos Aires (Argentina), prima destinazione dei missionari mandati da don Bosco, ma anche terra di papa Francesco (che non ha mai nascosto la sua affinità col mondo salesiano). Né supereroi, né “santini”.

«Siamo gente normale, con le fragilità e le fatiche di ogni giorno, ma sperimentiamo in un’alleanza che si rafforza nella preghiera»,

ci spiega Valera.

«E abbiamo una sicurezza», aggiunge sua moglie, Barbara Rosa Clot, 43 anni. «Per noi Maria è una donna vicina e concretissima, che ci accompagna con pazienza, mitezza e misericordia».

03/10/2019
Pag. 18 N.40 – 6 ottobre 2019 Maria con te

ANNIVERSARI
«GRAZIE A MARIA SI RIM ANE SEMPRE GIOVANI»
«OFFRIAMO CAMMINI DI FEDE CHE ATTIRANO SEMPRE PIÙ NEOSPOSI E GENITORI CON FIGLI PICCOLI 0 ADOLESCENTI», DICONO RENATO, BARBARA E DON PIERLUIGI, RESPONSABILI DELL’ORGANISMO

(Lorenzo Montanaro)

Un volto fresco della Chiesa, I che sa guardare al domani e I parlare la lingua dei giovani, pur restando fedele alle I proprie radici. L’Adma (Associazione di Maria Ausiliatrice), fondata personalmente da don Giovanni Bosco nel 1869, l’anno seguente alla consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, festeggia 1 suoi primi 150 anni, ma è più giovane che mai. Ha cambiato pelle, inaugurando un nuovo stile, che mette al centro le famiglie. Dal capoluogo piemontese (cuore dell’esperienza salesiana) questo modello si va estendendo in diverse zone d’Italia e oltre, in una logica che abbraccia idealmente tutto il mondo.

L’associazione è diffusa in 50 Paesi sparsi nei cinque continenti, dagli Usa al Brasile, dall’India alle Filippine, passando per Corea e Indonesia: conta, in tutto, circa 120 mila iscritti. La sezione torinese di Valdocco (detta “la primaria”, perché la più antica per fondazione) ha da sempre un ruolo guida. Ed è proprio da qui che, una ventina d’anni fa, è partita la “piccola rivoluzione”. In passato, a tener viva l’associazione erano state principalmente persone adulte e anziane (spesso ex allievi salesiani o persone che avevano frequentato l’oratorio).

I “senior” hanno ancora oggi un posto importante, ma a loro si sono aggiunte tante famiglie con bambini e giovani che hanno portato una ventata di novità.

 

Tutto è partito da un nucleo di coppie, molto affiatate, che si ritrovavano assiduamente per la preghiera e la condivisione. Nel tempo sono stati coinvolti alcuni amici che, trovandosi bene, hanno a loro volta esteso l’invito. Così, grazie al passaparola, il gruppo si è ingrandito. Attualmente “la primaria” conta circa 200 iscritti “ufficiali”, affiancati da un gran numero di simpatizzanti e amici. Agli ultimi esercizi spirituali comunitari, tenutisi tra luglio e agosto a Pracharbon (in Valle d’Aosta), hanno partecipato oltre 650 persone.

«Tutto è accaduto in modo molto naturale, senza strategie di marketing»,

racconta Renato Valera, (46 anni, lavora nel settore informatico), presidente mondiale dell’Adina. Né supereroi, né “santini”.

«Siamo gente noimale, contadini, opeiai, impiegati, insegnanti, commeicianti, medici, magistrati fino a un guaidiapaico, con le fragilità e le fatiche di ogni giorno, ma speiimentiamo un’alleanza che si rafforza nella preghiera».

«E ci affidiamo a Maria, che per noi è una donna vicina e concretissima», aggiunge la moglie, Barbara Rosa Clot (43 anni).

Per volere di don Bosco, l’Adma aveva tra i suoi obiettivi quello di “custodire la fede del popolo”, diffondendo l’amore per Gesù Eucaristia e la devozione a Maria Ausiliatrice, le “due colonne” care al Santo dei giovani.

Oggi «è proprio all’interno della famiglia che le nuove generazioni possono respirare questa dimensione di fede popolare», spiega don Pierluigi Cameroni, 63 anni, dal 2007 animatore spirituale dell’associazione. L’esperienza inaugurata a Valdocco ha tra i suoi pregi quello di «favorire un vitale confronto tra le generazioni». Per averne un’idea basta frequentare uno dei momenti di preghiera, come quelli che si tengono ogni 24 del mese (giorno in cui il gruppo fa memoria di Maria Ausiliatrice) nella chiesa di San Francesco di Sales (da lui il nome di Salesiani, dato da don Bosco alla sua congregazione). Proprio come in famiglia, ci sono il bambino e il nonno, la coppia di fidanzati e i genitori adulti.

Un modello “familiare” che sta prendendo piede anche in altre realtà italiane: in Lombardia, per esempio (soprattutto ad Arese, in provincia di Milano, e bel Bresciano) in Valle d’Aosta, Liguria e in Sicilia.

Per valorizzare questa dimensione universale, che va oltre l’Italia, esistono i Congressi di Maria Ausiliatrice, cui partecipa l’intera famiglia salesiana. Il prossimo si terrà dal 7 al 10 novembre a Buenos Aires (Argentina), prima destinazione dei missionari mandati da don Bosco, ma anche terra di papa Francesco (che non ha mai nascosto la sua riconoscenza per il mondo salesiano che ha inciso sulla sua formazione). L’appuntamento argentino è preceduto da un altro importante incontro domenica 6 ottobre a Valdocco: partecipa il Rettor maggiore, don Àngel Fernandez Artime.

03/10/2019
Pag. 70 N.40 – 6 ottobre 2019

Don Antonio Mazzi – Davanti a quel ragazzo di 14 anni mi sono sentito analfabeta

Si pubblica qui a seguire un articolo proveniente da FamigliaCristiana.it, riguardo al commento di don Antonio Mazzi – fondatore di Exodus (clicca qui per saperne di più) sullo scatto che ritrae le immagini di due giovani che fumano eroina sulla metro di Milano. Buona lettura!

Fanno il giro sul web le immagini agghiaccianti di due ragazzi che fumano eroina sulla metro gialla appena saliti alla fermata Rogoredo, alla periferia di Milano. Ragazzi che provenivano dal cosiddetto “Bosco della droga” perché di questo si tratta. Un punto di ritrovo del Nord Est di tutti coloro che consumano eroina. Don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus,
che effetto le fa?

«Per noi non esiste l’ effetto del 13 o del 17 gennaio, è un fenomeno che conosciamo molto bene e si esprime in varie maniere. È esploso e dobbiamo smettere di parlare solo di Rogoredo ma tornare alla vita quotidiana sennò ripetiamo l’ errore di Parco Lambro quando la droga da lì poi è andata in Stazione Centrale, per le strade, nelle piazze e nei sottopassi. Questa foto ci impressiona perché sono ragazzi mentre allora erano adulti, gente distrutta e disfatta. Questi sono giovani che hanno tutto a casa, non i disperati di 30 anni fa».

Lei è stato tra i primi a fare un salto a Rogoredo

«Quello che mi ha impressionato due mesi è che ho incontrato un ragazzo di 14 anni che andava a cercare lo spacciatore per prendere l’ eroina a tre euro e farsi tutta la cerimonia. Voleva bucarsi, sentire quell’emozione che non gli danno le droghe chimiche di cui si è stufato. “Ed è inutile che ci insegnate che si muore” mi ha detto “lo sappiamo perfettamente e sono fatti nostri”. Aveva bisogno dell’ emozione forte. Mi ha spiazzato che un quattordicenne mi tirasse fuori il vecchio rituale della siringa e del sangue perché deve provare lo sballo, visto che le droghe nuove ti mandano fuori di testa ma manca l’ emozione forte. Questo mi diceva: “io vado, compro l’ eroina, ho già la siringa, vado in un angolo e godo. Questo è il problema».

Che responsabilità abbiamo noi adulti?

«Di aver fatto dimenticare il passato ai nostri ragazzi, non gli dobbiamo insegnare come morivano una volta ma dare radici. Dove abbiamo buttato la cultura del passato? Gli adulti di oggi non hanno trasmesso la storia di ieri. Abbiamo dei ragazzi di 14 anni che non sanno niente di quello che è successo 15 anni fa. Questi sono ragazzi che nascono artificialmente. Invece noi siamo le radici dei nostri ragazzi, non quelle marce, ma quelle della storia anche positiva. Abbiamo tradito i nostri figli e non gli abbiamo dato le radici. Questo ragazzi di 14 anni veniva lì perché voleva emozioni. Punto».

Che risposte abbiamo noi adulti?

«Ieri la parte drammatica del Parco Lambro era drammatica perché drammatica era la vita; oggi il dramma di Rogoredo è che questi ragazzi vanno a cercare il dramma perché la vita è stupida. Quella era la droga che usciva dal dolore, dalla solitudine, dall’ ingiustizia questa che esce dal capriccio o dal non sapere cos’ è successo ieri. Oggi è l’ eroina, domani potrebbe essere il suicidio. Mancano le motivazioni delle emozioni in giovani che non hanno radici, diventano grandi artificialmente attraverso la Tv, la scuola che non è scuola e compagnie che non sono di amici ma di persone con cui passare il tempo. Davanti a quel ragazzo di 14 anni mi sono sentito analfabeta. Spiazzato. Non abbiamo un progetto né strumenti. Perché non gli diamo motivazioni».  

ASCOLTA L’INTERVISTA INTEGRALE A DON MAZZI

Ricomincio dalla scuola… perché la lezione di don Bosco è sempre valida!

Avevano insuccessi scolastici alle spalle, erano gli ultimi della classe, gli scalmanati, i ripetenti… i senza speranza. Oggi sono professionisti, manager, imprenditori, sono la testimonianza che la lezione di don Bosco è sempre valida.

Ragazzi che, se valorizzati, scoprono, come chiunque altro, talenti nascosti e trovano la loro strada. Per la famiglia salesiana questa è da sempre una missione, non c’è ragazzo che non possa riscattarsi per costruirsi un futuro, questo è quello che hanno appreso nei 64 Centri di Formazione Professionale salesiani sparsi per l’Italia.