Cena di Gala al CNOS-FAP di San Benigno organizzata dagli Allievi del terzo anno – Il Risveglio Popolare

Si riporta di seguito la notizia apparsa su Il Risveglio Popolare.

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Venerdì scorso, 12 aprile, gli allievi del terzo anno di Ristorazione presso il Centro Professionale Salesiano di San Benigno hanno organizzato una cena di gala invitando i loro familiari e parenti.

I giovani, insieme ai loro istruttori, hanno progettato e preparato dei piatti ricercati a base di pesce: antipasti al salmone, lasagnette con polpo, baccalà alla vicentina.

Per il servizio a tavola, ci hanno pensato gli allievi del terzo anno del corso Sala e bar.

È stato un momento molto bello, sia per i genitori che hanno apprezzato quanto preparato dai loro figli e hanno fatto i complimenti per il cibo e il servizio, sia per i giovani che hanno potuto mettere in campo tutta la loro competenza per realizzare al meglio la serata.

“Chiamati all’amore con speranza”: la recensione di “Avvenire”

Dall’agenzia ANS.

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La Strenna era un consiglio, una massima, un programma che San Giovanni Bosco dava ai salesiani e agli alunni l’ultimo giorno dell’anno, da ricordare e praticare nell’anno nuovo. Questa usanza è proseguita con tutti i suoi successori. Così in ogni casa salesiana è il Direttore che legge la Strenna inviata dal Rettor Maggiore e che ne promuove e ne incoraggia la diffusione in modo da diventare motivo di riflessione e guida per l’intera comunità.

Ángel Fernández Artime, 64 anni ad agosto, spagnolo delle Asturie, figlio di pescatori, è stato eletto X Successore del Santo dei Giovani nel 2014 ed è stato confermato nel 2020. Il suo mandato sarebbe dovuto terminare nel 2026, ma la Provvidenza, per il tramite di Papa Francesco – che lo aveva conosciuto in Argentina dove è stato Ispettore tra il 2009 e il 2014 – ha deciso altrimenti.

Il Pontefice lo ha infatti voluto tra i nuovi cardinali creati nel Concistoro del 30 settembre 2023. E così il salesiano, che verrà consacrato vescovo il prossimo 20 aprile, dovrà lasciare l’incarico quest’anno, per andare a ricoprire, presumibilmente, un incarico nella Curia Romana.

Don Ángel Fernández Artime quindi nei suoi dieci anni da Rettor Maggiore ha firmato altrettante Strenne. E ora, grazie all’iniziativa di don Giuseppe Costa – che Don Á.F. Artime in questi anni ha voluto al suo fianco come segretario e portavoce – sono state raccolte in un volume pubblicato dalla Direzione Generale Opere Don Bosco, dal titolo “Chiamati all’Amore con Speranza”.

Dalla prima del 2015, dal titolo programmatico “Come Don Bosco, con i giovani, per i giovani”, all’ultima del 2024, “Il sogno che fa sognare. Un cuore che trasforma i ‘lupi’ in ‘agnelli’”, ispirata al celebre sogno che Giovannino Bosco ebbe a nove anni, esattamente duecento anni fa. Il libro, riccamente illustrato con foto dell’agenzia stampa salesiana ANS e di IME Comunicazione, è impreziosito anche da tre testi introduttivi firmati dal vaticanista del Tg2 Enzo Romeo, del teologo Massimo Naro, e della sociologa Cecilia Costa. Questi tre testi, spiega don Costa, “ci offrono un focus particolare che è poi un panorama speziato e al tempo stesso unitario di quanto ha scritto ogni anno il cardinale Rettor Maggiore”.

Nella sua prefazione don Costa – maestro di giornalismo, che in passato è stato docente di Scienze della Comunicazione sociale all’Università Pontificia Salesiana (UPS) e Direttore della Libreria Editrice Vaticana (LEV) – spiega che il libro da lui curato è “il tentativo di far confluire in un ‘unicum’ insegnamenti di anni fra loro diversi, non soltanto per ricordare, ma soprattutto da leggere strategicamente come un ‘ideario’ dal quale guardare il futuro”. “Gli anni che Don Ángel ha trascorso da Rettor Maggiore tra noi – sottolinea don Costa – sono stati anni di intensa paternità, fraternità e donazione quotidiana”.

Questo per quanto riguarda il passato. Per il futuro vale quanto scrive al termine del suo intervento introduttivo il giornalista Romeo. Il vaticanista riporta le parole con cui Don Ángel ha annunciato ai suoi confratelli la scelta del Papa di annoverarlo tra i cardinali, laddove il Rettor Maggiore precisa di aver accettato questa chiamata ad un nuovo servizio in ubbidienza, “senza averlo cercato, né voluto”, mettendo tutto “nelle mani del Signore e di sua Madre”. “Vale qui ripetere – chiosa Romeo – la frase di un altro cardinale e padre conciliare, Léon Joseph Suenens: ‘Credo alle sorprese dello Spirito Santo’”.

-Gianni Cardinale

Mattarella in missione in Africa: visita al don Bosco di Ashaiman – La Verità

Si riporta di seguito la notizia apparsa su La Verità.

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Storica visita del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in Africa occidentale. Accompagnato dalla figlia Laura e dal viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli , Mattarella è arrivato ieri sera in Costa d’Avorio, per la prima visita ufficiale di un capo di Stato italiano.

Da domani, giovedì, a sabato, Mattarella sarà in Ghana. Ieri sera Mattarella è stato accolto all’aeroporto di Abidjan dal vice presidente della Repubblica della Costa d ‘Avorio, Tiemoko Meyliet Koné, e dal ministro degli Esteri, dell ‘integrazione africana e degli ivoriani all’estero, Kacou Houadja Léon Adom, alla presenza dell’ambasciatore Arturo Luzzi.

Fittissimo il programma della missione, che sarà certamente importante anche nell’ottica del Piano Mattei, pilastro della politica estera del governo guidato da Giorgia Meloni. Questa mattina al palazzo presidenziale Mattarella incontra il presidente della Repubblica della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara. Dopo le dichiarazioni alla stampa dei due presidenti, è prevista la cerimonia di consegna delle chiavi del distretto di Abidjan, un riconoscimento di estrema importanza che fino a ora era stato assegnato solo a presidenti francesi come Emmanuel
Macron e François Hollande.

Un particolare da non sottovalutare assolutamente: nel 2025 in Costa d’Avorio sono in programma le elezioni presidenziali, il cui esito potrebbe cambiare l’orientamento filo francese del Paese: una finestra di opportunità che l’Italia potrebbe sfruttare al meglio.

Mattarella poi parteciperà al pranzo ufficiale offerto dal presidente della Costa d’Avorio. Domani, giovedì, tappa al giacimento di Baleine, scoperto dall’Eni in acque profonde nel 2021 e dove, come ricorda l’agenzia Nova, la produzione è stata avviata lo scorso 27 agosto.

Per il giacimento di Baleine è stato stimato un investimento da 10 miliardi di dollari, un progetto che avrà un impatto duraturo sull’economia ivoriana e nelle intenzioni di Eni non verrà sfruttato solo per l’esportazione. Mattarella visiterà la stazione a terra del giacimento, dove verranno anche illustrate le attività del gruppo sulla cooperazione italiana in ambito energetico e le attività sociali nel Paese.

È legata a Eni anche la visita del complesso scolastico di Vridi, una scuola che la compagnia italiana ha ristrutturato nel contesto di un piano nazionale governativo di ristrutturazione e consolidamento di tutte le istituzioni scolastiche. Piano che per le sue peculiarità, e per la centralità della Costa d’Avorio nel Piano Mattei, verrà replicato anche in altre zone del Paese, con l’obiettivo, sottolinea Palazzo Chigi, di piantare dei semi per la crescita del capitale umano che favorirà lo sviluppo del benessere del Paese.

Nel pomeriggio, prima della partenza per il Ghana, Mattarella visiterà alle 16 la casa della comunità di Sant’Egidio ad Abidjan, dove incontrerà un gruppo di bambini delle scuole della pace, gli ex ragazzi di strada ora accolti dalla comunità, alcuni anziani e il movimento giovanile di Sant’Egidio.

Da domani pomeriggio Mattarella e la delegazione italiana saranno in Ghana, dove il capo dello Stato incontrerà una delegazione della comunità italiana. Nella mattinata di venerdì 5 aprile, invece, Mattarella sarà ricevuto alla Jubilee house, per un colloquio con il presidente della Repubblica del Ghana, Nana Akufo-Addo.

Il programma prevede poi la visita al Memoriale di Kwame Nkrumah, dove la delegazione sarà accolta dal sindaco di Accra, dal direttore del Memoriale, Edward Quao, e dalla figlia dell’ex presidente ghanese, Samia Nkrumah.

Nel pomeriggio Mattarella è atteso al Castello di Christiansborg e in serata parteciperà al pranzo di Stato organizzato alla Jubilee house.

Sabato 6 aprile, nella prima parte della mattinata, il capo dello Stato sarà al Centro di Formazione Professionale don Bosco di Ashaiman, in Ghana, gestito dai padri salesiani e creato grazie al contributo di Confindustria Alto Adriatico.

Qui Mattarella parteciperà alla inaugurazione dell’academy che Confindustria Alto Adriatico ha realizzato, con l’obiettivo di formare manodopera locale con profili professionali sovrapponibili a quelli ricercati dal tessuto produttivo del Friuli Venezia Giulia.

L’obiettivo è quello di fornire a 250 giovani una formazione di qualità nell’ambito del Ghana project messo a punto da Confindustria Alto Adriatico.

Principale partner dell’operazione è Umana, agenzia per il lavoro, ma sono stati coinvolti anche la Regione e i sindacati.

A seguire, Mattarella si trasferirà presso il porto di Tema, dove è ormeggiato il pattugliatore d’altura della Marina militare italiana Bettica, impegnato in operazioni di monitoraggio nel Golfo di Guinea, nell’ambito di un programma di lotta alla pirateria e ad altre forme di criminalità in mare. Il presidente della Repubblica incontrerà comandante e membri dell’equipaggio. Al termine, è previsto il rientro in Italia.

La Stampa – “Malato di gioco d’azzardo guarisco e torno in campo”

Pubblichiamo l’articolo de La Stampa sull’incontro del calciatore della Juventus Nicolò Fagioli e gli studenti di Novara, sul tema del gioco d’azzardo, a firma di Fulvio Albanese.

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Dal pubblico gli chiedono se il gioco d’azzardo gli manca. «No»,  risponde secco Nicolò Fagioli. E la sua «seduta collettiva» di psicanalisi davanti a coetanei, madri e padri, e tifosi della Juve  potrebbe già finire così. E’ un ragazzo diverso quello che si è presentato ieri sul palco del teatro Don Bosco dei Salesiani a parlare di ludopatie e di come uscirne. Fa parte del suo percorso terapeutico e la Regione lo invita a partecipare ad incontri  assieme al suo terapeuta, ed esperto di questa patologia, Paolo Jarre. Sullo schermo scorrono le immagini del centrocampista che fino all’anno scorso seminava avversari con la maglia bianconera e andava in rete.

Ma ora, seduto su una poltrona accanto al suo medico e alla referente del presidio sul gioco d’azzardo dell’Asl Novara, Caterina Raimondi che si improvvisa intervistatrice, Fagioli con la sua felpona celeste è solo un ragazzo di 23 anni che sta uscendo da un tunnel pericoloso: «Ero rinchiuso in una bolla, non frequentavo né la famiglia né gli amici – racconta -. Rendevo meno agli allenamenti e alle partite. Ma ora non è più così, continuo ad allenarmi ma mi manca l’adrenalina della partita in campo. E in campo ci voglio tornare il prima possibile, magari nella partita col Monza». La lunga squalifica di Fagioli, un anno poi tramutato in sette mesi più altri cinque di pena alternativa (come partecipare ad incontri sulle ludopatie) finirà il 19 maggio. Quella col Monza, ultimo match del campionato, sarà il 25. Dovrebbe farcela e lui ci spera davvero. Ma nel dialogo con il pubblico quello che più importa è il racconto del percorso fatto dall’inferno della dipendenza dal gioco d’azzardo al purgatorio che sta vivendo adesso: «Ho cominciato a 16 anni con gli amici, un modo per passare il tempo, ma è diventata una malattia. Me ne sono accorto quando mi sono reso conto di avere problemi con la gente, con chi mi stava intorno. L’anno scorso è stato il peggiore della mia vita. Per questo mi sono autodenunciato». E ora come va? «Va molto meglio da 6-7 mesi, grazie anche a Paolo Jarre. Sto più tempo con gli amici, quelli veri che mi sono rimasti accanto, e con la mia famiglia anche se vivo a Torino e loro a Piacenza». Un signore nel pubblico gli chiede perché uno che guadagna tanto giocando a calcio, sente l’esigenza di scommettere al gioco d’azzardo. «Non giocavo per vincere soldi – spiega Fagioli – . Era diventata una malattia. Giocare mi cambiava all’istante, cercavo l’adrenalina dell’azzardo».

Quello di ieri sera è stato il sesto di dieci incontri con il pubblico che Nicolò Fagioli dovrà affrontare come parte della «pena» e del suo percorso per chiudere definitivamente con quel passato: «Non so se sono guarito – si schermisce – so che mi sento molto meglio e so che sto eliminando quel problema». Interviene Jarre: «Sarebbe meglio dire che non si guarisce mai del tutto, io dico che per capire che se ne è usciti bisogna lasciare la porta aperta per non attraversarla». Nel tunnel di Fagioli la luce in fondo si intravede. Ne è consapevole e si capisce che conta i giorni e le ore per poter tornare a indossare gli scarpini, sapendo che nella Juve lo aspettano: «Mi sono sempre stati tutti vicini, la dirigenza, l’allenatore, i compagni. E questo è stato di grande aiuto». Ricomincerà da dove aveva dovuto lasciare, ma con una nuova vita davanti, nella quale «lo sport, il gioco del calcio, ma anche il tennis e il padel che pratico in questo periodo, sono importanti per completare questo percorso». «Al primo incontro – rivela – è stato difficile affrontare il pubblico e raccontarmi, ora parlare mi fa piacere». Non è ancora guarito, dice il suo terapeuta, ma è come se lo fosse già.

 

Il Torinese – Missionari e civiltà contadina, i musei del Colle Don Bosco

Pubblichiamo l’articolo de Il Torinese sul Museo etnologico missionario al Colle don Bosco.

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Ci sono le spade dei samurai, i mitici guerrieri giapponesi, le armi da lancio dei gauchos delle pampas argentine, il tucano, l’anaconda, utensili giunti dall’India e dalla foresta amazzonica per la tessitura, la pesca e la caccia, statue dei Buddha, arnesi domestici, abiti e ornamenti. Non mancano oggetti di uso quotidiano realizzati con abilità e con materiali a noi più o meno sconosciuti come la fibra intrecciata, la corteccia battuta, le penne di vari uccelli, la seta, la lacca. Un’ampia parte del Museo etnologico missionario al Colle don Bosco è dedicato alla natura e agli animali imbalsamati come felini, serpenti e volatili di ogni specie.

La collezione comprende più di 10.000 reperti, non tutti esposti, giunti in Italia nel 1925 provenienti da quattro continenti e portati al Colle dai missionari salesiani presenti in 134 nazioni. La mostra permanente, divisa per continenti, inizia dall’America Latina per passare all’Africa, Asia e Oceania. Oggi come ieri i missionari di Don Bosco diffondono nel mondo il messaggio cristiano dedicandosi all’educazione dei giovani, alla formazione professionale, al volontariato in ospedali e ambulatori e prestando il loro aiuto in occasione di emergenze come calamità naturali, guerre e carestie. Dedicato al cardinale Giovanni Cagliero, il salesiano castelnovese che guidò la prima spedizione missionaria voluta da don Bosco nel 1875 in Argentina, il Museo etnologico missionario fa parte del complesso di strutture edificate intorno al Colle Don Bosco.

Tutto il materiale artistico e culturale raccolto dai missionari in Giappone, America Latina, Sud-est asiatico e Paesi africani, documenta la loro attività e fa conoscere le tante culture presso le quali hanno vissuto e dove continuano ancora oggi la loro missione. Aperto il 31 gennaio 1988, nel centenario della morte del Santo dei giovani, il Museo è stato riordinato nel 2000 con un nuovo allestimento. Il percorso della mostra inizia dalla Patagonia e dalla Terra del Fuoco dove è iniziata l’attività dei missionari mandati da Don Bosco tra gauchos argentini e popolazioni minacciate dalle malattie e dagli allevatori di bestiame. Poi si entra in Paraguay e in Bolivia, Ecuador, Brasile e Venezuela. Gli oggetti usati nelle case in Kenya ci portano in Africa con contenitori per gli alimenti, coltelli, pestelli per il granoturco, collane o tabacchiere. Maschere e strumenti musicali sono i protagonisti delle danze che ritmano gli eventi della vita quotidiana in Africa come le invocazioni agli spiriti e agli antenati o gli incontri delle società segrete. Dopo una breve puntata in Oceania si passa in Giappone e in Cina e poi in India e nel Sud est asiatico. L’ingresso al Museo missionario è gratuito, le sale sono aperte da martedì a sabato con orario 10-12 / 14,30-18,00, domenica 10,30-12,30 / 14-18 (lunedì chiuso).
Dall’altro lato del complesso salesiano, a pochi passi dalla casetta dove nacque don Bosco, si trova il Museo della Civiltà contadina dell’Ottocento dove ci sono le radici contadine del Santo. É allestito in un vasto salone scavato nel cortile della casa del fratello Giuseppe e nelle stanze della stessa abitazione. Oltre 700 fotografie, raccolte nelle cascine di campagna, mostrano i luoghi e gli oggetti del tempo di don Bosco che visse immerso nella mentalità contadina “nutrita dal vivo senso familiare, dal molto lavoro, dal duro sacrificio, dalla estrema povertà e dalla fede cristiana”. Si vedono per esempio il forno di Giuseppe, le attrezzature per la vinificazione, gli arnesi per la casa e il lavoro nei campi, la cantina, le camere e la stalla. Tutti gli oggetti e le fotografie del museo testimoniano perfettamente questo stile di vita. Il Museo della vita contadina dell’Ottocento è aperto da martedì a domenica con orario 10-12 / 14,30-18,00.

Un Patto aperto per la comunità di Barriera di Milano – CittAgorà

Notizia a cura di Massimiliano Quirico apparsa su CittAgorà, il periodico del Consiglio comunale di Torino.

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Dopo il sopralluogo di luglio all’oratorio Michele Rua, la Quarta Commissione consiliare, presieduta da Vincenzo Camarda (PD), ha nuovamente incontrato don Stefano Mondin, intervenuto a Palazzo Civico per presentare il progetto “Barriera oggi. Il quartiere diventa comunità”, finanziato da un bando per le comunità educanti.

Si tratta di un’iniziativa nata per sviluppare le comunità educanti – ha affermato don Stefano Mondin – grazie a una progettualità biennale iniziata a luglio 2023, in partenariato con altri enti, che ha portato a un “Patto” presentato al territorio a gennaio 2024.

Il progetto – ha spiegato Francesca Maurizio del Comitato Salesiani per il Sociale Piemonte – intende consolidare i rapporti tra gli enti coinvolti e aprirsi a nuove collaborazioni, ampliando e integrando la comunità del quartiere, per costruire un presidio permanente per un’educazione formale e informale che parte dal basso: un’ecosistema di apprendimento e inclusione che dia vita a una “Cet”, una comunità educante territoriale, chiamata GenerAzioni in Barriera”.

Da ottobre a oggi – ha aggiunto don Stefano Mondin – sono passati in oratorio più di mille ragazze e ragazzi e molti altri ne arriveranno quando verrà riqualificata l’ex bocciofila di fronte all’oratorio Michele Rua.

Sono tante le attività e i servizi erogati, come laboratori di falegnameria, robotica e videomaking. Presto verrà anche realizzata un’innovativa aula di scienze, grazie a una partnership con Lavazza. Vengono offerte opportunità di formazione professionale e di avviamento al lavoro, grazie anche alla collaborazione con diverse aziende e al coinvolgimento di Api Torino – ha aggiunto don Stefano Mondin.

Il progetto Barriera Oggi – ha precisato Alessandro Cutrupi – nasce per coinvolgere i giovani del quartiere e farli diventare “attivatori di comunità”, sempre accompagnati da equipe educative, per favorire il protagonismo di ragazzi e ragazze, in particolare di due fasce di età: 6-14 e 15/19 anni. Per fare in modo – ha spiegato – che la comunità risponda ai suoi stessi bisogni, ascoltando e facendo dialogare le diverse generazioni che abitano il territorio, partendo da valori condivisi e dalle relazioni, ma con un patto “aperto” a tutti e tutte.

Nel dibattito in Commissione, Ivana Garione (Moderati) ha chiesto approfondimenti sulle modalità di “aggancio” delle nuove generazioni, sempre connesse a smartphone e realtà “virtuali”; Amalia Santiangeli (PD) su ruoli e servizi erogati; Luca Pidello (PD) sull’attivazione del protagonismo giovanile e sull’avviamento al lavoro; Anna Borasi (PD) sui modelli culturali e di consumo vissuti dai giovani, sulle fragilità e sul coinvolgimento delle imprese; Sara Diena (Sinistra Ecologista) sull’utilizzo e l’ascolto di volontari e volontarie; Vincenzo Camarda (PD) sull’integrazione multiculturale delle diverse generazioni, sulla formazione professionale e sulle collaborazioni con Circoscrizione e Comune di Torino.

Il rilancio del territorio – ha concluso Camarda – può avvenire soltanto grazie a politiche sociali: non bastano forze dell’ordine e riqualificazione degli spazi urbani.

Cumiana. La scuola salesiana Boselli è in crescita – Vita Diocesana Pinerolese

Notizia apparsa su Vita Diocesana Pinerolese.

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La Scuola salesiana dell’Infanzia “Paolo Boselli” è presente sul territorio di Cumiana dal 1956. Patrizia Gavioli ne fa parte da 25 anni ed è orgogliosa di rappresentare un piccolo pezzo di storia dove in tutti questi anni ha formato tanti bambini, ora adulti.

Con lei ci sono le altre insegnanti: Maurizia, Emanuela e Stefania. Tra di loro esiste un legame fortissimo che va oltre il rapporto professionale. Non vanno tralasciati gli altri membri della comunità, dal personale alle suore, tutti impegnati nelle loro opere.

In questo percorso vengono accompagnati da suor Roberta Berton, direttrice della comunità FMA. Di lei dice Patrizia:

«Suor Roberta ci sostiene con la sua presenza importante; sempre attenta alla cura dei bambini e alle relazioni con le famiglie. Insieme a lei abbiamo vissuto il momento buio della pandemia. Lei ci spronava dicendo che siamo una grande famiglia, e con lei abbiamo superato questa sfida grandissima come quella del calo delle nascite. Grazie a lei non abbiamo mai perso la speranza».

I numeri danno ragione a questa squadra: quest’anno il numero degli iscritti è salito di 8 bimbi rispetto all’anno precedente.

«Questo è un segnale di fiducia, siamo riconoscenti verso le famiglie».

Valore aggiunto è dato sicuramente dalla mensa fresca, assistita da una nutrizionista, dove si utilizzano solo alimenti di stagione.

Particolare attenzione è data alle famiglie. Ci sono incontri Open Day per vivere i momenti di visita alla scuola mentre con le famiglie già presenti si cerca di condividere l’impronta del carisma salesiano attraverso incontri specifici.

Con i familiari sono già programmati tre incontri: il primo con don Carlo Pizzocaro, parroco delle parrocchie di Cumiana, e i papà; il secondo con suor Roberta e i nonni mentre il terzo con la psicologa e le mamme.

«È proprio questo che ci differenzia dalle altre scuole. Quando mi hanno chiesto di descrivere la scuola con cinque parole mi è venuto spontaneo dire: sogno, certezza, forza, stile e metodo per fare diventare i nostri bambini buoni cristiani e onesti cittadini, come diceva Don Bosco».

Da non dimenticare le feste e soprattutto la festa di fine anno dove i bambini affrontano il passaggio verso la scuola primaria.

Gioia e spettacolo in nome di Don Bosco e di Madre Caterina Daghero, di cui ricorre il centenario della morte.

Sicuramente suor Roberta e Patrizia staranno già preparando i festeggiamenti.

San Benigno: docenti e allievi del Centro Professionale hanno celebrato San Giuseppe – Il Risveglio Popolare

Notizia apparsa su Il Risveglio Popolare.

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Il 19 marzo, giornata di festa particolare presso i Salesiani di San Benigno, ricordando San Giuseppe, Patrono della Congregazione salesiana e delle Scuole professionali.

Al mattino il Direttore, don Piermario Majnetti, è passato in tutti i laboratori scolastici per benedire i locali e gli allievi che vi operano.

I ragazzi radunati nei laboratori di cucina e sala bar, nel laboratorio di acconciatura, in quello di meccanica, poi di termoidraulica e infine di elettricità, hanno pregato San Giuseppe che li protegga nel loro lavoro e nel loro futuro professionale e hanno ricordato i loro papà.

La sera la comunità salesiana si è unita nella concelebrazione eucaristica per ricordare don Francesco Mosetto e don Ervino Bruna che precisamente 60 anni fa sono stati ordinati Sacerdoti.

È stato un momento significativo in cui si è fatto memoria della loro ordinazione e si è ringraziato il Signore per il dono dei due Presbiteri.

Artime, strenna per i 200 anni del sogno di Don Bosco – La Voce e il Tempo

Notizia a cura di Francesco Mosetto apparsa su La Voce e il Tempo.

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Tra le arti con le quali don Bosco sapeva educare era la strenna, che egli annunciava a fine anno a tutti i giovani dell’Oratorio. I suoi successori hanno continuato questa tradizione.

L’ultimo di essi, il neo-cardinale Ángel Fernández Artime, per la strenna del 2024, «Un sogno che fa sognare», si è ispirato al celebre sogno che Giovannino Bosco ebbe a nove anni, esattamente 200 anni fa.

Quando, il mattino dopo, lo raccontò in famiglia, il fratello più grande commentò: «Diventerai un capo di briganti». La nonna si limitò a dire che «non bisogna badare ai sogni».

In quel sogno, che si legge nelle «Memorie dell’Oratorio», egli riconoscerà la sua vocazione. «Mi sembra», scrive don Pascual Chávez, predecessore di don Artime,

«che questa pagina autobiografica offra una spiegazione semplice, ma al tempo stesso profetica, dello spirito e della missione di don Bosco. In esso viene definito il campo di azione che gli viene affidato: i giovani; gli viene indicato l’obiettivo della sua azione apostolica: farli crescere come persone attraverso l’educazione; viene offerto il metodo educativo che risulterà efficace: il Sistema preventivo; viene presentato l’orizzonte in cui si muove il suo e nostro operare: il disegno meraviglioso di Dio, che prima di tutto e più di ogni altro ama i giovani».

Nella strenna per il bicentenario del sogno, il card. Artime rileva che don Bosco lo ha lasciato scritto per dirci

«che non si tratta solo di ‘un’ sogno, ma che dobbiamo vederlo come ‘il’ sogno che avrebbe segnato tutta la sua vita – anche se allora, da bambino, non poteva immaginarlo».

Del sogno dei nove anni don Ángel mette in rilievo alcuni aspetti:

  1. Protagonisti del sogno sono i giovani. «L’intero sogno è loro e per loro. Questi ragazzi sono in perenne movimento e azione: sia quando sono aggressivi (come lupi),… sia quando, trasformati nel modo che la Signora del sogno chiede a Giovannino, diventeranno (come agnelli) ragazzi sereni, amichevoli e cordiali.»
  2. Una chiara chiamata vocazionale. Nella situazione concreta il sogno sembrava irrealizzabile; ma «è proprio questa situazione difficile che rende don Bosco (in questo momento Giovannino) molto umano, bisognoso di aiuto, ma anche forte ed entusiasta. La sua forza di volontà, il carattere, la tempra, la forza d’animo e la determinazione di sua madre, Mamma Margherita, una profonda fede sia da parte di sua madre che di Giovanni stesso, rendono tutto ciò possibile».
  3. Maria nella vita e nella missione di don Bosco. Il Personaggio del sogno affida Giovannino a Maria. In questo affidamento a Maria «c’è una enorme intenzionalità»: nel carisma salesiano a favore dei ragazzi più poveri «la dimensione del trattare con ‘dolcezza’ e la dimensione mariana sono elementi imprescindibili».

Questa è la decima delle strenne del Rettor Maggiore don Ángel Artime, che un suo stretto collaboratore, don Giuseppe Costa, ha raccolto in un bel volume, «Chiamati all’Amore con Speranza», impreziosito da tre interventi introduttivi (chi desidera il libro può richiederlo alla Direzione generale Opere don Bosco, via Marsala 42, 00185 Roma. Tel. 06-656121).

Nel primo il giornalista Enzo Romeo ricorda quanto disse Artime della sua nomina a cardinale: essa

«va considerata un dono fatto dal Papa a tutti i figli e le figlie di Don Bosco e un segno del grande affetto che Francesco nutre per i Salesiani, di cui conosce e apprezza il carisma».

Il secondo, del teologo Massimo Naro, evidenzia alcuni aspetti teologici delle «lettere pastorali» del Rettor maggiore dei Salesiani.

Il terzo intervento è di Cecilia Costa, dell’Università degli Studi di Roma Tre, la quale dialoga dal punto di vista sociologico con la ricca tematica religiosa e pedagogica delle strenne salesiane di don Artime.

Le ultime pagine della strenna sono le più originali. Per il Rettor Maggiore dei salesiani il sogno dei nove anni è «un sogno che fa sognare» e offre un messaggio attuale anzitutto ai membri della Famiglia salesiana:

«Dio fa grandi cose con strumenti semplici»; «Dio ha un sogno per ciascuno di noi, per ciascuno dei nostri giovani»; «Don Bosco ci ha mostrato che solo le relazioni autentiche trasformano e salvano»; «I salesiani (e coloro che si ispirano a Don Bosco) sono sì i figli di un ‘sognatore di futuro’, ma di un futuro che si costruisce nella fiducia in Dio e nel quotidiano immergersi e operare nella vita dei giovani, fra le fatiche e le incertezze di ogni giorno».

Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu – La Voce e il Tempo

Si riportano di seguito due articoli in ricordo a don Domenico Ricca, don Mecu, apparsi su La Voce e il Tempo.

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Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu

Il 2 marzo ci ha lasciati il salesiano don Domenico Ricca, don Mecu, lo storico cappellano del carcere minorile «Ferrante Aporti» (La Voce e il Tempo, 10 marzo pagina 2). Durante il rosario e poi nella Messa funebre nella Basilica di Maria Ausiliatrice, gremita con oltre 100 sacerdoti concelebranti, erano tantissimi gli amici che hanno voluto salutare un salesiano che, sulle orme di don Bosco, ha speso la sua vita per i giovani che «hanno avuto di meno», come ha sottolineato don Leonardo Mancini, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha presieduto la celebrazione.

E sono in molti – rappresentanti della società civile e del mondo del volontariato – che si sono uniti al ricordo riconoscente per don Mecu pronunciato in Basilica da don Mauro Zanini, direttore della Comunità San Francesco di Sales di Valdocco in cui don Ricca ha vissuto prima di essere trasferito, dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, nella Casa di cura Beltrami, accudito con altri confratelli malati da don Enrico Bergadano.

E poi ai ricordi di chi ha lavorato spalla a spalla con Mecu: don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale, il giudice minorile Ennio Tomaselli e la moglie Rosamaria, Giuseppe Carro e Gabriella Picco, direttore e vice direttrice del «Ferrante Aporti».

Molti altri, come ha detto al termine della Messa don Michele Molinar, vicario ispettoriale dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta «avrebbero voluto oggi condividere con voi una testimonianza personale, un aspetto della vita di don Mecu che, con la sua presenza in tanti ambienti del disagio sociale ha fatto da stampella a chi fa più fatica».

Per questo don Molinar ha suggerito a coloro che desiderano lasciare una memoria su don Ricca di inviarla alla mail mauro.zanini@salesianipiemonte.it.

Tutti i contributi pervenuti saranno raccolti in una pubblicazione a cura della comunità salesiana, per non disperdere una ricchezza che continua a fare della chiesa di Torino, città dei santi sociali, una comunità che cammina al passo di chi fa più fatica ed è nato come era solito dire don Mecu «nella culla sbagliata o non è riuscito a salire sul treno giusto».

-Marina LOMUNNO

Buon viaggio don Mecu amico, fratello, padre e nonno

Gentile Direttore, son passati più di 10 anni da quando ho conosciuto don Domenico Ricca, don Mecu, scomparso il 2 marzo. Al tempo muovevo i miei primi passi – timidissimi – nel mondo del sociale. Lo vorrei ricordare così.

Mecu, quanta voglia e quanta ansia, in quelle esperienze in carcere, il «tuo» carcere. Mi hai fatto sentire accolto, capace di dare qualcosa (quanto ne avevo bisogno!), anche a quei ragazzi, ai «tuoi» ragazzi. Spesso era solo uno sguardo, un ascolto. Tantissimo, per chi queste attenzioni non le ha mai avute.

In tanti, nella vita, (ri)cerchiamo essenzialmente un Padre, uno che sappia darci un calcio – non sempre morbido – nella realtà; dirci, col cuore, «ce la puoi fare». E crederci, davvero, in noi.

Perché chi ha vissuto la strada, l’abbandono, la violenza – ricevuta spesso da chi ti avrebbe dovuto crescere – ci mette un attimo a smascherarti. A rompere l’incantesimo della tua fiducia, a mollare, a mollarsi. Devi essere vero, sempre. È una responsabilità enorme, che solo i grandi maestri sanno caricarsi sulle spalle. Forse, senza di te, l’università non l’avrei mai finita. Una volta ti ho pure invitato in facoltà, a presentare un tuo libro assieme a Marina Lomunno, educatrice prestata alla scrittura, capace di restituire precisione e bellezza alla tua missione di vita: offrire una luce di speranza concreta nelle ombre tortuose del «Ferrante Aporti».

Come spesso accade quando hai di fronte un maestro, il tuo incontro mi cambiò. Affossato dai miei fallimenti di allora (bocciato alle superiori, andato via di casa più volte sbattendo la porta), ho iniziato a guardarli in faccia, i miei fantasmi. Che ogni tanto ritornano, sotto forma di rabbia. È un allenamento costante, quotidiano: non giudicarsi, capire che anche la rabbia, se non ne vieni risucchiato, è vita. Un eccesso di vita – mi aiuta pensarlo – da condividere per non venirne travolto.

Ma con responsabilità. Con la maturità che solo i grandi educatori, i grandi padri, sanno avere. Governare quel fuoco che, sotto sotto, arde sempre. Senza limitarsi ad attizzarlo verso capri espiatori: quanto è facile (e pericoloso!) con dei ragazzi chiusi (inferociti!) tra le sbarre.

Risulteresti loro subito amico, «simpatico». Ma di fatto l’inganneresti, ancora una volta. E invece no, tu passavi attraverso la strada, più lunga ma realmente trasformativa, della consapevolezza. Una strada che tra le sbarre è ancora più stretta.

Non sempre ci si riesce, il 90% delle volte si perde. Tu stesso ne hai «persi» di quei ragazzi. Eppure continuavi ad accompagnarli. Da testimone: senza impartire lezioncine dall’alto, ma condividendo, con umiltà e verità, quanto si può. Perché: «pitòst che gnente a l’é men pitòst».

Ed è proprio questa, caro Mecu, la lezione che andrebbe scritta in tutti i libri di pedagogia. Soprattutto se si tratta di – giovani – vite umane. Un «pitòst» piccolo, ma personalizzato, per tutti.

Grazie, perché un «pitost» l’avevi colto anche in me. Non ci vedevamo da dieci anni, eppure, puntualmente, mi mandavi gli auguri il giorno dell’onomastico. Un gesto da nonno: forse perché, tra una chiacchiera frugale e l’altra, ti avevo confidato che un nonno non l’avevo mai avuto. Non ti era sfuggito: le cose davvero importanti le sapevi riconoscere al volo.

Per me, ogni 30 novembre, era un Sms: «Buon onomastico, Andrea. Mecu». Da laico, ti saluto con alcuni versi di questa «smisurata preghiera». La prima pensando ai tuoi ragazzi, da oggi orfani di un padre; la seconda per te.

«…Ricorda Signore questi servi disobbedienti/alle leggi del branco/non dimenticare il loro volto/che dopo tanto sbandare/è appena giusto che la fortuna li aiuti».

«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria/[…] e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi/per consegnare alla morte una goccia di splendore/di umanità, di verità».

Grazie per le tue «gocce», Mecu. Fai buon viaggio.

Seduto agli ultimi posti, ti troverai sempre in buona compagnia.

– Andrea SILVESTRO