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Progetto “Talenti Neodiplomati” – Stage aziendali in Spagna per alunni del Don Bosco di CHATILLON

Anche quest’anno grazie al progetto denominato “Talenti Neodiplomati”, proposto e finanziato dalla Fondazione CRT, due giovani neo-maturati, provenienti dalla scuola Salesiana di Chatillon, hanno avuto l’opportunità di partecipare ad uno stage aziendale all’estero, della durata di tre mesi, a Burgos, in Spagna. Si tratta di Arnaud Perruquet, diplomato in Produzione industriale ed arredi (falegnameria) e di Joel Brunet, diplomato in Manutenzione ed assistenza tecnica (meccanica).

Arnaud Perruquet svolge lo stage presso una falegnameria di Burgos che realizza particolari in legno per tutto il territorio spagnolo. È così che, per svolgere l’attività di stage, il giovane è stato una settimana sia a Madrid che a Barcellona. Arnaud si è ben inserito nel nuovo contesto e si è fatto apprezzare dal titolare e dai collaboratori della falegnameria.

Joel Brunet svolge lo stage presso la concessionaria Ford di Burgos, una grande officina abbinata alla carrozzeria. Il ragazzo è molto apprezzato per la sua volontà ad apprendere nuove tecniche di manutenzione e per la disponibilità e flessibilità nel lavorare con i collaboratori della concessionaria. Il progetto prevede che a metà percorso ci sia una visita da parte di un docente dell’Istituto di provenienza per fare il punto della situazione sull’andamento del progetto. È cosi che a metà ottobre il Prof. Carlo Vancheri si è recato in Spagna per incontrare i ragazzi.

Durante la visita il docente ha potuto assistere alla presentazione di tutte le attività ERASMUS organizzate dall’Istituto Salesiano P. Aramburu di Burgos e coordinate dal Prof. Guillermo Navarro Rodrìguez rivolte a tutti i 600 alunni della scuola. In quell’occasione i ragazzi Arnaud e Joel hanno presentato la loro esperienza in lingua spagnola.

La visita del docente è stata anche un’occasione per i due alunni, il tutor locale del progetto, Prof. Guillermo Navarro, di visitare la Cattedrale e le chiese più importanti della città di Burgos, patrimonio dell’UNESCO.

La visita si è conclusa con l’incontro del Direttore della residenza Universitaria San Agustìn di Burgos, dove i ragazzi soggiornano.

Si ringraziano la Sig.ra Laura Tozzi (progettista dell’attività), il Prof. Guillermo Navarro Rodrìguez, il Prof. Carlo Vancheri e la Fondazione CRT.

Giornata europea contro il traffico di esseri umani

Oggi, 18 ottobre 2018, nella giornata europea contro il traffico degli esseri umani, Missioni Don Bosco aderisce all’ iniziativa del Consiglio d’Europa, insieme con altre organizzazioni – governative e non – che si impegnano a contrastare il fenomeno della tratta.
Nello specifico, questa Associazione sviluppa con i missionari e con i volontari progetti per contenere la fuga dai Paesi poveri, investendo risorse sulla formazione, quella professionale in particolare; ma si trova anche sul fronte del recupero di minori, sottratti ai trafficanti, ai quali dà accoglienza e cura psicologica.

Ecco due spunti offerti da missionidobosco.org, per entrare più nello specifico del tema.

Giornata europea contro la tratta: se gli schiavi sono a casa nostra

I figli di Don Bosco in Ghana: traffico di bambini, una realtà molto diffusa

Don Bosco Chatillon – Il sistema industriale Valdostano e le figure professionali ricercate dalle imprese

Si riporta la notizia che giunge dall’istituto scolastico di Chatillon (Valle d’Aosta) pubblicata in data 1o ottobre 2018 riguardo ad una conferenza incentrata su “Il sistema industriale Valdostano e le figure professionali ricercate dalle imprese” organizzata dalla Confindustria Vale d’Aosta.

Il giorno 10 ottobre 2018 gli alunni delle classi V MAT e V PIA accompagnati dai docenti, hanno partecipato alla conferenza “Il sistema industriale Valdostano e le figure professionali ricercate dalle imprese” a cura della Confindustria Valle d’Aosta, all’interno della “Semaine de l’emploi de la formation”.

Durante l’incontro, hanno parlato diversi imprenditori del territorio, i quali hanno spiegato l’importanza della formazione specifica e della flessibilità nel sfruttare nuove opportunità professionali magari non sempre vicino al luogo di residenza.

 

RMG – Nominati i membri di due Commissioni Precapitolari del CG28

In vista del Capitolo Generale 28° dei salesiani, ecco i primi lavori e le nomine dei membri di Commissione Precapitolare, che avrà luogo a settembre 2019.
Articolo pubblicato da ANS in data 3 ottobre 2018:

(ANS – Roma) – Procedono i lavori di preparazione del Capitolo Generale 28° (CG28). Con due lettere pubblicate in data odierna, 3 ottobre, il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, ha nominato i membri della Commissione Precapitolare del CG28 sul tema proprio del Capitolo, e quelli della Commissione Precapitolare sui temi giuridici.

Il Rettor Maggiore ha nominato i membri designati delle due commissioni dopo essere stato a sua volta contattato dal Regolatore del CG28, don Stefano Vanoli, e avendo ricevuto la disponibilità a partecipare dai salesiani interessati.

Della Commissione Precapitolare sul tema del Capitolo faranno parte:

  • Don Manolo Jiménez, Superiore della Visitatoria Africa Congo-Congo (ACC), Regione Africa-Madagascar;
  • Don Alphonse Owoudou, Superiore della Visitatoria Africa Tropicale Equatoriale (ATE), Regione Africa-Madagascar;
  • Don Gildasio Dos Santos, Ispettore di Brasile-Campo Grande (BCG), Regione America Cono Sud;
  • Don Alfred Maravilla, Superiore della Visitatoria Papua Nuova Guinea-Isole Salomone (PGS), Regione Asia Est-Oceania;
  • Don Jose Kuttianimattathil, dell’Ispettoria di India-Bangalore (INK), Coordinatore regionale per la Formazione, Regione Asia Sud;
  • Don Eunan McDonnel, Ispettore dell’Irlanda (IRL), Regione Europa Centro e Nord;
  • Don José Anibal Mendonça, Ispettore del Portogallo (POR), Regione Mediterranea;
  • Don Hugo Orozco, Ispettore di Messico-Guadalajara (MEG), Regione Interamerica;
  • Don Igino Biffi, Ispettore dell’Italia-Nord Est (INE), Regione Mediterranea;
  • Don Eugenio Riva, Superiore della Visitatoria “Maria Sede della Sapienza” di Roma (UPS);
  • Don Andrea Bozzolo, docente di Teologia Dogmatica presso la Sezione di Torino della Facoltà di Teologia dell’UPS;
  • Don Rossano Sala, Segretario Speciale del Sinodo dei Vescovi sui giovani.

La commissione si radunerà presso la Sede Centrale Salesiana dal 9 al 20 settembre 2019.

Della Commissione Precapitolare sui temi giuridici faranno parte:

  • Don David Albornoz, Vicario ispettoriale dell’Ispettoria del Cile (CIL);
  • Don Pier Fausto Frisoli, Procuratore Generale;
  • Don Alberto Lorenzelli, Direttore della comunità salesiana del Vaticano (RMG);
  • Don Jesu Pudumai Doss, Decano della Facoltà di Diritto Canonico dell’UPS.

La commissione si radunerà presso la Sede Centrale Salesiana dal 23 al 30 settembre 2019.

Bollettino Salesiano – Settembre 2018

Si evidenzia l’uscita mensile del Bollettino Salesiano. Scarica il PDF o vai su: biesseonline.sdb.org per abbonarti!

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Bollettino Salesiano – Settembre 2018

 

Incontro di verifica – Il Rettor Maggiore, con gli Ispettori, sui Luoghi Salesiani

La Redazione di ANS (Agenzia iNfo Salesiana) ha raccontato la giornata trascorsa dal Rettor Maggiore al Colle don Bosco con li Ispettori salesiani.
Si riporta l’articolo.

 

(ANS – Torino) – È in corso di svolgimento in questi giorni a Torino l’incontro di verifica del Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, con gli Ispettori salesiani giunti a metà del loro sessennio di animazione e governo. Il raduno, che ha avuto inizio domenica scorsa, 23 settembre, e si prolungherà fino al prossimo lunedì, 1° ottobre, vede la partecipazione, oltre del Rettor Maggiore, anche del suo Vicario, don Francesco Cereda, e di 8 Superiori giunti a metà mandato:

  • Don Joseph Alemida, Superiore della Visitatoria dello Sri Lanka (LKC);
  • Don Godofredo Atienza, Ispettore delle Filippine Sud (FIS);
  • Don Francisco Batista, Ispettore delle Antille (ANT);
  • Don Marcos Biaggi, Superiore della Visitatoria del Mozambico (MOZ);
  • Don Orestes Fistarol, Ispettore di Brasile-Belo Horizonte (BBH);
  • Don Jose Mathew Koorappallil, Ispettore di India-Nuova Delhi (INN);
  • Don Joseph Nguyen Van Quang, Ispettore del Vietnam (VIE);
  • E don Charles Saw, Ispettore del Myanmar (MYM).

Ad essi si aggiunge anche don Andrew Wong, che invece ha appena iniziato, nello scorso agosto, l’incarico di Superiore della nuova Visitatoria dell’Indonesia (INA).

L’appuntamento, che prevedrà numerose tappe di “ricarica” carismatica presso i più importanti Luoghi Salesiani, servirà a mettere a tema diversi aspetti importanti del servizio dell’Ispettore ai suoi confratelli: lo sguardo dell’Ispettore sul suo Consiglio, il parere dei Confratelli sull’animazione e il governo della Ispettoria, i passi in avanti compiuti dall’Ispettoria a partire dall’ultimo Capitolo Generale e in rapporto alle conclusioni dell’ultima Visita Straordinaria, l’individuazione delle sfide più importanti per l’Ispettoria: forze e speranze; difficoltà e problemi…

Tra le attività che vedranno coinvolti i Superiori, oltre alle sessioni di dialogo individuale con Don Á.F. Artime e con don Cereda, ci saranno anche importanti momenti di spiritualità salesiana condivisa, primo fra tutti, la partecipazione all’Eucaristia della 149a Spedizione Missionaria Salesiana.

Bra – La scuola media salesiana in piena attività

Si segnala la seguente comunicazione ufficiale relativa alla ripresa delle attività della scuola media di Bra:

 

Dopo i primi giorni di rodaggio, le attività della scuola media sono a pieno regime. Scuola al mattino e doposcuola al pomeriggio fino alle 17.30. Anche quest’anno sono funzionanti due classi prime da 22 alunni per sezione. Con le due classi seconde e la terza si raggiunge il numero di 110 alunni. Presenza al doposcuola: 90 alunni.

Novità di quest’anno l’introduzione della lingua francese in prima media come materia curriculare accanto all’inglese che resta potenziato con le 5 ore per tutte le classi e con la presenza dell’insegnate madrelingua tutto l’anno. L’introduzione del francese è stata determinata dalla volontà di arricchire l’offerta linguistica in linea con i tempi attuali e con attenzione al territorio. Mentre in altre zone dell’Italia e del Piemonte stesso la seconda lingua è spesso costituita dallo spagnolo o dal tedesco, nella provincia di Cuneo il francese resiste, anzi aumenta. Un sondaggio tra i nuovi iscritti ha dato un consenso quasi unanime alla proposta. Senza aggiungere ore di rientro, che avrebbero appesantito gli impegni degli studenti, ma sfruttando le possibilità concesse dall’autonomia organizzativa delle scuole, è stato possibile introdurre le due ore di francese.

Anche l’informatica sarà incrementata valorizzando al meglio l’aula attrezzata con 32 computer in rete. La prof.ssa di tecnologia curerà l’insegnamento dei principali programmi in tutte le classi nell’orario curricolare. Nel pomeriggio invece saranno proposti corsi tipo coding e altri.

Pure l’italiano sarà potenziato con un’ora dedicata alla lettura di libri di narrativa selezionati dagli insegnanti di lettere. L’obiettivo è favorire il gusto della lettura e il miglioramento della capacità di comprensione e di espressione. Si tratta di competenze letterarie messe a dura prova dall’invadenza sempre più rilevante dei vari social nella vita dei giovani e meno giovani.

Tutto questo non sostituisce certo l’attenzione alla formazione umana e cristiana degli allievi, che resta prioritaria nella nostra scuola. Prova ne è il ritiro spirituale di inizio anno e altri due in Avvento e in Quaresima.

Anche i nuovi allievi ormai hanno preso famigliarità con l’ambiente, i compagni e gli insegnanti. Già dal primo giorno hanno potuto intrattenersi con gli alunni delle classi superiori. I compagni di terza li hanno accompagnati nella visita all’istituto, mentre quelli seconda hanno giocato con loro. Il secondo giorno invece le due prime si sono recati al parco della Madonna dei Fiori per conoscersi meglio con giochi di ruolo e un grande gioco: lo stratego. Il lunedì successivo, primo giorno di rientro, tutte le classi hanno partecipato al grande gioco nello stesso parco. Anche questo un modo per creare un gruppo affiatato, pur nella distinzione delle classi.

Le premesse sono positive e fanno ben sperare per il buon andamento dell’anno scolastico.

Dalla parte dei giovani, con competenza

L’Università Pontificia Salesiana e la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, hanno organizzato il congresso internazionale sul tema Giovani e scelte di vita: prospettive educative. In tale occasione è stato intervistato Mauro Mantovani, docente di filosofia, rettore dell’Università Pontificia Salesiana (Ups) di Roma e presidente della conferenza dei rettori delle università pontificie, dal gruppo editoriale Città Nuova. Qui di seguito l’intervista.

 

Perché salesiano?

A 16 anni, nella mia parrocchia di Moncalieri vicino a Torino ho conosciuto alcuni seminaristi del centro teologico salesiano che avevano come caratteristica la presenza tra i giovani. Lavoravamo insieme con i ragazzi più piccoli, condividendo la parola di Dio. Dopo qualche anno ho iniziato il percorso di formazione salesiana e, una volta diacono, mi hanno chiesto di dedicarmi a studio, formazione e insegnamento.

Una formazione per chi?

La vita salesiana ha come prospettiva il servizio ai giovani, la chiamata ad essere segni e strumenti dell’amore di Dio ai giovani. Per formare culturalmente i confratelli a questo servizio, nel 1940 è stata fondata l’università salesiana, che accoglie anche membri delle figlie di Maria ausiliatrice e studenti laici. Questi ultimi sono la maggioranza. La specializzazione che offriamo rispetto ad altre università è sui diritti dei giovani e dei minori, in un ambiente ricco di attività extra-accademiche. Non solo teste ben fatte, quindi, ma persone complete.

La maggior parte dei giovani oggi sono agnostici. È preoccupato?

La preoccupazione c’è, ma non vogliamo piangere sui nostri tempi. Anche don Bosco ha vissuto anni difficili! Tra l’altro i giovani oggi hanno opportunità che in altre epoche storiche non esistevano, possono fare scelte indipendenti. I salesiani si rifanno all’umanesimo di Francesco di Sales che credeva nelle potenzialità, naturali e soprannaturali, di ogni ragazzo. Per questo l’educazione è centrale, anche negli ambienti più difficili. Ma ci vuole presenza, vicinanza, il giovane deve diventare protagonista del proprio percorso, affrontando ideali alti. Ci vuole anche la “parolina all’orecchio”, come diceva don Bosco, cioè la capacità di far sentire ciascuno al centro dell’attenzione.

L’impatto dei media è più forte della vostra voce?

La Rete è un ambiente dove si trova di tutto, ma proprio per questo non possiamo mancare. Il nostro compito è creare le condizioni perché un giovane possa individuare ciò che è degno di interesse. Cerchiamo quindi di educare al pensiero critico e all’approfondimento.

Come salesiani quale strategia avete?

Il sistema educativo di don Bosco è fatto di ragione, religione e amorevolezza. Una ragione ben formata, per capire ciò che è bene e ciò che è male. Il vissuto di fede, che completa la persona nella sua apertura al trascendente. E infine l’amorevolezza: i giovani devono essere non solo amati, ma sapere di essere amati, per fare un’esperienza di reciprocità. Nelle nostre opere, dall’università agli oratori, fino al lavoro con i ragazzi di strada, si fa l’esperienza della “casa che accoglie”, luogo dove esprimere la propria fede, cortile dove incontrarsi tra amici, scuola che educa alla vita. Tutto questo si collega con quello che i giovani hanno chiesto nel pre-sinodo: una Chiesa che sia casa, famiglia e luogo accogliente.

 

 

Il mondo degli adulti non aiuta…

Molti adulti hanno rinunciato ad essere genitori. Invece i giovani dovrebbero “vedere” che sposarsi e avere figli è qualcosa di bello. E incontrare persone che dimostrino che si può essere felici anche con la vocazione religiosa. Papa Francesco ripete: non fatevi rubare la speranza. Il compito dell’educatore è essere un provocatore, da pro-vocazione: deve far venir fuori la chiamata ad andare oltre il banale e il superficiale. Appassionare significa provocare in positivo.

C’è un deficit di presenza culturale della Chiesa?

Con la Laudato sì la Chiesa ha dato un grande apporto alla riflessione culturale (e non solo). Bisognerebbe fare proposte significative anche in altri campi, come l’educazione: come guardiamo al futuro attraverso la formazione dei giovani? Il cosiddetto “nuovo umanesimo” ce lo giochiamo qui.

Le università pontificie possono collaborare meglio?

Nell’esortazione Veritatis gaudium il papa indica 4 punti fondamentali: approfondire cosa la rivelazione cristiana può offrire alle varie discipline, riscoprire l’unità del sapere, dialogare a tutto campo (non soltanto come strategia, ma anche come stile di vita e di pensiero), fare rete. Stiamo cominciando a farlo. A Roma ci sono 23 istituzioni pontificie che possono offrire un notevole apporto culturale.

C’è un’emergenza sessualità per i giovani?

Nel congresso ci sarà una sessione proprio sull’inquinamento pornografico. L’ambiente intorno ci tira in basso, ma si può andare contro corrente: però i giovani rispondono solo se gli si mostra che ne vale la pena. Non dobbiamo temere di fare proposte serie e controcorrente.

In Ups trattate di finanza etica perché?

Dietro la crisi c’è una dimensione antropologica: come si guarda all’uomo e alla sua responsabilità verso se stesso, gli altri, l’ambiente. Paolo VI diceva che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Giovanni Paolo II sfidava il pensiero cristiano del terzo millennio a dare una visione integrata dei saperi, Benedetto XVI afferma che bisogna approfondire cosa significa essere un’unica famiglia umana, mentre papa Francesco arriva a dire che serve una rivoluzione culturale. C’è bisogno di questa profondità per cogliere il significato della crisi finanziaria e il valore della finanza etica. Bisogna guardare all’unità della famiglia umana.

Perché un congresso sui giovani prima del sinodo?

Come famiglia salesiana volevamo dare un nostro apporto specifico, sulle prospettive educative legate alle scelte dei giovani. Come aiutarli, quali condizionamenti, quali buone pratiche. Noi continuiamo a credere nelle risorse naturali e spirituali dei giovani, perché ne facciamo esperienza ogni giorno. Se aiutati, possono fare scelte di vita che li rendono felici.

 

 

Il popolo nicaraguense non perde la speranza

Il Nicaragua sta vivendo momenti di altissima tensione. Le proteste, che da metà aprile scuotono il più grande paese del Centro America contro il presidente Daniel Ortega e sua moglie Rosaria Murillo, che ricopre la carica di vice-presidente, nelle ultime ore hanno subito una violenta repressione da parte delle forze governative.

«Il popolo nicaraguense non perde la speranza, però la situazione è molto tesa e bisogna che il mondo conosca questa triste realtà che sta vivendo in questo momento il nostro popolo».

(Padre José Bosco Alfaro Salazar,
direttore del collegio salesiano Don Bosco,
parla da uno degli epicentri della protesta popolare
di questi mesi in Nicaragua, la città di Masaya,
culla del folclore nicaraguense.)

Ecco il punto della situazione nicaraguense mediante una breve rassegna stampa, buona lettura!

19 Luglio 2018

Nicaragua, i paramilitari riconquistano Masaya. Don Gutiérrez: “Repressione violenta, ma la Chiesa sta con il popolo”

A raccontare come stanno andando le cose è, al telefono, un sacerdote salesiano, padre César Augusto Gutiérrez. Vive nel collegio San Giovanni Bosco e a lui è affidata la cura pastorale della chiesa più centrale di Masaya, quella di San Sebastiano: “La città è completamente militarizzata, le barricate non ci sono più, ma la polizia speciale va di casa in casa, in cerca soprattutto dei giovani che capeggiavano la resistenza. Pare che le vittime del 17 luglio siano quattro, tra cui un poliziotto. I feriti sono molti e così le persone che sono state portate via e incarcerate. Tanti sono fuggiti”

Quello successivo all’attacco dei paramilitari è forse il giorno più triste della storia di Masaya, città per natura gioiosa, una delle più belle del Nicaragua, culla del folclore e dell’artigianato locale dentro un paesaggio da favola, tra il lago e il vulcano; forse la più caratteristica meta turistica del Paese in tempi di pace. Ma anche una città fiera, epicentro 39 anni fa della rivolta contro il dittatore Anastasio Somoza. E avamposto della resistenza non violenta al regime di Daniel Ortega negli ultimi tre mesi, soprattutto nel quartiere di Monimbó. Un giorno triste, e la violenza non si ferma. Le strade sono vuote, regnano un silenzio surreale e il terrore imposto dalle forze speciali, che hanno smontato le barricate alzate in queste settimane dalla popolazione a Monimbó. Ma continuano la caccia all’uomo, di casa in casa, l’obiettivo è stanare i leader della resistenza.

È ancora caccia all’uomo. A raccontarci come stanno andando le cose è, al telefono, un sacerdote salesiano, padre César Augusto Gutiérrez. Vive nel collegio San Giovanni Bosco e a lui è affidata la cura pastorale della chiesa più centrale di Masaya, quella di San Sebastiano: “La città è completamente militarizzata, le barricate non ci sono più, ma la polizia speciale va di casa in casa, in cerca soprattutto dei giovani che capeggiavano la resistenza. Pare che le vittime del 17 luglio siano quattro, tra cui un poliziotto. I feriti sono molti e così le persone che sono state portate via e incarcerate. Tanti sono fuggiti”.

Con voce ancora emozionata, padre Augusto ricorda quanto è accaduto solo poche ore fa: “È stata una giornata di repressione molto violenta, portata avanti con armi pesanti”.

Impossibile resistere, anche per la fiera popolazione di Masaya: “Sono persone pacifiche, non abituate a combattere, hanno lanciato pietre, qualche granata artigianale”. Un mese fa l’attacco delle forze speciali era stato fermato dai vescovi: dal cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua; dal suo ausiliare, mons. Silvio José Báez, nativo proprio di Masaya; dal nunzio apostolico, mons. Waldemar Stanislaw Sommertag. Appena avuta notizia dell’attacco si erano precipitati a Masaya, che dista circa 35 chilometri dalla capitale. Si erano fatti largo in processione, con il Santissimo, ed erano riusciti a bloccare le forze speciali. L’immagine aveva fatto il giro del mondo. Stavolta le forze governative hanno fatto le cose in grande: si sono presentati in mille, armati fino ai denti, alle sei del mattino. L’ordine era chiaro: Monimbó andava riconquistata prima del 19 luglio, giorno di festa nazionale, 39º anniversario della deposizione di Somoza. “Ma ora – fa notare padre Gutiérrez – stiamo vivendo una dittatura ancora peggiore”.

Bloccato l’assalto a una chiesa. Il sacerdote salesiano ricorda un’altra costante degli attacchi di questi giorni, che hanno sempre più spesso come obiettivo le chiese: “È accaduto anche il 17 luglio, hanno sparato contro alcune chiese, volevano entrare nella chiesa di San Juan Bautista, ma non ci sono riusciti per la reazione popolare”. E adesso? “La situazione è davvero critica – prosegue padre Gutiérrez – il Governo e la Polizia sono contro il popolo, che continua a reclamare giustizia e democrazia, in modo non violento. E la Chiesa sta con il popolo, noi siamo pastori. I nostri vescovi hanno mostrato coraggio. E se il Governo pensa che, attaccando la Chiesa, ci farà perdere la speranza e la voglia di lottare, si sbaglia. Ci hanno tolto le barricate, ma non il cuore della gente. Sappiamo che Dio è giusto e che arriveranno giorni di pace”.

Giovani, riserva morale. Una speranza, soprattutto, arriva dai giovani: “Hanno mostrato una grande volontà. Come dice mons. Báez, sono la riserva morale della nostra patria e sono stati decisivi per il risveglio del nostro popolo”. Un ultimo appello il sacerdote lo riserva alla comunità internazionale: “Servono maggiori pressioni per far cessare questa violenza. E chiedo a tutti gli italiani di pregare per noi, per il nostro popolo”.

 18 Luglio 2018

Articolo a cura di Lucia Capuzzi

America Latina. Nicaragua, regime in festa per nascondere la rivolta

Scontri a Masaya, assaltata l’ennesima chiesa. Intanto il presidente Ortega ordina ai suoi di salvare le celebrazioni per commemorare la rivoluzione

Monimbó s’è svegliato di soprassalto, destato dal suono delle campane. I rintocchi hanno allertato gli abitanti del quartiere indigeno di Masaya dell’irruzione dei paramilitari, le “turbas”. Sono questi ultimi il braccio armato dell’“Operación limpieza” (Operazione pulizia) lanciata dal governo nelle ultime settimane per fermare la protesta, giunta oggi al terzo mese consecutivo. A Monimbó, roccaforte della resistenza, hanno agito con particolare zelo.

Le “turbas” hanno sparato sulla gente che cercava di difendere le barricate, la parrocchia di Santa Maria Maddalena s’è ritrovata sotto il fuoco per ore. Almeno un agente è morto, decine di persone sono state arrestate. A mezz’ora d’auto di distanza, nella Plaza de la Fé di Managua, invece, fervevano i preparativi della festa, vigilati dai Kalashnikov della polizia. Il presidente Daniel Ortega, chiuso nella casabunker della Colonia del Carmen, lo ha detto con irrevocabile chiarezza ai suoi fedelissimi: niente deve rovinare, domani, la celebrazione dell’anniversario della rivoluzione che, 39 anni fa, mise fine alla sanguinaria dinastia del clan Somoza.

Il 19 luglio 1979, la colonna sud dell’esercito ribelle, il Fronte sandinista di liberazione nazionale, entrò trionfante a Managua. Daniel Ortega arrivò il giorno successivo, insieme al resto della giunta di governo. Retorica a parte, però, è difficile scorgere il comandante di allora nell’attuale presidente-dinosauro. Al potere da 11 anni e deciso a restarvi, dopo aver cambiato la Costituzione, creato gruppi paramilitari per reprimere il dissenso, assegnato ai familiari i principali incarichi istituzionali.

A cominciare dalla moglie, Rosario Murillo, vice e “eminenza grigia” dell’intero apparato. Non sorprende, dunque, che, agli occhi della gente, sia diventato via via più simile al deposto Anastasio Somoza che all’eroe nazionale César Augusto Sandino, alla cui lotta per la libertà dalla dominazione straniera e la giustizia si richiama il movimento sandinista. Eppure il governo di Ortega è parso, per oltre un decennio, inamovibile.

Grazie al sostegno del settore imprenditoriale, allettato da un mix insolito fatto di politiche neoliberali, opportunità di investimenti e silenzio imposto ai sindacati. «Un’alleanza corporativa» l’ha ribattezzata Carlos Fernando Chamorro, militante sandinista, figlio del più noto oppositore a Somoza, e ora direttore del giornale indipendente El Confidencial . A innescare un’inedita reazione a catena, il 18 aprile, è stata una riforma della previdenza, poi ritirata. L’intervento brutale delle “turbas” contro un corteo di pensionati, a León, ha suscitato l’indignazione generale, portando in piazza migliaia di persone. Ben presto, la richiesta dei dimostranti è diventata il ritiro del duo Ortega-Murillo.

Oltre trecentosettanta morti – di cui oltre 300 dal lato dei manifestanti –, 2.100 feriti, 261 desaparecidos dopo, secondo i dati dell’Asociación pro derechos humanos, la “Primavera nicaraguense” continua. «A lungo il Paese ha vissuto una crisi latente. Di triplice livello. Politico, innanzitutto: alle elezioni del 2016, che hanno visto l’ennesima riconferma di Ortega, l’astensione è stata intorno al 70 per cento. Un segno non colto di sfiducia – spiega Óscar René Vargas, sociologo ed economista –. Dalla fine di quell’anno, l’economia ha iniziato a rallentare a causa del venir meno degli aiuti vene- zuelani: 500 milioni di dollari l’anno».

Tale “gruzzolo” a propria disposizione discrezionale, era impiegato dal governo per blandire gli imprenditori e garantire sussidi in cambio di consenso. «Briciole che non hanno risolto i problemi strutturali del Paese, dove il 42 per cento della gente è povera e il 79 per cento lavora in nero», prosegue Vargas. La somma di questi tre fattori ha creato il magma della rivolta. Proprio come i vulcani che puntellano il suo paesaggio, il Nicaragua l’ha tenuto intrappolato nelle viscere. Con la repressione di aprile, la lava è arrivata in superficie.

Distruggendo l’equilibrio del sistema Ortega. In primis, il sodalizio con gli imprenditori, passati, con un tempismo sospetto, all’opposizione, insieme agli studenti e ai contadini. A provare a fare da ponte tra i due fronti, per trovare una via d’uscita non bellica, è la Chiesa nicaraguense. La Conferenza episcopale ha accettato la richiesta di fare da testimone e garante di un difficile dialogo nazionale. E non ha rinunciato, a dispetto delle aggressioni di cui sacerdoti e vescovi sono stati vittime. Perfino il cardinale Leopoldo Brenes e il nunzio Waldemar Stanislaw Sommertag sono stati malmenati, mentre gli assalti alle chiese sono quotidiani: ieri è stata incendiata la sede della Caritas di Sébaco, vicino a Matagalpa. Ortega è ostinato: rifiuta di anticipare le elezioni e aumenta la violenza per stroncare la rivolta, nonostante le condanne internazionali.

Anche il Segretario generale Onu Antonio Guterres e 13 Paesi latinoamericani hanno criticato la brutalità della repressione. Una violenza che la Chiesa, tra le poche istituzioni indipendenti, cerca di arginare. Sostenuti dalla vicinanza e dagli appelli di papa Francesco, i pastori nicaraguensi si frappongono fisicamente tra le turbas e la gente, e offrono asilo a chi scappa dalle violenze. Anche ieri, la denuncia via Twitter di monsignor Silvio Báez, vescovo ausiliare di Managua, ha contribuito a evitare un massacro a Monimbó. Come pure l’appello del nunzio, in nome del Papa.

Quella di domani per il governo più che una celebrazione, dunque, sarà una dimostrazione di forza. Almeno in apparenza. Ora come 39 anni fa, però, i manifestanti non sono disposti a farsi «rimettere in riga». «Che si arrenda tua madre!», gridano ad ogni corteo. Frase simbolica: la pronunciò, il 15 gennaio 1970, il poeta sandinista Leonel Rugama mentre la Guardia nazionale di Somoza gli intimava la resa. Quel giorno Rugama fu ucciso. Nove anni dopo la rivoluzione vinse.

 19 Luglio 2018

Articolo a cura di Daniela Quintero Díaz

In Nicaragua anche la chiesa è sotto attacco

In Nicaragua la repressione non fa distinzioni, chiunque si ribelli al governo di Daniel Ortega è sotto attacco. E non si salva neanche la chiesa cattolica. Nel conflitto che è cominciato quattro mesi fa e ha già fatto 300 vittime, la Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen) ha assunto un ruolo centrale, promuovendo e mediando i negoziati tra il governo e i suoi oppositori. Purtroppo, però, finora non è stato fatto nessun passo avanti e continua a subire attacchi e minacce.

Il ruolo degli ecclesiastici come intercessori del popolo del Nicaragua li ha portati a ricevere minacce di morte. Il 9 luglio un gruppo di vescovi della Cen era andato nella città di Diriamba per portare aiuto agli oppositori del regime che si erano rifugiati nella basilica di San Sebastián, dopo l’attacco delle forze di polizia e dei paramilitari. Nel tentativo di liberare le persone che erano nella chiesa, i vescovi sono stati aggrediti verbalmente e fisicamente dai seguaci di Ortega.

Domenica scorsa, i paramilitari hanno attaccato a colpi di arma da fuoco la macchina sulla quale viaggiava il vescovo Abelardo Mata che si dirigeva verso la città di Masaya assediata dalle forze governative. Anche il giorno precedente, una missione ecclesiastica era stata aggredita mentre cercava di aiutare alcune decine di studenti trincerati in una parrocchia di Managua. Il cardinale Leopoldo Brenes ha denunciato inoltre che uomini armati hanno attaccato alloggi parrocchiali in varie città del paese. Le gerarchie cattoliche ormai dicono chiaramente che questo è dovuto alla “mancanza di volontà politica del governo di dialogare con i suoi oppositori”.

Nel 2011, Ortega aveva dichiarato che la sua rivoluzione era “cristiana, socialista e solidale”

Secondo il quotidiano La Prensa, quello che sta succedendo in questi giorni ai sacerdoti ricorda le persecuzioni che subirono per aver criticato la rivoluzione sandinista guidata da Ortega dal 1979 al 1990. Qualche anno dopo, nel 1993, Giovanni Paolo II decise di fare visita al paese, visita che si concluse con il pontefice che chiedeva silenzio e la folla che cantava l’inno del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln). Questo peggiorò i rapporti tra il clero e la dinastia Ortega, che però qualche tempo dopo si rappacificarono.

La “conversione di Ortega” avvenne nel 2004, quando decise di avvicinarsi all’influente cardinale di Managua, Miguel Obando y Bravo, che lo aveva sempre aspramente criticato e al quale era stata attribuita la sconfitta di Ortega del 1996, per aver raccontato nella sua predica, nel giorno delle elezioni, la famosa leggenda della vipera. Obando y Bravo, che è morto lo scorso giugno, era stato nominato da Giovanni Paolo II nel 1985 e aveva finito per diventare il cardinale più vicino al regime di Ortega, tanto da celebrare la messa per il presidente e la sua compagna Rosario Murillo.

Obando aveva anche presieduto la Commissione per la pace e la riconciliazione del governo, incarico che Ortega gli aveva affidato dopo essere tornato al governo nel 2007 come riconoscimento per il suo impegno di mediazione nei numerosi conflitti della storia recente del Nicaragua. Nell’arco di tutta la sua vita di religioso, Obando aveva partecipato attivamente come mediatore in conflitti politici e armati, sia durante il regime dell’ex dittatore Anastasio Somoza sia durante la guerriglia con il Fronte sandinista negli anni settanta.

Nel 2011, Ortega ha dichiarato che la sua rivoluzione era “cristiana, socialista e solidale”, ma, secondo gli analisti, quello non è stato altro che “un espediente elettorale per ottenere i voti dei religiosi del paese”. Sempre a detta del quotidiano La Prensa, “il cambiamento di posizione del cardinale era dovuto ai benefici che otteneva da questo rapporto, come la criminalizzazione dell’aborto”.

La chiesa è la chiave del dialogo
La curia nicaraguense è divisa tra i sostenitori di Ortega e quelli che lo criticano. Di questo secondo gruppo fanno parte i sacerdoti e i cardinali che oggi sono bersaglio della furia del governo. Uno dei più attaccati è il vescovo ausiliare di Managua Silvio Báez, che l’anno scorso Ortega ha accusato di essere uno “spaccone” per non aver votato alle elezioni del 2017, diversamente dal cardinale Leopoldo Brenes, che aveva “dato la sua benedizione al processo elettorale”.

Oggi i due religiosi sono invece dalla stessa parte e criticano entrambi l’atteggiamento del governo. Anche il Vaticano si è pronunciato attraverso il suo segretario di stato, monsignor Pietro Parolin, che ha dichiarato ai mezzi d’informazione: “Speriamo che il dialogo, che al momento sta marcando il passo, possa essere ripreso e dare frutti. Anche se, in ogni dialogo, è necessario che ci sia da entrambe le parti la volontà di raggiungere un accordo”.

Dopo che il 22 aprile il presidente Ortega ha invitato la chiesa cattolica a fungere da mediatrice nel conflitto, la Cen ha confermato la sua partecipazione ai negoziati con una lettera al presidente nella quale avanzava delle richieste, tra cui quelle di permettere alla Commissione interamericana dei diritti umani di chiarire le circostanze della morte di tanti nicaraguensi, di abolire le organizzazioni paramilitari e le forze speciali che intimidiscono e aggrediscono i cittadini, e di mettere fine a ogni tipo di repressione nei confronti di gruppi di civili che protestano pacificamente.

In un’intervista all’emittente tedesca Deutsche Welle, lo storico nicaraguense Antonio Monte ha dichiarato: “In Nicaragua, paese a maggioranza cattolica, i pronunciamenti della chiesa cattolica hanno un grande valore simbolico e possono mobilitare molte persone e istituzioni. Per qualunque forza politica è più facile raggiungere un accordo per ristabilire l’ordine e la pace se ha il riconoscimento della chiesa”.

Per questo motivo, vedendo l’escalation del conflitto, che ha già fatto almeno 300 vittime, lo scorso 30 giugno il cardinale Brenes e il vescovo Rolando Álvarez sono andati a Roma per incontrare papa Francesco. In un’udienza privata con il pontefice, i due ecclesiastici hanno affrontato il tema della crisi che sta vivendo il Nicaragua e dell’intervento della chiesa cattolica nel conflitto tra il governo e i suoi oppositori.

Salesiani e Sport, la conferma di un connubio vincente

Aggiornamenti dal mondo dello sport che confermano che proprio l’intuizione della forza comunicativa del gioco che ebbe Don Bosco, che lo spinse a cercare ed incontrare i ragazzi nel gioco, partecipandovi egli stesso, fu l’intuizione giusta che ancor oggi vede ottimi risultati nelle carriere sportive dei tanti ragazzi che hanno frequentato le attività salesiane. Qualche esempio recente:
La studentessa dell’Agnelli di Torino, Eleonora Gasparrini, ha appena vinto il Campionato Italiano di ciclismo su strada della categoria Donne Allieve a Terme di Comano.
Eleonora Camilla Gasparrini (medaglia d’oro Esordienti donne 2° anno)
«Avevo studiato molto attentamente il percorso e avevo capito dove si poteva fare la differenza. Tutto è andato come avevo pianificato e al momento opportuno ho provato l’attacco. In cima alla salita avevo già un discreto vantaggio, ma ho cercato di non voltarmi mai e di pedalare più forte che potevo fino all’arrivo. Solo lì ho capito che ce l’avevo fatta. Vincere un campionato italiano è un’emozione grandissima, che voglio condividere con tutta la squadra, con il presidente, il direttore sportivo e tutte le mie compagne».
Altro campione, questa volta oltreoceano e dal mondo del basket, dei Salesiani di New York: Kevin Punter, classe 1993 cresciuto nel Bronx, che indosserà la maglia della squadra emiliana Virtus; ecco l’articolo, qui di seguito, apparso Sabato 7 Luglio 2018 de “Il Resto del Carlino”, a firma di Massimo Selleri:
Virtus, colpo di mercato Arriva la guardia Punter

KEVIN PUNTER è il secondo giocatore straniero ufficializzato dalla Virtus.

Nato a New York, classe 1993, alto 190 centimetri è una guardia tiratrice che nella passata stagione ha prima vestito la maglia del club polacco Rosa Radom e poi dal 10 febbraio si è spostato all’Aek di Atene dove ha vinto la Basketball Champions League e la Coppa di Grecia. I numeri totalizzati nel massimo campionato ellenico dimostrano un ottimo feeling con il canestro: nella lega nazionale ha segnato 9.8 punti in 18.9 minuti, cifre che si sono alzate in Europa dove in 22.5 minuti ne ha realizzati 15.3. Arrivato nel vecchio continente nel 2016 quando è stato ingaggiato da Lavrio, poi nella stessa stagione è andato in Belgio agli Antwerp Giants di Anversa. Sempre nel 2016 ha disputato le Summer League con i Minnesota Timberwolves, ma non ha trovato spazio nella Nba. Cresciuto nel Bronx, durante la sua formazione ha frequentato scuole e college cattolici, sostenuto anche dall’opera religiosa dei Salesiani di Don Bosco diplomandosi in Scienze della Comunicazione. «In questo momento voglio solo dire grazie alla Virtus – sono le prime di Punter diffuse dalla V nera attraverso un apposito comunicato – e sono eccitato da questa opportunità e non vedo l’ora di iniziare a lavorare: l’obiettivo è quello di una grande stagione e di portare a casa tante vittorie». A SEGUIRE le parole del direttore sportivo bianconero Marco Martelli. «E’ un giocatore di qualità e pericolosità, che con la sua fame ha saputo conquistarsi uno spazio importante in ogni sua esperienza, dal College all’Europa, e questo confrontandosi ogni anno ad un livello più alto. La Virtus gli offre un ulteriore step nella sua progressione e lui è stato da subito entusiasta di coglierlo». Nelle gerarchie di Pino Sacripanti Punter dovrà contendere il quintetto a Pietro Aradori, fermo restando che il prossimo anno la Virtus almeno nella prima della stagione giocherà due impegni a settimana tra Coppa e campionato. Da questo punto di vista il club sta studiando una serie di proposte diverse per quanto riguarda gli abbonamenti che hanno un unico denominatore comunque: salvo ripensamenti i tifosi potranno abbonarsi da settembre, quando la squadra sarà definitivamente completata. Ancora da definire il campo da gioco per quanto riguarda la Champions, anche se il calendario degli eventi dell’Unipol Arena non lascia particolari spazi né per le gare né per gli allenamenti e il club non sembra particolamente entusiasta di dover disputare le proprie gare su un campo dove l’effetto casalingo si disperde anche perché non c’è la possibilità di allenarsi con una certa continuità.