Si pubblica la lettera dell’Ispettore, don Enrico Stasi, inviata ai confratelli in questo mese di aprile in occasione della Santa Pasqua.
Carissimi Confratelli,
in questo Sabato Santo, vigilia della Pasqua di Risurrezione vorrei consegnarvi una delle parole più belle e rivoluzionarie di Gesù, dette proprio nel contesto dell’Ultima cena: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (Gv 15, 15). E’ proprio in questo passaggio relazionale che avviene un cambiamento. Finché non diventiamo amici così, non abbiamo fatto accadere veramente il cristianesimo dentro di noi. Se non siamo disposti a questa “rivoluzione relazionale”, abbiamo limitato la grazia in noi.
Questo è vero nel nostro rapporto con Gesù, ma è altrettanto vero nelle relazioni tra noi. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). In questo tempo dobbiamo riconoscere la CURA di Dio. E’ Lui il primo grande medico che sta curando questa nostra umanità. La sta curando innanzitutto dalla malattia dell’individualismo. Anche del nostro. Un individualismo che spesso trasforma la nostra solitudine in isolamento, con la tentazione di dire che noi (religiosi) dobbiamo essere solo quelli che danno. Pensiamo che questa sia santità, ma questa è una forma di superbia mascherata da umiltà, perché la più grande umiltà è dire che anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci accolga, ci ascolti, abbia cura di noi, ci faccia essere pienamente noi stessi, ci aiuti ad essere migliori di quello che siamo, ci faccia essere la forma migliorata di quello che noi siamo… Molti dei nostri confratelli, con cui a volte condividiamo solo le cose più superficiali, li perdiamo perché non accettiamo una relazione così profonda da permettere di dirci vicendevolmente la verità, aiutandoci a riappropriarci di noi stessi, ad accettarci e migliorarci. Gli amici veri, non i “compagni di merenda” con cui spesso dividiamo solo mormorazioni, tirano fuori da noi il meglio.
Cari fratelli chiediamo al Signore di crescere nell’amicizia con Lui e che questa amicizia faccia crescere l’amicizia verso i nostri confratelli, che non sono semplicemente dei vicini di tavola, di camera o di banco ma “dei fratelli da amare” (Cost. 50) e con i quali in “clima di fraterna amicizia ci comunichiamo gioie e dolori e condividiamo corresponsabilmente esperienze e progetti apostolici” (Cost. 51).
Per questo tempo che stiamo vivendo prendiamo coscienza che non siamo i primi a vivere momenti di estrema difficoltà o di crisi: l’umanità e la Chiesa sono attraversate da storie simili. Ogni epoca ha avuto le sue crisi e il Signore vi ha sempre risposto non con idee geniali, ma con i Santi. Ogni crisi ha avuto dei Santi, quelli sono stati la risposta di Dio.
O ci facciamo Santi o non abbiamo il diritto di lamentarci. E’ questo che forse dovremmo recuperare, capendo che neanche al Signore piace quello che stiamo vivendo e lo vuole cambiare attraverso la nostra santità. Se poi sta chiedendo a ciascuno di noi di dare il nostro originale e unico contributo a questo cambiamento, è perché la caratteristica dei Santi è l’unicità, l’originalità.
In questo tempo si sentono tante parole, soprattutto dalla TV; forse anche noi nei nostri incontri sempre più social lasciamo scorrere fiumi di parole. Ma, lo sappiamo, la santità non nasce da una tavola rotonda, ma da un’opera di conversione, che significa ascolto di Dio e benedizione della nostra umanità. Dovremmo tornare ad avere nostalgia della santità, ad avere una misura alta della vita. Non dobbiamo accontentarci, né tendere alla sufficienza. Dobbiamo fare tutto il possibile, ma anche più del possibile, liberi nel sapere che, se il Signore ci sta chiedendo di fare qualcosa, sa Lui il perché e sa Lui come. Come il nostro padre don Bosco, anche noi dobbiamo assumerci la responsabilità del nostro presente e domandarci qual è la novità che ha affidato a noi in questo momento. Dobbiamo metterci in gioco, non aver paura di sbagliare o di tentare, ma farlo sempre alla maniera dei Santi.
“Penso ai Santi della porta accanto in questo momento difficile. Sono eroi! Medici, volontari, religiose, sacerdoti, operatori che svolgono i loro doveri affinché questa società funzioni. Quanti medici e infermieri sono morti! Quanti sacerdoti sono morti! Quante religiose sono morte! Mi viene in mente una frase ne I Promessi sposi, del sarto, a mio giudizio un personaggio tra i più semplici e più coerenti. Diceva: «Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene». Se riconosciamo questo miracolo dei Santi accanto a noi, di questi uomini e donne eroici, se sappiamo seguirne le orme, questo miracolo finirà bene, sarà per il bene di tutti. Dio non lascia le cose a metà strada. Siamo noi che le lasciamo e ce ne andiamo. Quello che stiamo vivendo è un luogo di metanoia, di conversione, e ne abbiamo l’opportunità. Quindi facciamocene carico e andiamo avanti.” (papa Francesco).
Questa Pasqua ci risvegli il desiderio profondo di coltivare l’amicizia tra noi e di fare scelte chiare nel nostro cammino di santificazione, aprendoci sempre di più al fiume di Grazia donata dal fianco squarciato di Gesù.
Prima di salutarvi desidero ringraziarvi per come le comunità stanno vivendo questo tempo intensificando la fraternità e la preghiera. In questo momento un confratello, don Sergio Accornero, è ancora ricoverato in ospedale ma sta rispondendo molto bene alle terapie. Anche altri confratelli di alcune comunità sono stati riscontrati positivi al Covid-19 ma le situazioni non sono gravi e proseguono le cure nelle proprie comunità.
Buona Pasqua cari fratelli, abbracciamo il Signore per abbracciare la speranza.
Torino, 11 aprile 2020
Don Enrico Stasi
Ispettore