Si riportano di seguito due articoli in ricordo a don Domenico Ricca, don Mecu, apparsi su La Voce e il Tempo.
***
Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu
Il 2 marzo ci ha lasciati il salesiano don Domenico Ricca, don Mecu, lo storico cappellano del carcere minorile «Ferrante Aporti» (La Voce e il Tempo, 10 marzo pagina 2). Durante il rosario e poi nella Messa funebre nella Basilica di Maria Ausiliatrice, gremita con oltre 100 sacerdoti concelebranti, erano tantissimi gli amici che hanno voluto salutare un salesiano che, sulle orme di don Bosco, ha speso la sua vita per i giovani che «hanno avuto di meno», come ha sottolineato don Leonardo Mancini, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha presieduto la celebrazione.
E sono in molti – rappresentanti della società civile e del mondo del volontariato – che si sono uniti al ricordo riconoscente per don Mecu pronunciato in Basilica da don Mauro Zanini, direttore della Comunità San Francesco di Sales di Valdocco in cui don Ricca ha vissuto prima di essere trasferito, dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, nella Casa di cura Beltrami, accudito con altri confratelli malati da don Enrico Bergadano.
E poi ai ricordi di chi ha lavorato spalla a spalla con Mecu: don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale, il giudice minorile Ennio Tomaselli e la moglie Rosamaria, Giuseppe Carro e Gabriella Picco, direttore e vice direttrice del «Ferrante Aporti».
Molti altri, come ha detto al termine della Messa don Michele Molinar, vicario ispettoriale dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta «avrebbero voluto oggi condividere con voi una testimonianza personale, un aspetto della vita di don Mecu che, con la sua presenza in tanti ambienti del disagio sociale ha fatto da stampella a chi fa più fatica».
Per questo don Molinar ha suggerito a coloro che desiderano lasciare una memoria su don Ricca di inviarla alla mail mauro.zanini@salesianipiemonte.it.
Tutti i contributi pervenuti saranno raccolti in una pubblicazione a cura della comunità salesiana, per non disperdere una ricchezza che continua a fare della chiesa di Torino, città dei santi sociali, una comunità che cammina al passo di chi fa più fatica ed è nato come era solito dire don Mecu «nella culla sbagliata o non è riuscito a salire sul treno giusto».
-Marina LOMUNNO
Buon viaggio don Mecu amico, fratello, padre e nonno
Gentile Direttore, son passati più di 10 anni da quando ho conosciuto don Domenico Ricca, don Mecu, scomparso il 2 marzo. Al tempo muovevo i miei primi passi – timidissimi – nel mondo del sociale. Lo vorrei ricordare così.
Mecu, quanta voglia e quanta ansia, in quelle esperienze in carcere, il «tuo» carcere. Mi hai fatto sentire accolto, capace di dare qualcosa (quanto ne avevo bisogno!), anche a quei ragazzi, ai «tuoi» ragazzi. Spesso era solo uno sguardo, un ascolto. Tantissimo, per chi queste attenzioni non le ha mai avute.
In tanti, nella vita, (ri)cerchiamo essenzialmente un Padre, uno che sappia darci un calcio – non sempre morbido – nella realtà; dirci, col cuore, «ce la puoi fare». E crederci, davvero, in noi.
Perché chi ha vissuto la strada, l’abbandono, la violenza – ricevuta spesso da chi ti avrebbe dovuto crescere – ci mette un attimo a smascherarti. A rompere l’incantesimo della tua fiducia, a mollare, a mollarsi. Devi essere vero, sempre. È una responsabilità enorme, che solo i grandi maestri sanno caricarsi sulle spalle. Forse, senza di te, l’università non l’avrei mai finita. Una volta ti ho pure invitato in facoltà, a presentare un tuo libro assieme a Marina Lomunno, educatrice prestata alla scrittura, capace di restituire precisione e bellezza alla tua missione di vita: offrire una luce di speranza concreta nelle ombre tortuose del «Ferrante Aporti».
Come spesso accade quando hai di fronte un maestro, il tuo incontro mi cambiò. Affossato dai miei fallimenti di allora (bocciato alle superiori, andato via di casa più volte sbattendo la porta), ho iniziato a guardarli in faccia, i miei fantasmi. Che ogni tanto ritornano, sotto forma di rabbia. È un allenamento costante, quotidiano: non giudicarsi, capire che anche la rabbia, se non ne vieni risucchiato, è vita. Un eccesso di vita – mi aiuta pensarlo – da condividere per non venirne travolto.
Ma con responsabilità. Con la maturità che solo i grandi educatori, i grandi padri, sanno avere. Governare quel fuoco che, sotto sotto, arde sempre. Senza limitarsi ad attizzarlo verso capri espiatori: quanto è facile (e pericoloso!) con dei ragazzi chiusi (inferociti!) tra le sbarre.
Risulteresti loro subito amico, «simpatico». Ma di fatto l’inganneresti, ancora una volta. E invece no, tu passavi attraverso la strada, più lunga ma realmente trasformativa, della consapevolezza. Una strada che tra le sbarre è ancora più stretta.
Non sempre ci si riesce, il 90% delle volte si perde. Tu stesso ne hai «persi» di quei ragazzi. Eppure continuavi ad accompagnarli. Da testimone: senza impartire lezioncine dall’alto, ma condividendo, con umiltà e verità, quanto si può. Perché: «pitòst che gnente a l’é men pitòst».
Ed è proprio questa, caro Mecu, la lezione che andrebbe scritta in tutti i libri di pedagogia. Soprattutto se si tratta di – giovani – vite umane. Un «pitòst» piccolo, ma personalizzato, per tutti.
Grazie, perché un «pitost» l’avevi colto anche in me. Non ci vedevamo da dieci anni, eppure, puntualmente, mi mandavi gli auguri il giorno dell’onomastico. Un gesto da nonno: forse perché, tra una chiacchiera frugale e l’altra, ti avevo confidato che un nonno non l’avevo mai avuto. Non ti era sfuggito: le cose davvero importanti le sapevi riconoscere al volo.
Per me, ogni 30 novembre, era un Sms: «Buon onomastico, Andrea. Mecu». Da laico, ti saluto con alcuni versi di questa «smisurata preghiera». La prima pensando ai tuoi ragazzi, da oggi orfani di un padre; la seconda per te.
«…Ricorda Signore questi servi disobbedienti/alle leggi del branco/non dimenticare il loro volto/che dopo tanto sbandare/è appena giusto che la fortuna li aiuti».
«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria/[…] e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi/per consegnare alla morte una goccia di splendore/di umanità, di verità».
Grazie per le tue «gocce», Mecu. Fai buon viaggio.
Seduto agli ultimi posti, ti troverai sempre in buona compagnia.
– Andrea SILVESTRO