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Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu – La Voce e il Tempo

Si riportano di seguito due articoli in ricordo a don Domenico Ricca, don Mecu, apparsi su La Voce e il Tempo.

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Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu

Il 2 marzo ci ha lasciati il salesiano don Domenico Ricca, don Mecu, lo storico cappellano del carcere minorile «Ferrante Aporti» (La Voce e il Tempo, 10 marzo pagina 2). Durante il rosario e poi nella Messa funebre nella Basilica di Maria Ausiliatrice, gremita con oltre 100 sacerdoti concelebranti, erano tantissimi gli amici che hanno voluto salutare un salesiano che, sulle orme di don Bosco, ha speso la sua vita per i giovani che «hanno avuto di meno», come ha sottolineato don Leonardo Mancini, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha presieduto la celebrazione.

E sono in molti – rappresentanti della società civile e del mondo del volontariato – che si sono uniti al ricordo riconoscente per don Mecu pronunciato in Basilica da don Mauro Zanini, direttore della Comunità San Francesco di Sales di Valdocco in cui don Ricca ha vissuto prima di essere trasferito, dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, nella Casa di cura Beltrami, accudito con altri confratelli malati da don Enrico Bergadano.

E poi ai ricordi di chi ha lavorato spalla a spalla con Mecu: don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale, il giudice minorile Ennio Tomaselli e la moglie Rosamaria, Giuseppe Carro e Gabriella Picco, direttore e vice direttrice del «Ferrante Aporti».

Molti altri, come ha detto al termine della Messa don Michele Molinar, vicario ispettoriale dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta «avrebbero voluto oggi condividere con voi una testimonianza personale, un aspetto della vita di don Mecu che, con la sua presenza in tanti ambienti del disagio sociale ha fatto da stampella a chi fa più fatica».

Per questo don Molinar ha suggerito a coloro che desiderano lasciare una memoria su don Ricca di inviarla alla mail mauro.zanini@salesianipiemonte.it.

Tutti i contributi pervenuti saranno raccolti in una pubblicazione a cura della comunità salesiana, per non disperdere una ricchezza che continua a fare della chiesa di Torino, città dei santi sociali, una comunità che cammina al passo di chi fa più fatica ed è nato come era solito dire don Mecu «nella culla sbagliata o non è riuscito a salire sul treno giusto».

-Marina LOMUNNO

Buon viaggio don Mecu amico, fratello, padre e nonno

Gentile Direttore, son passati più di 10 anni da quando ho conosciuto don Domenico Ricca, don Mecu, scomparso il 2 marzo. Al tempo muovevo i miei primi passi – timidissimi – nel mondo del sociale. Lo vorrei ricordare così.

Mecu, quanta voglia e quanta ansia, in quelle esperienze in carcere, il «tuo» carcere. Mi hai fatto sentire accolto, capace di dare qualcosa (quanto ne avevo bisogno!), anche a quei ragazzi, ai «tuoi» ragazzi. Spesso era solo uno sguardo, un ascolto. Tantissimo, per chi queste attenzioni non le ha mai avute.

In tanti, nella vita, (ri)cerchiamo essenzialmente un Padre, uno che sappia darci un calcio – non sempre morbido – nella realtà; dirci, col cuore, «ce la puoi fare». E crederci, davvero, in noi.

Perché chi ha vissuto la strada, l’abbandono, la violenza – ricevuta spesso da chi ti avrebbe dovuto crescere – ci mette un attimo a smascherarti. A rompere l’incantesimo della tua fiducia, a mollare, a mollarsi. Devi essere vero, sempre. È una responsabilità enorme, che solo i grandi maestri sanno caricarsi sulle spalle. Forse, senza di te, l’università non l’avrei mai finita. Una volta ti ho pure invitato in facoltà, a presentare un tuo libro assieme a Marina Lomunno, educatrice prestata alla scrittura, capace di restituire precisione e bellezza alla tua missione di vita: offrire una luce di speranza concreta nelle ombre tortuose del «Ferrante Aporti».

Come spesso accade quando hai di fronte un maestro, il tuo incontro mi cambiò. Affossato dai miei fallimenti di allora (bocciato alle superiori, andato via di casa più volte sbattendo la porta), ho iniziato a guardarli in faccia, i miei fantasmi. Che ogni tanto ritornano, sotto forma di rabbia. È un allenamento costante, quotidiano: non giudicarsi, capire che anche la rabbia, se non ne vieni risucchiato, è vita. Un eccesso di vita – mi aiuta pensarlo – da condividere per non venirne travolto.

Ma con responsabilità. Con la maturità che solo i grandi educatori, i grandi padri, sanno avere. Governare quel fuoco che, sotto sotto, arde sempre. Senza limitarsi ad attizzarlo verso capri espiatori: quanto è facile (e pericoloso!) con dei ragazzi chiusi (inferociti!) tra le sbarre.

Risulteresti loro subito amico, «simpatico». Ma di fatto l’inganneresti, ancora una volta. E invece no, tu passavi attraverso la strada, più lunga ma realmente trasformativa, della consapevolezza. Una strada che tra le sbarre è ancora più stretta.

Non sempre ci si riesce, il 90% delle volte si perde. Tu stesso ne hai «persi» di quei ragazzi. Eppure continuavi ad accompagnarli. Da testimone: senza impartire lezioncine dall’alto, ma condividendo, con umiltà e verità, quanto si può. Perché: «pitòst che gnente a l’é men pitòst».

Ed è proprio questa, caro Mecu, la lezione che andrebbe scritta in tutti i libri di pedagogia. Soprattutto se si tratta di – giovani – vite umane. Un «pitòst» piccolo, ma personalizzato, per tutti.

Grazie, perché un «pitost» l’avevi colto anche in me. Non ci vedevamo da dieci anni, eppure, puntualmente, mi mandavi gli auguri il giorno dell’onomastico. Un gesto da nonno: forse perché, tra una chiacchiera frugale e l’altra, ti avevo confidato che un nonno non l’avevo mai avuto. Non ti era sfuggito: le cose davvero importanti le sapevi riconoscere al volo.

Per me, ogni 30 novembre, era un Sms: «Buon onomastico, Andrea. Mecu». Da laico, ti saluto con alcuni versi di questa «smisurata preghiera». La prima pensando ai tuoi ragazzi, da oggi orfani di un padre; la seconda per te.

«…Ricorda Signore questi servi disobbedienti/alle leggi del branco/non dimenticare il loro volto/che dopo tanto sbandare/è appena giusto che la fortuna li aiuti».

«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria/[…] e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi/per consegnare alla morte una goccia di splendore/di umanità, di verità».

Grazie per le tue «gocce», Mecu. Fai buon viaggio.

Seduto agli ultimi posti, ti troverai sempre in buona compagnia.

– Andrea SILVESTRO

Addio a don Ricca, il prete amico dei ragazzi in carcere – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito la notizia a cura di Marina Lomunno apparsa su La Voce e il Tempo.

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Cosa dire del nostro caro confratello don Mecu? È difficile perché non si può ridurre la vita di una persona a poche righe. Ma scelgo un aspetto tra i tanti.

Il nostro padre don Bosco aveva conosciuto la dura realtà del carcere accanto al suo maestro e guida spirituale san Giuseppe Cafasso e ha vissuto alla ‘Generala’ (oggi l’Istituto penale minorile ‘Ferrante Aporti’) per dire al Signore che avrebbe fatto tutto il possibile per evitare che i ragazzi arrivassero in carcere. Così don Bosco ha fondato il primo oratorio a Valdocco e di lì è partito tutto.

Oggi noi diciamo addio a un figlio di don Bosco, il nostro caro don Mecu, che ha speso tutta la sua vita di salesiano per accompagnare i giovani finiti al ‘Ferrante’ dove don Bosco e tutti noi non avremmo mai voluto entrassero. Don Mecu ha amato veramente i giovani, soprattutto quelli più fragili e lo ha fatto per amore al Signore Gesù e con un cuore che imitava quello di don Bosco.

Sono parole del Rettor Maggiore dei Salesiani, card. Ángel Fernández Artime che, appena appresa la notizia della morte, sabato 2 marzo a 77 anni, di don Domenico Ricca (per tutti Mecu) ci ha scritto un ricordo dello storico cappellano del «Ferrante».

Sacerdote dal 1975, cappellano al «Ferrante» dal 1979 per oltre 40 anni, don Mecu – ha sottolineato don Leonardo Mancini, Ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha presieduto (accanto a don Luigi Ciotti, mons. Giuseppe Anfossi, Vescovo emerito di Aosta e don Mauro Zanini direttore a Valdocco della Comunità San Francesco di Sales e a oltre 100 sacerdoti) mercoledì 6 la Messa funebre nella Basilica gremita di fedeli – «è stato un punto di riferimento a Torino e non solo per tutti coloro che si occupano di disagio giovanile».

E che erano presenti in Basilica sia al rosario che alle esequie tra cui il procuratore dei Minorenni Emma Avezzù, il neo direttore del «Ferrante» Giuseppe Carro, l’ex direttrice Gabriella Piccoeri il cappellano di tutti, al Ferrante tutto parla di te»).

E poi Gianna Pentenero assessore torinese con delega al Carcere in rappresentanza del Sindaco, il direttore del «Lorusso e Cutugno» (che per alcuni anni ha diretto il «Ferrante») Elena Lombardi Vallauri, il giudice minorile Ennio Tomaselli e i garanti dei detenuti di Regione Bruno Mellano e Comune Monica Gallo.

Don Ricca era «prete di strada come devono essere i salesiani» ha ricordato don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale (di cui Mecu fu tra gli ideatori).

Amico di don Ciotti, don Ricca fu tra i fondatori prima della cooperativa sociale Valdocco, dell’associazione «Aporti Aperte» e del Comitato piemontese del Forum del Terzo Settore, Presidente dell’Associazione Amici di don Bosco per le adozioni internazionale, delegato per le Acli e molto altro.

Società civile e mondo del volontariato che hanno reso omaggio ad un prete che amava «chi ha avuto di meno» come lo era don Bosco che proprio alla «Generala» inventa il suo sistema preventivo e gli oratori visitando i «giovani discoli e pericolanti» della Torino dell’Ottocento, che somiglia molto alle periferie di oggi, che frequentavano i santi sociali.

Ed è per questo che da allora i cappellani del «Ferrante» sono salesiani. Come don Mecu che ha speso tutta la sua vita di prete con i giovani reclusi come don Bosco voleva i suoi salesiani, preti da oratorio, preti da cortile.

«In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto» era convinto don Bosco.

Per tutti don Ricca aveva una parola di incoraggiamento, in tutti i suoi giovani riusciva a trovare «quel punto accessibile», anche in quelli nati nella «culla sbagliata» come era solito dire.

Chi scrive ha avuto il privilegio di raccontare in una lunga intervista, in occasione del 200° della nascita di don Bosco, come don Ricca declinava il suo essere salesiano con i giovani detenuti.

Per questo ha scelto di intitolare il libro sulla sua esperienza di salesiano al carcere minorile torinese (i cui proventi dei diritti d’autore sono devoluti interamente per borse di studio e lavoro per i ragazzi ristretti) «Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti» (Marina Lomunno, Elledici, Torino 2015).

Perché è lo stile del sacerdote da oratorio con cui don Mecu stava al Ferrante come ha imparato da giovane prete, a stare in cortile, informalmente a chiacchierare con i ragazzi, anche quando i giovani ristretti si erano macchiati di reati gravi (don Ricca fu anche tutore di Erika, la giovane di Novi Ligure che con il fidanzatino Omar riempì le cronache per molti mesi nel 2001).

Memorabile nel 2015, quando Papa Francesco venne a Torino per la sua visita apostolica in occasione dei 200 anni dalla nascita di don Bosco, fu il pranzo in Arcivescovado con mons. Nosiglia. Il Papa chiese di stare a tavola con alcune famiglie fragili e i minori detenuti e don Ricca portò i suoi ragazzi che donarono a Francesco una maglietta con tutte le loro firme che il Papa autografò.

In una recente intervista per «La Voce e il Tempo» chiesi a don Ricca come oggi don Bosco accosterebbe i «giovani pericolanti». Ecco la sua risposta:

«Don Bosco tornerebbe in prigione, tornerebbe alla Generala… si inventerebbe l’uso dei social. Creerebbe gruppi su Whatsapp e Instagram! È la lezione di don Milani: le forme sono del tempo, ma quello che ci ha lasciato è la voglia di rischiare, di chiedere di più, di non sedersi. Don Bosco manderebbe in carcere i suoi preti e chierici più ardimentosi, giovani, li sosterrebbe anche nelle loro intemperanze. Ma soprattutto sarebbe padre, amico e fratello dei ragazzi reclusi e ripeterebbe anche oggi il suo monito «Amateli i ragazzi. Si otterrà di più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento che con molti rimproveri» perché «tutti i giovani hanno i loro giorni pericolosi, e voi anche li avete. Guai se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e  senza rimprovero».

Don Mecu è stato seppellito a Mellea di Fossano dove era nato il 31 agosto 1946. Lascia una sorella suora di San Giuseppe e tre fratelli.

La Voce e il Tempo: Don Bosco in Val di Lanzo e il Sindaco Lo Russo a Valsalice

Si publicano di seguito gli articoli apparsi su La Voce e il Tempo.

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Don Bosco in Val di Lanzo

Negli anni ’60 del 1800 don Bosco porta la sua missione fuori Torino, anzitutto in Piemonte (Mirabello Monferrato e Lanzo Torinese) e in Liguria (Alassio).

In breve tempo, nuove case salesiane si aprono nel Canavese (San Benigno), nella Liguria (Varazze, Sampierdarena, Vallecrosia, La Spezia), in Toscana (Firenze), nella Romagna (Faenza), a Roma e nel Lazio, nel Veneto (Este, Mogliano), in Sicilia (Randazzo, Catania).

Sono gli anni nei quali nasce il Regno d’Italia (1861), che grazie alla spedizione dei Mille e ai plebisciti, si estende dal Piemonte alla Sicilia. Nel 1874 parte da Torino la prima spedizione missionaria per l’Argentina.

Fin dal 1842 don Bosco frequenta il santuario di Sant’Ignazio sopra Lanzo. L’amico don Cafasso lo invita di solito in occasione degli esercizi spirituali organizzati per i laici. Don Bosco «non mancò mai d’andarvi ogni anno fino al 1875. Per molti anni fece quel viaggio a piedi, partendo da Torino alle 3 del mattino e arrivando a Sant’Ignazio verso le 10 antimeridiane» (G. Battista Lemoyne, «Memorie biografiche di don Giovanni Bosco», vol. II, p. 142). Morand Wirth spiega: «Don Bosco avvertiva la necessità di una mobilitazione dei laici, fossero essi cristiani nel mondo o veri religiosi con voti. Egli aveva attinto questo interesse per i laici negli insegnamenti del Convitto e in particolare in quelli di Giuseppe Cafasso» («Da don Bosco ai nostri giorni», p. 134).

«A Sant’Ignazio e con don Cafasso – continua il Lemoyne – don Bosco si trovava come a casa sua. Meditava sopra se stesso col ritiro spirituale, confessava molti dei convenuti agli esercizi e, col suo benefattore e maestro, prendeva la decisone risoluta di por mano al principio della sua pia Società» («Memorie biografiche», vol. III, p. 537). Il beato Federico Albert, parroco di Lanzo, ammiratore di don Bosco e della sua azione educativa, propose al Comune di affidargli il collegio che occupava l’antico convento dei Cappuccini, soppresso nel 1802 da Napoleone. Nel 1864 vi iniziarono le scuole elementari e l’anno seguente il ginnasio.

Gli alunni, provenienti anche dai paesi vicini e dalle valli, furono presto 300. Nel 1876 la ferrovia Torino – Ciriè venne prolungata fino a Lanzo Torinese. Il 6 agosto, per l’inaugurazione, il sindaco offrì un ricevimento ufficiale al Collegio. Erano presenti il presidente del Consiglio dei ministri, Agostino Depretis, e altre personalità.

«Fece un gran rumore il suo incontro con parecchi ministri, senatori e deputati a Lanzo per l’inaugurazione di quella ferrovia. Permise al municipio di fare il ricevimento ufficiale al Collegio; anzi, volle trovarcisi egli pure e s’intrattenne a lungo e familiarmente con quei personaggi, tutti liberaloni e più o meno mangiapreti. Alcuni buoni cristiani se ne scandalizzarono; ma egli nell’intimità si difese dicendo: ‘Costoro non si sentono mai dire una parola col cuore, né una verità detta in modo da non inasprirli. Io li ho ricevuti cordialmente e ho detto loro col cuore alla mano quanto l’occasione mi suggeriva, ed anche quelle verità che senza offenderli potevo dir loro, le ho dette tutte e nella maniera più schietta’» (Eugenio Ceria, «Annali della Società salesiana», vol. I, p. 732).

Il Collegio di Lanzo per don Bosco era la casa del cuore. Esso è stato operante fino al 1997. L’edificio è ora residenza sanitaria assistenziale, mentre i salesiani continuano il loro servizio nella parrocchia e nell’oratorio.

L’anno seguente a Mathi, lungo la linea ferroviaria di Lanzo, veniva messa in vendita una cartiera. Don Bosco, che oltre alla tipografia di Valdocco aveva di recente avviato quella di Genova Sampierdarena, l’acquistò e mandò a dirigerla un coadiutore salesiano.

«Il suo obiettivo era ben più ampio: progettava di gestire in proprio l’intero ciclo della produzione editoriale, proponendosi come editore cattolico a tutto tondo nel momento in cui, all’indomani dell’Unità d’Italia, la battaglia della carta stampata sembrava essere entrata nel vivo» (Federico Valle, «A Mathi e Nole sui passi di don Bosco», p. 8).

Nel 1884 si tenne a Torino l’Esposizione nazionale dell’industria, della scienza e dell’arte. Tra gli espositori ci fu anche don Bosco. «Il visitatore, appena messo piede nella galleria appositamente costruita, scorgeva con un colpo d’occhio una fila di macchine in moto, presso le quali giovani silenziosi, applicati e sereni attendevano ognuno a fare la parte sua».

Nel padiglione «si assisteva al graduale svolgersi di tutte le operazioni, per cui da un mucchio di miseri cenci si passa alla confezione della carta, alla stampa dei fogli, alla rilegatura e allo spaccio di libri» (E. Ceria, «Annali», p. 688).

In seguito, don Bosco portò a Mathi la casa di formazione dei cosiddetti ‘figli di Maria’, ossia le vocazioni adulte, e vi aprì la Casa Chantal, affidata alle Figlie di Maria Ausiliatrice, per accogliere le madri rimaste sole.

Oltre a un oratorio, a Mathi le suore salesiane tenevano ben due convitti per giovani operaie e un asilo infantile. Originario di Mathi è don Giulio Barberis, uomo di fiducia di don Bosco, che gli affidò la formazione dei novizi salesiani.

Vicino a Mathi è Nole Canavese, patria di don Domenico Machetta, noto compositore musicale e fondatore della Fraternità di Nazaret.

-Francesco MOSETTO

Lo Russo a Valsalice

Nella festa di don Bosco, lo scorso 31 gennaio, il Sindaco Stefano Lo Russo ha fatto visita all’Istituto salesiano Valsalice di Torino.

Lo Russo, ex allievo dell’Istituto salesiano Agnelli, ha incontrato gli allievi del Valsalice nel teatro della scuola dove si è tenuto un interessante dibattito con gli studenti.

C’era grande curiosità da parte dei ragazzi per un uomo che ha un incarico importante per la città. «Bisogna avere la capacità di mettersi nei panni altrui e vedere la complessità delle situazioni tenendo conto delle numerose variabili», ha detto Lo Russo agli studenti.

Tutto ha inizio con la candidatura in Comune nel 2006 fino all’attività politica a tempo pieno nel 2021, sempre segnata da una passione di fondo per l’insegnamento: Stefano Lo Russo è, infatti, professore ordinario di Geologia applicata al Politecnico.

«Torino è una città con numerose potenzialità, tuttavia è rallentata da diverse problematiche», ha proseguito il sindaco. Tra queste l’inquinamento, causato dalla difficoltosa circolazione dell’aria.

«Il tema della sostenibilità è importante e si sta lavorando sui settori dell’edilizia e dei trasporti, principali fonti di inquinamento», ha evidenziato.

«Torino sta cambiando pelle dal punto vista demografico ed etnico, influenzando anche l’ambito scolastico».

Così il sindaco ha introdotto i temi della scuola e della formazione, sui cui occorre un investimento prioritario, sottolineando come l’obiettivo della città sia quello di caratterizzare gli Atenei cittadini di un’offerta formativa che riesca a includere e stimolare tutti.

Inoltre ha evidenziato l’importanza del ruolo che i giovani hanno nella società, invitandoli a prendere parte all’impegno collettivo, sia dal punto di vista sociale che politico.

Soffermandosi sul diritto di voto, ha poi offerto un consiglio agli studenti:

«informatevi in modo da trovare il filone più vicino alle vostre idee».

-Cecilia BUSSI, Martina CARANGELLA, Giulia MILANETTO

«Ragazzi, vi racconto la guerra» – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo apparso su La Voce e il Tempo a cura di Marina Lomunno.

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Scuole di Valdocco – Lucia Castellino, 97 anni, ha raccontato agli studenti di Terza Medie e del biennio delle scuole professionali la tragedia dell’occupazione nazista

La storia si impara sui libri, ma quando in cattedra sale un protagonista delle vicende che il professore ti ha spiegato a lezione l’interrogazione sicuramente andrà bene. E soprattutto, la storia avrà svolto la sua missione di «maestra di vita» (historia magistra vitae…): così sarà per i ragazzi e le ragazze di Terza Media della Scuola Valdocco e del biennio delle Scuole professionali salesiane che giovedì scorso, in occasione della Giornata della Memoria, hanno ascoltato «senza far volare una mosca» la testimonianza della signora Lucia Castellino, 97 anni.

«Nonna Lucia» ha spiegato con lucidità impressionante una pagina della Seconda guerra mondiale, «una brutta bestia», vissuta quando era coetanea degli studenti che hanno gremito la Sala Sangalli a Valdocco, incalzata dalle domande di Davide Sordi, preside della Scuola Media «Don Bosco» e di Giuseppe Puonzo, responsabile della comunicazione CNOS-FAP Piemonte.

Non è la prima volta che la signora Lucia rievoca la «brutta bestia» come ha ripetuto più volte: è stata invitata dal Centro professionale salesiano di Fossano e volentieri, accompagnata dalla figlia a Valdocco, «è ritornata ragazza».

«Sono nata in una frazione di Peveragno a sei chilometri da Boves in provincia di Cuneo e avevo la vostra età quando i tedeschi con i cappotti lunghi e grigi, gli elmetti e gli stivali neri hanno bruciato il mio paese. Mio fratello era in Russia ed è tornato con i piedi congelati; l’altro mio fratello non l’abbiamo più visto e mia cognata è rimasta vedova con due bambini. Arrivavano dalla città tanti sfollati, non avevamo molto da mangiare, ma li aiutavamo come potevamo».

E ancora:

«Nel mio paese nessuno ha fatto la spia con le SS per segnalare se c’erano persone ebree… Sento ancora le bombe in lontananza, le grida dei tedeschi, le donne che tornavano dalla città piangendo perché dal fronte non arrivano notizie dei mariti che non sarebbero più tornati. Avevamo fame tutto era razionato c’erano le tessere annonarie. Sapete cosa sono? Che brutta bestia la guerra! Oggi non riesco a guardare il telegiornale: non avrei mai detto a quest’età di avere di nuovo la guerra vicina. Dopo quello che ho visto, tanti morti, famiglie decimate, orfani: l’umanità non ha imparato nulla… poveri ragazzi».

La signora Lucia racconta «la pagina più triste» della Seconda guerra mondiale vissuta in Italia.

«Un giorno abbiamo sentito per radio che era stato proclamato l’armistizio. Era una bella parola ‘armistizio’, significa ‘fine della guerra’: invece per noi di Peveragno e di Boves iniziò la tragedia: arrivavano in paese soldati allo sbando, altri salivano in montagna, i tedeschi non se ne andavano»

ricorda Lucia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, cominciano a nascere le prime formazioni partigiane: ed è proprio a Boves, dove è nata una delle prime unità partigiane, che i nazisti si macchiarono della prima strage in Italia, il 19 settembre 1943, un massacro di civili innocenti.

Era una domenica: un gruppo di partigiani sceso in paese si imbatte in due soldati tedeschi della divisione SS Leibstandarte «Adolf Hitler» che li fa prigionieri. Sono gli uomini di Ignazio Vian, uno degli ufficiali che dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno di combattere contro i tedeschi, rifugiandosi sulle montagne.

Le SS al comando di Theodor Wisch e di Joachim Peiper, occupano Boves: pretendono la restituzione dei prigionieri e convocano le autorità del paese. Si presenta solo il parroco don Giuseppe Bernardi insieme a un imprenditore, Antonio Vassallo: li costringono a salire sulle montagne per trattare con i partigiani. Se non verranno liberati i due tedeschi, Boves sarà bruciata.

Don Bernardi chiede di mettere nero su bianco l’impegno di risparmiare il paese in cambio dei due soldati. Peiper si indigna: non si discute la parola (che non sarà rispettata) di un ufficiale tedesco! Il parroco e Vassallo convincono i partigiani a consegnare gli ostaggi, ma i nazisti infrangono l’accordo e Boves viene data alle fiamme, muoiono 23 civili. Tra le vittime anche il giovane vice parroco don Mario Ghibaudo, 23 anni: lo uccidono mentre benedice un moribondo. Il parroco e Antonio Vassallo vengono bruciati vivi.

Ma non finisce qui, rammenta Lucia: tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944, durante un rastrellamento per stanare i partigiani, i nazisti bruciano di nuovo Boves: 59 vittime. Il 26 aprile 1945, all’indomani della liberazione, i tedeschi in ritirata si accaniscono ancora sui bovesini uccidendone 9. Per questi eccidi Boves è stata insignita delle medaglie d’oro al valor civile e al valor militare e i due sacerdoti sono stati proclamati beati.

«Ma anche Peveragno abbiamo avuto la nostra strage nazi-fascista» conclude Lucia, «furono trovati tre soldati tedeschi morti e il 10 gennaio 1944, i nazi-fascisti ammazzano 30 peveragnesi. Oggi sono ricordati in piazza 30 Martiri».

Una lezione di vita che rimarrà impressa nella memoria dei ragazzi, che dopo l’incontro, invitati dai professori, hanno scritto su un cartellone le loro impressioni:

«La guerra è bruttissima e può provocare solo danni»; «sono felice che qualcuno possa raccontarci ciò che ha vissuto, anche cose brutte»; «ho riflettuto sul fatto che noi ci lamentiamo spesso senza pensare che ci sono persone che alla nostra età erano più sfortunate»; «ho capito che senza guerre il mondo sarebbe un posto migliore per tutti»; «le nonne sono preziose»; «sono rimasta colpita dal fatto che Lucia non si sia scoraggiata e che ancora oggi abbia la forza di raccontare»; «ho capito che la guerra non serve a niente!»; «io alla sua età non sarei riuscita ad affrontare così la guerra»; «ho capito quanto si soffre quando di due fratelli ne torna solo uno»; «abbiamo finalmente compreso come funziona la guerra e che non è la soluzione, non serve a niente»; «bisogna portare rispetto a tutti coloro che hanno difeso la nostra patria»; «sentire persone che hanno avuto morti in famiglia per la guerra fa riflettere». «Per evitare la guerra bisogna ricordare». «Stop war, amore e pace».

San Giovanni Bosco, salesiani in festa – La Voce e il Tempo

Si riportano di seguito due articoli apparsi su La Voce e il Tempo.

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San Giovanni Bosco, salesiani in festa

In occasione della Solennità di San Giovanni Bosco il 31 gennaio e nell’anniversario dei «200 anni dal Sogno dei 9 anni», presso la Basilica Maria Ausiliatrice (via Maria Ausiliatrice 32) a Torino sono in programma diverse celebrazioni.

Sabato 27 gennaio si tiene un «Concerto in onore di don Bosco», alle 21 si esibisce l’Orchestra Filarmonica del Liceo Cavour di Torino.

Martedì 30 gennaio, Vigilia della solennità, alle 17 Rosario animato dalle FMA, guida don Vincenzo Trotta, vicerettore; alle 18 Messa Vespertina, presiede mons. Alessandro Giraudo, Vescovo ausiliare di Torino; alle 19 Primi Vespri, presiede don Stefano Martoglio, vicario del Rettor Maggiore dei Salesiani; alle 20.30 Veglia a don Bosco animata dai novizi salesiani.

Mercoledì 31 gennaio, solennità di San Giovanni Bosco, alle 7 Messa per il popolo, presiede don Michele Viviano, rettore della Basilica Maria Ausiliatrice; alle 8 Messa per i religiosi, presiede don Michele Roselli, Vicario episcopale per la Formazione nelle Diocesi di Torino e Susa; alle 9.30 Messa per i ragazzi delle scuole salesiane di Torino-Valdocco, presiede don Leonardo Mancini, ispettore del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Alle 11, Messa per il popolo presiede mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino e Vescovo di Susa, anima i canti la Corale della Basilica; alle 15: Benedizione dei ragazzi/e all’altare di don Bosco, presiede don Guido Dutto, parroco; alle 16 Adorazione e Secondi Vespri presiede don Michele Viviano, rettore; alle 17 Messa per il popolo, presiede don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera. Alle 18.30 Messa per il Movimento Giovanile Salesiano, presiede don Stefano Martoglio, vicario del Rettor Maggiore dei salesiani; alle 21 Messa con il Sermig presieduta da don Andrea Bisacchi alla presenza di Ernesto Olivero.

Cortili in festa per don Bosco

In occasione della memoria liturgica di San Giovanni Bosco, il 31 gennaio, le parrocchie e gli oratori salesiani torinesi organizzano momenti di festa e di comunità per ricordare il fondatore degli oratori.

L’oratorio Don Bosco Crocetta (via Torricelli 30) propone sabato 27 gennaio il «gioco dei travestimenti», un pomeriggio di giochi pensato per i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie: i capi del gruppo scout Torino 24 e gli animatori si travestiranno e andranno in giro per la struttura, i bambini dovranno trovarli, indovinare le loro maschere e capire chi si cela al di sotto.

Il gioco inizierà alle 15.30 e il ritrovo sarà nel cortile dell’oratorio. Al termine, alle 18.30, verrà celebrata la Messa animata dai giovani dell’oratorio.

All’oratorio Valdocco (via Salerno 12) dal 29 gennaio vengono organizzate visite guidate nei luoghi della vita del santo (insieme al Museo Casa don Bosco). Sempre il 29, al pomeriggio, si svolgono i tornei che coinvolgono anche le società sportive di altre cinque parrocchie.

Domenica 28 alle 11 si tiene la Messa solenne celebrata dal direttore a cui seguono aperitivo, giochi e stand a premi per sostenere le attività dell’oratorio.

Infine mercoledì 31 alle 18.30 si svolge la Messa per il Movimento giovanile salesiano, presieduta dal Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio, a cui seguono giochi e cena comunitaria.

Il Michele Rua in Barriera di Milano (via Paisiello 37) organizza domenica 28, dopo la Messa delle 10, giochi per bambini e ragazzi.

Si tiene anche la firma del patto della comunità educativa con le associazioni del territorio. Successivamente il pranzo condiviso, altri giochi ed attività (tra cui la sala per la lettura delle storie) e, dalle 16 alle 17, un momento di spettacolo in teatro con le varie associazioni e il lancio di una proposta per i giovani del quartiere.

Al Rebaudengo (corso Vercelli 206) i festeggiamenti iniziano venerdì 26 con lo spettacolo, alle 19, organizzato dalla comunità oratoriana (bambini del catechismo, animatori e membri del coro).

Il 28, invece, dopo la Messa delle 10 si tiene il tradizionale momento di giochi con pane e salame a cui segue il pranzo comunitario per le equipe educative.

A San Salvario si comincia con la novena online dal 22 al 31 gennaio e si festeggia poi tutti insieme il 4 febbraio con la Messa a San Giovanni Evangelista alle 10.30 a cui seguono la polentata e la festa con giochi per bambini e giovani.

L’oratorio San Paolo (via Luserna di Rorà 16) organizza la novena nella cappellina dell’oratorio (o online) alle 19 dal 22 al 31 gennaio; sabato 27 gennaio i vespri alle 19.30 e a seguire dalle 20 «Don Bosco Pub» con giochi e musica; domenica 28 alle 10.30 si celebra la Messa unificata a cui seguono l’animazione e il pranzo per i giovani.

All’Agnelli (via Sarpi 117) le celebrazioni partono con i vespri dal 28 al 30 gennaio alle 19 presso la chiesa parrocchiale.

Domenica 28 alle 10 si tiene la Messa animata dai giovani a cui seguono i giochi in oratorio. Successivamente si tengono il pranzo comunitario con le famiglie dei bambini del catechismo e la visione del film «Prendi il Volo» presso il Cinema Agnelli.

Servizio Civile con i Salesiani – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo a cura di Emanuele Carrè pubblicato su La Voce e il Tempo.

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QUATTRO MACRO-PROGETTI NELLE OPERE DI PIEMONTE E VALLE D’AOSTA. LE PROPOSTE A TORINO, DOMANDE ON LINE ENTRO IL 15 FEBBRAIO

Come ogni anno anche all’inizio del 2024 i giovani dai 18 ai 28 anni possono aderire al nuovo bando del Servizio Civile Universale. Presentiamo qui le proposte delle realtà dei Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta.

Tutti i progetti rientrano nel programma «Crea» che risponde all’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 dell’Onu per uno sviluppo sostenibile: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti.

In Piemonte e Valle d’Aosta sono 108 i posti disponibili divisi in 41 sedi per i giovani tra i 18 e i 28 anni (ci sono riserve per chi ha minori opportunità). Il contratto ha la durata di 12 mesi, prevede un periodo di tutoraggio, un contributo alle spese di 507,30 euro ed un impegno settimanale di 25 ore.

Per partecipare è necessario candidarsi entro le ore 14 del 15 febbraio 2024 sul sito domandaonline.serviziocivile.it.

Sono quattro i macro-progetti a cui hanno aderito le diverse realtà salesiane e per cui è possibile presentare domanda: «Volo, scuola che mette le ali», per il servizio nelle scuole primarie e secondarie; «Toolbox», dedicato agli istituti di formazione professionale per aiutare l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri; «Dire, fare, educare, giocare», con attività di gioco e sostegno allo studio nei Centri aggregativi per minori; «Batti batti le manine», nelle scuole dell’infanzia; «Museo Casa don Bosco».

Nelle opere salesiane della città di Torino i giovani in Servizio Civile Universale in uno dei quattro macro-progetti precedentemente citati si impegneranno nelle seguenti attività: al Rebaudengo (corso Vercelli 206) organizzazione delle attività degli oratori (giochi, aiuto compiti…), sostegno ai docenti delle scuole dell’infanzia o dei Centri di formazione professionale; al San Paolo (via Luserna di Rorà 16) organizzazione delle attività educative, dei workshop e dei laboratori dell’oratorio e sostegno ai ragazzi del doposcuola; al Michele Rua (via Paisiello 37) assistenza nelle scuole dell’infanzia, primaria o secondaria o organizzazione delle attività dell’oratorio; alla Crocetta (via Torricelli 30) animazione, gioco ed aiuto compiti in oratorio; a San Salvario (via Ormea 4) attività in oratorio, coinvolgimento nelle iniziative di Educativa di Strada e di prevenzione alla tossicodipendenza, aiuto ai bambini e ragazzi con particolari necessità al mattino, sostegno per le attività della comunità minori stranieri non accompagnati (Msna); a Valdocco (via Salerno 12) partecipazione alle attività dell’oratorio in particolare nel centro diurno insieme agli educatori (con ragazzi affidati da Comune e Centri sociali), gruppi formativi, vari laboratori, sedute di equipe formativa, assistenza in cortile, preparazione dell’Estate ragazzi, momenti di comunità e percorsi educativi; all’Agnelli (corso Unione Sovietica 312/via Sarpi 117) sostegno e aiuto nella scuola media, nelle superiori e per la formazione professionale oltre alla partecipazione alle attività dell’oratorio e del centro diurno.

Cristiani, giovani e martiri. Una mostra a Valsalice “Luce del Mondo, sale della Terra” – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo a cura di Silvia Scaranari pubblicato su La Voce e il Tempo.

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Luce del Mondo, sale della Terra è la mostra sui giovani martiri predisposta dalla Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre e visitabile dal 22 gennaio al 1° febbraio presso l’Istituto Salesiano Valsalice di Torino (Viale Thovez 37 – ore 8-17)

Già Tertulliano nel II sec. d. C. scriveva che “il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani” e mai epoca del passato ha visto sangue cristiano sparso in tutto il mondo come il XX secolo. E il XXI, per ora, sembra mantenere la stessa tendenza.

A partire da san Giovanni Paolo II, per proseguire con Papa Benedetto XVI e l’attuale Francesco, la denuncia della situazione si è fatta incalzante. Nel secolo scorso si calcolano 45 milioni di cristiani uccisi per la loro fede, un genocidio.

Oggi si stima che un cristiano ogni sette subisca persecuzioni, con un totale di 360 milioni di persone che vivono la loro fedeltà a Cristo a rischio quotidiano della vita. La denuncia viene da  Aiuto alla Chiesa che Soffre ma anche da Open Doors, entrambi enti che annualmente pubblicano documentati report sulla situazione in essere.

L’Africa subsahariana, l’epicentro del cristianesimo globale, è ora anche l’epicentro della violenza contro i cristiani, per effetto dell’estremismo islamista, mentre la Corea del Nord è tornata al primo posto, secondo la World Watch List (WWL) del 2023. Salita nella classifica la Repubblica delle Comore dove negli ultimi anni solo gli stranieri in transito possono professare una religione diversa dall’islam.

La presenza di persecuzioni in paesi con alta presenza di islam jihadista non è novità, ma è drammaticamente salita alla ribalta negli ultimi anni la situazione di paesi di antichissima tradizione cristiana.

L’odio anticristiano, misto a follie etno-nazionaliste, ha causato lo sfollamento di più di 100.000 cristiani dal Nagorno Karabakh, o Artsakh, occupata lo scorso autunno dall’Azerbajian, nel colpevole silenzio della grande stampa.

Meno note, ma certamente non meno tragiche, sono le notizie che giungono dal cattolicissimo Nicaragua dove una dittatura senza senso, guidata dal Presidente Ortega, ha deciso di cancellare il volto cristiano del Paese incarcerando vescovi, sacerdoti, e comuni fedeli, mentre in Colombia la persecuzione aumenta di anno in anno ad opera delle bande della criminalità organizzata a cui la Chiesa si oppone.

La mostra che Valsalice offre ai torinesi, composta di 18 pannelli su casi recenti e recentissimi, vuole far conoscere da un lato la brutalità della persecuzione, dall’altro la bellezza della testimonianza.

Oggi, come ieri, la Chiesa perseguitata è una Chiesa di ragazzi. Oltre i confini del ricco e anziano “Occidente” le comunità cristiane sono composte per gran parte di ragazzi e bambini.

Solo in India – che nel 2023 ha superato la Cina quale Paese più popoloso al mondo – si contano circa 16 milioni di ragazzi e ragazze cristiani, il doppio rispetto all’Italia.

Tra i diversi casi presentati il giovanissimo Akash Bashir ucciso il 15 marzo 2015. «Non preoccuparti mamma, e poi sarei felice di morire per salvare altre vite».

Così rispondeva il giovane Akash alla madre preoccupata che il figlio potesse venire ucciso mentre prestava servizio volontario come agente di sicurezza della parrocchia cattolica di St. John a Youhanabad, sobborgo di Lahore.

E proprio qui, per impedire l’ingresso nella chiesa super affollata per la S. Messa domenicale ad un kamikaze che portava uno zaino pieno di esplosivo, gli si para davanti e, dopo avergli intimato di fermarsi, lo abbraccia con forza. I due muoiono in una tremenda esplosione ma i 2000 fedeli all’interno sono salvi.

Samaru è un ragazzo di 15 anni, convertitosi al cristianesimo presso la Chiesa Pentecostale di Kenduguda, un villaggio dello Stato di Odisha, India. Lo descrivono come un giovane appassionato e innamorato del Signore.

Per questo il 4 Giugno 2020 viene rapito da casa sua da una banda di estremisti religiosi indù insieme a due suoi cugini e viene lapidato a morte. Sgozzato, il suo corpo viene mutilato e sepolto nella foresta.

Sempre un’altra giovane, Suor Marie-Sylvie Kavuke Vakatsuraki, delle Piccole Sorelle della Presentazione di Nostra Signora, medico, dolce e sempre disponibile, prestava servizio in un presidio ospedaliero.

Muore bruciata viva la notte del 20 Ottobre 2022, a pochi chilometri da Butembo, in un attacco ad opera di terroristi dell’ADF (Alleanza delle Forze Democratiche) un gruppo affiliato all’ISIS (Stato Islamico di Siria e Iraq).

Tre casi fra decine. Solo nel 2023 sono 20 i missionari uccisi in diversi parti di mondo, senza contare le migliaia di laici.

Eppure, il cristianesimo non muore.

Da duemila anni, a ondate ripetitive, qualcuno ha cercato di eliminare Cristo dal mondo ma senza successo, anzi!

Anche oggi Cristo si manifesta con forza al mondo con il suo dono di verità, perdono e amore, unici strumenti veri per dare Luce al mondo e Sale alla terra.

Rebaudengo, un corso al lavoro per giovani rifugiati – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo apparso su La Voce e il Tempo.

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Lo scorso novembre, presso il CNOS-FAP Rebaudengo di Torino, ha preso il via un corso di formazione professionale per giovani rifugiati in collaborazione con l’Unione industriale di Biella e con la Croce Rossa italiana.

Si tratta di un progetto che in primo luogo vuole rispondere alla necessità di reperire lavoratori nel settore meccanico-tessile, che negli ultimi anni vive una crisi di produzione dovuta, primariamente, alla mancanza di manodopera connessa alle richieste – spesso troppo selettive – delle aziende.

Il progetto è coordinato dai tre partner sopra citati, che si occupano ciascuno di un aspetto specifico: il CNOS-FAP della parte di formazione, l’Unione Industriale di Biella della selezione delle aziende interessate e la Croce Rossa dell’individuazione delle persone da inserire nel progetto.

Tutti gli allievi infatti (15 in totale) provengono dal Campo migranti Fenoglio di Settimo, gestito dalla Croce Rossa, e hanno un’età compresa tra i 20 e i 40 anni.

Il corso prevede 120 ore di formazione professionale in ambito meccanico tessile, che hanno preso il via a dicembre, a cui si sommeranno le ore dedicate al corso sulla sicurezza e, infine, da gennaio un accompagnamento all’inserimento abitativo e lavorativo nella città di Biella seguito da un responsabile messo a disposizione dall’Unione Industriale.

«Finora», spiega Agostino Albo, direttore del centro di formazione professionale Rebaudengo, «non abbiamo registrato alcuna assenza da parte degli allievi; c’è una forte motivazione e volontà di portare a termine il percorso»

Non si tratta di un progetto isolato: l’anno scorso sempre al Rebaudengo si è svolto un corso simile rivolto ad immigrati nell’ambito della carrozzeria: su 14 allievi ad oggi tutti hanno trovato occupazione.

L’obiettivo ultimo di questo progetto, oltre che rispondere ad una richiesta di lavoratori specializzati nel settore di riferimento (in questo caso quello meccanico-tessile), si inserisce in quella che è una delle mission della formazione professionale salesiana, ossia formare gruppi di persone inoccupate, che per svariate motivazioni legate al loro status non riescono a trovare un’occupazione stabile, fornendogli una specializzazione e accompagnandoli nell’inserimento lavorativo.

Fondamentale l’impegno della Croce Rossa del Campo Fenoglio che monitora con attenzione l’andamento dell’attività, le presenze e, tra le altre cose, ha fornito l’abbonamento ai mezzi pubblici degli allievi per agevolare gli spostamenti.

Don Bosco 200 anni dal sogno – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo a cura di Marina Lomunno apparso su La Voce e il Tempo.

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L’ultima strenna da Rettor Maggiore e la prima da cardinale, don Ángel Fernández Artime l’ha diffusa per la prima volta in diretta mondiale plurilingue sui social dalla Casa generalizia salesiana di Roma mercoledì 27 dicembre.

La famiglia salesiana presente nei 5 continenti in 134 nazioni si è collegata per il tradizionale «dono» che don Bosco consegnava ogni anno ai suoi ragazzi per caratterizzare l’anno a venire.

Così hanno fatto i suoi successori fino al card. Artime che, citando l’incontro al santuario della Consolata promosso dal nostro giornale il 4 dicembre scorso, ha ribadito l’impegno dei salesiani

«di andare a cercare i giovani di oggi alla ricerca di senso e risposte».

Il tema della strenna per il 2024 richiama i 200 anni del sogno che don Bosco fece nel 1824 a 9 anni: «Il sogno che fa sognare. Un cuore che trasforma i ‘lupi’ in ‘agnelli’» il titolo della strenna che, in un momento dove il mondo è assediato da 59 conflitti tra cui quello in Ucraina e in Terra Santa è drammaticamente attuale.

A partire dalla strenna nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino è stata allestita una mostra in 12 pannelli dove in ognuno di essi è riportata una frase del sogno così come lo racconta lo stesso don Bosco per consentire una lettura nei suoi passaggi fondamentali.

Ogni frase poi ha un breve commento, o rilettura attualizzata del Rettor Maggiore tratta della stessa strenna 2024. La mostra si potrà visitare fino al 31 gennaio, festa liturgica del Santo dei giovani.

Inoltre in preparazione alla festa di don Bosco sono in programma sempre in Basilica «tre lunedì» di riflessione e di approfondimento sul sogno di don Bosco.

Apre il ciclo (sempre alle 20.30) l’8 gennaio il Rettor Maggiore con una lettura salesiana del sogno per il nostro tempo. Segue lunedì 15 don Andrea Bozzolo, Rettore dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, che leggerà il sogno in chiave teologica mentre lunedì 22 don Francesco Motto, direttore emerito dell’Istituto Storico Salesiano di Roma, ne proporrà una riflessione critico-storica.

«Le tre serate» spiega don Michele Viviano, rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice «saranno precedute da un video, diverso per ogni sera, sempre sul sogno».

L’intento come sottolinea il Rettor Maggiore è che questo sogno continui a far sognare ogni salesiano e ogni membro della nostra famiglia trasformandosi in realtà.

Solo scoprendo e realizzando il sogno che Dio ha per ciascuno di noi, la nostra vita diventa più felice e di qualità per ciascuno di noi e dei nostri giovani.

«Un solo è il mio desiderio – scriveva don Bosco – quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità’».

Il cardinale Artime alla Consolata – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo apparso su La Voce e Il Tempo, foto a cura di Danny Di Girolamo.

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Lunedì 4 dicembre il Santuario della Consolata ha ospitato l’incontro con il Rettore Maggiore dei Salesiani, il cardinale Ángel Fernández Artime, sul tema “Giovani oggi, la grande sfida educativa”.

L’appuntamento con il cardinale Artime ha chiuso il ciclo autunnale di incontri pubblici organizzati alla Consolata dal Santuario e La Voce e Il Tempo.

Foto a cura di Danny Di Girolamo, gallery completa sul sito al seguente link: