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Gli anni record dei quarantasette cinema parrocchiali – Torino Storia

Si riporta di seguito l’articolo a cura di Torino Storia.

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Pensi ai cinema parrocchiali, e ti viene in mente la fanciullezza, ma anche «Nuovo cinema Paradiso», il meraviglioso film di Giuseppe Tornatore vincitore del premio Oscar nel 1990, incentrato sull’amicizia tra il piccolo Totò e il proiezionista Alfredo. Pensi a quelle piccole sale accanto alle chiese, e ti ricordi quando ce ne era almeno una in ogni quartiere. La visione di una pellicola costituiva il premio per l’essersi comportati bene tutta la settimana.

Di solito ci si andava la domenica pomeriggio: all’uscita da Messa si guardava il cartellone appeso all’esterno, e si decideva se ne valeva la pena. Se la risposta era affermativa, da lì a poche ore scattava il piano familiare di preparativi che coinvolgeva padre, madre ed eventuali fratelli e sorelle, tutti rigorosamente con il vestito della festa o quasi, perché all’ingresso si poteva incontrare il vicino di casa oppure un collega d’ufficio, e bisognava essere in ordine. I più grandicelli potevano anche andarci da soli, non necessariamente comportandosi male (oggi si direbbe facendo casino) come raccontato in molte pellicole. Tra l’altro, anziché le maschere, qualche volta c’erano i preti che giravano in platea e in galleria…

Era un mondo, con le sue regole, che non esiste quasi più, e non solo a Torino. È stato travolto dalla fruizione diversa (leggasi televisione, Internet e on demand) del prodotto cinematografico. Ma quali erano le principali sale della città e dove si trovavano? E quale era la loro storia?

Cominciarono i salesiani. Sin dagli anni Venti il cinema instaura un rapporto proficuo con il mondo cattolico torinese, in particolare con quello salesiano, che nel 1923 mette in piedi l’Ufficio Films Missioni Don Bosco diretto da don Molfino: le pellicole prodotte sono per lo più documentari sulla vita missionaria (ad esempio «La terra che vide Gesù») proiettati nelle sale generiche, ma pure lungometraggi come «Terre magellaniche» (1933), presentato al Politeama Chiarella.

Negli anni Trenta si inizia ad avvertire l’esigenza di inaugurare spazi cinematografici a carattere parrocchiale, dedicati in particolare ai giovani: ecco dunque comparire nuovi cinema un po’ in tutti i borghi, per lo più dentro o accanto agli oratori. Nella sola Barriera di Milano ne erano in funzione ben quattro: il Lanteri di corso Giulio Cesare 80, il Monterosa di via Brandizzo 65, il Rebaudengo, al numero 22 dell’omonima piazza e il Chatillon presso la parrocchia N.S. della Speranza, al civico 41 della medesima via.

È in particolare grazie alla spinta della nostra città che nel 1935 nasce a livello nazionale il Consorzio del Cinematografo Educativo, che da lì in avanti indirizzerà la scelta delle pellicole da proiettare. Un’iniziativa che porterà in breve all’apertura di 64 sale parrocchiali in tutto il Piemonte (per una capienza di quasi 15 mila posti), e di queste dieci si trovavamo a Torino.

Poi la guerra e i bombardamenti non ebbero pietà di nulla. A farne le spese furono anche numerosi teatri e i cinema. Tra cui il Michele Rua di via Paisiello, andato totalmente distrutto dopo l’incursione aerea del novembre del 1942: questa sala parrocchiale aveva rappresentato un formidabile richiamo per bambini e ragazzi del quartiere Barriera di Milano.

Cinema e teatro. Finisce il conflitto, la vita culturale del capoluogo piemontese è ricca di fermenti e di iniziative. La gente ha voglia di svago, dopo anni tanto bui, e prende d’assalto le sale da ballo e quelle filmiche di ogni ordine e genere. Tanto che all’inizio degli anni Cinquanta le sale torinesi legate alle parrocchie salgono a 23, alternando spesso proiezioni e spettacoli sul palcoscenico: da lì la doppia scritta esterna «Cine e teatro». Di solito la loro funzione era limitata a due o tre giorni la settimana. Facevano eccezione il cinema San Felice di via Giusti (che poi diventerà Movie Club, il primo cineforum della città) diretto da don De Bon e l’Alfa Teatro del SS. Sacramento di via Casalborgone, nel quartiere Madonna del Pilone, curato da don Gorgellino, le cui attività erano permanenti.

Nel 1949, quando si forma l’Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema), i cinema parrocchiali in Italia sono più di 3.000. Che nel 1955 diventano 5.500. Sotto le chiese. In genere si trattava di sale dalla capienza piuttosto limitata. Faceva eccezione il San Paolo, costruito nel 1929 su progetto dell’ingegner Remo Locchi all’interno dell’oratorio salesiano di via Luserna di Rorà, che accoglieva – tra platea e galleria – quasi 1.300 spettatori. I problemi di spazio nei borghi centrali il più delle volte imponevano di ricavare le aree di spettacolo nei sottochiesa dotati di cripta, come nel caso del cinema Santa Giulia e del Cravesana dei SS. Angeli in via Avogadro.

A metà del decennio Cinquanta anche le sale parrocchiali il sabato sera venivano prese d’assalto da chi voleva vedere il quiz di Mike Bongiorno «Lascia o raddoppia?». Tra i film che andavano per la maggiore c’erano ovviamente i grandi classici, come «Cime tempestose», «I dieci comandamenti» e «La valle dell’Eden». Ai tempi d’oro venivano proiettati in genere a cinque anni di distanza dalla loro uscita in prima visione, però il tutto esaurito era quasi sempre assicurato.

Il boom negli anni Sessanta. A cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e la metà del decennio successivo si assiste ad un vero e proprio boom: a Torino le sale parrocchiali salgono a 47, molte delle quali avevano aumentato i posti a sedere, apportando al contempo migliorie tecniche (come le proiezioni in cinemascope) ed estetiche: queste ultime si concretizzavano nella sostituzione delle vecchie sedie in legno con comode poltrone e nell’apertura di piccoli punti di ristoro interno. C’era uno schermo nel Collegio degli Artigianelli in corso Palestro e all’Oratorio Casermette di Borgo San Paolo, ma pure nella parrocchia di San Secondo. Si cercava di sfruttare ogni minimo spazio come nel caso della chiesa di Santa Maria di Piazza dietro via Barbaroux: una stanzetta di una trentina di metri quadri si era per incanto trasformata in cinema grazie a qualche panca di legno e a un telo ridossato al muro principale.

Lo spirito cattolico aveva promosso pure l’apertura di alcune sale presso luoghi di cura e carceri. Si pensi a quelle annesse al San Luigi, alle Molinette, alle Nuove e all’ospedale
psichiatrico. Intanto nel 1961 aveva aperto i battenti il cine-teatro Cuore di via Nizza, collegato alla parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, con 271 posti.

La fine di un’epoca. Nel 1970 inizia il lento declino: se ne contano 39. Però andavano forte Bruce Lee, la coppia Bud Spencer-Terence Hill e le commedie popolari. In platea si fumava e si mangiavano i panini. E poteva anche capitare che al termine della visione si riproiettassero per i ritardatari i primi 15 minuti di pellicola. In seguito alla tragedia dello Statuto (13 febbraio 1983, 64 vittime), si assiste ad una vera e propria decimazione. A partire dal Luce della chiesa Santi Bernardo e Brigida di Lucento, che staccava circa mille biglietti alla settimana. Sorte inevitabile per quelli situati nei locali sotto le chiese. Risultato: nel 1985 risultavano attivi soltanto l’Agnelli, il Cuore e il Santa Rita. Anche se l’anno dopo, invertendo parzialmente la tendenza, riaprì l’Araldo presso la chiesa di San Bernardino e nel 1989 – grazie ad una colletta tra i parrocchiani – riprese l’Esedra di via Bagetti (Gesù Nazareno). Esempio poi seguito dal Fregoli, dal Santa Teresa, dal Lanteri, dal Monterosa (700 posti) e dal Valdocco.

Il Valdocco, insieme all’Agnelli, all’Esedra, al Monterosa e al Baretti (via Baretti), è uno dei cinque cinema ancora attivi oggi, in cui spesso vengono proposte pure rassegne tematiche, dibattiti e cineforum. Con il Baretti che rappresenta un esempio particolarmente virtuoso, essendo nato a San Salvario nel 2002 come «presidio culturale» in risposta al movimento contro l’immigrazione.

A dimostrazione della funzione più che socializzante del cinema.