L’impegno di don Stefano per la formazione dei ragazzi più fragili

“Democratica”, il sito di informazione del Partito Democratico, nella sezione “Tipi Tosti”, ha pubblicato, il 13 maggio 2018, un’intervista a cura di Cinzia Ficco al delegato di Pastorale Giovanile del Piemonte e della Valle d’Aosta, Don Stefano Mondin. Buona Lettura!

 

In Piemonte un laboratorio per formare ed avviare al lavoro ragazzi in difficoltà. Un modello che crea circolarità educazione-formazione-lavoro”

Un laboratorio per formare ed avviare al lavoro ragazzi in difficoltà che, dopo aver ultimato le scuole medie o seguito corsi di formazione professionale, non riescono a trovare un impiego. E’ una proposta innovativa a Torino e si inaugurerà il 21 maggio prossimo.

L’idea nasce dalla Pastorale Giovanile Salesiana del Piemonte e della Valle d’Aosta (con 35 comunità, 15 centri professionali, 26 parrocchie e 25 oratori), coordinata, a partire dal 2015, da don Stefano Mondin, (Biella,’74),  che, con il progetto Spazio fratto Tempo, lanciato tre anni fa, ha creato 60 contratti di lavoro e 36 tirocini.

L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il CNOS-FAP Regione Piemonte e si avvale di un tavolo di lavoro permanente interdisciplinare, vera forza della proposta.

Obiettivo di questa idea – spiega don Stefano – è formare attraverso attività manuali ragazzi fragili, con esperienze familiari negative e che, dopo i tradizionali corsi di formazione professionale, organizzati dalla Regione Piemonte – spesso solo troppo teorici, piuttosto rigidi e lunghi, quindi poco idonei alle adolescenze più in crisi – non riescono ad accedere al mondo del lavoro”.

La maggior parte delle volte – prosegue – questi ragazzi hanno difficoltà perché non vengono seguiti ed educati a tirar fuori le proprie capacità, quasi sempre manuali. Noi proponiamo corsi brevi e, soprattutto, agganciati alla realtà, cioè, alle imprese, senza trascurare gli aspetti fortemente educativi del lavoro come via di crescita e realizzazione del sé. Lo sviluppo di Spazio fratto Tempo, per esempio, partendo dall’interdipendenza tra luoghi di lavoro e percorsi di crescita, mira a promuovere tracce di futuro sostenibili per tutti i giovani. Da qui la proposta dei laboratori che, incontrando nella quotidianità i bisogni, cercano risposte percorribili”.

Alla base di questo approccio, ci fa sapere il sacerdote, una missione: far leva sul binomio educazione-lavoro, perché è questo che crea crescita, sviluppo ed inclusione sociale. Il lavoro è un fattore produttivo, come dicono i manuali di economia, ma lavorare è anche una dimensione che fa parte integrante dello sviluppo completo di una persona, forse la dimensione per eccellenza.

E’ quella che qualifica l’agire umano e fonda la nostra società, come si legge nel primo articolo della nostra Costituzione. Lavorare, quindi, è un’esperienza educativa, tanto che fu di don Bosco, il sacerdote educatore, il primo contratto di apprendistato, che propose un’alleanza educativa tra il mastro – imprenditore, il padre del ragazzo e il ragazzo stesso, mentre lui faceva da garante.

Noi ci muoviamo lungo lo stesso solco, superando una formazione professionale spesso inutile perché frammentata e incapace di coinvolgere nello stesso tempo i ragazzi, le famiglie, gli imprenditori e gli educatori. È per questo che stiamo lavorando anche su una nuova figura di tutor.

Cosa e chi ci guadagna?
I ragazzi che traducono i saperi in competenze, scoprendo le proprie abilità manuali. Così acquisiscono autostima e cominciano a lavorare meglio. Ma ci guadagnano anche le aziende, che vedendo i ragazzi più produttivi, mettono a disposizione facilmente i propri laboratori. E il contesto sociale che, diventando attore educante – grazie alle reti di partenariato – promuove protagonismo giovanile e dà vita ad un tessuto locale più compatto. Ne nasce un circolo virtuoso.

Senza contare che gli imprenditori, coinvolti in processi di questo tipo, hanno ritorni in termini di pubblicità.

Cosa è difficile?
Far capire alla Regione Piemonte che la formazione professionale va cambiata. Vorremmo che anche il nuovo Governo, oltre ad un numero sempre maggiore di aziende e non solo piemontesi, sostenessero i nostri progetti. Pensiamo anche di avviare iniziative per ragazzi demotivati, che un lavoro non lo cercano più. Ma per andare avanti abbiamo bisogno di risorse. Fino ad ora abbiamo potuto contare sull’appoggio della Compagnia di san Paolo”.

L’azienda, che metterà a disposizione i suoi spazi a partire dal 21 maggio prossimo, è la Astelav. I ragazzi, otto in tutto, che saranno coinvolti nel progetto, impareranno a riciclare pezzi di elettrodomestici in disuso e a rigenerarli. Don Stefano, intanto, è in contatto con altre tre aziende locali.

Si dice ottimista ed è convinto che il modello della pastorale, in grado di creare una circolarità educazione – formazione – lavoro, si possa facilmente replicare in altri territori.

“La formazione – conclude – deve iniziare a modellarsi sulle esigenze di questi ragazzi più deboli, aprendo opportunità e liberando risorse umane, progettuali e professionalizzanti. I risultati di un’impostazione diversa, del resto, ci sono”.

 

Ri-Generation Lab: offrire un’occasione di lavoro a giovani in difficoltà

Si propone una breve rassegna stampa sulla neonata iniziativa di San Salvario – frutto della collaborazione tra l’Associazione Cnos-Fap, la Pastorale Giovanile Salesiana, la Parrocchia Santi Pietro e Paolo di Torino, in collaborazione con l’impresa Astelav Srl – dal titolo “Ri-generation Lab”, una sperimentazione di un nuovo format educativo-formativo rivolto a minori e adolescenti in situazioni di svantaggio e con maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro.

LA VOCE E IL TEMPO, edizione del 13 Maggio 2018. Articolo a cura di Stefano DI LULLO.

SALESIANI – UN PROGETTO PER I MINORI CHE NON VANNO A SCUOLA

I neet di San Salvario ripareranno lavatrici

«Il problema dei neet non si può identificare solo nella mancanza di concrete opportunità formative e lavorative, ma spesso di una comunità che dia fiducia e accompagni anche quei ragazzi che non sono in grado di ‘stare dentro’ a percorsi strutturati». È questa la convinzione che ha portato la Pastorale giovanile dei  Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta ad avviare a San Salvario, da lunedì 14 maggio, un laboratorio  professionale per la riparazione di elettrodomestici rivolto ai ragazzi minori che hanno abbandonato i circuiti della formazione e rimangono «parcheggiati» sulle strade.

«Ri-Generation Lab» è il nome del progetto coordinato dalla parrocchia Ss. Pietro e Paolo, dall’oratorio salesiano San Luigi, dal Centro di formazione professionale Cnos Fap dei Salesiani del Piemonte e dall’azienda Astelav srl di Vinovo. La parrocchia ha concesso all’azienda un locale in via Saluzzo 39 da adibire a negozio per la vendita di elettrodomestici rigenerati, a fianco è stato predisposto un laboratorio- officina che diventerà la scuola per 7 ragazzi che né studiano né lavorano (sono previste 100 ore di corso, più un tirocinio). L’associazione Cnos-Fap si occuperà di riconoscere le competenze acquisite per la qualifica di formazione professionale.

«Questo progetto, che nasce in forma sperimentale», evidenzia don Mauro Mergola, salesiano, parroco di Ss. Pietro e Paolo e direttore dell’oratorio San Luigi, «vuole lanciare un messaggio alle istituzioni sulla necessità di strutturare percorsi di formazione professionale più flessibili e integrati con l’accompagnamento  educativo».

I ragazzi provengono in parte dalla comunità per minori stranieri non accompagnati ospitata all’oratorio San Luigi e in parte sono segnalati dal progetto comunale contro la dispersione scolastica «Provaci ancora Sam» portato avanti dagli oratori salesiani torinesi.

«Nel momento in cui il ragazzo si sente accolto e stimato», conclude don Mergola, «allora può dare il massimo, se si sente un peso ecco che ricerca forme per evadere dalla realtà con il rischio di cadere nella rete della devianza. Ciò che conta è costruire una relazione educativa che permette di raccogliere dei frutti». Il progetto sarà inaugurato ufficialmente lunedì 21 maggio alle 18 in via Giacosa 8 alla presenza del Rettor Maggiore dei Salesiani don Ángel Fernandez Artime.

 

TORINOOGGI.IT, 9 maggio 2018 (clicca qui per accedere alla pagina)

Un “Ri-Generation Lab” per offrire un’occasione di lavoro a giovani in difficoltà

L’iniziativa vede impegnati Cnos-Fab, la Pastorale Giovanile Salesiana, la Parrocchia Santi Pietro e Paolo e l’impresa Astelav Srl. I ragazzi seguiranno un corso di riparazioni e rigenerazioni di elettrodomestici

L’Associazione Cnos-Fap, la Pastorale Giovanile Salesiana, la Parrocchia Santi Pietro e Paolo di Torino, in collaborazione con l’impresa Astelav Srl, avvieranno la sperimentazione di un nuovo format educativo-formativo rivolto a minori e adolescenti in situazioni di svantaggio e con maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si chiama “Ri-Generation Lab” e vuole offrire l’opportunità, mediante un corso per “Riparazioni e rigenerazione di elettrodomestici”, di “mettere in pratica valori che si basano sull’economia circolare: creare lavoro per chi è in difficoltà e rimettere sul mercato elettrodomestici che erano destinati alla rottamazione, quindi salvaguardare le persone e l’ambiente. Astelav, forte di una pluriennale esperienza maturata nel campo degli elettrodomestici e dei ricambi, mette a disposizione i propri tecnici, le proprie competenze e capacità per insegnare ai ragazzi le prime buone pratiche per effettuare la riparazione di elettrodomestici e dare così a loro una prospettiva di inserimento sociale e di futuro lavorativo”, come sottolinea Giorgio Bertolino, amministratore delegato di Astelav Srl.

L’inaugurazione del progetto “Ri-Generation Lab” si terrà lunedì 21 maggio 2018, alle 18 presso i locali della Parrocchia Santi Pietro e Paolo, in Via Saluzzo, 39 angolo Via Giacosa a Torino.

Per l’occasione, oltre ai rappresentanti dei diversi Enti coinvolti, sarà presente il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, X successore di Don Bosco, che presiederà la cerimonia del taglio del nastro, perchè per i salesiani “la prima preoccupazione è che i giovani, in particolare i più poveri e bisognosi, possano avere delle opportunità per dare dignità alla propria vita. Papa Francesco dice: “Il lavoro è una priorità umana. E, pertanto, è una priorità cristiana”. Così con questo nuovo progetto vogliamo continuare a ripercorrere le orme del nostro fondatore San Giovanni Bosco” afferma don Enrico Stasi, ispettore dei Salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Tale iniziativa, anche alla luce dell’eterogeneità degli enti attuatori, si propone di realizzare nuove pratiche inclusive, concorrendo alla sperimentazione di spazi di welfare comunitario, coniugando lavoro, formazione, educazione.

 

LA STAMPA, 22 maggio 2018, Circoscrizione 8/San Salvario

Il negozio di frighi e lavatrici riparati dai ragazzi in difficoltà

Pier Francesco Caracciolo

Nel nuovo punto vendita Astelav, a San Salvario, si possono comprare elettrodomestici riparati e rimessi a
nuovo da giovani rimasti fuori da percorsi scolastici o dal mondo del lavoro. Ragazzi tra 16 e 18 anni, che non conoscono la nostra lingua o arrivano da contesti familiari difficili, e per questo faticano anche a intraprendere corsi professionali. Il negozio in via Saluzzo 39 (angolo via Giacosa) è stato inaugurato ieri grazie a un accordo con la parrocchia dei Santi Pietro e Paolo. I salesiani, proprietari dei muri, hanno dato in affitto i locali. La ditta di Vinovo, che da 55 anni distribuisce ricambi per elettrodomestici ed è coinvolta
nel salvataggio di Embraco, ha ristrutturato uno spazio in più, il negozio accanto, e messo a disposizione i
propri tecnici. Così ha permesso la nascita di un laboratorio ad hoc: uno spazio in cui 6 giovani italiani e stranieri – provenienti dal centro di accoglienza per minori non accompagnati dell’oratorio San Luigi, in via Ormea, o in arrivo dal progetto contro la dispersione scolastica «Provaci ancora Sam» – possano imparare a «rigenerare» lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi destinati al macero. Gli obiettivi? «Aiutare questi ragazzi ad acquisire autostima e riscoprire interessi e passioni che in contesti difficili si rischia di perdere – spiega don Mauro Mergola, il parroco dei Santi Pietro e Paolo -. Nella speranza che questo possa avvicinarli verso una vera professione».Il progetto, Ri-Generation Lab, è stato realizzato col sostegno della Compagnia di San Paolo. Al taglio del nastro, oltre al fondatore di Astelav Giorgio Bertolino, erano presenti vertici salesiani e istituzioni: il rettor
maggiore don Angel Fernandez Artime, l’ispettore del Piemonte don Enrico Stasi, l’assessora regionale Monica Cerutti e quella comunale Sonia Schellino, il presidente di circoscrizione Davide Ricca. I 6 ragazzi,
da qui a luglio, seguiranno un corso di 100 ore. In parte è teorico, ed è già iniziato la scorsa settimana presso il centro Valdocco, con l’aiuto dei docenti del Cnos-Fap (centro di formazione salesiano). Le lezioni pratiche sono partite ieri nel laboratorio di via Saluzzo. Con successo: i ragazzi hanno fatto ripartire una vecchia Ariston sostituendo la vasca e una resistenza. Appena sarà pronto, sarà il primo degli elettrodomestici in arrivo dal laboratorio messo in vendita nel nuovo negozio. Affiancherà altri frigoriferi o
lavastoviglie usati, recuperati e messi in commercio da Astelav. Al termine del corso, i ragazzi ritenuti idonei parteciperanno a un tirocinio all’interno dell’azienda: «Siamo al lavoro per aiutare i giovani delle fasce più deboli – ha detto don Stasi -. Per questo siamo in contatto con altre aziende: vogliamo far partire a breve progetti analoghi».

 

TORINOOGGI.IT, 22 maggio 2018 (clicca qui per accedere alla pagina)

A San Salvario per don Bosco
giovani stranieri “rigenerano” elettrodomestici

Inaugurato alla presenza del rettor maggiore dei salesiani Ángel Fernández Artime, il progetto “Ri- generation” nasce dalla collaborazione tra l’agenzia formativa Cnos-Fp, la Pastorale Giovanile Salesiana, la Parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo e l’impresa Astelav, protagonista anche nel dopo-Ebraco

Provengono dal Senegal, dall’Albania, dal Gambia, dall’Ecuador. Oppure sono nati qui da genitori arrivati  in Italia tanto tempo fa, e sentono il richiamo della terra madre. Come tutti gli adolescenti hanno dei sogni nel cassetto, coltivati in una terra non sempre disponibile ad aprirsi all’accoglienza. Vorrebbero mettere da parte qualche soldino, ma spesso non sanno da dove cominciare.

“Se vuoi che i giovani facciano quello che tu ami, ama quello che piace ai giovani“, diceva don Giovanni Bosco. Ed è proprio in suo nome che è partito, a San Salvario, un nuovo progetto sperimentale dedicato ai tanti ragazzi del quartiere che vivono in condizioni non facili e chiedono una mano per incanalare la giusta strada verso il mondo del lavoro.

L’agenzia formativa Cnos-Fap, la Pastorale Giovanile Salesiana, la parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo, in collaborazione con l’impresa Astelav (già protagonista della reindustrializzazione di Embraco, insieme ai cino-israeliani di Ventures Production) e il sostegno della Compagnia di San Paolo, sono gli attori protagonisti di “Ri-generation”, un nuovo format educativo rivolto a minori in situazioni di svantaggio sociale. In occasione del lancio del progetto, ha fatto visita alla sede di via Saluzzo il rettor maggiore dei salesiani don Ángel Fernández Artime, in Piemonte già da qualche giorno.

Da maggio a luglio, i ragazzi preselezionati affronteranno 100 ore di corso pratico di riparazione  elettrodomestici, per poi avviare, a settembre, dei tirocini mirati a un vero e proprio inserimento lavorativo. Alla base di tutto, l’economia circolare, il senso del riutilizzo antispreco, l’abilità manuale nell’aggiustare ciò che comunemente finirebbe nella spazzatura. Un’esperienza pensata per piccoli gruppi, nella dimensione comunitaria della parrocchia, con del personale qualificato capace di unire teoria e pratica in una sola offerta formativa.

All’inaugurazione erano presenti anche l’ispettore salesiano don Enrico Stasi, Giorgio Bertolino, padre fondatore dell’azienda, l’assessora regionale alle pari opportunità e immigrazione Monica Cerutti e  l’assessora comunale alle politiche sociali Sonia Schellino.

“Da tempo i salesiani sono attenti alla dispersione scolastica e alle possibilità lavorative per i giovani”, ha spiegato l’ispettore. “L’idea iniziale è di don Bosco: unire l’educazione all’autonomia professionale. Spesso in soli tre anni di corso i ragazzi non riescono ad apprendere abbastanza, quindi questa nuova proposta formativa vuole essere una possibilità in più in vista di un futuro sostenibile”.

I ragazzi un tempo protetti sotto l’ala del santo sociale per eccellenza, don Bosco, sono oggi i cosiddetti “neet”, acronimo di “not (engaged) in education, employment or training”. In sostanza, giovani senza un lavoro né una base d’istruzione solida e completa.

L’idea è nata due anni fa dall’incontro tra la famiglia Bertolino e il parroco dell’oratorio San Luigi, don Mario Mergola. Ecco l’idea di fornire ai ragazzi lì accolti un’istruzione tecnica, coniugando l’attenzione per l’ambiente alle possibilità concrete di lavoro.

“Rigenerare” prende quindi il significato di “restituzione della dignità” in senso lato: agli oggetti destinati alla spazzatura, alle persone senza lavoro e prospettive.
“La prospettiva futura per questi giovani è di diventare riparatori eccellenti con competenze sia tecniche che commerciali”, spiegano i Bertolino, commossi nel vedere riparata la prima lavatrice Ariston.

Nel laboratorio si prendono elettrodomestici destinati ai rifiuti e si rigenerano rendendoli nuovamente funzionali. Un processo che, nei disegni imprenditoriali illuminati come quelli dell’Astelav, dovrebbe diventare sempre più preponderante.

“L’interdisciplinarità è fondamentale – ha commentato l’assessora Cerutti – e questo progetto ci porta a riflettere sulla sostenibilità mettendo in atto un modello formativo molto più snello. Ragioniamo in termini di discriminazione positiva, riconoscendo le potenzialità di questi ragazzi”.

“La dimensione del sogno per don Bosco era fondamentale – ha aggiunto l’assessora Schellino – e dobbiamo far sì che oggi questi ragazzi possano trovare nella società dei punti di riferimento per realizzare ciò che desiderano. San Salvario va rivalutato come quartiere pieno di solidarietà, capace di far nascere iniziative simboliche come questa, una formazione professionale manuale per la quale i salesiani vantano una lunga tradizione”.

“Aiutiamoli a diventare finalmente dei professionisti”, ha esortato infine don Artime. “Ci sono un’azienda e le istituzioni che si stanno impegnando insieme. Noi salesiani, del resto, nei giovani abbiamo sempre creduto tanto”.

CORRIERE DELLA SERA, edizione di Torino, 22 maggio 2018 

Negozio e laboratorio, Astelav fa il bis in San Salvario

Sette migranti assunti per rigenerare gli elettrodomestici. E alla Embraco si riconvertiranno frigoriferi

Lisa Di Giuseppe

Sette ragazzi da sette Paesi diversi. Vengono da Ecuador, Nigeria, Marocco, Albania, Senegal, Gambia e
Romania gli ultimi arrivati in casa Astelav: l’azienda di Vinovo fa il bis nel business della rigenerazione,
inaugurando a San Salvario il Ri-Generation Shop e il Ri-Generation Lab.
Dopo l’inaugurazione del primo negozio a Porta Palazzo, oggi arriva il secondo: uno store di elettrodomestici rigenerati al portone affianco, in cui ha sede il laboratorio dove gli operai insegnano il
mestiere alle nuove leve. Forze fresche che condividono lo stesso destino: aver raggiunto l’Italia da minori
non accompagnati.

Insieme ai Salesiani della parrocchia di San Pietro e Paolo, la famiglia Bertolino, da 55 anni alla guida della ditta, ha infatti scelto di dar loro l’opportunità di imparare un mestiere. Di qui l’idea di far partire un corso di 100 ore teoriche e pratiche che permetterà ai sette ragazzi di apprendere le basi della professione ed eventualmente di proseguire il lavoro in Astelav.

Ancora una volta, spiegano i Bertolino, nell’attività dell’azienda si cerca di combinare l’attenzione al territorio con il benessere di chi lo abita. Racconta Ernesto, figlio del fondatore Giorgio e responsabile marketing: «Puntiamo sull’economia circolare: recuperiamo oggetti che altrimenti verrebbero buttati. In più, cerchiamo di impiegare persone che sono rimaste senza impiego o si trovano in difficoltà». È questa la storia degli otto dipendenti già assunti nell’ambito del progetto Ri-Generation a Porta Palazzo.
E sarà quella dei 40 lavoratori Embraco che passeranno con l’impresa di Vinovo, se tutto andrà secondo i
piani prestabiliti. «Domani è il giorno dei tavoli, è vero. Vedremo come andrà, ci sono ancora diverse questioni da risolvere», puntualizza Ernesto Bertolino. Che poi però tronca di netto: «Embraco è importante, ma oggi parliamo di un’altra storia».

Insomma, dopo Ri-Generation, si aspetta che arrivi l’ok da Roma per assistere a un lieto fine anche per i dipendenti di Riva di Chieri, che appena possibile dovrebbero iniziare la rigenerazione di frigoriferi nel vecchio stabilimento dell’azienda brasiliana. L’ultimo intoppo burocratico sul passaggio è però di pochi giorni fa: per gestire gli R1, la categoria dei rifiuti speciali di cui fanno parte i frighi, c’è bisogno di un’autorizzazione particolare, che però non è stata ancora concessa a Astelav dalle autorità competenti.

LA REPUBBLICA, edizione di Torino, 22 maggio 2018 

Ragazzi rigenerano le vecchie lavatrici

A San Savalvario aperto un laboratorio organizzato da Astelav, l’azienda che assorbirà 40 dipendenti
Embraco a Riva di Chieri

Un negozio di elettrodomestici rigenerati a San Salvario, che si aggiunge a quello già in attività a Porta Palazzo. E un corso di formazione per ragazzi a rischio emarginazione in collaborazione con i Salesiani.

Sono le due nuove iniziative di Rigeneration, il progetto di economia sociale e sostenibile dell’azienda torinese Astelav. Che anche grazie a queste nuove attività potrà assorbire una quarantina di lavoratori del’Embraco di Chieri.
Ri-generation è un progetto che si basa sui valori della solidarietà, del lavoro, della salvaguardia dell’ambiente. È nato all’inizio del 2017 dalla collaborazione fra l’imprenditore Giorgio Bertolino, titolare di Astelav, e il Sermig di Ernesto Olivero. Il primo passo è stato l’apertura nella sede di Astelav, a Vinovo (Torino), di un laboratorio per la rigenerazione di elettrodomestici per creare opportunità di lavoro per persone in difficoltà e contribuire a costruire una mentalità di contrasto allo spreco. Un anno fa poi l’inaugurazione in via Mameli 14, del primo Rigeneration Shop italiano, dove si vendono lavatrici e lavastoviglie rigenerate. Ora due altri i passi avanti grazie alla collaborazione con la Famiglia Salesiana: il secondo Rigeneration Shop e il Ri-Generation Lab, un corso per “Riparazioni e rigenerazione di elettrodomestici” che si terrà nella sede del Cnos/Fap di Valdocco e presso l’Oratorio della Parrocchia di San Pietro e Paolo, in via Saluzzo 39. «Lo scopo – spiega Bertolino è fornire le basi per la riparazione di elettrodomestici e dare ai giovani le conoscenze per un giusto approccio al lavoro». Al corso sono iscritti 8 adolescenti, fra i 15 i 17 anni di 8 Paesi diversi: Ecuador, Nigeria, Marocco, Albania, Senegal, Gambia, Romania, Italia. Nel laboratorio a Vinovo, sono già stati riparati e rigenerati più di 1.200 elettrodomestici. Più della metà di questi erano rifiuti destinati alla rottamazione.

Don Ricca: una Pastorale che abbia «l’odore dei detenuti»

Come coinvolgere i giovani detenuti che popolano le carceri italiane e gli Istituti di pena minorili nel cammino del Sinodo dei giovani? Una delle domande dell’intervista a Don Domenico Ricca, cappellano del «Ferrante Aporti» di Torino, realizzata dalla redazione de La Voce E Il Tempo, in edicola domenica 6 Maggio 2018, a cura di M. Lomunno. Buona Lettura!

INTERVISTA – IL CAPPELLANO DEL «FERRANTE APORTI» E IL COINVOLGIMENTO DEI RECLUSI DEGLI ISTITUTI DI PENA MINORILI NEL CAMMINO DEL SINODO DEI GIOVANI

«I giovani hanno bisogno non di un’idea, ma di un sentimento, di
un’emozione che fa fatica a tradursi in operatività, in voglia di cambiare»

Come coinvolgere i giovani detenuti che popolano le carceri italiane e gli Istituti di pena minorili nel cammino del Sinodo dei giovani? Lo chiede, a nome dei cappellani degli Istituti penali per i minori, don Raffaele Grimaldi, Ispettore generale dei cappellani, in una lettera inviata nei giorni scorsi agli incaricati degli Uffici di pastorale giovanile delle diocesi italiane. Scrive don Grimaldi: «Il Sinodo può essere l’inizio di un progetto di collaborazione tra il Servizio di pastorale giovanile diocesano e la realtà dell’Istituto penale per minori e delle carceri… Un seme che nasce in questa occasione può diventare il segno di un cammino comune che va avanti in tempi ordinari. I giovani che escono dal carcere hanno bisogno di aiuto concreto, sono essi stessi ‘opere segno’ di cui tanto si parla nella Chiesa. Hanno bisogno di casa, lavoro ma soprattutto di accoglienza nelle nostre comunità».

Abbiamo chiesto a don Domenico Ricca, salesiano, da 38 anni cappellano del carcere minorile torinese «Ferrante Aporti» di commentare queste sollecitazioni, convinti, come più volte richiama papa Francesco, che la pastorale
giovanile deve rivolgersi a tutti, non a «categorie» di giovani siano essi neet, lavoratori, educatori parrocchiali, universitari, disoccupati, stranieri, detenuti…

Durante il Giubileo della misericordia il nostro Arcivescovo ha aperto una Porta santa anche nella cappella del «Ferrante Aporti», nell’intento di far sentire i ragazzi ristretti parte di una comunità. Ora voi cappellani proponete di rendere parte attiva i vostri ragazzi nel Sinodo dei giovani. Quale pastorale giovanile è possibile dietro le sbarre e come parlare ai detenuti di un Sinodo dedicato anche a loro?

L’apertura di una Porta santa al «Ferrante Aporti» è stato certamente un evento di alto valore simbolico, oserei dire
più per la comunità diocesana che per i ragazzi. Il messaggio dell’Arcivescovo era rivolto ai ragazzi per testimoniare loro che in Gesù trovano sempre la misericordia, ma soprattutto un «avvocato», parola che a loro, in quanto detenuti, parla direttamente, che li ascolta, li accoglie. Sulla porta della cappella del nostro carcere c’è il Buon Pastore, quell’affresco  datato II secolo d.C., dipinto su una volta delle catacombe di San Callisto a Roma. La scorsa domenica, dedicata appunto al Buon Pastore, è stata oggetto delle nostre riflessioni durante la Messa con i ragazzi del «Ferrante». Abbiamo anche condiviso l’immagine del pastore di papa Francesco che, nella Messa del Crisma del 28 marzo del 2013, invitava i sacerdoti a «essere pastori con ‘l’odore delle pecore’». «Questo io vi chiedo», ha detto il Papa, «siate pastori con ‘l’odore delle pecore’, che si senta quello». Per questo, venendo alla domanda «quale pastorale giovanile è possibile dietro le sbarre», oserei rispondere: una pastorale giovanile che abbia «l’odore dei detenuti», dei ragazzi minorenni e giovani adulti in attesa di giudizio o in sconto pena. Un pubblico variegato, multi-
forme, complesso, ma sempre adolescenti. Occorre prendere il loro odore, che è lo stesso delle periferie esistenziali, delle comunità per minori e delle accoglienze dei minori stranieri non accompagnati.

Come coinvolgere, secondo la sua esperienza, la Pastorale giovanile nelle carceri (non solo minorili: i giovani stanno anche delle carceri degli adulti), che tipo di percorsi di fede si possono pensare per i ristretti «giovani» tenendo conto anche delle diverse religioni della popolazione carceraria?

Nella lettera che lancia l’iniziativa del Sinodo dietro le sbarre, l’Ispettore generale dei cappellani delle carceri, don Raffaele Grimaldi, a nome di noi cappellani richiama come il Sinodo possa essere l’inizio di un progetto di collaborazione tra il Servizio di pastorale giovanile diocesano e la realtà degli Istituti penali per minori. Una collaborazione che non si estingua con l’evento Sinodo, ma che duri nel tempo. Certo, nel tempo i ragazzi cambiano: i nostri cancelli sovente per i più sono dei tornelli. Ma la comunità cristiana, la Pastorale giovanile, non può essere un tornello di ingresso e di uscita veloce. Se vuole avere senso e significato deve garantire continuità, anche piccola, come quei ragazzi che animano da più anni la nostra Messa festiva al «Ferrante», magari sottraendo qualcosa al loro oratorio. Ma non è un sottrarre, è un aggiungere.

L’immagine scelta per il Sinodo è quella del discepolo amato: come trasmettere dietro le sbarre questa certezza, e che cioè Gesù ama tutti i giovani indistintamente e che è in qualche modo dietro le sbarre, è il loro «difensore»?

Questione difficile e poco verificabile, per la diversità dei linguaggi, per la multiformità delle simbologie che la storia
di ogni ragazzo porta con sé a partire dal loro Paese, cultura e religione. Non facile anche per i giovani italiani, dove la riscoperta del religioso che è in loro si anima di immagini dei percorsi di catechesi della fanciullezza, di presenze in oratorio a volte, forse, di disturbo, di quello stare sulla porta perché curiosi di un mondo che sprizza gioia, allegria, con la paura di esserne esclusi. Ma anche incapaci di far scelte che durino nel tempo. Sulla porta perché positivamente «presi» da figure di preti, di parroci, forse poco clericali, ma tanto «persone». Preti e suore che sanno amare, che non disdegnano l’odore della strada, della periferia. I giovani hanno bisogno non di un’idea, ma di un sentimento, di un’emozione che fa fatica a tradursi in operatività, in voglia di cambiare. E dove non ce la fa ad arrivare Gesù, ci arriva la figura della Vergine. L’Ave Maria, quell’Ave Maria di don Bosco…

Don Ricca, lei è salesiano e più volte ha spiegato che ha impostato la sua presenza in carcere come quella in un oratorio: come parlerebbe don Bosco del Sinodo dei giovani in carcere?

Don Bosco tornerebbe in prigione, tornerebbe alla Generala… si inventerebbe l’uso dei social. Creerebbe gruppi su Whatsapp e Instagram! Lui che ha inventato le «Letture cattoliche» per rendere accessibile a tutti, specie al ceto popolare, le ricchezze della cultura religiosa e della cultura in generale, cosa non inventerebbe oggi perché ai suoi ragazzi, «i discoli e i pericolanti», non venisse negato il diritto alla bellezza! È la lezione di don Milani: le forme sono del tempo, ma quello che ci ha lasciato è la voglia di rischiare, di chiedere di più, di non sedersi: direbbe papa Francesco «di non condurre una vita mondana». Don Bosco manderebbe in carcere i suoi preti e chierici più ardimentosi, giovani, li sosterrebbe anche nelle loro intemperanze. Ma soprattutto sarebbe padre, amico e fratello dei ragazzi reclusi e ripeterebbe anche oggi il suo monito della «Lettera dei castighi»: «Amateli i ragazzi. Si otterrà di più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento che con molti rimproveri» perché «tutti i giovani hanno i loro giorni pericolosi, e voi anche li avete. Guai se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero».

I giovani che sono in carcere sono l’anello debole di una catena, ma tanti «fuori» sono in preda al disagio e alla ricerca di senso. Come può il messaggio del Sinodo arrivare anche ai giovani che non sanno neppure cos’è un Sinodo e sono lontani dalle nostre parrocchie?

La domanda mi rasserena perché dà voce a tutte le mie perplessità, mi fa sentire meno extraterrestre…Perplessità che poi rimuovo perché temo siano le solite lamentale di chi sta con i giovani, ma non è più giovane, di chi li osserva, li ascolta, li fa parlare. Ma i dubbi permangono, neanche il «classico» antidoto dell’ottimismo salesiano riesce a fugarli. Forse noi siamo troppo abituati a pensieri compiuti, logici, razionali, completi. Ma non è più il parlare dei giovani, il linguaggio dei social, delle abbreviazioni, dei molti errori di ortografia e di sintassi che quando li leggiamo siamo tentati di rimandarli al mittente corretti. Il conversare sullo smarthphone, con le faccine sorridenti o con le
lacrime, con il pollice verso, con gli emoticon e quant’altro… Quando la domenica in parrocchia mi trovo davanti un folto gruppo di ragazzi, allora privilegio il loro linguaggio, l’alfabetizzazione delle verità di fede, la semplicità della narrazione biblica, ma soprattutto cerco con gli sguardi e le domande di capire se hanno capito. Alla fine poi è un predicare che è molto gradito anche agli adulti…

In una parola, dobbiamo correggere il nostro comunicare. La scommessa non è di saper ridire ai ragazzi l’alfabeto della fede, di condividere con loro una nuova grammatica del parlare di Dio e con Dio?

Se non ne siamo consapevoli il nostro sarà solo un balbettìo. Partiamo da questo nuovo alfabeto. L’alfabeto della vita che supera le distanze, i confini e le barriere geografiche, ma anche quelle generazionali.

L’Ordine dei giornalisti premia «Il Salice»

«Il Salice», il giornale online del Liceo Classico e Scientifico torinese Valsalice, è stata l’unica pubblicazione scolastica del Piemonte tra i vincitori del concorso «Fare il giornale nelle scuole». La premiazione a Cesena lo scorso 5 aprile

Giovedì 5 aprile, presso il teatro Alessandro Bonci di Cesena, davanti ad una platea di oltre 500 ragazzi, l’Ordine nazionale dei Giornalisti ha premiato i vincitori del concorso «Fare il giornale nelle scuole» arrivato alla 15a edizione e riservato all’editoria scolastica. A consegnare gli attestati e le medaglie per i migliori giornali scolastici, oltre al sindaco di Cesena Paolo Lucchi, c’erano Carlo Verna, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e Riccardo Cucchi, storica voce Rai di «Tutto il calcio minuto per minuto». Tra le Scuole secondarie superiori di secondo grado, l’unica pubblicazione del Piemonte a ricevere il premio è stato il giornale online «Il Salice»» curato dagli studenti del Liceo Classico e Scientifico Valsalice, nato nel 1985, in rete da 6 anni ed arrivato quest’anno al numero 100 nel suo formato cartaceo. La redazione (nella foto) è composta da una quarantina di allievi dai 14 ai 18 anni di entrambi i Licei.

Nel corso della premiazione, Riccardo Cucchi ha sottolineato l’importanza da parte dei giornalisti di raccontare storie, comunicare con competenza ed obiettività i fatti senza farsi deviare dalle fake news ed essere «testimoni della realtà», come diceva Enzo Biagi.

Alla redazione de «Il Salice» e all’Istituto Valsalice, tra i Licei torinesi convenzionati con il nostro settimanale per le attività di Alternanza scuola lavoro, le congratulazioni del Direttore e della redazione de La Voce e il Tempo.

(Articolo de “La Voce e il Tempo”)

MSNA: Scuola e avviamento al lavoro ‘legale’, i passi fondamentali per trovare dignità

Si segnala l’approfondimento realizzato dalla giornalista Marina LOMUNNO, nell’edizione di Domenica 15 Aprile de “La Voce e Il Tempo“, circa il convegno «Quale affidamento per i minori stranieri non accompagnati» promosso dall’Anfaa, associazione nazionale famiglie affidatarie, tenutosi sabato 7 aprile 2018 alla Fabbrica delle E del Gruppo Abele.

 

ANFAA-GARANTE INFANZIA – CONVEGNO: IL PIEMONTE PRIMA REGIONE PER RICHIESTE DI TUTORI VOLONTARI DI RAGAZZI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI – A TORINO DAL 2017 14 FAMIGLIE AFFIDATARIE DI MSNA

Minori soli: 600 tutori pronti a prenderli per mano

Ci sono storie di accoglienza di chi, straniero, fugge da una sorte avversa, che fanno onore a Torino da sempre città di immigrazione. E riaccendono la speranza oscurata ogni giorno da tanti fatti di cronaca di dignità calpestate come sta
avvenendo al vicino confine fra Italia e Francia. Mentre al santuario della Consolata si celebravano, sabato 7 aprile,
i funerali della povera Beuty (servizio a pagina 3), presso la Fabbrica delle E del Gruppo Abele un altro volto della solidarietà della città dei santi sociali veniva presentato al folto pubblico intervenuto al convegno «Quale affidamento per i minori stranieri non accompagnati» promosso dall’Anfaa, associazione nazionale famiglie affidatarie, dalla Garante dell’infanzia e adolescenza del Piemonte, Rita Turino, in collaborazione con la Casa dell’affidamento del Comune di Torino. Scopo della mattinata, aperto a tutta la cittadinanza, mettere insieme tutti gli attori istituzionali del territorio e del volontariato per fare il punto e promuovere l’affidamento dei minori stranieri non accompagnati (Msna) come prevede la recente legge n.47 del 2017 e fare il punto sui tutori volontari degli Msna.

E proprio di qui si è partiti perché Torino e il Piemonte, ad un anno dall’entrata in vigore della legge sui Msna, che prevede anche l’istituzione presso il Tribunale dei minorenni della Regione di un albo di tutori volontari che si prendano cura degli adolescenti migranti soli, è al primo posto in Italia con 600 richieste di aspiranti tutori. Inoltre, ha aggiunto da Frida Tonizzo dell’Anfaa, anima del convegno, sono 14 gli affidamenti famigliari di Msna avviati a Torino dal 1 gennaio 2017 ad oggi. «Si tratta» ha precisato Piera Patt della Casa dell’Affidamento  «di 13 maschi e di una ragazza incinta, vittima della tratta, in età compresa tra i 12 e i 18 anni al momento dell’avvio dell’affido».

I ragazzi, tutti provenienti da una precedente accoglienza in comunità, provengono da Egitto, Marocco, Zambia, Albania». Secondo i dati forniti da Marina Merana, dirigente del servizio minori del Comune di Torino nel 2016 erano 541 i Msna (di cui 41 femmine, età media 15-16 anni).

«Questa inattesa disponibilità ‘di genitorialità sociale’» ha detto Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per il Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta «è un bel segnale di una società che si apre all’accoglienza per dare spessore ai diritti dei più deboli, in questo caso minori stranieri, senza dimenticare i minori italiani in difficoltà: sono tutti ragazzi in crescita, tutti hanno bisogno di affettività in grado di restituire dignità e civiltà. Sono ragazzi che hanno sulle spalle uno zaino carico di pietre: la rete delle istituzioni preposte che vigila sul servizio di tutori e famiglie affidatarie dà una mano a questi giovani ad alleggerire il peso del loro fardello».

Il Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, organo a cui compete, secondo la nuova legge, l’istituzione dell’elenco e la formazione obbligatoria degli aspiranti tutori di Msna, ricorda che al momento già 100 persone hanno concluso il primo corso di formazione obbligatoria (30 ore) e, dato l’elevato e insperato numero di richieste, nel corso del 2018 ne verranno attivati altri due. «In questi mesi» prosegue Rita Turino «sto proseguendo i colloqui degli aspiranti tutori, devo ancora selezionare 300 persone di ogni provenienza sociale: insegnanti in pensione e in attività, studenti di giurisprudenza, avvocati, medici, impiegati pubblici, single o genitori con figli naturali o adottivi, molti di provenienza associativa o con esperienze di volontariato. Per diventare tutore volontario si deve aver compiuto 25 anni ed essere in possesso di diploma superiore
o laurea». Ora, come dispone la legge, l’elenco dei 100 tutori «diplomati» è stato messo a disposizione del Tribunale dei Minorenni che, come ha precisato Dante Cibinel, giudice del Tribunale per i minorenni ha nominato per 10 tutori che verranno abbinati ad altrettanti ragazzi stranieri non accompagnati. «Compito del tutore» ha proseguito il giudice «è di prendersi cura e rappresentare legalmente il ragazzo o la ragazza, contribuire alla valutazione di dove sia meglio collocarlo per accompagnarlo alla maggiore età tenendo conto che prioritario, rispetto al collocamento in strutture e comunità, è l’affidamento famigliare anche temporaneo per esempio nei fine settimana». In Italia nel 2016 come ha illustrato Federica Altieri, assistente sociale della Pastorale Migranti della diocesi di Torino nel 2016 «sono sbarcati in Italia 25.846 Msna, scesi a 15.779 nel 2017: del 20% di questi si sono perse le tracce e attualmente i posti messi a disposizione dal governo tramite lo Sprar (il Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) per i Msna al momento è di 3.500. Ecco perché l’intervento dei Servizi sociali, delle diocesi del volontariato sono indispensabili per aiutare i ragazzi a inserirsi nel tessuto sociale senza finire nelle mani dell’illegalità». Conferma don Stefano Mondin, delegato della pastorale giovanile dei salesiani, in prima linea a Torino nell’accoglienza in comunità di Msna e nell’accompagnamento all’autonomia in progetti di housing dei giovani che raggiungono la maggiore età. «I minori migranti non accompagnati e gli adolescenti italiani che accogliamo perché in difficoltà sono accomunati da storie di privazione e di mancanza di affetto. Gli stranieri hanno un problema in più: la differenza culturale e l’esigenza di restituire alla propria famiglia di origine che si è spesso indebitata per farli espatriare le somme investite per il viaggio. Per questo non è semplice accoglierli e far capire loro che la scuola e l’avviamento al lavoro ‘legale’ sono fondamentali per trovare dignità e per sostenere la famiglia rimasta nei paesi d’origine. L’investimento sull’educazione è la nostra sfida ma con la consapevolezza che non tutto può funzionare senza la collaborazione di tutti».

Cara scuola non ti lascio «Provaci ancora, Sam»

Si segnala e pubblica, ringraziando la testata ed il giornalista Paolo Foschini, un articolo apparso su “Corriere della Sera – Buone Notizie” del 10/04/2018 che racconta il progetto “Provaci ancora Sam”.

Si chiama così il progetto in corso a Torino contro la dispersione che a livello nazionale è ancora superiore al 13 per cento Il recupero di David, Simra e Mattia dimostra che la risposta è la «rete integrata» tra insegnanti, operatori sociali, Terzo settore.

David Oseye arriva in Italia dalla Nigeria quando è ancora piccolo con la mamma, una sorella e un fratellino. Il padre è rimasto là. Non è una infanzia facile. Bocciato due volte in prima media per i suoi atteggiamenti provocatori, entra finalmente in un progetto di tutela che si occupa di lui. Morale: nel 2015 ha preso la licenza media, poi ha fatto il biennio di qualifica professionale al Ciofs Mazzarello come operatore ai servizi di vendita, l’estate scorsa ha studiato per l’esame di passaggio al quarto anno dell’Istituto statale Bosso Monti: che ora sta frequentando con buon profitto.

Simra Noreen nasce e fa le elementari in Pakistan, in dicembre compirà 18 anni. Padre, madre, un fratello più grande, un altro fratello e una sorella più piccoli. Con loro arriva in Italia nel 2012, parte con le medie e la faccenda è durissima. La lingua, la cultura familiare che dire rigida è poco, eppure anche su quest’ultimo fronte le cose un po’ alla volta migliorano grazie al lavoro di integrazione con l’oratorio salesiano della Crocetta: però due bocciature arrivano lo stesso. Finché pure lei nel 2015 entra nel progetto di Tutela Integrata, e Simra ci si butta a capofitto. Morale: finisce la terza media, si inserisce al Centro professionale di trasformazione agroalimentare Virginia Agnelli, ottiene una borsa di studio e un percorso di accompagnamento da Fondazione per la Scuola e Rotary. Sta facendo il secondo anno, nel 2019 si diplomerà.

Anche Mattia Orlando ha avuto una storia (molto) difficile. Però anche lui nel 2015 riesce a finire le medie. E poi anche la scuola del Cnos Valdocco come operatore elettrico, ora fa il quarto anno all’istituto professionale Rebaudengo. Ma soprattutto non ha mai smesso di coltivare la sua passione per la ginnastica artistica, che lo ha portato tra i primi in Piemonte, né di occuparsi di suo fratello più piccolo. Sono queste alcune delle storie legate a «Provaci ancora, Sam!», un progetto integrato e interistituzionale volto a promuovere il successo scolastico e a contrastare la dispersione: un fenomeno che pur essendo in fase di miglioramento (tra 2006 e 2016 la percentuale nazionale di chi a 18 anni risulta avere solo la licenza media è passata dal 20,8 al 13,8 per cento) non ha ancora raggiunto l’obiettivo del 10 per cento fissato dall’Europa e soprattutto mostra ancora un grande divario tra nord e sud, dove la percentuale è comunque assai più alta. Per dare un altro riferimento: dei 556.598 tra ragazze e ragazzi che nel 2016 hanno finito le medie 34.286 sono usciti dal sistema scolastico.

Contro tutto questo l’idea di «Provaci ancora, Sam!» è stata quella di mettere insieme le forze dei Servizi educativi e sociali di Torino, Ufficio scolastico del Piemonte, Compagnia di San Paolo, Ufficio Pio e Fondazione per la Scuola più una rete organizzazioni locali, per sperimentare un nuovo modello di prevenzione. La chiave è in teoria semplice e consiste nell’utilizzare il «tessuto connettivo» di associazioni non a scopo di lucro, oratori, parrocchie e altre realtà simili affinché possano lavorare insieme con le scuole per dare a ciascun ragazzo quel che gli manca: a volte ripetizioni, a volte anche solo un luogo per studiare, a volte aiuto per problemi più gravi. Rafforzamento dell’autostima e delle proprie motivazioni, come principio generale. Ma anche potenziamento delle «competenze di cittadinanza», del concetto di «comunità educante», della collaborazione tra scuola, educatori, volontari. da una parte sul fronte delle elementari (in orario scolastico) e medie, dall’altra su quello delle superiori e delle scuole professionali. In entrambi i casi con il fine di completare il percorso. E farne un punto di partenza solido per la propria vita.

Nel “Buongiorno Regione Piemonte” si parla del 150º della Basilica Maria Ausiliatrice

Si segnala che nell’edizione del TG Piemonte, nell’ambito della rubrica RAI “Buongiorno Regione Piemonte”, andata in onda Mercoledì 4 Aprile 2018, dal minuto 16:55, si può trovare l’approfondimento, a cura di Caterina Cannavà, dedicato ai festeggiamenti del 150º Anniversario della Basilica Maria Ausiliatrice, che non solo è teso a celebrare l’edificio del Santuario, ma coltiva primariamente l’obiettivo di “rinnovare la fede nel cuore degli uomini“, come sottolinea, nel corso dell’intervista, don Cristian Besso, rettore della Basilica. Buona Visione!

 

Con “M’interesso di te” al centro i Minori stranieri soli di San Salvario

In edicola, a partire da Sabato 31 Marzo, nella nuova edizione de La Voce e il Tempo, settimanale della diocesi di Torino, si trova il seguente approfondimento – a cura di Stefano DI LULLO – sull’oratorio San Luigi e il progetto denominato “M’interesso di te” – finanziato dalla  Federazione Scs/Cnos, Salesiani per il Sociale, grazie al fondo di beneficienza di Intesa Sanpaolo – che si rivolge, mediante una rete dedicata di educatori e operatori, a quei ragazzi che “non sono mai entrati nelle comunità di accoglienza dedicate, in quanto non vengono intercettati alla frontiera e nei luoghi di sbarco, o che le hanno abbandonate perché troppo ‘strette’ per loro. Di fatto, pur essendo presi in carico dai servizi sociali, si trovano per strada dove vengono adescati nelle reti della criminalità e dello sfruttamento“, come sostiene don Stefano Mondin, direttore della Pastorale giovanile dei Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta. Un progetto teso ad intercettare questi ragazzi sulla strada prima di tutto per accoglierli, ascoltarli e intraprendere con loro un percorso di fiducia che li sostenga e li accompagni.

 

TORINO – ALL’ORATORIO SAN LUIGI HA PRESO IL VIA IL PROGETTO NAZIONALE A SOSTEGNO DEI RAGAZZI MIGRANTI NON ACCOLTI NELLE COMUNITÀ

Minori stranieri soli, a San Salvario
con i Salesiani non più «invisibili»

A Torino si intensifica l’impegno dei Salesiani verso i minori stranieri più fragili, i tanti «invisibili» che vagano per le strade delle città senza alcuna protezione, con il rischio di cadere nei circuiti criminali o di sfruttamento sessuale.

Dopo aver avviato diverse Comunità di accoglienza per minori stranieri non accompagnati (Msna) i Salesiani ora hanno attivato «M’interesso di te», un progetto nazionale partito in forma sperimentale a Torino, Napoli e Catania, finanziato dalla  Federazione Scs/Cnos, Salesiani per il Sociale, grazie al fondo di beneficienza di Intesa Sanpaolo, rivolto ai quei ragazzi migranti soli usciti da qualsiasi servizio di accompagnamento.

In Italia sono oltre 5 mila, a Torino diverse decine, e rappresentano un quato dei minori accolti nelle strutture di accoglienza.

«Si tratta di ragazzi», sottolinea don Stefano Mondin, direttore della Pastorale giovanile dei Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta, «che non sono mai entrati nelle comunità di accoglienza dedicate, in quanto non vengono intercettati alla frontiera e nei luoghi di sbarco, o che le hanno abbandonate perchè troppo ‘strette’ per loro. Di fatto, pur essendo presi in carico dai servizi sociali, si trovano per strada dove vengono adescati nelle reti della criminalità e  dello sfruttamento. Molti di essi vivono in precarie condizioni igieniche in alloggi di fortuna».

Ed ecco un progetto che attraverso educatori e operatori dedicati cerca di intercettare questi ragazzi sulla strada prima di tutto per accoglierli, ascoltarli e intraprendere con loro un percorso di fiducia che li sostenga e li accompagni.

A Torino il piano viene gestito dall’oratorio salesiano San Luigi a San Salvario dove è già presente una Comunità per Msna che ad oggi accoglie 15 ragazzi. Tutto parte da «Spazio Anch’io», la postazione dei Salesiani al Parco del Valentino dove gli educatori tutti i pomeriggi stanno accanto ai ragazzi che si incontrano sulla strada accompagnandoli a riprendere in mano la propria vita. È lì che avviene il primo approccio.

«Il nostro compito», osserva don Mauro Mergola, salesiano, parroco di Ss. Pietro e Paolo e direttore dell’oratorio San Luigi, «è far percepire ai ragazzi che c’è qualcuno che si interessa di loro, che non c’è solo chi se ne approfitta, ma una comunità che  accompagna. Il nostro obiettivo non è dunque quello di portare i minori immediatamente nelle comunità d’accoglienza, ma tempi». Presso l’oratorio Ss. Pietro e Paolo è allestita un’accoglienza diurna dove i ragazzi tutti i giorni possono trovare riparo, un luogo accogliente dove fare due chiacchiere con gli educatori, mangiare qualcosa, fare una doccia, lavarsi i vestiti.

Da lì partono dunque le proposte di partecipazione ai corsi di lingua italiana all’oratorio San Luigi e ai percorsi formativi e di avviamento professionale che il centro giovanile offre.

«Il progetto», conclude don Mergola, «si inserisce tra l’attività di ‘Spazio Anch’io’, informale, l’oratorio sulla strada, e quello strutturato della Comunità di accoglienza per Msna».

L’alchimia della pizza vola ai campionati mondiali

Si riporta la notizia pubblicata dal Corriere di Savigliano relativo alla partecipazione di Andrei Stasiuk, ex-allievo del Cnos-Fap di Saluzzo,

Andrei ai mondiali dei Pizzaioli

Ha una vera e propria passione per la pizza, al punto che quando ne parla si emoziona. E non è napoletano, ma di origini rumene… Si chiama Andrei Stasiuk, ha 24 anni e ha frequentato al Cnos-Fap il corso di Arte bianca, dove è nato l’amore per gli impasti di acqua, farina e lievito. Andrei è appassionato di arte e la pasticceria, alla quale si è avvicinato partecipando anche ad un concorso a Venezia (con un ottimo risultato) è, per lui, arte. Appena terminata scuola ha iniziato a lavorare a Saluzzo come pizzaiolo e nel 2017 ha partecipato al 4° Campionato Nazionale di pizzeria a Nocera Inferiore, classificandosi tra i primi 30 (su 550 partecipanti). «Ho scelto di fare il pizzaiolo – dice – perché la pizza è “viva”, la pizza unisce, è all’apparenza semplice ma richiede la giusta alchimia di tecnica e cuore! Poi amo vedere subito il risultato, quando lievita nel forno e quando parte nel piatto verso chi la gusterà! Ora, da febbraio, ho finalmente trovato un’azienda (lavora alla “Pizzeria Mediterraneo” di Savigliano, ndr) che, grazie al titolare Dario Maurino, mi supporta e mi ha messo a disposizione prodotti di alta qualità, oltre a fiducia e stima. Al forno mi aiuta Giada Barale, un team che mi permette di sperimentare e di continuare a crescere…». La prossima settimana Andrei sarà a Parma, alla 27ª edizione del Campionato Mondiale della Pizza, dove porterà la sua Verace Napoletana. «Voglio mettermi in gioco, per portare avanti la tradizione. Userò una mozzarella di bufala speciale, preparata apposta da Salvatore Falco dell’Antico Castello di Morozzo. L’altro mio ingrediente “segreto” è… la passione!»

Siriani in fuga dalla guerra: Fossano accoglie una 2ª famiglia

Nell’edizione del 21/03/2018 del settimanale “La Fedeltà” è apparso il seguente articolo, firmato da Luigina Ambrogio, circa l’accoglienza di due famiglie siriane nel fossanese, nel progetto è stato coinvolto anche il Cnos-Fap di Fossano.

Siriani in fuga dalla guerra: Fossano accoglie una 2a famiglia
Lanciato l’appello per il sostegno al progetto interparrocchiale che rientra nell’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio

FOSSANO. Nei giorni scorsi nelle parrocchie della città è stato lanciato un appello per l’accoglienza di una seconda famiglia siriana in fuga dalla guerra. Il progetto si inquadra nell’iniziativa della comunità di Sant’Egidio che, grazie ai suoi corridoi umanitari, ha potuto portare in Italia tante famiglie di profughi siriani in totale legalità e sicurezza. Una prima famiglia, giunta a Fossano circa un anno fa, è ospitata nei locali della parrocchia di San Bernardo; il progetto è sostenuto dalle sei parrocchie della città in collaborazione con la Caritas.

In occasione del nuovo appello e in vista della mostra interattiva “In fuga dalla Siria” abbiamo fatto una chiacchierata con Barbara Stella (che fa parte della Commissione interparrocchiale che gestisce il progetto) per fare il punto su questa iniziativa di accoglienza.

Com’è nata l’idea di questo progetto?

Il progetto è nato in seguito all’invito di Papa Francesco affinché ogni famiglia adottasse una famiglia di profughi. Don Derio, allora vicario generale e Nino Mana, direttore della Caritas, verso la fine del 2016 concordarono con i parroci di Fossano di iniziare ad accogliere almeno una famiglia come diocesi. La parrocchia di San Bernardo mise a disposizione l’alloggio adiacente alla chiesa, vuoto da anni. A quel punto contattammo la comunità di Sant’Egidio per offrire la disponibilità ad accogliere.

Come funzionano i “corridoi umanitari” proposti dalla comunità di Sant’Egidio?

La comunità di Sant’Egidio ha concluso un accordo con lo Stato italiano in base al quale lo Stato permette loro di portare in territorio italiano un determinato numero di profughi in totale legalità e sicurezza a patto che tutto questo avvenga senza spese
a carico dello Stato. Il primo accordo si è concluso nel 2017 e ha previsto l’accoglienza di 1.000 profughi siriani in due anni; qualche giorno fa se ne è riaperto un altro. L’organizzazione del viaggio e il viaggio stesso (con aereo di linea dal Libano a Roma) sono a carico della Sant’Egidio; l’accoglienza e la sistemazione fino al raggiungimento dell’autonomia economica sono a carico delle comunità locali (parrocchie o associazioni) che decidono di collaborare a questo progetto. Senza questa disponibilità all’accoglienza i profughi non partono.

Come si è concretizzato il vostro progetto di accoglienza?

Ognuna delle sei parrocchie della città versa una quota mensile raccolta fra le famiglie disposte ad autotassarsi. La Caritas ha contribuito ai lavori che sono stati necessari per rendere confortevole l’appartamento di San Bernardo. Inoltre mette a disposizione i vari servizi che ha attivato sul territorio: la spesa una volta al mese, la scuola di italiano, l’abbigliamento… La famiglia composta da quattro adulti riceve in questa prima fase un contributo settimanale per il vitto e le esigenze personali; le utenze domestiche sono pagate dal progetto. Per primo è arrivato E. giovane barbiere, raggiunto in seguito dalla sorella M. con la mamma e la nonna.

Qual è la loro storia?

Arrivano da Aleppo dove prima della guerra, quindi fino a sei anni fa circa, conducevano una vita normale, in una grande città simile alle nostre, in cui convivevano senza problemi musulmani e diverse minoranze religiose. La famiglia che vive a Fossano è cristiana-ortodossa. E. esercitava l’attività di barbiere in un negozio di sua proprietà, M. era impiegata nell’ambito amministrativo in un’importante azienda di telecomunicazioni siriana.

Siete riusciti facilmente ad entrare in relazione?

Sì. Il primo ad arrivare è stato E.; dopo due mesi sono arrivati la sorella, la mamma e la nonna. Fin dall’inizio E. ha cercato di raccontarci la vita ad Aleppo ormai diventata impossibile: il rischio ogni volta che si usciva di casa, il disagio di vivere per anni senza acqua corrente, energia elettrica, gas, il costo della vita aumentato
anche di 15 volte.

Quale obiettivo vi date rispetto a questa famiglia?

L’obiettivo ovviamente è aiutarli ad integrarsi nella nostra società e a raggiungere l’indipendenza economica. Per l’autonomia è indispensabile un lavoro.

Ci sono prospettive?

Il primo passaggio è l’apprendimento della nostra lingua. Un problema che all’inizio abbiamo sottovalutato; chi parla l’arabo fatica molto ad apprendere l’italiano. Stanno frequentando la scuola di italiano presso i Salesiani di Fossano che a giugno, dopo un esame, rilascerà una certificazione riconosciuta nel mondo del lavoro. Hanno anche frequentato, fin da subito, il corso di italiano della Caritas. Inoltre, per potenziare l’apprendimento, M., E. e la mamma sono seguiti da due insegnanti volontarie. Ci siamo mossi per tentare di attivare un primo inserimento lavorativo per E., cercando tra i parrucchieri di Fossano qualcuno disponibile ad assumerlo attraverso una borsa lavoro pagata dalla Caritas; purtroppo la ricerca non ha dato esito. Siamo poi riusciti a  organizzare la borsa lavoro con i Salesiani: adesso E. è impegnato a titolo di uditore/assistente per tre giorni alla settimana presso il corso di Tecnico dell’acconciatura del Cnos fap di Fossano. Si tratta di un passaggio molto utile sia per un primo inserimento nella realtà professionale italiana (con le relative procedure e normative e l’acquisizione della terminologia tecnica specifica); sia ai fini della futura richiesta di riconoscimento della sua qualifica professionale in Italia (una procedura molto lunga) che per metterlo in relazione con la rete di acconciatori presente sul territorio.

La sorella ha altrettante difficoltà nella ricerca di un lavoro?

M. incontra meno difficoltà nell’apprendimento dell’italiano. È laureata in Economia e commercio; da una nostra verifica presso l’Università di Torino la documentazione in suo possesso è valida e sufficiente per richiedere l’equipollenza con la nostra laurea. In attesa, si spera, di ottenere questa certificazione, M. ha inviato il suo curriculum ad alcune aziende.
Speriamo che la sua buona conoscenza della lingua inglese e dell’arabo le possano offrire maggiori possibilità di accesso ad un lavoro adeguato alle sue competenze. In seconda istanza ci si orienterà nella ricerca di un altro tipo di lavoro.

Si è creata integrazione con le comunità parrocchiali?

Abbiamo previsto momenti di condivisione e di incontro per offrire loro possibilità di relazioni e di amicizia; partecipano con noi a feste, pranzi o campi estivi parrocchiali. Siamo convinti che l’integrazione passi attraverso il vivere queste esperienze e la quotidianità, frequentare persone italiane nelle loro case: solo in questo modo possono conoscere la nostra cultura, il nostro modo di vivere e di rapportarci.

Si trovano bene a Fossano?

Sì, si sono sentiti accolti e ce lo dicono. Stanno affrontando questo nuovo inizio con grande forza d’animo: hanno dovuto abbandonare tutto e ricominciare tutto da capo, con la nostalgia e l’angoscia per i loro parenti rimasti ad Aleppo. Noi ci rendiamo conto che vengono guardati un po’ con sospetto da chi non conosce la situazione. Qualcuno ci chiede perché debbano “vivere sulle nostre spalle”. Ci teniamo a spiegare il progetto perché se ne comprendano gli obiettivi. E ora avete lanciato l’appello per una seconda famiglia.
Qualche settimana fa una responsabile della comunità di Sant’Egidio ci ha contattati per chiederci la disponibilità ad una seconda accoglienza. Si tratta di una famiglia strettamente imparentata con quella già presente a Fossano e per la quale i nostri amici sono fortemente preoccupati: è una famiglia composta da padre, madre e tre figli adolescenti; il più grande presto dovrebbe entrare nell’esercito… L’espatrio attraverso i corridoi umanitari è l’unico modo per sottrarlo a questa esperienza.

Cosa avete deciso?

Come Commissione interparrocchiale abbiamo deciso di accettare la richiesta della comunità di Sant’Egidio. Non possiamo sottrarci alla possibilità di offrirgli una speranza concreta di mettersi in salvo. Per poter avviare questa seconda accoglienza abbiamo bisogno di raccogliere altre adesioni. Ci rendiamo conto della difficoltà ad avere due progetti in sovrapposizione ma questa difficoltà ci sembra ampiamente compensata dal fatto che avremmo due famiglie che si potranno sostenere a vicenda sia nell’immediato che nel futuro.

Cosa chiedete a chi intende sostenere l’accoglienza di questa seconda famiglia?

Sono diverse le modalità di sostegno al progetto; nella parrocchia dello Spirito Santo le famiglie concorrono con 10 euro al mese, da far pervenire attraverso un bonifico sul conto corrente della parrocchia. Ci stiamo rivolgendo anche a gruppi, coppie e ad altre associazioni proponendo lo stesso impegno.