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Famiglia Cristiana – Il prete missionario che ha abbracciato il mondo

Da Famiglia Cristiana.

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Diceva Giuseppe Allamano che «ogni sacerdote è missionario di natura sua; la vocazione ecclesiastica e quella missionaria non si distinguono essenzialmente; non si richiede che un grande amore per Dio, e zelo per le anime». È la sintesi del la sua vita. Sacerdote diocesano di Torino (era nato a Castelnuovo d’Asti, poi ribattezzato Castelnuovo Don Bosco, il 21 gennaio 1851), Allamano fa parte di quella lunga schiera di preti sociali piemontesi divenuti santi come don Giuseppe Cottolengo, di Bra, «uomo prodigioso» secondo il laicissimo Cavour, fondatore della città del dolore che porta il suo nome, don Giuseppe Cafasso, monferrino di Castelnuovo (e zio di Allamano per parte di madre), che accompagnava i condannati sulla forca coprendoli alla vista della folla con un quadro della Madonna, don Giovanni Bosco, anch’egli di Castelnuovo, fondatore dei Salesiani e venerato in tutto il mondo. Allamano – beatificato nel 1990 da Giovanni Paolo II e ora canonizzato da Francesco – è consapevole che alla Chiesa torinese mancasse un istitu to che si occupasse specificatamente delle missioni ad gentes. Vede uscire dai seminari molti preti entusiasti di farsi missionari, ma ostaco lati dalle diocesi, che danno volentieri alle missioni l’offerta, ma non gli uomini. E decide: i missionari se li farà lui. Fon derà un istituto apposito, ci ha già lavorato molto. Il suo progetto è apprezzato a Roma, ma poi ostacoli e contrattempi lo bloccano per dieci anni. Pazientissimo, lui aspetta e lavora. Nel 1901 arriva poi il primo nulla osta vescovile per il suo Istituto dei Missionari della Consolata e l’anno dopo parte per il Kenya la prima spedizione. Otto anni dopo nascono le Suore Missionarie della Consolata. Oggi i missionari della Consolata sono presenti in trentasei Paesi del mondo . L’anno scorso a Torino è stato inaugurato il Polo culturale “CAM – Cultures and Mission” , un allestimento multimediale con l’esposizione di oggetti e testimonianze dagli oltre 100 anni di presenza missionaria nel mondo e dove è possibile farsi un’idea di dove è arrivata l’intuizione di Allamano al quale, da vivo, rimproveravano di pensare troppo al lavoro “materiale”, di curare più l’insegnamento dei mestieri che le statisti che sul numero di battesimi.

Per lui, Vangelo e promozione umana vanno di pari passo. «Fare bene il bene», è il suo motto. Un esempio concreto, tra i tantissimi scaturiti dall’opera di questo sacerdote indomito, è l’Allamano Makiungu Hospital che si trova in una zona poverissima della Tanzania, nell’Africa orientale, circondato da un terreno di sabbia e sassi impossibile da coltivare. Padre Alessandro Nava, 73 anni, originario di Cernusco Lombardone, nel Lecchese, vive in questo Paese da quarantasei anni e ora lavora nell’ospedale le cui origini risalgono alla fine dell’Ottocento quando i missionari, seguendo le piste carovaniere degli schiavi, giunsero sulle sponde del Lago di Singida. L’ospedale nasce nel 1956 grazie alle suore Medical Missionaries of Mary. Dopo decenni di sviluppo, va in rovina. Nel maggio 2021 i Missionari della Consolata lo ricostruiscono, pratica mente da zero, e in meno di quattro anni concludono i lavori grazie anche a un generoso contributo della Cei. «Il nostro fondatore è stato un pioniere», dice Nava, «la promozione umana è fondamentale per l’annuncio del Vangelo. Questa è una zona poverissima, si rischia di morire anche per il morso di un serpente». L’ospedale è un prodigio di carità organizzata e tecnologia. Ci sono nove reparti, sei sale operatorie, due reparti di terapia intensiva (una neonatale) che funzionano grazie alla collaborazione del Policlinico Gemelli di Roma. « Abbiamo anche la clinica mobile », racconta padre Nava, «che va in giro nei villaggi più sperduti per curare le donne in gravidanza e vaccinare i bambini. Nella stagione delle piogge è impossibile muoversi». I numeri dicono l’importanza dell’ospedale dove si svolgono dalle 400 alle 600 visite al giorno, ci sono 500 posti letto per i pazienti (molti dei quali arrivano anche da villaggi distanti mille chilometri) e ogni giorno nascono dai 15 ai 30 bambini. la scheda la scheda Oltre al beato Giuseppe Allamano, il 20 ottobre, nella Giornata missionaria mondiale, papa Francesco canonizza in piazza San Pietro anche la religiosa canadese Marie-Léonie Paradis (1840-1912), fondatrice della Congregazione delle Piccole Suore della Santa Famiglia; la religiosa toscana Elena Guerra (1835-1914), fondatrice della Congregazione delle Oblate del Santo Spirito e gli 11 “martiri di Damasco” , otto frati francescani e i tre laici siriani Francesco, Mooti e Raffaele Massabki, uccisi nel 1860 in una persecuzione contro i cristiani.

San Giuseppe Allamano, allievo dell’oratorio di Valdocco

Dall’agenzia ANS.

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Domenica 20 ottobre 2024 a Roma, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale, Papa Francesco iscriverà nell’albo dei santi il Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata.

Nipote di san Giuseppe Cafasso per parte di madre, Giuseppe Allamano nacque a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851. Frequentò il ginnasio a Valdocco e, come educatore, vantò nientemeno che Don Bosco in persona. A 22 anni venne ordinato sacerdote a Torino, e subito fu incaricato della formazione dei giovani seminaristi. A 29 divenne Rettore del più importante santuario mariano della città, dedicato alla “Madonna Consolata”, e formatore del giovane clero al Convitto Ecclesiastico.

Il 29 gennaio 1901 fondò a Torino l’Istituto dei Missionari della Consolata. Il bollettino del santuario, La Consolata, ne diede l’annuncio con un’espressione profetica: “Il culto della Consolata non sarà soltanto contemplativo, ma attivo”. Ovvero, con le missioni, il santuario mariano acquisterà una dimensione universale.

L’8 maggio 1902 partirono per il Kenya i primi quattro missionari, due sacerdoti e due fratelli coadiutori, seguiti, alla fine dello stesso anno, da altri quattro sacerdoti e un laico. Nel 1910 Giuseppe Allamano fondò l’Istituto femminile delle Missionarie della Consolata. Morì a Torino il 16 febbraio 1926. La sua salma ora è conservata e venerata nella Casa Madre dei Missionari della Consolata, a Torino. Venne beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990.

Nell’autunno del 1862 Giuseppe, all’età di undici anni, entrò nell’oratorio salesiano di Torino-Valdocco per gli studi ginnasiali. Erano gli anni di Don Bosco prete educatore presente tra i ragazzi nel cortile e nel contatto diretto nella confessione, delle “buonenotti” sotto il porticato. Sono gli anni segnati dalla testimonianza di Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco, e dei primi salesiani. D’ingegno vivace, il giovane Allamano poté compiere gli studi in soli quattro anni, sempre primo della classe. Nel suo terzo anno ebbe anche la carica di assistente.

Testimoniano inoltre la sua applicazione allo studio i quaderni di scuola di quegli anni, ognuno dei quali è un piccolo modello di ordine. Scriveva tutto e tutto conservava, il che per un ragazzo non ancora quindicenne è indice di diligenza non comune. Più d’ogni altro l’amava e lo stimava lo stesso Don Bosco, suo confessore per tutto quel tempo. Buon conoscitore di giovani, egli avrebbe voluto fermarlo all’Oratorio e indurlo a entrare nella Società Salesiana. Ma non ci fu verso.

Avvenne invece che, per sottrarsi a nuove insistenze, il giovanetto lasciasse l’Oratorio, insalutato ospite il 19 agosto 1866. Scelta probabilmente motivata dalla vita “troppo movimentata e rumorosa” che c’era a Valdocco e che non riteneva fatta per lui. Più tardi, Don Bosco gliene mosse dolce rimprovero: “Me l’hai fatta grossa!… Sei andato via senza salutarmi”. Senza salutare Don Bosco, ma portando con sé lo spirito di lui, nonché una profonda riconoscenza verso il grande Maestro. Era Dio che guidava gli eventi secondo i suoi mirabili fini.

Nel processo di beatificazione di Don Bosco l’Allamano testimonierà: “era da tutti amato per la sua bontà e riceveva da tutti segni di riverenza e di affetto. Il suo sistema era di attirarsi i cuori e non conobbi che alcuno si lamentasse di lui… A me, suo penitente, pareva che mi leggesse nel cuore e mi indovinasse molte cose… Ricordo in particolare i suoi cosiddetti sogni, nei quali, uno ogni anno, indicava lo stato nostro di coscienza, che manifestava poi a ciascuno privatamente, prendendo occasione per dare a ciascuno avvisi e consigli opportuni”.

Merita infine di essere ricordato che presso l’Archivio della Postulazione Generale Salesiana è conservato un documento di valore storico: la nomina fatta il 18 marzo 1925 dal Canonico Giuseppe Allamano, Rettore del Santuario della Consolata e del Convitto Ecclesiastico di Torino, di don Francesco Tomasetti, Procuratore Generale dei Salesiani, come Postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Venerabile Giuseppe Cafasso, di cui l’Allamano fu iniziatore e promotore.

Don Bosco e gli altri Santi impegnati nel sociale – Airone

Si riporta di seguito l’articolo apparso sulla rivista mensile Airone.

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Don Bosco e gli altri Santi impegnati nel sociale

Nell’Ottocento Torino è una città in espansione, ma molti dei suoi abitanti vivono di stenti. In questo ambiente povero e degradato c’è però chi si prodiga per aiutarli. Il più famoso è don Giovanni Bosco, ma non è il solo: ci sono anche Cafasso, Murialdo, Frassati, Faà di Bruno e altri. Canonizzati durante il Novecento e i primi anni 2000, sono chiamati “santi sociali”.

Una città in fermento, attiva e operosa, che cresce a vista d’occhio. La Torino che si affaccia al 1800 è un agglomerato in continua espansione: in soli tre decenni, dall’inizio del secolo al 1830, passa da 80mila a 127mila abitanti.

La crescita prosegue lungo tutto il XIX secolo, ma purtroppo ha anche un rovescio della medaglia: molti, infatti, ci vanno alla ricerca di un lavoro e di una condizione di vita migliore, ma non tutti riescono a realizzare i loro sogni.

Le file dei poveri si ingrossano giorno dopo giorno: ammassati in misere abitazioni, molti sopravvivono a stento e solo grazie alla pubblica assistenza, che spesso, però, non è sufficiente.

È in questo contesto che assumono un ruolo fondamentale i “santi socialidi Torino: religiosi e laici che con le loro opere assicurano un indispensabile aiuto agli indigenti o, come nel caso di san Giuseppe Allamano, contribuiscono alla nascita e diffusione delle missioni nel mondo.

Venerabile Tancredi Falletti di Barolo crea scuole gratuite

Unico figlio del marchese Ottavio Alessandro Falletti di Barolo e di Paolina Teresa d’Oncieux, Tancredi nasce a Torino il 26 ottobre 1782. Il padre lo porta con sé nei numerosi viaggi. È proprio durante uno di questi soggiorni, in Francia, che conosce Juliette (Giulia) Colbert che sposa nel 1806 a Parigi per trasferirsi con lei a Torino nel 1814.

L’impossibilità di avere figli viene letta dai coniugi come un segnale divino: decidono che la loro disponibilità economica sarebbe stata messa a disposizione dei bisognosi.

Negli incarichi ricoperti nell’amministrazione comunale (fu sindaco per due anni) Tancredi dà vita a iniziative di beneficenza come la creazione di scuole gratuite peri figli dei poveri, un asilo e una scuola di arte per indigenti.

Durante l’epidemia di colera del 1835 organizza ospedali temporanei per accogliere i malati. Nel 2018 è stato dichiarato venerabile da Papa Francesco.

Giulia Falletti di Barolo apre un istituto per ragazze madri

Moglie di Tancredi Falletti di Barolo, Juliette (Giulia) nasce il 27 giugno 1785 nel castello di Maulévrier, in Vandea (Francia), figlia del conte Éduard Colbert e della contessa AnneMarie-Louise Quengo de Crénolle.

Damigella d’onore di Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte, dopo il matrimonio e il trasferimento a Torino si dedica con il marito alla beneficenza.

Realizza progetti per la riabilitazione e il reinserimento delle detenute nella società, un istituto per ragazze madri, una scuola professionale per le figlie delle famiglie povere e una casa per ragazze a rischio oltre alla costruzione della chiesa di Santa Giulia a Torino.

Muore il 19 gennaio 1864 lasciando le indicazioni per fondare l’Opera Pia Barolo, ente benefico al quale dona il patrimonio di famiglia.

Nel 2015 viene celebrata da Papa Francesco con il titolo di venerabile.

Don Giovanni Bosco fonda la congregazione dei Salesiani

Il futuro fondatore dei Salesiani (oggi presenti in oltre 130 Paesi del mondo) nasce in una piccola cascina nella frazione Becchi, nel comune di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo don Bosco) il 16 agosto 1815 da Francesco Bosco e Margherita Occhiena, entrambi contadini.

Orfano di padre a due anni, inizia a lavorare a 11 mentre in lui si fa sempre più forte la vocazione. Svolge diversi mestieri per potersi pagare gli studi e nel 1835 entra in seminario.

Sei anni più tardi è nominato sacerdote e si trasferisce al Convitto Ecclesiastico di Torino. Qui inizia la sua opera di avvicinamento ai giovani più poveri che incontra in strada e nei cantieri della città

È proprio per loro che dà vita al primo oratorio a Valdocco (Torino) nel 1846, un luogo dedicato ai giovani emarginati dove vengono loro garantiti un aiuto concreto, un’educazione e una formazione lavorativa.

Presto gli oratori si moltiplicano aiutando un numero sempre maggiore di ragazzi bisognosi. Nel 1859 fonda la congregazione dei Salesiani (da san Francesco di Sales) con la quale porta avanti la sua missione in favore dei giovani.

Muore il 31 gennaio 1888 e viene canonizzato il 1° aprile 1934 da Papa Pio XI.

San Giuseppe Benedetto Cottolengo apre un’infermeria per infermi abbandonati

Nato a Bra (Cuneo) il 3 maggio 1786, è il primo di dodici figli (sei dei quali muoiono in tenera età) di Giuseppe Antonio Cottolengo e Benedetta Chiarotti.

Ordinato sacerdote nel 1811, si laurea a Torino in Teologia con plauso e lode il 14 maggio 1816.

Sempre più interessato alla ricerca spirituale, il 2 settembre 1827 don Giuseppe Cottolengo viene chiamato al capezzale di una madre di tre figli, e il quarto in arrivo, rifiutata da diversi ospedali di Torino.

La morte della donna lo sconvolge e decide di creare una piccola infermeria per evitare il ripetersi di casi simili. Nasce così, nel 1828, “Deposito de’ poveri infermi del Corpus Domini” dedicato ai malati che non vengono accolti negli ospedali.

Quattro anni più tardi don Giuseppe fonda, sempre a Torino, la “Piccola Casa della Divina Provvidenza” (nota come “Cottolengo“): al suo interno persone povere e disabili, epilettici, sordi, invalidi e orfani possono trovare cura sanitaria, assistenza, educazione.

Muore il 30 aprile 1842. Nel 1934 Papa Pio XI lo nomina santo.

San Leonardo Murialdo aiuta i ragazzi di strada

Leonardo Murialdo nasce a Torino il 26 ottobre 1828 da una famiglia benestante. Rimasto orfano di padre a cinque anni, entra nel collegio dei Padri Scolopi di Savona, ma durante l’adolescenza vive una crisi esistenziale e spirituale che lo riporta in famiglia, a Torino.

Qui matura la decisione di diventare sacerdote e viene ordinato nel 1851.

Apprezzato da san Giovanni Bosco, che gli affida l’oratorio di San Luigi (vicino alla stazione ferroviaria di Porta Nuova), dedica tutto sé stesso ai giovani bisognosi: tramite l’oratorio, la catechesi, la scuola, la formazione professionale e le attività ricreative, avvicina e aiuta i ragazzi di strada, i più poveri.

È grazie a lui che vengono create una casa-famiglia e una colonia agricola di Rivoli (Torino). Nel 1873 fonda la Congregazione di San Giuseppe, che prosegue la sua opera di assistenza peri giovani anche dopo la sua morte avvenuta il 30 marzo 1900.

Sarà Papa Paolo VI a canonizzarlo il 3 maggio 1970.

San Giuseppe Cafasso assiste i condannati fino alla forca

Nasce a Castelnuovo d’Asti, lo stesso paese natale di san Giovanni Bosco, il 15 gennaio 1811.

La sua è una famiglia contadina e la profonda fede dei genitori si trasmette al figlio che a 22 anni è ordinato sacerdote. Quattro mesi più tardi entra nel Convitto ecclesiastico di San Francesco, a Torino.

Insegnante di teologia morale prima, direttore spirituale dopo e infine rettore, trasmette ai futuri sacerdoti la sua fede, ma non solo.

Da sempre attento agli ultimi, si dedica ai carcerati, che visita nei fatiscenti istituti penitenziari.

Viene soprannominato il “prete della forca” perché accompagna spesso i condannati fino al patibolo confortandoli sino alla fine.

Muore il 23 giugno 1860: il 22 giugno 1947 Papa Pio XII lo nomina santo.

Beato Francesco Faà di Bruno istituisce “i fornelli economici”

Prima di indossare la tonaca, Francesco Faà di Bruno vive una vita molto intensa.

Nato ad Alessandria il 29 marzo 1825 in un’importante famiglia nobile, nel 1840 entra nell’Accademia militare di Torino dando il via a una brillante carriera come ufficiale fino a essere nominato Capitano di Stato Maggiore.

Lasciato l’esercito, la passione per la scienza lo porta a laurearsi in matematica presso la prestigiosa università Sorbona di Parigi e nel 1857 diventa professore di matematica e astronomia all’Università di Torino.

Uomo di fede, si dedica ai più poveri e, in particolar modo, alle donne, dando vita a una casa per ragazze madri e fondando la congregazione delle suore Minime di Nostra Signora del Suffragio.

Sue le iniziative dei fornelli economici (per distribuire a modico prezzo pasti caldi ai lavoratori), della biblioteca mutua circolante (prestito dei libri esteso a tutta l’Italia) e dei lavatoi pubblici.

Decide di abbracciare la vita ecclesiale nel 1876. Muore il 27 marzo 1888 e Papa Giovanni Paolo II lo nomina beato nel 1988.

San Giuseppe Marello regala una casa di riposo agli anziani bisognosi

Nato a Torino il 26 dicembre 1944, Giuseppe Marello perde la madre a 3 anni e con il padre e il fratello si trasferisce a San Martino Alfieri (Asti). A 12 anni entra in seminario ad Asti: dopo una breve pausa di ripensamento durante la quale torna a Torino per intraprendere studi tecnico-
commerciali, ritorna in seminario e viene ordinato sacerdote nel 1868, assumendo la carica di segretario del vescovo di Asti Carlo Savio.

Nel 1878 fonda la Congregazione degli Oblati di San Giuseppe. Nominato vescovo di Acqui (Alessandria) nel 1889, si spende per aiutare i giovani accolti in parrocchia.

Doveva essere una scuola di formazione accogliente affinché i ragazzi potessero diventare “dei buoni cristianie degli onesti cittadini“.

Non da meno è il suo intervento in favore degli anziani bisognosi, peri quali si fa carico di una casa di riposo.

Muore il 30 maggio 1895 a soli 50 anni e viene canonizzato da Papa Giovanni Paolo II nel 2001.

Beato Giuseppe Allamano inaugura un centro missionario

Giuseppe Allamano nasce a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851: è parente e allievo di un santo, suo zio, che è infatti san Giuseppe Cafasso.

Studia presso l’oratorio di san Giovanni Bosco a Valdocco (Torino). Ordinato sacerdote nel 1873 e laureatosi in teologia presso la Pontificia facoltà teologica di Torino quattro anni dopo, nel 1880 diventa rettore del Santuario della Consolata di Torino.

Desideroso di portare la Parola di Dio e aiuti concreti alle popolazioni più povere nel mondo, nel 1901 fonda l’Istituto missioni Consolata che l’anno successivo invia 4 missionari in Kenya.

Nel 1910 dà vita alle Suore missionarie della Consolata.

Fedele alla sua massima “il bene fa poco rumore: il molto rumore fa poco bene. Il bene va fatto bene e senza rumore“, si adopera per sensibilizzare la Chiesa e la società sulle attività dei missionari, chiedendo che venga istituita ufficialmente una giornata dedicata a essi (verrà esaudito nel 1926 da Papa Pio XI).

Muore il 16 febbraio 1926 e beatificato il 7 ottobre 1990 da Papa Giovanni Paolo II.

Beato Pier Giorgio Frassati: è ricco e dona tutto ai poveri

Figlio di Alfredo Frassati, direttore del quotidiano La Stampa e senatore, e della pittrice Adelaide Ametis, Pier Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 aprile 1901.

Dopo il diploma al liceo classico nel 1818, si iscrive al Politecnico di Torino, scegliendo ingegneria meccanica con specializzazione in mineraria. A chi gli chiede il motivo di tale scelta, Pier Giorgio risponde che vuole studiare per aiutare a migliorare le condizioni di lavoro dei minatori.

La sua profonda fede lo porta a iscriversi alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e a collaborare assiduamente con l’organizzazione caritativa cattolica Conferenza di San Vincenzo.

La sua disponibilità economica è messa completamente al servizio dei bisognosi e spesso rimane senza soldi perché dona tutto ai poveri.

Nel 1922 la sua devozione lo porta ad entrare come laico (terziario) nell’ordine dei domenicani incrementando maggiormente il suo impegno nell’assistenza dei poveri.

Colpito da poliomielite fulminante, muore il4 luglio 1925. Viene beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 20 maggio 1990.

Castelnuovo Don Bosco: la terra natia dei santi sociali

Cronaca qui di oggi, martedì 12 maggio, dedica un articolo a Castelnuovo Don Bosco, la terra natia dei santi sociali sulle colline tra Asti e Torino. Si riporta di seguito l’articolo, a cura di Giorgio Enrico Cavallo.

CASTELNUOVO DON BOSCO
La terra natia dei santi sociali sulle colline tra Asti e Torino

Per gli amanti delle coincidenze, il tranquillo comune di Castelnuovo Don Bosco ne presenta ben cinque. È risaputo che questo paese di circa tremila anime non lontano da Chieri fu la patria di san Giovanni Bosco, il  fondatore dei salesiani; ma non solo: qui nacquero anche san Giuseppe Cafasso, il celebre ” santo degli impiccati”, ed il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari della Consolata. Poco lontano nacque san Domenico Savio, che morì in frazione Mondonio di Castelnuovo ancora in età giovanile. Ed a Capriglio, il paese limitrofo, nacque Margherita Occhiena, madre di don Bosco, che visse lungamente a Castelnuovo.

Insomma: in uno spazio geograficamente ristretto, a distanza di una manciata di chilometri, sono nati alcuni dei più amati santi piemontesi. Come se queste colline dell’Alto Astigiano, tra i boschi, le vigne e i frutteti, avessero qualcosa che attrae la santità.

A partire dagli anni Venti, per celebrare la grandezza di don Bosco, i salesiani acquistarono i terreni della località Becchi, luogo dove il loro santo fondatore visse fino ai 12 anni. La sua casa è stata conservata e trasformata in un museo, nel quale il visitatore può scoprire l’ umile vita dei contadini di inizio Ottocento. Giovannino Bosco in questa semplice cascina, la più povera della borgata, ebbe – all’età di nove anni – il sogno che egli stesso definì profetico, e che lo spinse poi al sacerdozio.

Fino agli anni Cinquanta, I Becchi di Castelnuovo si presentavano sostanzialmente come li aveva lasciati don Bosco. Poi, nel 1961, iniziarono i lavori di costruzione di una basilica imponente, sconfinata, un tempio di immani dimensioni che sovrasta la collina e che è diventato uno dei simboli del Piemonte nel mondo.

La basilica di don Bosco, visitata ogni anno da migliaia di pellegrini da ogni angolo del globo, è un vero monumento alla grandezza del santo di Valdocco. Per erigerla ci vollero cinque anni: fu completata nel 1966. Si presenta come una basilica di antica memoria, di forme classiche. Tale sconfinato edificio, posto sulla sommità di una collina dolce, ha suscitato talora accese critiche, in quanto non si integrerebbe molto bene con il paesaggio circostante. In realtà, vanno ringraziati gli architetti di allora che eressero una chiesa a forma di chiesa, senza cedere alle tentazioni moderniste ben più impattanti tutt’ ora in voga.

Una eccezionale scalinata conduce al tempio, contornato da due solenni campanili che slanciano la struttura verso il cielo. In quella che papa Benedetto XVI elevò al grado di basilica minore sono conservate due importanti reliquie: il cervello di don Bosco e un osso di san Domenico Savio. Diciamola tutta: oggi facciamo fatica a comprendere l’ importanza delle reliquie; eppure, i ladri dimostrano di apprezzarle (eccome!): la reliquia di san Giovanni Bosco è stata rocambolescamente trafugata il 2 giugno 2017 e recuperata a seguito di intense indagini dai carabinieri. La reliquia è stata restituita il 16 agosto successivo alla presenza del Rettor Maggiore dei Salesiani.