Borgomanero, nottata a scuola per vedere il festival di Sanremo – La Stampa e Orizzontescuola.it

Gli studenti dell’istituto salesiano di Borgomanero sono rimasti a scuola sabato sera per vedere insieme la finale di Sanremo.

Circa 70 studenti hanno discusso e riflettuto sui testi, la musica e lo stile degli artisti in gara, insieme ai loro insegnanti. Così come segnala La Stampa e Orizzontescuola.it, la serata è diventata occasione di “studio ed è proseguita fino a tarda notte.

Dopodiché alcuni studenti si sono fermati a dormire a scuola e hanno concluso con la colazione del giorno dopo.

 

Il Rettor Maggiore, così come fece Don Bosco, visita il carcere minorile – Avvenire

Il giornale “Avvenire” ha riportato una notizia, a cura di Marina Lomunno, sulla storica visita del Rettor Maggiore ai ragazzi dell’Istituto penitenziario minorile (Ipm) “Ferrante Aporti” di corso Unione Sovietica a Torino, lo scorso mercoledì 1 febbraio. Di seguito l’articolo.

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Al riformatorio “La Generala”, oggi l’istituto penale minorile (Ipm) “Ferrante Aporti”, don Giovanni Bosco inventò il suo sistema preventivo e gli oratori visitando, su invito del suo padre spirituale don Giuseppe Cafasso, i ragazzi «discoli e pericolanti» della Torino dell’Ottocento.

«Se questi giovanetti avessero fuori un amico che si prendesse cura di loro chissà che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere?»

scriveva nel 1855 nelle sue «Memorie dell’oratorio». Parole che possono essere prese a prestito per raccontare i 34 giovani «pericolanti» detenuti oggi al “Ferrante Aporti”, per la maggior parte stranieri, alcuni figli di immigrati di seconda generazione, altri non accompagnati. Come ai tempi di don Bosco, le presenze nel carcere sono lo specchio del disagio giovanile. Ma come nell’Ottocento la soluzione all’emarginazione e alla recidiva anche oggi sono le opportunità di reinserimento nella società “sana” dopo aver scontato la pena. Ed ecco perché non c’è luogo più significativo del carcere minorile torinese per capire l’attualità della mission di don Bosco: «Mi basta che siate giovani perché io vi ami assai».

Lo sa bene il rettor maggiore dei salesiani, don Ángel Fernàdez Ártime, che nella mattinata di mercoledì 1 febbraio, ha voluto concludere le celebrazioni della festa del santo proprio al “Ferrante Aporti”. Una visita storica perché mai, dopo don Bosco, era entrato nell’Ipm torinese un suo successore (don Ángel è il 10°), anche se il carisma salesiano tra queste mura non è mai venuto meno: una targa ricorda le sue visite alla «Generala» e qui è tradizione che i cappellani siano salesiani perché il “Ferrante” per i figli di don Bosco è un «oratorio dietro le sbarre». Tra i cappellani storici, è stato ricordato dal rettor maggiore don Domenico Ricca, andato in pensione lo scorso anno dopo oltre 40 anni di servizio, che ha riaperto la cappella del “Ferrante” a cui alcuni benefattori hanno donato le statue di don Bosco e di Maria Ausiliatrice. A don Ricca è subentrato il confratello don Silvano Oni, che ha organizzato la visita del rettor maggiore in collaborazione con la vicedirettrice Gabriella Picco, i formatori, gli insegnanti e gli educatori.

«In questi giorni spediremo una lettera a papa Francesco – annuncia don Silvano – con le foto del presepe che a Natale abbiamo allestito con i ragazzi, la maggior parte musulmani: è una natività in cui i personaggi di cartone non hanno volto: sopra Gesù Bambino una luce illumina la notte e un soccorritore e un medico attendono un barcone carico di giovani migranti come alcuni dei nostri giovani che hanno lasciato la loro terra e qui sono soli e preda dell’illegalità. Il loro salvagente per ora siamo noi».

Don Ángel, salutando uno per uno i ragazzi, si è informato sulla loro storia e provenienza: «io sono rumeno», «io egiziano» «io di Tangeri». «Sono stato nei vostri bellissimi Paesi a visitare le nostre comunità e i nostri oratori. Conosco qualche parola delle vostre lingue: io sono spagnolo, sono nato in Galizia, figlio di un pescatore. Ho studiato teologia e filosofia ma so molto di più della pesca che mi ha insegnato mio papà». Così si è presentato il rettor maggiore ai ragazzi radunati nel salone della ricreazione, dopo una danza e una scenetta su don Bosco animate dai novizi salesiani che ogni venerdì, accompagnati dal loro maestro don Enrico Ponte, animano l’oratorio del “Ferrante”.

«È per questo che ho scelto di diventare salesiano, 43 anni fa – ha continuato don Ángel –. Volevo fare il medico ma poi ho capito che don Bosco mi chiamava a curare le anime dei più giovani perché non ci sono buoni e cattivi ma ragazzi e ragazze che hanno avuto di meno e, come diceva il nostro santo, “in ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto”. Tutti possiamo sbagliare ma se credete in voi stessi, vi fidate dei vostri educatori uscirete di qui migliori. Il mio sogno è di incontrarvi tutti a Valdocco con i giovani che ho incontrato ieri alla festa del nostro santo».

Quando la visita è finita, i ragazzi commossi hanno chiesto a don Ángel: «Quando torni?».

-Marina Lomunno

Valsalice: per loro siamo tutto – Il Salice

I ragazzi della redazione de Il Salice raccontano il confronto fra gli studenti dell’Istituto Salesiano Valsalice e la vicedirettrice del Ferrante Aporti Gabriella Picco, un poliziotto penitenziario del carcere, don Silvano Oni, cappellano dell’IPM e don Gianmarco Pernice, Responsabile dell’accoglienza comunitaria per minori stranieri non accompagnati all’oratorio San Luigi. Di seguito la notizia a cura del sito de Il Salice.

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Il modello di Don Bosco ha plasmato personalità che oggi operano per i più giovani. In occasione della Festa di Don Bosco, l’Istituto Salesiano Valsalice ha ospitato per un confronto con i ragazzi del Liceo la vicedirettrice del Ferrante Aporti Gabriella Picco, un poliziotto penitenziario del carcere, don Silvano Oni, cappellano dell’IPM e don Gianmarco Pernice, Responsabile dell’accoglienza comunitaria per minori stranieri non accompagnati all’oratorio San Luigi. Le loro testimonianze hanno permesso agli studenti del Triennio di conoscere una realtà delicata e, anche se non sembra, vicina. Un incontro da seguire tutto d’un fiato. Don Oni presenta la figura di Don Bosco, che nel 1844 avviava il suo progetto educativo a Torino, dove i primi oratori accoglievano i ragazzi che vivevano per strada.

La dottoressa Gabriella Picco, con anni di lavoro alle spalle nell’IPM Ferrante Aporti, uno dei 17 in Italia, ci spiega poi che il D.P.R 448/1988 ha riformato la modalità di gestione dei ragazzi che commettono un reato. Qualunque esso sia, il ragazzo non può interrompere il processo educativo in atto. “Il processo penale per minorenni è l’ultima ratio”, spiega, a sottolineare la centralità del recupero ancor prima della punizione. Un iter non semplice e che può lasciare cicatrici profonde: dopo un fermo il minore è accompagnato in un centro di prima accoglienza dove rimane per 96 ore. Il giorno del processo la magistratura e i servizi sociali forniscono al giudice un progetto di recupero individualizzato e nell’attesa del processo sono messe in atto misure cautelari come l’assistenza sociale o gli arresti domiciliari. In situazioni difficili, avviene il collocamento in comunità. I ragazzi che hanno commesso reati gravi o quelli i cui tentativi di recupero sono falliti, entrano in carcere. Insomma, per chi viene da lontano con una storia magari drammatica alle spalle, un ulteriore prova da superare.

L’agente penitenziario ci dice poi che i ragazzi al Ferrante frequentano corsi di cucina, informatica, corsi di alfabetizzazione e percorsi di istruzione superiore. Confida: “Quando entrano per loro è il momento più difficile”. Sono spaesati, non sanno quanto tempo restano. Molti sono tossicodipendenti e la barriera linguistica è forte. Noi non siamo solo poliziotti, siamo le persone che ci sono per loro: “Siamo tutto”. In questo lavoro, dice, ci vuole coraggio perchè si affrontano situazioni delicate: alcuni ragazzi si fanno del male ma il dialogo resta la cosa più importante. Sentirsi dire un grazie è tutto, sentirselo dire da un ragazzo fa venire i brividi. E chiude: “Noi non decidiamo la loro colpevolezza, ma li salvaguardiamo in quanto le regole servono per la loro crescita: in queste situazioni siamo tutti educatori”.

Don Gianmarco parla infine della comunità che ospita 16 minori stranieri. La situazione a Torino, ci racconta, è critica: esistono liste d’attesa per emergenza freddo e molti ragazzi stranieri sono sfruttati. La cosa bella però è che vogliono vivere, sbagliare da soli, sperimentare la loro libertà. La comunità garantisce ai giovani stranieri l’insegnamento di una lingua, una formazione professionale e un affiancamento da parte degli educatori. Negli ultimi due anni, aggiunge, delle 80 persone nella comunità in San Salvario, solo tre sono in carcere. Come al tempo di don Bosco, anche oggi a Torino si avverte il bisogno di aiuto e solidarietà: “Vai per le strade e guardati intorno”, le parole di Don Cafasso a Don Bosco sono foriere di carità e arrivano dritte a noi giovani.

Se vuoi leggere l’intervista a don Gianmarco Pernice di Margherita Finello e Claudio Galloclicca qui.

Ecco l’articolo di Cecilia uscito sulle pagine del giornale La Voce e il Tempo con cui il Salice collabora per il progetto di PCTO:

 

Michele Rua: Comunità educanti, inizia la “fase due” – Vita

La rivista “Vita” ha dedicato un articolo, a cura di Sara De Carli, alla realtà educativa della Casa Salesiana Michele Rua di Barriera di Milano, a Torino, che con il progettoBarriera oggi” mette al centro il prendersi cura di chi cura. Di seguito un estratto dell’articolo.

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Comunità educanti, inizia la “fase due”

Dal lavoro di rete al lavoro di comunità: è questo il passaggio da fare oggi nelle comunità educanti secondo don Stefano Mondin, salesiano che opera nel quartiere più multietnico di Torino. “Barriera oggi” è uno dei 152 progetti selezionati da Con i Bambini con un bando da 14,5 milioni di euro che mette al centro il prendersi cura di chi cura, perché l’impatto lo fanno i progetti ma anche i soggetti. Marco Rossi-Doria, il presidente: «Ma l’infrastrutturazione sociale non nasce per autopoiesi»

Barriera di Milano, a Torino, è un quartiere in cui bambini e adolescenti trovano gli stessi input sia per una vita sana sia per una vita borderline. Il bivio è lì, davanti a tutti e tutti devono scegliere che strada imboccare. Don Stefano Mondin è presidente del Comitato Salesiani per il Sociale del Piemonte nonché direttore della Casa Salesiana Michele Rua che a Barriera opera da cento anni. Da qui passano 2mila ragazzi ogni anno, dalle scuole all’oratorio, dai maker lab di falegnameria, sartoria e robotica aperti al territorio fino ai percorsi di formazione professionale “non convenzionale” che stanno immaginando per chi dentro la scuola – quale che sia – non riesce a stare.

L’innovazione sta nel passare dal lavoro in rete al lavoro in comunità. C’è un’enorme differenza. Dobbiamo uscire dalla logica dell’iperspecializzazione degli ambiti, del “passarsi” le persone che si seguono senza far percepire alle persone che c’è una progettualità unica. Vuol dire superare l’idea che una persona ci interessa finché c’è un progetto, ma quando termina il progetto basta. Noi non offriamo servizi, costruiamo progetti con le persone. Va in questa direzione per esempio l’idea di mettere a disposizione uno spazio per i giovani facendo insieme a loro la fatica di capire cosa fare di questo luogo.

don Stefano Mondin

CFP Serravalle: “Il bus dei Salesiani passa tutto l’anno” – NoviOnline

NoviOnline ha pubblicato un articolo riguardo il progetto del CFP di Serravalle: “Il bus dei Salesiani passa tutto l’anno”.

 

Dall’articolo su NoviOnline:

Anche se il portale del MIUR ha chiuso le preiscrizioni per la scelta della scuola dopo la terza media, al CNOS-FAP di Serravalle il “Bus dei salesiani passa tutto l’anno”. Il nostro CFP continua con gli appuntamenti per poterlo visitare e accoglie sempre le preiscrizioni.

“Il nostro è un centro di formazione piccolo, una sola sezione, ma nel tempo questa è stata la qualità che ha premiato la formazione degli studenti. Da noi i ragazzi sono persone che vengono valorizzati per le loro caratteristiche e potenzialità” – dice Roberto Mandirola, direttore del centro:

Grazie al “metodo preventivo” di Don Bosco riusciamo a costruire un percorso che prende per mano ogni allievo facendolo crescere e permettendogli di sviluppare le sue competenze professionali”.

Michela del primo anno aggiunge: “Mi sono iscritta a questo CFP al percorso di studi di OPERATORE AI SERVIZI DI VENDITA dopo un anno trascorso in una scuola statale, qui ho ritrovato la motivazione. Le materie professionalizzanti finalizzano e concretizzano la professione futura, i laboratori ci aiutano ad acquisire consapevolezza di ciò che facciamo. Si studia e ci si mette alla prova!”

“Studiare non è uno spasso è fatica, però quando sei aiutato e compreso per raggiungere gli obiettivi tutto è più semplice”.

La campagna il BUS DEI SALESIANI PASSA TUTTO L’ANNO continuerà nei mesi avvenire perché sappiamo che non è facile scegliere ed avere le idee chiare, quindi se siete curiosi di venire a conoscere la realtà, le porte sono aperte. Sarà possibile visitare i laboratori e parlare con i formatori che illustreranno i programmi, i metodi didattici legati alla pedagogia salesiana utilizzati e anche le possibilità post-percorso sia di studio che di impiego. Ricordate: BUS DEI SALESIANI PASSA TUTTO L’ANNO.

Don Bosco torna nel carcere dei ragazzi – La Voce e il Tempo

Il giornale “La Voce e il Tempo” ha dedicato una notizia, a cura di Marina Lomunno, sulla storica visita del Rettor Maggiore ai ragazzi dell’Istituto penitenziario minorile (Ipm) di corso Unione Sovietica a Torino, lo scorso mercoledì 1 febbraio. Di seguito l’articolo.

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«Quando torni?». Ha gli occhi lucidi uno dei 34 ragazzi detenuti al «Ferrante Aporti» mentre saluta il Rettor Maggiore dei salesiani don Ángel Fernàndez Ártime, decimo successore di don Bosco, che nella mattinata di mercoledì 1 febbraio ha voluto concludere le celebrazioni del Santo dei giovani all’Istituto penitenziario minorile (Ipm) di corso Unione Sovietica. E non c’è luogo più significativo del «Ferrante» per capire il carisma di don Bosco che diceva: «mi basta che siate giovani perché io vi ami assai», come ha ricordato don Ángel salutando uno per uno i ragazzi e informandosi sulla loro storia e provenienza: «io sono rumeno», «io egiziano» «io di Tangeri»…

«Sono stato nei vostri bellissimi paesi a visitare le nostre comunità e i nostri giovani. Conosco qualche parola delle vostre lingue: io sono spagnolo, sono nato in Galizia, figlio di un pescatore… ho studiato teologia e filosofia ma so molto di più della pesca che mi ha insegnato mio papà».

Così si è presentato il Rettor Maggiore ai ragazzi radunati nel salone della ricreazione, dopo un «bans» e una scenetta su don Bosco guidato dai novizi salesiani di Colle don Bosco che ogni venerdì, accompagnati dal loro maestro, don Enrico Ponte, animano «il cortile dietro le sbarre», l’oratorio del Ferrante.

«È per questo che ho scelto di diventare salesiano, 43 anni fa» ha continuato don Ángel «volevo fare il medico, ma poi ho capito che don Bosco mi chiamava a curare le anime dei più giovani, perché non ci sono buoni e cattivi ragazzi e ragazze, ma giovani che hanno avuto di meno e, come diceva il nostro santo ‘in ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto’. Ecco perché noi salesiani amiamo i giovani. Tutti possiamo sbagliare, ma se credete in voi stessi, vi fidate dei vostri educatori uscirete di qui migliori. Il mio sogno è di incontrarvi tutti a Valdocco con i giovani che ho salutato ieri nella festa del nostro Santo».

La visita di don Ángel è storica perché mai dopo don Bosco è entrato al «Ferrante» un suo successore: l’incontro con i ragazzi detenuti prima alle Carceri Senatorie di Torino nel 1841, poi alla «Generala» nel 1855 (così si chiamava l’Ipm, allora riformatorio per minorenni) fu la scintilla che spinse il santo torinese ad escogitare soluzioni «preventive» allo sbando in cui versavano migliaia di adolescenti delle periferie torinesi.

Fu durante le ripetute visite alla «Generala», invitato dal suo padre spirituale don Giuseppe Cafasso, che nacque appunto il «sistema preventivo», pilastro dell’impianto educativo che farà di don Bosco il «santo degli oratori».

Don Bosco intuì che se ci fosse una famiglia solida, una comunità accogliente e una scuola con adulti significativi non ci sarebbero le carceri. Ed è da quei pomeriggi trascorsi con i «giovanetti discoli e pericolanti» che il santo inventa l’oratorio. Addirittura, come ha ricordato il Rettor Maggiore, don Bosco chiese il permesso di portare con sé i ragazzi per una gita fuori porta: «il direttore della Generala acconsentì, ma se solo un giovane non fosse rientrato, in carcere ci sarebbe finito don Bosco. Ma tutti tornarono in cella».

Parole che colpiscono i ragazzi che ascoltano don Ángel senza fiatare, cosa non usuale qui, commentano alla fine dell’incontro gli educatori e gli agenti.

La presenza del carisma di don Bosco al «Ferrante» non è mai venuta meno: una targa nell’ala più antica dell’Istituto ricorda le sue visite alla «Generala» ed è tradizione che i cappellani siano salesiani. Tra i cappellani «storici» l’amato don Domenico Ricca, andato in pensione lo scorso anno dopo oltre 40 anni di servizio, che qui ha riaperto la cappella a cui alcuni dove alcuni benefattori hanno donato le statue di don Bosco e di Maria Ausiliatrice. Ha preso il suo testimone il confratello don Silvano Oni, che ha organizzato la visita del Rettor Maggiore con la collaborazione della vicedirettrice Gabriella Picco, dei formatori, degli insegnanti e degli educatori.

«In questi giorni spediremo una lettera a Papa Francesco» annuncia don Silvano «con le foto del presepe che a Natale abbiamo allestito con i ragazzi, la maggior parte non cristiani: per questo è una natività in cui i personaggi non hanno volto. Verso la capanna si avvicina in mare un barcone con tanti giovani migranti come alcuni dei nostri ragazzi che hanno lasciato la loro terra e qui sono soli e preda dell’illegalità. Il loro salvagente per ora siamo noi. E la richiesta al Rettor maggiore di tornare tra loro è il segno che don Bosco parla ancora al cuore dei  ragazzi più fragili di oggi».

-Marina Lomunno

San Giovanni Bosco, l’allegria della santità – Documentario TELE DEHON

TELE DEHON, “la tivù del cuore”, ha dedicato un documentario alla figura di don Bosco dal titolo “San Giovanni Bosco, l’allegria della santità“, girato fra le mura di Valdocco e del Museo Casa Don Bosco.

Emittente della Provincia Italiana Meridionale dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, meglio conosciuti con il nome di Padri Dehoniani, TELE DEHON è visibile in Puglia e Basilicata (canale 19 del d.t.), Calabria (canale 86 del d.t.) e Campania (canale 186 del d.t.) oppure in streaming al sito www.teledehon.it.

Un viaggio alla scoperta dei luoghi “benedetti da Dio“, perchè vissuti da un uomo divenuto parroco e poi Santo che ha dedicato la sua vita ai giovani: guarda il documentario sul sito di TELE DEHON.

Crocetta: cento anni nel nome di Don Bosco – TGR Piemonte

Il TGR Piemonte ha dedicato un servizio al centenario della Casa di Crocetta. Di seguito la notizia a cura del sito Salesiani Crocetta.
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In occasione del centenario dell’Istituto, il TGR Piemonte ha dedicato un servizio al Don Bosco con interviste al Direttore don Marek Chrzan, al Docente Emerito don Paolo Ripa di Meana, e ai salesiani Anthony Pamei (India) e Volodymyr Basarab (Ucraina).
Leggi la notizia e guarda il servizio e gli estratti delle interviste sul sito di Rai News:

Agnelli: importante riconoscimento per il Liceo – Torino Oggi

Segnaliamo l’articolo del sito Torino Oggi che riporta la notizia dell’importante riconoscimento vinto dal Liceo Scientifico E. Agnelli di Torino nell’ambito del progetto di PCTOHortus Sanitatis”: gli ex allievi della 5LA dell’anno scorso, sono stati premiati presso la Camera di Commercio di Torino per il miglior progetto a livello regionale realizzato all’interno del percorso PCTO (ex alternanza scuola-lavoro). Il progetto era in collaborazione con il Museo Leone di Vercelli.

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Il percorso PCTO (Competenze Trasversali e per l’Orientamento, nome con il quale dal 2018 sono stati denominati i percorsi di alternanza scuola–lavoro) dal titolo “Hortus Sanitatis”, nato dalla collaborazione tra il Museo Leone e il Liceo Scientifico Edoardo Agnelli di Torino, è stato premiato presso la Camera di Commercio di Torino come miglior progetto a livello regionale.

La sua originalità e la sua interdisciplinarità lo hanno portato alla vittoria della quinta edizione del concorso “Storie di alternanza”.

Un importante riconoscimento, quindi, sia per il Liceo torinese che per il museo vercellese anche al di fuori dei confini delle rispettive province.

I ragazzi della 5LA del Liceo Scientifico tradizionale diplomatisi lo scorso anno, tra ottobre 2020 e maggio 2021, in un percorso che aveva coinvolto gli insegnanti di latino e scienze Alessandro Antonioli e Matteo Negro, affiancati da Federica Bertoni e Riccardo Rossi del Museo Leone, avevano analizzato e studiato l’Hortus Sanitatis un bestiario medievale del 1538 ospitato nella ricca biblioteca antica del Museo Leone.

Erano state individuate, all’interno del prezioso volume, undici creature fantastiche, assegnate poi agli studenti che lavorando a coppie avevano trascritto il testo latino e lo avevano tradotto in italiano. A quel punto era stata eseguita un’analisi criptozoologica per capire quali animali della realtà avessero ispirato quelli della fantasia.

Tutto il lavoro era poi confluito nella realizzazione di pannelli esposti in una mostra dal titolo “Hortus Sanitatis. Draghi, basilischi e chimere: dai mostri della fantasia agli animali della realtà”, tenutasi al Museo Leone nel novembre 2021.

Innegabile la grande soddisfazione del Museo Leone per un successo che ha coinvolto tutto il suo staff, dalla biblioteca alla didattica. Anche il Presidente Gianni Mentigazzi e il Conservatore Luca Brusotto hanno sottolineato come il premio sia un ulteriore riconoscimento per un impegno, a fianco del mondo della scuola, che prosegue ormai da anni e fa del Museo Leone un punto di riferimento non solo per il territorio vercellese, come dimostrato dal risultato di questa importante collaborazione con il Liceo scientifico torinese.

Intervista a don Daniel Antunez, Presidente di Missioni Don Bosco – L’Osservatore Romano

Il quotidiano L’Osservatore Romano, ha intervistato don Daniel Antunez, Presidente di Missioni Don Bosco, sulla missione dei salesiani nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Dall’articolo di Igor Traboni:

Condividere la vita con i poveri, giorno per giorno, nei villaggi dove spesso non c’è acqua né luce, lontano dalle grandi città: è questa la scelta precisa — all’interno della quale si innesta ovviamente l’educazione dei bambini e dei ragazzi — fatta dai circa 100 salesiani che vivono in una dozzina di comunità nella Repubblica Democratica del Congo.

«E ci aspettiamo di essere rinforzati nella mostra missione e nella nostra vocazione dalla visita di Papa Francesco. Rinforzati da un Papa che ha i piedi per terra e il cuore in cielo. Rinforzati dalla testimonianza di un uomo che porta il bene, che ha una sensibilità per i poveri che è evangelica, è il Vangelo!. Andare in Congo e incontrare quella povertà nuda, guardare ai tanti bisognosi, farà bene anche a noi. E inoltre farà conoscere al mondo quella situazione, che neppure io conoscevo prima del mio viaggio in Africa dell’estate scorsa che per me ha significato anche dire un grazie alla vita che mi ha donato tanto»

afferma subito, simpaticamente perentorio, don Daniel Antunez, 63 anni e presidente di Missioni Don Bosco dal settembre 2021, che il termine “rinforzati” lo usa ancora diverse volte, con quel tipico accento che è poi lo stesso di Papa Francesco: «Sì, anche io sono dell’Argentina, a dicembre sono stato anche in Vaticano per incontrare il Papa, sa che cosa portiamo avanti nel Congo».

Una presenza, quella dei salesiani nella Repubblica Democratica del Congo, che risale al 1911, quando i figli di don Bosco fondarono la prima missione, dedicandosi subito all’istruzione dei bambini, mentre oggi, racconta don Antunez «abbiamo una varietà di impegni missionari, dagli oratori alle parrocchie, dai gruppi sociali alla coltivazione degli orti. E sempre, ci tengo a sottolinearlo, nei villaggi dove vive la gente più povera. Per noi sono questi i destinatari delle missioni, sempre nello spirito di don Bosco. I miei confratelli potevano anche fare un’altra scelta, andare altrove, ma hanno scelto i più bisognosi, la povertà estrema. E io quando sono andato in Congo ho avuto modo di toccarla con mano quella povertà che non si riesce neppure a descrivere».

E se proviamo a chiedere un episodio particolare che lo ha colpito, don Daniel sceglie quello che per tanti congolesi è la vita-non vita di ogni giorno. E di ogni notte:

«Noi aspettiamo il giorno per le tante cose che abbiamo da fare, per organizzarci, per pensare a questo o a quell’altro. Loro invece non hanno sogni, non possono sognare. È come se non avessero una vita e non riescono neppure ad immaginare come potrà essere. Non riescono a pensare al domani, ad un domani, a sognare».

Ecco perché, rimarca il presidente di Missioni Don Bosco, è urgente dare una risposta a tante necessità, a cominciare da quelle dei bambini:

«Adesso per esempio stiamo costruendo un’altra scuola perché in tanti non hanno un’istruzione. Certo, dovranno fare molti chilometri a piedi per raggiungerla, ma almeno avranno una possibilità. Perché noi possiamo dar loro cibo, vestiti e medicine come in effetti facciamo, però noi siamo educatori, con la scelta precisa, come dicevo prima, di vivere in mezzo a loro».

Nel suo viaggio in Africa, accompagnato dalla fotoreporter Ester Negro, una delle realtà di estrema povertà toccata con mano da don Antunez è stata quella di Mbuji Mayi:

«Lì ci sono 4 milioni di persone povere e solo il 20 percento ha l’acqua e la luce. Ho visto gente camminare sempre al buio. E allora lì non serve stare a pensare a chissà che cosa: bisogna dar da mangiare a quei bambini, portare loro l’acqua».

In quella missione don Daniel ha incontrato don Mario Perez, venezuelano, nella Repubblica Democratica del Congo da oltre 40 anni per occuparsi di violazione dei diritti dei bambini, in particolare del fenomeno dei bambini stregoni. «Bambini di età compresa tra gli 8 ed i 14 anni — ha poi scritto don Antunez nel suo diario di viaggio in Congo messo online sul sito di Missioni Don Bosco — spesso orfani, disabili, albini che vengono accusati di stregoneria, spesso dai loro genitori, che individuano in loro la causa di ogni male, vengono additati come demoni, capaci di portare malattie, maledizioni, povertà. Bambini costretti a lasciare le proprie case e a vivere per strada. I missionari salesiani frequentano quotidianamente le strade per poter entrare in contatto con loro e cercare di convincerli ad accompagnarli nel centro di protezione e accoglienza dove possono garantire loro cure mediche e cibo in totale sicurezza. In un secondo momento, cercano di integrarli in un percorso di istruzione, che si aggiunge a giornate dedicate alla condivisione e al gioco con gli altri bambini accolti. Padre Mario Perez è il “papà” di tantissimi bambini e bambine accusati di stregoneria, un missionario che ogni giorno si spende per garantire vita e speranza ai più piccoli».

E poi ci sono le donne, le mamme:

«La loro situazione è disastrosa — riprende il racconto il religioso argentino — e le aiutiamo dando loro la possibilità di coltivare degli orti, così danno da mangiare ai figli e possono vendere qualcosa al mercato».

Per ragazze e madri in difficoltà i salesiani portano avanti anche dei programmi di formazione professionale e nei mesi scorsi ben 166 giovani si sono diplomate in taglio e cucito, parrucchiere, cucina. Ma la situazione generale resta a dir poco disastrosa, anche e soprattutto dal punto di vista sanitario: il covid, l’ebola che periodicamente torna a riaffacciarsi e quella malaria che in Congo fa ancora più morti delle altre malattie.

Un quadro rispetto al quale i salesiani non arretrano di un millimetro, anzi, intensificando ad esempio lo sforzo missionario nei territori dove esiste ancora lo sfruttamento dei minori nelle miniere, secondo quello spirito che sta contrassegnando anche l’anno pastorale in corso, assieme alle suore Figlie di Maria Ausiliatrice e che ha come modello la vita e l’operato di sant’Artemide Zatti e quel suo prendere la bicicletta e andare verso i poveri e i bisognosi, come ha ricordato di recente don Guillermo Basañes, superiore dell’ispettoria africana

«I nostri missionari — riprende il concetto a lui caro don Daniel Antunez — sono convinti di quello che fanno e di come lo fanno. Certo, c’è anche una sensazione di impotenza e una grande preoccupazione per la sopravvivenza di tanti bambini, di tanti poveri. Però guardiamo al futuro. E il nostro futuro è rinforzato da tanti benefattori in tutto il mondo. Ma adesso lo sarà soprattutto dalla vista di Papa Francesco, un grane pontefice missionario, che cammina lungo lo stesso nostro binario».