Per concludere il vecchio anno ed iniziare al meglio il 2022, un gruppo di giovani facenti parte del percorso dell’Animazione Missionaria “Nel cuore del mondo” ha vissuto la festa di fine/inizio anno in maniera alternativa, facendo tesoro delle attività portate avanti dal Rifugio Massi di Oulx in merito all’accoglienza dei migranti. Di seguito l’esperienza vissuta dal gruppo di giovani che ha aderito, a cura di Sara Scrivo.
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Capodanno ad Oulx
Quest’anno, con il percorso di animazione missionaria “Nel cuore del mondo” abbiamo trascorso un Capodanno alternativo presso il rifugio Massi di Oulx che si occupa dell’accoglienza dei migranti appartenenti alla rotta balcanica e a quella africana. Si tratta di singoli e famiglie che tentano di attraversare il confine con la Francia e che spesso vengono respinti dalla gendarmerie francese. Ad Oulx, d’inverno, la temperatura scende anche di diversi gradi sotto lo zero e questo rende gli attraversamenti notturni sulle piste da sci o in alta montagna estremamente pericolosi. Di conseguenza, per i migranti, il rifugio Massi è, di fatto, l’unica possibilità per ottenere un pasto caldo ed evitare di dormire all’addiaccio.
Don Chiampo, parroco di Bussoleno e responsabile del rifugio, ci ha accolti presentandoci la struttura e le modalità di accoglienza dei migranti e ci ha ricordato l’importanza di restituire loro la dignità e di riconoscerli come persone evitando qualsiasi forma di pietismo. Inoltre, egli ha evidenziato come il concetto di “migrante” sia un concetto in continua evoluzione. Anche a livello etimologico è possibile individuare tale trasformazione: un tempo, infatti, si utilizzavano i termini “immigrato” ed “emigrato”, mentre attualmente si utilizza in maniera più generica il termine “migrante”. Anche questo cambiamento semantico è significativo perché va a sottolineare quanto l’azione del “migrare” sia diventata ormai una condizione costante, tanto da mettere da parte gli aspetti del “da dove” o del “verso dove” espressi dai due prefissi. In passato, inoltre, i migranti erano, quasi esclusivamente, migranti economici in cerca di nuove opportunità; al giorno d’oggi, invece, la maggior parte sono rifugiati politici o migranti forzati che fuggono da zone di guerra o da situazioni in cui i diritti umani non vengono rispettati. In futuro e, purtroppo, in un futuro non troppo lontano, conosceremo meglio anche la figura del migrante ambientale.
I migranti che passano per Oulx sono stati costretti a lasciar ogni cosa e a vendere tutto quello che possedevano nella speranza di trovare un posto migliore, un luogo sicuro dove poter crescere i propri figli. Tutti noi siamo rimasti molto colpiti dal coraggio e dalla determinazione di queste persone nel non avere un piano B e nel dover puntare tutto sul piano A. Noi, al contrario, siamo spesso così tanto insicuri nel formulare i nostri progetti da evitare di fare anche solo un passo senza prima avere garanzie di successo. Per loro invece il mettersi in viaggio non è un’opzione, una scelta tra le tante alternative; il più delle volte è una necessità dalla quale risulta impossibile tirarsi indietro.
Dopo aver ascoltato Don Chiampo, abbiamo dato una mano a pulire e riordinare i container e le stanze. Spostando i materassi abbiamo trovato alcuni oggetti che ci hanno fatto riflettere sul numero di persone passate in questo piccolo punto nevralgico e sulle loro storie: spazzolini, calzini, guanti, mascherine, omogeneizzati e appunti con percorsi, nomi di città, orari di treni e pullman diventano simboli concreti della sofferenza, delle paure e delle speranze di tutti i migranti che hanno trascorso anche solo una notte in questo luogo.
La sera abbiamo condiviso la cena chiacchierando con alcuni di loro e cercando di entrare un po’ nelle loro storie con quanta più delicatezza possibile. Qualcuno era contento di poter passare la serata con noi e di vivere qualche attimo di spensieratezza, altri ci chiedevano, più semplicemente, di condividere il loro silenzio. Come ha detto Don Chiampo, il “povero” è spesso una figura scomoda, una figura che ci infastidisce e ci richiede uno sforzo per uscire dal nostro egoismo, ma quando entriamo in contatto con la sua povertà contemporaneamente scopriamo anche quelle che sono le nostre povertà, ciò che nascondiamo alle altre persone e, spesso, anche a noi stessi. Solo mettendoci a servizio degli ultimi riusciamo davvero a riconoscerci come fortunati, a riordinare le priorità della nostra vita e ad incontrare in modo autentico Dio. Lo stesso Dio che continua a prendersi cura e ad accogliere le grida di questa umanità bella e fragile.
[Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò sé stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini. (Filippesi 2,6-7)]
Lo sguardo del “povero” allora, è uno sguardo profondo che ci smuove, ci interroga, che pretende un nostro intervento e che, un po’ come gli occhi dei protagonisti delle opere di Ungarelli (esposte a Valdocco), va a rimuovere quel velo di ipocrisia che ci accomuna un po’ tutti e che ci intrappola nell’inazione e nell’indifferenza e non ci permette di agire per la carità. Abbiamo dunque trascorso l’ultimo dell’anno mettendoci a servizio degli ultimi e cercando anche di riflettere sul modo in cui siamo abituati ad amare. Infatti, come ci ha ricordato Don Chiampo, ci sono motivazioni molto diverse che ci spingono ad amare:
“Ti amo perché mi ami,
ti amo perché ho bisogno di te
e ti amo perché voglio il tuo bene.
E tu che tipo di amore scegli?” (Don Chiampo).
È stato inoltre molto bello vedere che, nonostante fosse il 31 dicembre, i volontari erano tanti. La sera abbiamo festeggiato l’arrivo del nuovo anno insieme a due ragazzi volontari con i quali ci siamo sentiti immediatamente in sintonia. Condividere insieme quest’esperienza di servizio e riconoscerci come figli di Dio ci ha fatto sentire immediatamente fratelli, pronti a collaborare per il bene del prossimo.
Sara Scrivo