Torino, quattro arene per il cinema d’estate – La Repubblica

Nella giornata di oggi, il quotidiano La Repubblica, nella sezione di Torino, dedica un articolo alle iniziative destinate al cinema d’estate nella città. Il progetto vede coinvolto anche l’oratorio salesiano Michele Rua di Barriera di Milano, con un centinaio di posti, organizzato dall’associazione Museo Nazionale del Cinema in partenariato con il Cineteatro Monterosa. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato a cura di Jacopo Ricca.

Torino, quattro arene per il cinema d’estate al Valentino, in Piazzetta Reale, a San Salvario e Barriera Milano

La più grande, da 500 posti, nel cortile del Castello del parco sulle rive del Po. Si parte il 2 luglio

Il cinema all’aperto per l’estate di Torino si farà in quattro Arene. Una al Castello del Valentino, un’altra nella tradizionale piazzetta Reale, ma la Città ha approvato anche i progetti nella casa del Quartiere di San Salvario e nell’oratorio Michele Rua di Barriera di Milano. Sono quattro infatti le proposte valutate come idonee dall’assessorato alla Cultura e quindi finanziate attraverso la fondazione per la Cultura.

La più grande delle arene, da 500 posti, sarà quella realizzata dal cinema Ambrosio, con un progetto proposto dall’associazione Arturo Ambrosio, nel cortile del Castello del Valentino. Dal 2 luglio al 30 agosto, con inizio delle proiezioni alle 22 e, saranno proposte anteprime, una selezione di classici del cinema, da scoprire per la prima volta o rivivere sul grande scherm, ma anche “Best of” (una collezione di alcuni tra i film più amati da pubblico e critica nella passata stagione cinematografica) e una selezione “In famiglia” che prevede film di animazione e non, rivolti a tutti, ma soprattutto ai più giovani.

“L’obiettivo è di offrire al pubblico un programma variegato di cultura e di intrattenimento anche grazie alla collaborazione di altri soggetti culturali, come l’Archivio Nazionale Cinema Impresa di Ivrea, l’associazione Baretti e altri” spiegano gli ideatori. Questo progetto avrà 45mila e 907 euro di finanziamento, mentre l’altra “grande” arena, quella di “Cinema a Palazzo”, se ne aggiudica 44mila e 93. Si tratta della rassegna che da anni anima l’estate torinese del centro.

Quest’anno però l’associazione Distretto Cinema, insieme con il Cinema fratelli Marx, proporrà un’arena di circa 250 posti all’interno della Corte d’Onore di Palazzo Reale, con uno schermo di dimensioni maggiori in un nuovo layout. Inoltre non saranno più solo grandi film del passato, ma dal 10 luglio al 30 agosto, con proiezioni tutti i giorni (ad eccezione del lunedì), sarà proposto un percorso nel cinema contemporaneo, fatto di anteprime e di una selezione di titoli dell’ultima stagione, “pur senza snaturare la caratteristica dell’arena che è da sempre quella di raccontare la storia del cinema attraverso i film classici” assigurano gli organizzatori. Nel ventennale del museo del cinema ma anche in una stagione di anniversari importanti sono previsete una serata omaggio a Fellini, un omaggio ad Alberto Sordi nel centenario della nascita.

Le altre due arene saranno in Barriera di Milano e a San Salvario. La prima da un centinaio di posti sarà negli spazi all’aperto dell’Oratorio Michele Rua ed è organizzata dall’associazione Museo Nazionale del Cinema in partenariato con il Cineteatro Monterosa e proporrà film dal 6 luglio al 12 agosto per una rassegna chiamata “Barriera è casa mia – un’Estate al Cinema 2020” che riceverà un contributo di oltre 10mila euro. La seconda, negli spazi della casa del quartiere di San Salvario, si chiamerà “Portofranco Summer Night 2020” ed è stata proposta dall’Associazione Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus che riceverà un contributo di oltre 9mila euro.

La programmazione cinematografica intende riprodurre il format di PortoFranco, la rassegna permanente di cinema invisibile del CineTeatro Baretti. Obiettivo della rassegna – che per non recare disturbo sarà in versione silent movie – è quello di raggiungere un ampio target e tutte le proiezioni saranno introdotte da una presentazione.

La Voce e il Tempo – 12 nuovi diaconi salesiani e le ordinazioni presbiterali

La Voce e il Tempo  di domenica 21 giugno dedica un articolo all’ordinazione diaconale avvenuta sabato scorso per 12 nuovi diaconi salesiani e la nota della prossima ordinazione presbiterale che si terrà il 4 luglio presso la Basilica Maria Ausiliatrice di Torino. Si riportano di seguito i due articoli.

12 nuovi diaconi salesiani

Sabato 13 giugno, presso la Basilica Maria Ausiliatrice di Torino, si è svolta la celebrazione dell’ordinazione diaconale di dodici confratelli salesiani che hanno concluso il triennio teologico all’Università Pontifi cia Salesiana di Torino. La celebrazione è stata presieduta dall’arcivescovo di Torino Mons. Cesare Nosiglia, con la presenza degli Ispettori e di alcuni confratelli delle ispettorie di provenienza dei diaconi. I 12 diaconi provengono da ispettorie e nazioni diverse. Cinque sono italiani: dall’Ispettoria Italia Nord Est, con sede a Venezia Mestre: Giovanni Marchetti, Marco Mazzorana, Giovanni Pojer. Dall’Ispettoria piemontese, con sede a Torino viene Matteo Rupil, che è originario di Tolmezzo (Udine). Dall’Ispettoria centrale, con sede a Roma: Francesco Simoncelli e Jean Maria Karam che è Libanese. Quattro provengono dalla Slovacchia: Peter Bosko, Jan Butkovsky, Daniel Holubek e Jozef Perzel. Uno è Croato: Tomislav Lukac. Uno è Nigeriano, Daniel Omatu che ha trascorso il suo tirocinio e gli studi teologici appartenendo temporaneamente all’Ispettoria del Piemonte e Valle d’Aosta.

Sabato 4 luglio
a Maria Ausiliatrice tre nuovi preti

L’Ispettoria salesiana del Piemonte e Valle d’Aosta, e le rispettive famiglie, annunciano l’ordinazione presbiterale di Alessandro Basso, Dies Stylo Babu, Michael Pagani per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di mons. Piero Delbosco, Vescovo di Cuneo e di Fossano. La celebrazione avverrà sabato 4 luglio alle 10, presso la Basilica Maria Ausiliatrice di Torino e verrà trasmessa in diretta sui canali social dell’Ispettoria ICP (Facebook @salesianiICP).

CFP Vigliano: cinque corsi rivolti ai giovanissimi

Nella giornata di oggi, giovedì 18 giugno, l’Eco di Biella dedica un articolo all’offerta formativa del Centro di Formazione Professionale di Vigliano Biellese per i ragazzi di età compresa tra i 14 – 24 anni a partire da settembre 2020. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato a cura di L.B.

Cinque i corsi rivolti ai giovanissimi di ambo i sessi FORMAZIONE

Al Cnos – Fap in presenza o a distanza

Enaip Piemonte aggiorna online i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza

Proseguiranno ancora per una decina di giorni le lezioni del Cnos-Fap di Vigliano Biellese, che già guarda all’offerta formativa di settembre con una didattica a distanza o in presenza (osservando il distanziamento e tutte le misure di sicurezza del caso), a seconda di quelle che saranno le disposizioni anti-Covid. Rivolti prevalentemente ai ragazzi e alle ragazze che hanno appena terminato la scuola dell’obbligo, ma aperti a tutti i giovani di età compresa tra i 14 e i 24 anni sono i corsi di formazione professionale per diventare operatore meccanico (lavorazione meccanica, per asportazione e deformazione), operatore elettrico (installazione di impianti elettrici civili e industriali e del terziario), operatore di impianti termoidraulici e operatore del benessere (erogazione di trattamenti di acconciatura). E sempre rivolto ai giovanissimi (e alle giovanissime), meglio se abbiano già frequentato almeno un anno delle superiori, è il corso biennale di saldocarpenteria.

Per effettuare l’iscrizione in vista del nuovo anno formativo 2020/2021 è necessario collegarsi al sito www.istruzione.it ed effettuare la registrazione, seguendo le istruzioni riportate. A quel punto ci si potrà iscrivere, indicando il codice meccanografico del centro di formazione professionale: BICF00100Q (per informazioni: tel.: 015-8129207).

Nei prossimi giorni, intanto, dopo la fine delle lezioni, si procederà con gli esami di qualifica e i diplomi.

«Circa l’80% dei ragazzi che esce dalla nostra scuola trova subito un lavoro in linea con il percorso di studi intrapreso. Un dato, questo, che ci fa ben sperare anche per il dopo-Covid», dice Stefano Ceffa, referente della comunicazione e del marketing del Cnos-Fap di Vigliano Biellese.

Enaip.Si resta nel campo della formazione con l ‘ offer ta dei corsi online di aggiornamento per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, a cura di Enaip Piemonte. Due i percorsi: un corso della durata di quattro ore, per tutte le aziende con meno di 50 dipendenti (per i dettagli: https://bit.ly/2Adwxif), e un altro della durata di otto ore, per tutte le aziende con più di 50 dipendenti (per i dettagli: https://bit.ly/37dmC8v). Al termine, avendo frequentato almeno il 90% delle ore e avendo superato la verifica finale, sarà rilasciato l’attestato di frequenza. Per ulteriori informazioni visitare il sito: www.enaip.piemonte.it
L.B.

Il ringraziamento dei genitori alla scuola media dei Salesiani di Bra

La Voce di Alba dedica un articolo alla scuola media dei Salesiani di Bra e, in particolare, ai genitori, i quali ringraziano del servizio scolastico offerto dall’opera salesiana ai propri figli, soprattutto in quest’ultimo periodo di emergenza sanitaria. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato lo scorso 6 giugno a cura dei genitori della Scuola Media Salesiana di Bra.

Il ringraziamento dei genitori alla scuola media dei Salesiani di Bra

Lezioni a distanza, supporto alle famiglie, programmi portati avanti con grande professionalità

Quando è arrivata la comunicazione di chiusura della scuola a fronte dell’emergenza Covid-19, come tutti i genitori, eravamo molto preoccupati per la sorte scolastica dei nostri figli. Tempestivamente è arrivata la risposta. L’Istituto Salesiano di Bra ha prontamente organizzato un servizio di didattica online, con l’utilizzo della piattaforma Google Apps for Education, creando account dedicati ai docenti e agli studenti. Superato qualche disagio iniziale dovuto alle connessioni wifi, il sistema adottato è stato apprezzato da tutti, soprattutto dalle famiglie e dai ragazzi che hanno potuto, seppur con modalità diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati, continuare a frequentare la scuola. Direttore e Docenti si sono messi tutti al lavoro da subito per riorganizzare la giornata ed accogliere, se pure attraverso un video, i nostri ragazzi con il sorriso, la competenza e la professionalità di sempre. Il calendario adottato ad inizio dell’anno scolastico è stato modificato di poco così che per i nostri ragazzi è risultato molto facile seguirlo, ma soprattutto è stato da subito messo in chiaro che l’anno scolastico non era finito, che non si era in vacanza, ma che per ovvi motivi proseguiva diversamente. Dal lunedì al venerdì alle 8.20 con il saluto del Direttore Don Alessandro Borsello si apre la giornata. L’orario delle lezioni va dalle 8.30 alle 12.15, con un break di 15 minuti alle 10.15, come si faceva durante l’orario pre-covid. Si rientra virtualmente in aula alle 14.30 per restare fino alle 16.00. Ogni mattina viene fatto l’appello come in aula e poi si parte con la condivisione di file, lezioni in diretta, video, tempo per lo studio e a seguire interrogazioni e test. Nel post orario i docenti sono disponibili ad interagire con i singoli allievi per ulteriori chiarimenti o recuperi. Per chi vuole, il sabato mattina dalle 11 alle 12 si gioca online con Don Alessandro e con alcuni Professori. Certamente la didattica online non sostituisce la presenza a scuola dove è fondamentale poter ritornare al più presto; ma la scelta della Scuola media paritaria dei Salesiani di Bra riteniamo sia stata la scelta giusta. Oggi più che mai abbiamo potuto toccare con mano la qualità, la serietà, l’impegno da parte di tutti, del Direttore, del Preside e dei Docenti che ringraziamo di cuore, ma anche dei nostri figli che hanno affrontato la didattica online seguendo con rispetto, impegno, precisione e responsabilità l’insegnamento dei loro professori.

Speriamo di poter tornare in aula a settembre: gli spazi all’Istituto Salesiano di Bra sono ampi e sicuramente sarà possibile riorganizzare in sicurezza la ripartenza dell’anno scolastico 2020/2021. In questo periodo si parla tanto di scuole paritarie. Noi possiamo confermare, per esperienza diretta, che sono delle eccellenze al pari delle scuole statali; e forse meriterebbero maggiori attenzioni da parte anche dello Stato.

Il nostro grazie va al Direttore don Alessandro Borsello, al Preside Teresio Fraire e a tutti i Docenti.

I Genitori della Scuola Media Salesiana di Bra

Don Domenico Rosso: un maestro che ha segnato tante vite

I quotidiani Avvenire e IlSussidiaro.net dedicano un articolo al salesiano don Domenico Rosso, mancato martedì 2 giugno all’età di 86 anni, della Comunità di Torino Rebaudengo. Si riportano di seguito l’articolo pubblicato su “Avvenire” a cura di Marian Lomunno, l’articolo pubblicato su “Il Sussidiario” a cura di Monica Mondo, l’articolo di domenica 14 giugno su “La Voce e il Tempo” a cura di Alberto Chiara.

Don Rosso formatore e prete amico dei giovani

Martedì scorso è mancato a 86 anni, stroncato da un infarto presso l’infermeria di Valdocco nella casa- madre dei figli di don Bosco, don Domenico Rosso, prete poliedrico e amatissimo da generazioni di giovani e famiglie. «Un salesiano a tutto tondo – ricorda il confratello don Mario Pertile, incaricato dell’infermeria che lo ha seguito fino all’ultimo –. È stato il mio maestro spirituale dalla seconda media: è a lui, come molti altri miei confratelli, che devo la vocazione. A don Domenico si deve anche la fondazione e la direzione negli anni ’70 di “Radio Proposta Incontri” l’emittente diocesana che fu palestra di decine di giornalisti cattolici alcuni dei quali importanti firme di Famiglia Cristiana, Rai, Avvenire. E poi l’impegno assiduo per i giovani, le famiglie, il laicato e gli universitari cattolici con l’invenzione, 40 anni fa, dell’esperienza estiva per ragazzi e famiglie presso il Forte di Santa Chiara in Val di Susa, centro di spiritualità salesiana punto di riferimento per migliaia di giovani». Tra gli altri incarichi ricoperti nella Famiglia salesiana don Rosso è stato l’ultimo superiore dell’Ispettoria centrale Ice e per molti anni ha svolto il servizio di direttore in diverse Case della circoscrizione Piemonte e Valle d’Aosta. Il Rosario in suffragio di don Rosso è fissato per questa sera alle 20.45 nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore a Rebaudengo, la sua ultima comunità dove aveva sede Radio Proposta, e la Messa funebre domani alle 10 nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Sarà tumulato nella tomba di famiglia a Foglizzo (To).

Marina Lomunno

DON DOMENICO ROSSO/ Giornalismo e fede: un maestro che ha segnato tante vite

Il torinese don Domenico Rosso, per gli amici Rouge o Mingus, salesiano di testa e di cuore, è un pezzo di storia della comunicazione che se ne va

Lo chiamavano Rouge, storpiando con eleganza il cognome, o alla sudamericana, Mingus. Don Domenico Rosso, torinese, salesiano di testa e di cuore, è un pezzo di storia della comunicazione che se ne va, un pezzo della comunicazione cattolica, che è stata pioniera, per l’apertura di orizzonti, l’originalità delle proposte, la fermezza e l’audacia di non vergognarsi di Gesù Cristo, quando veniva via via allontanato dai media.

Don Rosso, rettore della seconda casa madre salesiana dopo il Valdocco, Colle don Bosco, è stato dal 1979 direttore di Radio Incontri, poi Radio Proposta, subito identificata con la radio della diocesi di Torino, anche se nasceva dalla fantasia dei salesiani, e la sua location era una torretta di uno dei suoi centri più vivaci nella periferia torinese, Rebaudengo. Dalle finestrelle appollaiate si vedevano i ragazzini giocare a pallone nel cortile e le signore col velo entrare in chiesa per le funzioni.Don Domenico, occhialetto sul naso, sorriso sornione, era un maestro, di vita e di giornalismo: intelligente, capace, acchiappò da subito l’opportunità della libera radiofonia per lanciare un gruppo di ragazzi nell’etere, armati solo di registratori a batterie e passione, oltre a quella faccia tosta – chiamiamola baldanza giovanile – che permetteva di incontrare e chiamare ai microfoni le personalità più importanti del mondo della politica, della cultura. Nessuna improvvisazione ingenua: gli studi della radio erano insonorizzati, attrezzati al meglio con la tecnologia più moderna, e i giovani cooptati non proprio degli sprovveduti: in quelle stanze si è formata una generazione di giornalisti, che oggi lavorano nelle più diverse testate. Lo scopo era netto, come sempre con i figli di don Bosco:

“Promuovere la conoscenza, l’incontro e la circolazione di idee e di esperienze tra le realtà giovanili cattoliche, per la realizzazione di una proposta cristiana della vita”.

Questo si traduceva nel cercare e dare notizie, con un punto di vista cristiano, sì, ma mai bigotto, mai nascondendo, mai annacquando, mai trasformando la fede in ideologia, o facendone una bandiera identitaria per rivendicazioni che, anche allora, avrebbero avuto qualche motivo: eravamo isolati e sbeffeggiati nelle università, il Movimento e le sue propaggini che già avevano segnato con la violenza la vita sociale e politica non vedevano di buon occhio ragazzi che volevano cambiare il mondo, sì, ma con la passione e la voglia di pace, di incontro.

In quegli studi il radiogiornale e lo sport, tanta musica e intrattenimento mai banale, mai alla rincorsa compiacente della moda. E ciascuno imparava e trovava la sua strada, dai giornali alla televisione, dalle agenzie alla vita di convento. La genialità di una truppa tra i 18 e i 30 anni al massimo era la sua composizione, oculatamente scelta in modo da riunire tutte le anime della Chiesa, che spesso si guardavano in cagnesco: chi veniva dalle Acli e chi da Cl, chi dalla sua parrocchia e chi dai Focolarini.

Abbiamo imparato che la Chiesa è una, è grande, ha mille volti e tanti carismi, e tutti concorrono al bene, alla libertà di giudizio, all’amicizia più vera, per cui dopo il lavoro non si smetteva mai di pensare al giorno dopo e di suonare la chitarra, di preparare un sugo per gli spaghetti o parlare di quel che più conta, le grandi domande che a vent’anni tieni ancora deste, e poi ti stanchi di far tumultuare.

Ci vuole sempre un maestro, e questo prete minuto è stato attento e partecipe, mai invadente, mai imponente. Lasciava creare, lasciava crescere, vigilando e accudendo, le idee e la preghiera, qualche ritiro. Accogliendo, con discrezione e tenerezza, qualche persona fragile che tra le mura di quella radio ha trovato la forza di vivere e una vocazione, professionale e umana.

Quando te ne vai a 87 anni, e hai vissuto così, ti ricordano gli amici più cari. Invece la storia delle radio e delle televisioni cattoliche in Italia, il loro ruolo, la loro forma, meriterebbe memoria più attenta e ispirazione per il presente. Meriterebbe un grazie, per una presenza che si è attrezzata ai cambiamenti del tempo, senza mai essere succube o troppo timida, senza presunzione, ma con la certezza di un incontro, appunto, che può dare significato a tutta la vita.

Monica Mondo

DIRETTORE DI RADIO PROPOSTA
Don Rosso, prete fino in fondo

L’ultima intervista la concesse un anno fa, a Valdocco. Si avvicinava il quarantesimo anniversario di Santa Chiara, un forte militare nell’alta Val di Susa, sopra Giaglione, non lontano dal Moncenisio, diventato disarmata oasi dello Spirito, e lui, che quell’esperienza sognò e rese possibile, in ore e ore di colloquio consegnò un racconto ricco di storia e di cuore. Don Domenico Rosso, mancato il 2 giugno scorso all’età di 86 anni, è stato tante cose insieme: instancabile confessore, ricercato padre spirituale, fondatore di una diffusa rete di gruppi giovanili di preghiera, grande comunicatore, appassionato musicista. Ma soprattutto è stato prete fino in fondo. Innamorato di Dio. Punto e basta. In quel maggio 2019 non di rado s’interrompeva: il suo sguardo fiammeggiante fuggiva dalla finestra, lontana giusto un passo dalla sua sedia, alla sinistra della scrivania. Con gli occhi accarezzava la basilica di Maria Ausiliatrice e il Rocciamelone, sovrastato dalla Madonna che vigila materna quel lembo di Piemonte (forte di Santa Chiara incluso). «Il mio mondo, la mia vita», ripeteva.

Domenico Rosso è nato il 5 gennaio 1934, è entrato in noviziato nel 1944 ed ha emesso la prima professione religiosa il 16 agosto 1950. Il primo luglio 1960 è stato ordinato sacerdote. «Man mano che si avvicinava quel giorno cercai una grazia tutta speciale da chiedere al Signore… Gli chiesi il dono di voler bene ai giovani, sull’esempio del fondatore, don Giovanni Bosco. Mi sembra d’esser stato esaudito», confidò.

Preghiera, Parola di Dio ed esercizi spirituali sono stati una sorta di ‘firma’ personalizzata di don Rosso, non a caso amico fraterno di maestri della fede come padre Andrea Gasparino, don Domenico Machetta e, più di recente, l’eremita suor Paola Biacino. Questi ‘assoluti’ ne hanno segnato l’azione nelle varie case salesiane dov’è stato con responsabilità diverse (Rebaudengo, Ivrea, Colle Don Bosco, di nuovo Rebaudengo, Casellette, ispettore dell’Ispettoria Centale, di nuovo Colle Don Bosco, Avigliana, di nuovo Rebaudengo). E l’hanno accompagnato nelle due grandi ‘avventure’ alle quali ha legato la sua esistenza: l’impegno nel mondo radiofonico e l’esperienza spirituale di Santa Chiara.

«Nel 1978 divenni responsabile dell’emittente salesiana Radio Incontri, con l’obiettivo di moltiplicare le sinergie con l’altra emittente radiofonica cattolica che trasmetteva in quegli anni tra Torino e provincia, Radio Proposta. Unimmo presto le forze per dar vita ad un unico mezzo di comunicazione d’ispirazione cristiana».

Rimase direttore fi no al 1986. Coniugando un’eleganza d’altri tempi nel parlare e nel tratto umano con una non scontata apertura al nuovo, don Rosso arginò l’espulsione di Dio dall’etere, incise nella cultura torinese dell’epoca e formò decine di giornalisti, autori e registi approdati poi in testate nazionali (Rai, Mediaset, Tv2000, «la Repubblica», «La Stampa», il «Sole 24 ore», «Avvenire», il «Messaggero», il «Tempo», «Famiglia Cristiana»).

Santa Chiara, infine. Ricordava bene gli inizi, nell’agosto 1979, «la luce fioca che filtrava dalle feritoie, l’umidità di quei locali e quella strada terribile, perché sterrata e piene di buche, che bisognava soggiogare per arrivare lassù». Ma ricordava con piacere anche «la tranquillità che regnava incontrastata e il fascino di quella natura al tempo stesso aspra, indomita, eppure accogliente». L’esperienza esordì con tutti gli elementi che la caratterizzano ancora adesso: la centralità della Parola di Dio e dell’Eucaristia, la preghiera personale e comunitaria, un giorno di deserto. Tutto ciò senza soffocare l’allegria di chi s’affaccia alla vita, il che comportava e comporta gioco, gite, musica. Il forte pian piano s’addolcì. Smise il suo aspetto burbero, votato alla guerra. Dunque finestroni al posto delle feritoie, camerate (e refettorio) sempre più accoglienti, una chiesetta interna nuova di zecca. Per tacere della cucina, del sistema elettrico e del riscaldamento. Lavori a regola d’arte e spese in- genti, coperte tutte da generose donazioni, senza dimenticare l’apporto massiccio del volontariato. Ciò che non cambiò fu la passione di don Rosso, il suo voler portare Dio ai giovani e i giovani a Dio.

Un anno fa, Dondo (o Mingus o Rouge: affezionandosi a lui, generazioni di ragazze e ragazzi, cresciuti rimanendo amici, uniti anche nel suo nome, gli cucirono addosso una serie di nickname) volle finire l’intervista con parole che sanno di testamento:

«Sono un uomo felice e un prete realizzato. Con Georges Bernanos affermo, perché l’ho sperimentato un numero infinito di volte: davvero ‘tutto è grazia’».

Alberto Chiara

Don Fiorenzo, un piede a Fossano, l’altro in paradiso (1ª parte)

Il Settimana del fossanese la Fedeltà dedica un articolo (1ª parte) al Salesiano Don Fiorenzo Roggia. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato il 7 giugno a cura di Di Gianpiero Pettiti.

Don Fiorenzo, un piede a Fossano, l’altro in paradiso (1ª parte)

La sua famiglia è davvero speciale e profondamente salesiana: papà Giuseppe e mamma Giovanna sono stati fenomenali maestri di fede, se dei nove figli che hanno avuto ben quattro sono diventati salesiani e se poi hanno avuto la gioia di essere i nonni di ben tre sacerdoti pur essi salesiani, cioè un nipote da ciascuno dei tre figli sposati. La “stella della vocazione salesiana” dell’intera famiglia Roggia è però don Fiorenzo, che da bambino non è uno stinco di santo. O meglio, è di natura così vivace e sbarazzina da seriamente impensierire mamma Giovanna, che corre ai ripari con l’unica arma che questa donna di fede possiede: affidare alla Madonna quel suo bambino dalla marachella sempre pronta, elemento di spicco della ben nota serie “una ne fa cento ne pensa”. Lo fa durante un pellegrinaggio, dettato dalla fiducia di una mamma giunta al limite della disperazione, e gli effetti che produce sono così rapidi e radicali da lasciare a bocca aperta per lo stupore sia la mamma che il figlio. Che, anzi, è il primo ad accorgersi di quanto in lui è avvenuto, mentre in mamma cresce la meraviglia per la trasformazione, nient’affatto passeggera, del suo bambino in un modello di bontà, ubbidienza e studio. Dato poi che la Madonna non fa mai le cose a metà, regala anche a Fiorenzo, come ricordo di questo passaggio nella sua vita, una bellissima devozione mariana insieme alla vocazione sacerdotale, che lo porta a dire il suo sì a Dio e a don Bosco, tirandosi poi dietro gli altri familiari, come abbiamo detto poc’anzi.

Ordinato sacerdote nel 1935, nel suo peregrinare, dove l’ubbidienza lo porta, per quasi sessant’anni da una casa salesiana all’altra, a detta dei confratelli spiccano “due gemme del suo apostolato”, che corrispondono ai periodi trascorsi ad Avigliana e a Fossano. “L’attività, la continua presenza, l’impegno di assistere, di guidare e animare i ragazzi, specialmente gli orfani, fanno di lui il vero padre e maestro che dalla cattedra al cortile, alle attività teatrali è il motore della gioia e della crescita umana e cristiana” dei tanti ragazzi incrociati nei quasi sedici anni passati ad Avigliana. Qui mette in piedi addirittura una banda musicale “composta da ragazzi di quarta e quinta elementare, che stentavano a leggere l’italiano e figuriamoci la musica, e che era dotata di strumenti non certo dell’ultima novità, ma di tromboni con mille saldature, che, nonostante le innumerevoli riparazioni di don Fiorenzo, sfiatavano da tutte le parti, clarinetti messi insieme con parti anche non del tutto combacianti”. Non si sa come, con si sa perché, da simili strumenti che di musicale avevano solo il nome, “qualche cosa veniva fuori. Saranno state le prove che i ragazzi facevano a passeggio rallegrando tutta l’area del lago con … dei rumori, sarà stato l’entusiasmo di don Roggia ma alla fine tutti erano concordi nel definire il risultato vera musica, naturalmente da ascoltare con il cuore di don Bosco”.

Nel 1966, con la chiusura provvisoria della casa di Avigliana, viene trasferito a Fossano con l’incarico di direttore dell’oratorio, aiuto prefetto e confessore”: vi si fermerà fino al 1992, quando gli acciacchi della vecchiaia lo porteranno ad accettare l’ospitalità della casa “don Beltrami” di Torino, insieme ad altri sacerdoti anziani. Sono gli anni in cui esplode in pieno la “salesianità” del piccolo prete, sempre circondato da una marmaglia di età compresa tra i dieci e i quindici anni, che, ricordano gli oratoriani di allora, non si fermava mai: in cortile, in cappella, per le strade e ”una volta alla settimana sulle rive di Stura a giocare a tattica tra gli alberi….e al ritorno, stanchi dopo una giornata al sole, con passo ansimante, ecco la gara su chi indovinava il nome delle foglie e degli alberi: ad ogni risposta esatta 5 punti o una caramella”. Altri tempi, dirà qualcuno, ed in parte è vero perché i cinquant’anni trascorsi da allora son veramente tanti e molto hanno inciso sullo stile di vita e sui rapporti generazionali. Ma anche “altro cuore”, ci permettiamo di aggiungere noi senza tema di offendere qualcuno, perché quello di don Roggia era modellato sullo stile di don Bosco, che dai giovani si lasciava consumare tutto, anche la vita.

(1 – continua)

CFP Vercelli – Cnos Fap e Ford Sacar: l’innovazione risponde al Covid

Il blog-giornale del vercellese InfoVercelli24, nella giornata di ieri, dedica un articolo alla partnership che intercorre ormai da tempo tra la Ford e il Centro di Formazione Professionale di Vercelli, in merito anche agli stage formativi durante l’emergenza sanitaria. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato a cura di Alessandro Borasio.

Cnos Fap e Ford Sacar: l’innovazione risponde al Covid

Angelo Santarella ha ospitato un interessante incontro – Stage formativi durante l’emergenza

Nuova concessionaria Ford Sa.Car.

Quando Angelo Santarella ospita conferenze come quella di oggi pomeriggio (giovedì 4 giugno 2020) si torna a respirare quell’aria di cordialità – che si mescola ad una grande professionalità – che davamo per scontata prima dell’inizio dell’emergenza Covid-19. Alla concessionaria «Nuova Sa.Car.» di Caresanablot si è svolto un interessante meeting. L’oggetto della discussione era il futuro lavorativo dei giovani durante questa emergenza mondiale. Il CFP Don Bosco di Vercelli fa parte dell’Associazione CNOS-FAP Regione Piemonte, istituzione voluta dai Salesiani. La volontà di questa associazione è quella di poter continuare a rispondere alle esigenze educative e formative del mondo giovanile.

La volontà

La partnership con la Ford è radicata negli anni e continua a distanza di molto tempo. L’intenzione originale dei docenti era quella di poter creare un video dove, gli studenti, ad inizio gennaio, simulavano la vendita e l’accettazione di autovetture Ford. Il tutto doveva essere girato all’interno dello showroom di Caresanablot. Il nemico invisibile Covid ha impedito il regolare svolgimento del progetto ed allora, tramite uno spunto, dettato dal sito della Ford, si è optato per la creazione di un altro video. Si è parlato molto dell’impatto violento del virus e del come eravamo impreparati a gestire una pandemia. Il Don Bosco ed il Cnos-Fap sono stati lungimiranti ed hanno provato a trovare una soluzione al problema degli stage formativi, richiesti dalle aziende prima di poter entrare nel mondo del lavoro. Nasce cosi il Proyect work come alternativa al “classico” stage.

I video

Durante la conferenza sono stati realizzati e proiettati due video. Il primo si è focalizzato sui contatti tra la scuola e le aziende che da anni partecipano al progetto e che vogliono ribaltare, positivamente, la didattica ed il marketing dopo questo periodo. All’interno del primo video molti titolari di aziende del vercellese ringraziavano gli studenti per la partecipazione, seppur praticamente subito sospesa, e si auguravano un pronto ritorno alla normalità, con la speranza di poter formare nuovamente “dal vivo” i ragazzi. Il secondo video è risultato più pratico, sei studenti hanno spiegato le misure di sicurezza e prevenzione adottate da Ford in tema Coronavirus. Tra le tante novità, una delle più interessanti, è sicuramente quella di poter acquistare un nuovo veicolo Ford «comodamente seduti sul proprio divano».

La Parola a Don Gabriele

Come conclusione dell’interessante discussione ha preso la parola Don Gabriele Miglietta, Direttore del centro Cnos-Fap di Vercelli. Don Gabriele ha ribadito con fermezza che

“Il project work è strategico, nasce nel progetto dell’alternanza scuola-lavoro. La finalità è quella di portare nei ragazzi una mentalità imprenditoriale”.

Tema centrale dell’intervento è stata l’innovazione. Essa, e non la routine, sono i nuovi obiettivi che i ragazzi dovranno raggiungere in futuro, “innovazione è il risultato di un lavoro ed un progetto”.

La Voce e il Tempo: didattica a distanza – Salesiani, «la vera innovazione resta l’attenzione ad ogni ragazzo»

La Voce e il Tempo di domenica 7 giugno, nella sezione Territorio, dedica un articolo alla didattica a distanza e in particolare alle metodologie sperimentate negli istituti salesiani di Valdocco e dell’Agnelli. Si riporta di seguito l’articolo a cura di Federico Biggio.

DIDATTICA A DISTANZA – LE NUOVE METODOLOGIE SPERIMENTATE NEGLI ISTITUTI VALDOCCO E AGNELLI
Salesiani, «la vera innovazione resta l’attenzione ad ogni ragazzo»

«Project work» e «flipped classroom»: si tratta di due termini inglesi che indicano due modalità di formazione scolastica che si sono rivelate particolarmente efficaci nella «didattica a distanza», sperimentate in particolare da diversi istituti torinesi. Il primo permette agli allievi dei centri di formazione professionale di approcciarsi al mondo del lavoro, come previsto dal piano di insegnamento, e di acquisire competenze grazie alla presenza di professionisti che si affiancano ai tutor.

Il secondo inverte il tradizionale ciclo di apprendimento fatto di lezione frontale e studio individuale, chiedendo agli studenti di prepararsi su un argomento per mezzo sia dei libri di testo che di materiale integrativo, per poi, successivamente, esercitarsi collettivamente in classe con il supporto dell’insegnante. La modalità del project work è da tempo integrata nel piano formativo del Cnos-fap di Valdocco, il centro di formazione professionale fondato da don Bosco, e permette agli allievi di mettersi alla prova realizzando un progetto concreto, in accordo con le aziende.

«Questa modalità ha sostituito lo stage in questa fase emergenziale», spiega il direttore generale Lucio Reghellin, «ed è centrale nella formazione del 4° anno, in cui gli allievi si avvicinano al mondo del lavoro; purtroppo non avendo più la possibilità di fare uno stage, questa modalità è andata a integrare anche i piani didattici degli anni inferiori».

Quella della flipped classroom invece è una modalità che, all’Istituto Edoardo Agnelli di Torino era già stata sperimentata prima della pandemia:

«è un tipo di didattica innovativa perché integra e non sostituisce», spiega Giorgio Giambuzzi, insegnante di fisica nel Liceo scientifico e di elettrotecnica presso l’Istituto tecnico, «per questo la didattica a distanza non può essere considerata ‘innovativa’. Questa modalità ha permesso agli insegnanti di offrire agli studenti un mosaico di video-lezioni, pillole e interventi di esperti da seguire per conto proprio prima di discuterne in collegamento con il resto della classe».

I due istituti scolastici, tuttavia, entrambi contraddistinti dal carisma salesiano, sanno bene che questa situazione non può rimanere ordinaria e auspicano un ritorno a scuola ‘in presenza’ il prima possibile, continuando a mettere in atto l’innovazione in cui, da sempre, sono specializzati, quella sociale.

«Uno degli aspetti che abbiamo considerato centrale in questo periodo è stato quello della vicinanza alle famiglie», spiega Nino Gentile, direttore dell’Ufficio comunicazione Cnos-Fap, «a tutte è stato inviato un questionario per mappare i bisogni e le possibilità di connessione alla rete, tenendo conto delle criticità economiche del momento, ma anche delle opinioni sul tipo di formazione più opportuna da mettere in atto, poiché è solo attraverso l’attenzione ad ogni ragazzo e la solidarietà che possiamo ‘innovare’ in senso salesiano per non lasciare indietro nessuno».

 

Salesiani Agnelli: allievi all’opera tra Decameron e escape room – la Repubblica

Il quotidiano la Repubblica di domenica 31 maggio, nella sezione Torino Cronaca, dedica un articolo alla didattica a distanza dal titolo “Più forte del lockdown così la scuola si rinnova” (a cura di Cristina Palazzo e Carlotta Rocci) presentando alcune attività messe in campo dalle realtà scolastiche presenti sul territorio. Tra queste, la testimonianza dell’Istituto Salesiano Agnelli di Torino. Si riporta di seguito l’articolo dell’Agnelli.

Allievi all’opera tra Decameron e escape room

La didattica ha distanza ha costretto la scuola a reinventarsi. Mantenere l’attenzione per ore davanti al pc non è semplice, anzi è impossibile.

Così all’Istituto Agnelli di Torino — dove la didattica sulle piattaforme digitali esiste da almeno due anni — se ne sono inventate di tutti i colori.

«È stata un’esperienza molto positiva», commenta il professore di lettere Alessandro Antonioli. «Fin da settembre abbiamo attivato una piattaforma Google Suite for education e ogni studente ha un suo account. Da marzo abbiamo provato a trasformare l’emergenza in opportunità per sperimentare una didattica».

Così anche il Decameron è diventato un’esperienza digitale. Il gruppo di giovani che si rifugia in campagna per sfuggire alla peste raccontato da Boccaccio è diventato la classe di terza liceo dell’Agnelli: ognuno si è cimentato nel racconto di una storia vera, inventata o reinterpretata per creare un personalissimo Decameron 2020 in pieno lockdown.

I ragazzi di seconda liceo, invece, si sono cimentati nella creazione di un’escape room digitale da proporre agli studenti di terza media: un gioco didattico sulla storia, dalla preistoria al medioevo.

Per non perdere il contatto umano, direttore e prof hanno scandito le settimane con un video messaggio spedito tutti i lunedì. Tra media, liceo scientifico e istituto tecnico, negli ultimi tre mesi sono state spedite 692.017 mail e sono stati organizzati 15.859 incontri sulle piattaforme digitali, condividendo — tra docenti, studenti e genitori — 196.814 file. — c.roc.

La risposta del direttore di “Avvenire” alla lettera della prof.ssa della Scuola Salesiana di Bra

In merito alla realtà che stanno vivendo le scuole paritarie, si riporta di seguito la risposta di Marco Tarquinio, direttore del quotidiano “Avvenire”, alla lettera delle prof.ssa Lorenza Fissore, docente di matematica e scienze e vicepreside della Scuola media salesiana di Bra.

Caro direttore,
#NONSIAMOINVISIBILI: questo slogan è stato condiviso da molti docenti della scuola pubblica paritaria in questi giorni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla libertà di ogni lavoratore nella scelta del luogo di lavoro. Come le famiglie dovrebbero avere pari opportunità di scelta per la scuola dei propri figli, così noi docenti dovremmo avere gli stessi diritti dei colleghi delle scuole statali. I motivi di disparità sono in primo luogo ideologici. È diffusa l’opinione che un insegnante lavora nella scuola paritaria perché non ha avuto altre opportunità nella scuola statale; dunque il suo impiego è temporaneo, in attesa del famigerato “ruolo”. Ma non è così!
Se per qualcuno può essere solo un impiego di passaggio, per molti docenti della scuola paritaria, nel mio caso salesiana, il lavoro diventa una missione di vita.

Ritengo offensivo il pensiero che si rimanga a lavorare in un istituto paritario solo perché non ci sia posto in uno statale. Posso testimoniare che in molti anni di attività ho ricevuto tante convocazioni annuali e ho sempre esercitato il mio diritto di scelta nel rimanere all’interno della famiglia salesiana.

Un altro nodo importante è la mancanza di sicurezza per il futuro, che spinge molti docenti ad accettare, magari a metà della propria carriera lavorativa, un posto statale, perché temono che la loro scuola paritaria possa chiudere e quindi si troverebbero senza un lavoro. Devono così effettuare una scelta difficile, che non vorrebbero fare, ma che diventa necessaria per la loro stabilità futura. Senza contare che anche lo stipendio, purtroppo, non è lo stesso, perché spesso è sensibilmente minore e, oggi come ieri, l’aspetto economico non va sottovalutato.

Quello che auspichiamo è una parità di trattamento per tutti i docenti della “scuola pubblica”, sia essa statale o paritaria, che tenga in considerazione il lavoro di qualità portato avanti da molti istituti e la passione educativa dimostrata da molti docenti.

Lorenza Fissore
Bra (Cn)

La sua lettera è davvero bella e incalzante, cara professoressa Fissore. La ringrazio. E le dico, per quel che vale, che ne condivido totalmente senso e speranza. Credo che lei riesca a interpretare con efficacia i sentimenti di tantissimi insegnanti che lavorano – altro che «invisibili»! – nella scuola paritaria, e specialmente nella scuola paritaria cattolica. E lo fanno con dedizione e convinzione piene e quasi sempre, come lei ricorda, con ulteriore sacrificio rispetto ai colleghi delle scuole statali (quante volte ho scritto che va ricostruita anche la “reputazione” e la concreta condizione retributiva di coloro che lavorano nel più importante laboratorio di futuro di un Paese!).

Il vostro è un lavoro integralmente al servizio di ragazze e ragazzi in carne e ossa, e ispirato a una solida idea di istruzione come “bene pubblico”, alla quale dà anima laica e cristiana il lascito di straordinarie figure di educatori come san Giovanni Bosco. È un’idea che dà senso e forza a tutta la migliore scuola italiana che, purtroppo – come sappiamo bene e come la sfida della pandemia sottolinea –, conta più su una generosa rete di persone di qualità che su strutture ovunque e sempre all’altezza. Eppure qualcuno si ostina ancora a non capire che l’idea della “scuola di tutti” è profondamente cara ai cattolici, che negli anni della loro centralità politica – quando esisteva la Dc ed era il partito perno del nostro sistema democratico – l’hanno progettata, costruita e consolidata.

Eravamo ancora nella stagione che poi abbiamo chiamato della Prima Repubblica, e bisogna essere grati alle visioni riformatrici e alle capacità realizzative di personalità come Guido Gonella, Luigi Gui e Franca Falcucci. Il paradosso è che, nella complicata stagione successiva, quella della cosiddetta Seconda Repubblica, c’è voluto un laico di altrettanto grande intelligenza e determinazione come Luigi Berlinguer per finalmente introdurre per legge, all’alba del XXI secolo, l’idea di un sistema scolastico nazionale in cui questo essenziale servizio pubblico fosse garantito da scuole statali e scuole non statali paritarie. Una concezione, purtroppo, ancora lontana dall’essere attuata. E che rischia di sbriciolarsi sotto i colpi di maglio del Covid-19. Nonostante il primo soccorso d’emergenza da 150 milioni infine garantito dal governo Conte, molti istituti paritari rischiano di non di sopravvivere a questa durissima prova. Servono risposte tempestive.

Potrei ancora una volta citare eloquentissimi numeri, cifre, dati che dimostrano il valore pubblico della scuola paritaria accanto e insieme alla scuola statale.

L’abbiamo fatto un’infinità di volte. Preferisco invitare a rileggere le sue parole, cara professoressa, e la lezione di dignità, di professionalità e di «salesiana» passione civile che contengono. E che mi permetto di sintetizzare così: una limpida e libera volontà di insegnare nella scuola paritaria per far migliore la “scuola pubblica”. È la strada che la legge della Repubblica indica ormai da vent’anni. E lo hanno ben chiaro non solo le associazioni di settore e sindacati tradizionalmente consapevoli e attenti, ma anche uomini e donne di scuola liberi da pregiudizi.

Per questo è utile riflettere sull’intervista di Enrico Lenzi al leader della Flc-Cgil, Francesco Sinopoli (https://tinyurl.com/paritariecgil). La sorte degli istituti paritari e degli insegnanti che ci lavorano non è un affare privato, è un problema comune. E decide il presente e il futuro della “scuola di tutti”.

(Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire – Sabato 30 maggio 2020)