A Valdocco, nel Museo Casa don Bosco, è allestita fino al 15 gennaio 2023 una mostra che illustra la vita e le opere di san Francesco di Sales nel IV centenario della sua morte. In occasione delle celebrazioni La Voce e il Tempo ha chiesto un contributo che evidenzi l’attualità del santo a un salesiano, ad una suora visitandina e a una giornalista. Inizia don Gianni Ghiglione, salesiano, uno dei massimi esperti della spiritualità e dell’opera di san Francesco di Sales, che ci parla del cuore e dell’umanità del santo. Di seguito l’articolo pubblicato su La Voce e il Tempo.
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Quest’anno ricorre il IV centenario dalla morte di san Francesco di Sales, vescovo francese di Ginevra, dottore della Chiesa, avvenuta a Lione il 28 dicembre 1622. A Valdocco, nel Museo Casa don Bosco, è allestita fino al 15 gennaio 2023 una mostra che illustra la vita e le opere del santo scelto da don Bosco come patrono della congregazione e che fondò con santa Giovanna de Chantal l’ordine delle Visitandine. Il santo è anche patrono dei giornalisti per la sua attenzione alla comunicazione del Vangelo: noti sono i manifesti che affiggeva ai muri di Ginevra e i foglietti che infilava sotto le porte delle case. In occasione delle celebrazioni del centenario abbiamo chiesto tre contributi – ad un salesiano, ad una suora visitandina e a una giornalista – che evidenziano l’attualità del santo. Iniziamo con don Gianni Ghiglione, salesiano, uno dei massimi esperti della spiritualità e dell’opera di san Francesco di Sales: ha scritto numerosi studi sul santo tra cui una biografia in due volumi.
Il messaggio di Francesco di Sales, dopo 400 anni, non ha perso nulla della sua freschezza e della sua modernità. Basta dare un’occhiata alle nuove edizioni che hanno le sue opere. Vorrei evidenziare alcuni elementi di modernità del messaggio umano e spirituale che Francesco di Sales ci comunica in questo anno giubilare.
Il primo elemento che ce lo rende subito affascinante è la sua ricca umanità. Scrive don Mackey, che ha curato l’edizione critica dei primi 15 volumi dell’OeA (Opere di Annency), a proposito delle «Lettere» (11 volumi!): «È qui che il santo si manifesta completamente; a sua insaputa, egli permette di contemplare facilmente e di studiare sotto tutti gli aspetti la sua personalità così ricca di fascino. C’è l’uomo dotato della natura più squisita che si possa immaginare. La tenerezza dell’amicizia e della pietà filiale, l’attaccamento alla Chiesa, lo zelo per le anime e il suo immenso amore per Dio, tutti i sentimenti più nobili, più puri, più elevati sgorgano dal suo cuore e vengono versati nelle sue lettere». Ricchezza di umanità che significa capacità di contatto con le persone, desiderio di creare relazioni di amicizia e di abbattere i muri della diffidenza, di costruire rapporti duraturi all’insegna della bontà e della tenerezza. Francesco non ha paura dei suoi sentimenti e li comunica con una semplicità e luminosità disarmanti. Alcuni esempi:
- A Giovanna di Chantal scrive:
«Amo questo amore. Esso è forte, ampio, senza misura né riserva, ma dolce, forte, purissimo e tranquillissimo; in una parola è un amore che vive solo in Dio. Dio che vede tutte le pieghe del mio cuore, sa che in questo non v’è nulla che non sia per Lui e secondo Lui, senza il quale non voglio essere nulla per nessuno».
- A una persona che ha avuto di recente un lutto scrive:
«Voi vivete sempre presente nel mio cuore che si rallegra nel vedervi perseverare nel voler servire con tutto il vostro cuore Sua divina Maestà in santità e purezza».
- A una suora ammalata e fragile:
«Amo con fermezza il vostro spirito, perché penso che Dio lo voglia, e teneramente perché lo vedo ancora debole e giovane». In una delle prime lettere che scrive all’amico Antonio Favre, leggiamo: «Vivrà sempre nel mio petto l’ardente desiderio di coltivare diligentemente tutte le amicizie!».
E Francesco rimarrà fedele per sempre a questo ‘ardente desiderio’. Basti pensare che a nessuna virtù di cui tratta nell’«Introduzione alla Vita Devota» dedica tanto spazio come all’amicizia: ben 6 capitoli! In altre parole, quello che rende attuale Francesco è la sua apertura all’umano, così vivo nella cultura del suo tempo, il suo amore per lo studio come strumento di dialogo e di sguardo positivo sul mondo.
Un secondo elemento di modernità è il pensare la santità in chiave universale, per tutti! Recentemente Papa Francesco ha ribadito questo concetto: Tutti sono chiamati alla santità e si serve quasi delle stesse parole di Francesco di Sales:
«Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova».
E questo perché? Perché Dio guarda il cuore e tutti hanno la possibilità di donarlo interamente a Lui, qualunque sia la loro situazione di vita: «La santità deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; non solo ma deve essere pure proporzionata alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli». Infatti la santità (Francesco usa il termine «devozione») «non è altro che un vero amore di Dio giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza… E’ una forma di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto». Anche oggi, ci ricorda Francesco, là dove ti trovi, puoi amare, far crescere la vita, donare un po’ di te perché qualcuno ricuperi la speranza.
Un terzo elemento di modernità lo trovo nel fatto che Francesco, buono e amabile, sa essere esigente: non abbassa l’obiettivo. La virtù di cui è diventato simbolo è la dolcezza. Ma che cos’è veramente la dolcezza salesiana? La dolcezza salesiana non è sentimentalismo, non è buonismo, tipico di chi chiude volentieri gli occhi sulla realtà per non avere problemi e seccature; non è la miopia di chi vede tutto bello e buono e per il quale tutto va sempre bene; non è l’atteggiamento inerte di chi non ha proposte da fare. La dolcezza salesiana nasce da una profonda e solida carità ed esige un attento controllo delle proprie risorse emotive ed affettive; si esprime in un carattere di umore sereno costante, evita modi bruschi, severi o autoritari… Dunque la dolcezza non va confusa con la debolezza, anzi è forza che richiede controllo, bontà d’animo, chiarezza di intenti e forte presenza di Dio. In un mondo in cui si confonde spesso la libertà con il fare ciò che si vuole, in cui nell’educazione spesso è abolita la richiesta di impegno, l’obbedienza a norme e regole, in cui il «devo» è sostituito dal «se me la sento», ecc. Francesco di Sales è esigente e punta in alto. Infine evidenzio ancora la centralità del cuore.
La strenna, offerta alla Famiglia salesiana in questo anno, «Fare tutto per amore e niente per forza», va in questa direzione. Le persone guidate da Francesco di Sales avanzano sostenute dall’amore e non hanno altro scopo che l’amore: «Bisogna perseverare nel tendere alla perfezione del santo amore, affinché l’amore sia perfetto». Uno dei primi consigli che dà a Giovanna di Chantal è:
«Tutto quello che si fa per amore è amore. Il lavoro e perfino la morte non sono che amore quando è per amore che noi li accogliamo».
Significativa è la conclusione del suo capolavoro, il «Trattato dell’amore di Dio». Il Calvario, luogo dove Gesù ha donato per amore tutto se stesso, diventa il monte sul quale si danno appuntamento gli amanti, cioè coloro che sono disposti ad amare come Gesù ha amato! In che cosa Francesco di Sales fa consistere l’amore? Nella ferma decisione del cuore che vuole per sempre e inseparabilmente restare unito con tutte le sue forze alla volontà divina. Questa volontà di Dio non si trova nelle orazioni o nelle vie straordinarie, ma sui sentieri ordinari, in quelle contraddizioni, in quei piccoli fastidi, in quei minuti doveri, in quelle sofferenze di ogni giorno. Tutta la perfezione consisterà dunque nel volerla, nel compierla, nell’amarla:
«Bisogna discernere ciò che Dio vuole e, dopo averlo riconosciuto, bisogna cercare di farlo con gioia o almeno con corag- gio… È questo il centro del bersaglio della perfezione, al quale dobbiamo mirare e chi più si avvicina ottiene il premio»
Don Gianni GHIGLIONE.