Siriani in fuga dalla guerra: Fossano accoglie una 2ª famiglia

Nell’edizione del 21/03/2018 del settimanale “La Fedeltà” è apparso il seguente articolo, firmato da Luigina Ambrogio, circa l’accoglienza di due famiglie siriane nel fossanese, nel progetto è stato coinvolto anche il Cnos-Fap di Fossano.

Siriani in fuga dalla guerra: Fossano accoglie una 2a famiglia
Lanciato l’appello per il sostegno al progetto interparrocchiale che rientra nell’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio

FOSSANO. Nei giorni scorsi nelle parrocchie della città è stato lanciato un appello per l’accoglienza di una seconda famiglia siriana in fuga dalla guerra. Il progetto si inquadra nell’iniziativa della comunità di Sant’Egidio che, grazie ai suoi corridoi umanitari, ha potuto portare in Italia tante famiglie di profughi siriani in totale legalità e sicurezza. Una prima famiglia, giunta a Fossano circa un anno fa, è ospitata nei locali della parrocchia di San Bernardo; il progetto è sostenuto dalle sei parrocchie della città in collaborazione con la Caritas.

In occasione del nuovo appello e in vista della mostra interattiva “In fuga dalla Siria” abbiamo fatto una chiacchierata con Barbara Stella (che fa parte della Commissione interparrocchiale che gestisce il progetto) per fare il punto su questa iniziativa di accoglienza.

Com’è nata l’idea di questo progetto?

Il progetto è nato in seguito all’invito di Papa Francesco affinché ogni famiglia adottasse una famiglia di profughi. Don Derio, allora vicario generale e Nino Mana, direttore della Caritas, verso la fine del 2016 concordarono con i parroci di Fossano di iniziare ad accogliere almeno una famiglia come diocesi. La parrocchia di San Bernardo mise a disposizione l’alloggio adiacente alla chiesa, vuoto da anni. A quel punto contattammo la comunità di Sant’Egidio per offrire la disponibilità ad accogliere.

Come funzionano i “corridoi umanitari” proposti dalla comunità di Sant’Egidio?

La comunità di Sant’Egidio ha concluso un accordo con lo Stato italiano in base al quale lo Stato permette loro di portare in territorio italiano un determinato numero di profughi in totale legalità e sicurezza a patto che tutto questo avvenga senza spese
a carico dello Stato. Il primo accordo si è concluso nel 2017 e ha previsto l’accoglienza di 1.000 profughi siriani in due anni; qualche giorno fa se ne è riaperto un altro. L’organizzazione del viaggio e il viaggio stesso (con aereo di linea dal Libano a Roma) sono a carico della Sant’Egidio; l’accoglienza e la sistemazione fino al raggiungimento dell’autonomia economica sono a carico delle comunità locali (parrocchie o associazioni) che decidono di collaborare a questo progetto. Senza questa disponibilità all’accoglienza i profughi non partono.

Come si è concretizzato il vostro progetto di accoglienza?

Ognuna delle sei parrocchie della città versa una quota mensile raccolta fra le famiglie disposte ad autotassarsi. La Caritas ha contribuito ai lavori che sono stati necessari per rendere confortevole l’appartamento di San Bernardo. Inoltre mette a disposizione i vari servizi che ha attivato sul territorio: la spesa una volta al mese, la scuola di italiano, l’abbigliamento… La famiglia composta da quattro adulti riceve in questa prima fase un contributo settimanale per il vitto e le esigenze personali; le utenze domestiche sono pagate dal progetto. Per primo è arrivato E. giovane barbiere, raggiunto in seguito dalla sorella M. con la mamma e la nonna.

Qual è la loro storia?

Arrivano da Aleppo dove prima della guerra, quindi fino a sei anni fa circa, conducevano una vita normale, in una grande città simile alle nostre, in cui convivevano senza problemi musulmani e diverse minoranze religiose. La famiglia che vive a Fossano è cristiana-ortodossa. E. esercitava l’attività di barbiere in un negozio di sua proprietà, M. era impiegata nell’ambito amministrativo in un’importante azienda di telecomunicazioni siriana.

Siete riusciti facilmente ad entrare in relazione?

Sì. Il primo ad arrivare è stato E.; dopo due mesi sono arrivati la sorella, la mamma e la nonna. Fin dall’inizio E. ha cercato di raccontarci la vita ad Aleppo ormai diventata impossibile: il rischio ogni volta che si usciva di casa, il disagio di vivere per anni senza acqua corrente, energia elettrica, gas, il costo della vita aumentato
anche di 15 volte.

Quale obiettivo vi date rispetto a questa famiglia?

L’obiettivo ovviamente è aiutarli ad integrarsi nella nostra società e a raggiungere l’indipendenza economica. Per l’autonomia è indispensabile un lavoro.

Ci sono prospettive?

Il primo passaggio è l’apprendimento della nostra lingua. Un problema che all’inizio abbiamo sottovalutato; chi parla l’arabo fatica molto ad apprendere l’italiano. Stanno frequentando la scuola di italiano presso i Salesiani di Fossano che a giugno, dopo un esame, rilascerà una certificazione riconosciuta nel mondo del lavoro. Hanno anche frequentato, fin da subito, il corso di italiano della Caritas. Inoltre, per potenziare l’apprendimento, M., E. e la mamma sono seguiti da due insegnanti volontarie. Ci siamo mossi per tentare di attivare un primo inserimento lavorativo per E., cercando tra i parrucchieri di Fossano qualcuno disponibile ad assumerlo attraverso una borsa lavoro pagata dalla Caritas; purtroppo la ricerca non ha dato esito. Siamo poi riusciti a  organizzare la borsa lavoro con i Salesiani: adesso E. è impegnato a titolo di uditore/assistente per tre giorni alla settimana presso il corso di Tecnico dell’acconciatura del Cnos fap di Fossano. Si tratta di un passaggio molto utile sia per un primo inserimento nella realtà professionale italiana (con le relative procedure e normative e l’acquisizione della terminologia tecnica specifica); sia ai fini della futura richiesta di riconoscimento della sua qualifica professionale in Italia (una procedura molto lunga) che per metterlo in relazione con la rete di acconciatori presente sul territorio.

La sorella ha altrettante difficoltà nella ricerca di un lavoro?

M. incontra meno difficoltà nell’apprendimento dell’italiano. È laureata in Economia e commercio; da una nostra verifica presso l’Università di Torino la documentazione in suo possesso è valida e sufficiente per richiedere l’equipollenza con la nostra laurea. In attesa, si spera, di ottenere questa certificazione, M. ha inviato il suo curriculum ad alcune aziende.
Speriamo che la sua buona conoscenza della lingua inglese e dell’arabo le possano offrire maggiori possibilità di accesso ad un lavoro adeguato alle sue competenze. In seconda istanza ci si orienterà nella ricerca di un altro tipo di lavoro.

Si è creata integrazione con le comunità parrocchiali?

Abbiamo previsto momenti di condivisione e di incontro per offrire loro possibilità di relazioni e di amicizia; partecipano con noi a feste, pranzi o campi estivi parrocchiali. Siamo convinti che l’integrazione passi attraverso il vivere queste esperienze e la quotidianità, frequentare persone italiane nelle loro case: solo in questo modo possono conoscere la nostra cultura, il nostro modo di vivere e di rapportarci.

Si trovano bene a Fossano?

Sì, si sono sentiti accolti e ce lo dicono. Stanno affrontando questo nuovo inizio con grande forza d’animo: hanno dovuto abbandonare tutto e ricominciare tutto da capo, con la nostalgia e l’angoscia per i loro parenti rimasti ad Aleppo. Noi ci rendiamo conto che vengono guardati un po’ con sospetto da chi non conosce la situazione. Qualcuno ci chiede perché debbano “vivere sulle nostre spalle”. Ci teniamo a spiegare il progetto perché se ne comprendano gli obiettivi. E ora avete lanciato l’appello per una seconda famiglia.
Qualche settimana fa una responsabile della comunità di Sant’Egidio ci ha contattati per chiederci la disponibilità ad una seconda accoglienza. Si tratta di una famiglia strettamente imparentata con quella già presente a Fossano e per la quale i nostri amici sono fortemente preoccupati: è una famiglia composta da padre, madre e tre figli adolescenti; il più grande presto dovrebbe entrare nell’esercito… L’espatrio attraverso i corridoi umanitari è l’unico modo per sottrarlo a questa esperienza.

Cosa avete deciso?

Come Commissione interparrocchiale abbiamo deciso di accettare la richiesta della comunità di Sant’Egidio. Non possiamo sottrarci alla possibilità di offrirgli una speranza concreta di mettersi in salvo. Per poter avviare questa seconda accoglienza abbiamo bisogno di raccogliere altre adesioni. Ci rendiamo conto della difficoltà ad avere due progetti in sovrapposizione ma questa difficoltà ci sembra ampiamente compensata dal fatto che avremmo due famiglie che si potranno sostenere a vicenda sia nell’immediato che nel futuro.

Cosa chiedete a chi intende sostenere l’accoglienza di questa seconda famiglia?

Sono diverse le modalità di sostegno al progetto; nella parrocchia dello Spirito Santo le famiglie concorrono con 10 euro al mese, da far pervenire attraverso un bonifico sul conto corrente della parrocchia. Ci stiamo rivolgendo anche a gruppi, coppie e ad altre associazioni proponendo lo stesso impegno.

Pinerolo: un addio in due tappe

Si segnala, qui di seguito, l’articolo a cura di Vincenzo Parisi pubblicato dal mensile “Vita diocesana Pinerolese” circa la presenza salesiana nel pinerolese:

Nel prossimo mese di settembre 2018, come già noto da tempo, lasceranno definitivamente il noviziato di Monte Oliveto. E, nel mese di agosto 2019 (notizia resa ufficiale pochi giorni fa) anche la parrocchia Spirito Santo, con l’annesso fiorente oratorio e centro giovanile “Pier Giorgio Frassati”. Stiamo parlando della congregazione dei figli di don Bosco, i Salesiani, e della loro presenza pastorale nel territorio della città di Pinerolo. Spiega don Mario Fissore, viceparroco e responsabile dell’oratorio, a nome della comunità religiosa pinerolese: «A seguito della decisione di trasferire il noviziato di Monte Oliveto al Colle don Bosco, si è avviato nei mesi scorsi il discernimento a riguardo della presenza salesiana nella parrocchia Spirito Santo. Lo scorso 19 febbraio don Enrico Stasi, superiore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta, ha incontrato il consiglio pastorale della parrocchia e ha comunicato, non senza rammarico, la decisione di assicurare la presenza salesiana in parrocchia solo fino ad agosto 2019, la parrocchia sarà poi restituita alla cura del clero diocesano. Tale decisione è stata motivata innanzitutto dal fatto che il trasferimento del noviziato comporterà il venir meno della comunità religiosa a cui parroco e viceparroco appartengono». Nell’anno corrente don Livio Recluta continuerà il suo servizio come parroco fino alla festa di Pentecoste, dopo di che l’amministrazione della parrocchia sarà affidata a don Mario Fissore, allo scopo anche di valutare le prospettive future in merito al vivace oratorio parrocchiale. L’opera di Monte Oliveto fu ultimata nel 1915. E l’inaugurazione ufficiale (come Istituto Don Bosco “pro orfani di guerra”) è datata oltre un anno più tardi, precisamente il 22 ottobre 1916. L’edificio deve le sue fondamenta ai padri Gesuiti, i quali nel 1728 decisero di costruire una casa (per ospitare i loro corsi di Esercizi Spirituali) proprio sulla sommità di quel colle che, a partire dal lontano XIII secolo, era conosciuto da tutti come “Monte Oliveto” o “Monte Rotondo”, come allora si chiamava il poggio che costituisce l’estrema pendice di Costagrande. Sulla sommità del colle vi erano degli ulivi e perciò il luogo era chiamato “L’Oliveto” da tempi assai antichi, come proverebbe una pergamena del 1280 firmata da un certo “Martinus de Monte Oliveto”. Durante la loro gestione, i Gesuiti destinarono la casa a sede di villeggiatura per gli alunni del proprio Collegio ed a centro di Esercizi Spirituali per il clero ed il laicato pinerolese. Dopo numerose vicende e passaggi di proprietà, entrarono in campo i Salesiani, ricordando il detto del loro fondatore, pronunciato durante un suo soggiorno a Pinerolo. La proprietà di Monte Oliveto era stata posta in vendita a buone condizioni economiche. La congregazione di don Bosco non si lasciò sfuggire l’affare. Di fronte al dramma della Prima Guerra Mondiale, i Salesiani adibirono la struttura di Monte Oliveto ad istituto per ospitare orfani di guerra. Alcuni anni dopo il termine della Grande Guerra però, la necessità di soccorrere orfani non era più così pressante: la congregazione di don Bosco poté quindi tornare a pensare all’originario scopo della casa: sede del noviziato dell’Ispettoria Subalpina. L’erezione canonica è datata 28 luglio 1930 ed il 5 agosto dello stesso anno l’allora Rettor Maggiore, don Filippo Rinaldi, promulgò il Decreto proveniente dalla Santa Sede. Con il passare degli anni, la congregazione decise di unificare il noviziato nel Piemonte. Poi esso passò ad accogliere i novizi del resto dell’Italia settentrionale e centrale. Nel corso degli anni Novanta, il bacino geografico di riferimento varcò i confini nazionali: Ucraina, Slovacchia, Austria, Germania, Slovenia… Nel 1933 fu costruita la cappella del Sacro Cuore, all’esterno del palazzo di abitazione. La parrocchia Spirito Santo è stata eretta canonicamente il 20 marzo 1972 dall’allora vescovo di Pinerolo, monsignor Santo Quadri. Il primo parroco è stato Silvio Bertrand, a cui è succeduto Rino Girotti. Nel 1993 la Diocesi stipulò una convenzione che affidava ai Salesiani la parrocchia e nominava parroco Pier Giorgio Palazzin, attualmente missionario in Argentina. A lui è succeduto Giacomo Crotti e poi Augusto Motta. Dal settembre 2010 all’agosto 2015 è stato parroco Andrea Ciapparella, sostituito nel settembre del 2015 da don Livio Recluta.

(Articolo a cura di Vincenzo Parisi,
tratto da “Vita diocesana Pinerolese”)

Il cardinale Tarcisio Bertone presenta il suo libro di memorie

Si riporta la notizia relativa alla presentazione del libro “I miei Papi” del Cardinal Tarcisio Bertone, edita Elledici ringranziando “La Stampa”,  e il giornalista Domenico Agasso, autore dell’articolo pubblicato.

“Ci ha pensato a lungo, prima di rinunciare al pontificato. La sua non è stata una decisione affrettata o addirittura forzata. Papa Benedetto XVI ne aveva fatto cenno una prima volta il 30 aprile 2012, dunque oltre nove mesi prima dello storico 11 febbraio 2013, giorno della comunicazione al mondo. La confidenza la fece al suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. È lo stesso Porporato a rivelarlo nel libro «I miei Papi» (Elledici), in uscita nelle librerie in questi giorni e presentato oggi a Torino. Il volume, introdotto dalla prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi, contiene ricordi ed episodi dell’83enne alto Prelato salesiano di Romano Canavese – che è stato anche Arcivescovo di Genova e Camerlengo – sui sette pontefici della sua vita: Pio XII, san Giovanni XXIII, il futuro santo Paolo VI, Giovanni Paolo I, san Giovanni Paolo II e Francesco, oltre ovviamente all’amico Joseph Ratzinger. Il ragazzo Tarcisio ha «incontrato» Pio XII grazie all’abitudine del padre di leggere L’Osservatore Romano. La sera dell’11 ottobre 1962, quella dell’apertura del Concilio Vaticano II e del celebre «discorso della luna» di Papa Roncalli in San Pietro, Bertone era studente in Roma. Ecco un aneddoto di quegli anni: è nota nella storia di don Bosco la presenza di un cane misterioso, il «cane grigio» che interveniva per proteggerlo dalle aggressioni; e Bertone racconta la vicenda del misterioso «cane grigio» che segue l’urna di san Giovanni Bosco di passaggio nella Capitale.

C’è poi la questione del «segreto di Fatima non svelato» da Bertone: c’è chi dice che «esisteva un “plico Capovilla” che “rivelava” la presenza di un altro testo della terza parte del Segreto, o di una parte nascosta» dal Porporato «chissà per quali inconfessabili obiettivi». Il Prelato riporta che lo stesso monsignor Loris Capovilla lo scagionò scrivendo «una lettera per chiarire che non c’era nessuna contraddizione nella mia esposizione». Bertone ha addirittura sventato un’ordinazione sacerdotale fasulla, scovando un falso candidato prete che si era infiltrato in San Pietro in una celebrazione presieduta da Papa Wojtyla. 
È noto che Bertone si sia sempre interessato di calcio, e che sia tifoso juventino. Giovanni Paolo II lo sapeva «ed era naturale che ne parlassimo, soprattutto quando c’era una sfida tra Polonia e Italia». Insieme hanno seguito in particolare i mondiali di Italia ’90, quelli delle «notti magiche». E quando Bertone andava in udienza o a pranzo dal Pontefice polacco «lui mi chiedeva che cosa aveva fatto la Juventus». Il calcio fa parte anche del suo rapporto con Ratzinger: «Non di rado le mie udienze con lui, svolgendosi il lunedì pomeriggio, sono iniziate con commenti ai risultati delle partite domenicali». Bertone svela poi che Papa Ratzinger aveva ipotizzato di chiamare il cardinale Bergoglio per un incarico in Curia: «Ciò non avvenne per l’importante ruolo e l’autorevolezza che egli aveva sia in Argentina che tra l’episcopato latinoamericano».  L’ultimo capitolo è dedicato proprio a Francesco e ai sette mesi che Bertone ha trascorso al suo fianco come «primo ministro». Il Prelato fa cenno alla controversa vicenda dell’appartamento ristrutturato in Vaticano per accoglierlo dopo che aveva lasciato la tradizionale residenza del segretario di Stato. Scrive che la scelta di unire i due appartamenti pre-esistenti così da avere spazio per ufficio, cappella e alloggi per le suore, era stata presa in accordo con Bergoglio. “

 

Dal caso Milingo a Fatima, il cardinale Tarcisio Bertone si racconta
Nel libro “I miei Papi” il Cardinal Bertone, segretario di Stato vaticano emerito, ripercorre i rapporti con sette Pontefici, da Pio XII a Francesco e particolarmente sull’amicizia con Benedetto XVI. Si ringrazia Marco Bonatti, autore dell’articolo, e giornalista de “L’Avvenire”.
“Fin dall’inizio la porpora ha accompagnato l’avventura dei Salesiani: Giovanni Cagliero, inviato da don Bosco in Patagonia, fu cardinale dal 1915 al 1926; e dopo di lui ne vennero altri, dal polacco Hlond al cinese Zen oggi vescovo emerito di Hong Kong. Non può stupire, dunque, che un cardinale salesiano raccolga i ricordi e le esperienze di una vita per raccontare i suoi Papi; nel suo caso, 7: da Pio XII a Francesco passando er Roncalli, Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger. Tarcisio Bertone, 84 anni, ha presentato ieri il suo libro nel cuore di Valdocco, in quella “sala Sangalli” che ricorda uno dei Salesiani più importanti e amati degli ultimi decenni, rettore della basilica e “mente” delle comunicazioni sociali della diocesi di Torino coi cardinali Ballestrero, Saldarini e Poletto. A presentare il volume il direttore dell’editrice Elledici, Valerio Bocci, e il giornalista del sito Vatican insider , Domenico Agasso jr. Il libro del cardinale Bertone, intitolato appunto I miei Papi , non si sottrae alle notizie di cronaca – o alle fake news – circolate negli ultimi anni, come quelle relative alla metratura del suo appartamento in Vaticano (sulla cui ristrutturazione, ha detto il porporato, il Papa era informato). Ma il volume tocca soprattutto il lavoro svolto dal cardinale in questi decenni e i ruoli svolti. Bertone ha infatti ricoperto l’incarico di segretario di Stato vaticano, è stato camerlengo di Santa Romana Chiesa; arcivescovo a Vercelli e Genova, professore e rettore dell’Università Salesiana; e ha portato a termine missioni delicate, dal caso Milingo alla gestione del “terzo segreto di Fatima”: fu lui a dialogare con suor Lucia e a mettere a punto il confronto tra le carte lasciate dalla religiosa e i suoi ricordi prima di morire. «Non ci sono altri segreti da rivelare – ha ricordato ieri – perché quel che era scritto è stato detto tutto». Nella prefazione il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, riepiloga i ricordi e illumina sulla personalità di Bertone, non dimenticandone la passione sportiva. Ma è l’amicizia – profonda, duratura – con Giovanni Paolo II e con Joseph Ratzinger che il porporato ha voluto sottolineare ieri a Valdocco. Un’amicizia che va oltre la stima e le fedeltà nelle “missioni di lavoro”. Bertone ha rievocato le vicende più difficili che hanno portato alle dimissioni di Benedetto XVI, ricordando che il Papa aveva cominciato a parlarne già un anno prima, nell’aprile 2012, motivandole con le condizioni della sua salute; e di come lui, con gli altri collaboratori più stretti, abbia cercato di “ritardare” questo momento, pur rispettando pienamente la volontà del Pontefice. «Per altro – ha detto ancora Bertone -già Giovanni Paolo II aveva pensato seriamente alla rinuncia, e così Paolo VI. E molto prima Pio XII si era preparato a questa eventualità, immaginando di poter essere rapito o impedito nel suo ministero da Adolf Hitler, quando l’esercito tedesco occupò Roma». Infine Francesco. Il cardinale è stato per sette mesi suo segretario di Stato e ha conservato col Papa “venuto dalla fine del mondo” un rapporto cordiale di amicizia anche dopo aver lasciato i suoi incarichi. “

Giorgio Brevi: il salesiano che conquistò i suoi ragazzi con la chitarra e le partite di pallone

Il Corriere della Sera nella sezione di Torino ha pubblicato in data Martedì 13 Marzo 2018, per la penna di Elisa Sola, l’articolo che racconta la scomparsa di Giorgio Brevi, salesiano coadiutore, attraverso i ricordi delle persone che lo hanno conosciuto con in braccio la sua chitarra e un sorriso sempre rassicurante.

Il salesiano che conquistò i suoi ragazzi con la chitarra e le partite di pallone

Professore dal sorriso dolcissimo, non rinunciava mai a una partita di calcetto o di ping-pong con i suoi ragazzi. Si sono  celebrati lunedì, nell’affollatissima basilica della Maria Ausiliatrice, i funerali di Giorgio Brevi, salesiano. Originario di Biella, aveva 53 anni, di cui 34 di vita religiosa. Don Brevi è stato stroncato da una malattia. L’annuncio della morte è stato dato da don Livio Demarie, coordinatore dei salesiani: «La sera dell’otto marzo, dopo grandi sofferenze, vissute con coraggio e serenità in unione a quelle di Cristo, è tornato alla Casa del Padre il nostro giovane confratello salesiano Giorgio».

Dal Cnos – Fap, Centro nazionale opere salesiane di Torino, descrivono Brevi come un uomo che «dedicò la vita ai giovani seguendo l’esempio di Don Bosco». «Lo accoglierà in Paradiso», scrive Luca Olivero. Rita Dianati aggiunge: «Lo ricordo sempre con il sorriso». Ex allievi, amici e insegnanti, tutti quelli che lo hanno conosciuto hanno voluto ricordarlo.

«Che tristezza nel pensarti lontano dai cortili di Valdocco», è il pensiero di Denis Russo, ex alunno che ricorda Brevi come «un’anima delicata, un uomo semplice, votato all’ascolto». «Quante chiacchierate genuine con quella tua posa composta – aggiunge – non si aveva mai la sensazione di non essere ascoltati. Grazie, perché gli anni di Valdocco sono stati i più belli anche grazie a te».
E proprio gli ex scolari di don Giorgio hanno decorato la sua camera mortuaria con poster colorati tappezzati di foto di scampagnate, partite di pallone, campi estivi e lezioni. «Perché noi vogliamo ricordarti così», la scritta a caratteri cubitali che campeggia sul cartellone.
Un amico gli ha dedicato queste parole: «I ricordi che mi legano a te Giorgio sono tanti, e iniziano a San Benigno. La sala musica, gli spettacoli organizzati, le notti in camerata a farti impazzire e, a tal proposito, qualche sera fa ridevo da solo nel ricordare quei periodi. Ricordo anche le lezioni e la pazienza che avevi nell’insegnare. Ti ringrazio, perché oggi quello che sono lo devo anche a te. Fai buon viaggio Giorgio, e non dimenticare mai la tua chitarra».

Il Cardinal Gualtiero Bassetti in visita a Valdocco in occasione del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice.

Si propongono gli approfondimenti di racconto delle redazioni de “La Voce E il Tempo”, “Avvenire” e il TGR – Piemonte in occasione della visita del presidente della Cei “a casa di Don Bosco”.

Articolo a cura di Marina Lomunno

 

Sono stati i ragazzi e le ragazze del primo oratorio fondato da Don Bosco a Valdocco ad accogliere nel pomeriggio di venerdì scorso il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, invitato nella casa madre dei salesiani per coronare le celebrazioni del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. Il cardinale appena giunto nel cortile della Basilica è stato salutato con un battimani e subito si è seduto su una gradinata in mezzo ai giovani improvvisando una catechesi. «Don Bosco vi ha insegnato la lingua della Pentecoste, ha parlato la lingua dell’amore e tutti l’hanno capito. Preghiamo perché in tutti gli ora- tori del mondo si parli questa lingua». I ragazzi hanno consegnano al cardinale la felpa e la maglietta dell’oratorio Valdocco. «Le indosserò e penserò a voi, speriamo mi vadano bene», ha scherzato. A seguire la Messa con la famiglia salesiana nella Basilica voluta da Don Bosco. «Un albero grande è nato dal cortile di Valdocco e da questa Basilica – ha sottolineato il presidente della Cei nell’omelia. I figli e le figlie di Don Bosco sono accanto ai giovani di tutti e cinque i continenti, in 130 Paesi del mondo. Anche oggi, come nella Torino dell’Ottocento, ci sono moltitudini di giovani poveri o abbandonati a se stessi nel loro mondo cybernetico, fuori della realtà. Ecco perché il Papa ha indetto un Sinodo sui giovani: tutta la Chiesa è chiamata ad avvicinarsi a questo mondo».

In serata la Basilica si è nuovamente gremita per ascoltare la Lectio del cardinale, accolto dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, dall’emerito, il cardinale Severino Poletto, dall’ispettore dei salesiani per il Piemonte e la Valle d’Aosta, don Enrico Stasi, e dal rettore della Basilica, don Cristian Besso.

Nella meditazione sul tema “La Chiesa in Italia e il cammino proposto da papa Francesco”, il presidente della Cei ha messo a confronto Don Bosco e papa Francesco che «hanno avviato processi, più che occupare spazi, dando nuovo impulso alla Chiesa evangelizzatrice». «Don Bosco – ha sottolineato Bassetti – diceva che con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso. Papa Francesco ha detto che essere artigiani della carità è come investire nel Paradiso e che i poveri sono il nostro passaporto per il Paradiso. Due personalità differenti, espressione di due epoche storiche, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi».

Al seguente link, è possibile accedere al servizio giornalistico realizzato da Caterina Cannavà.

 

Ecco l’articolo de La Voce e Il Tempo che, oltre ad una dettagliata descrizione dell’intera visita, pubblica integralmente la Lectio magistralis del cardinale Bassetti:

Bassetti, Don Bosco e Papa Francesco innamorati dei poveri

Torino – Il presidente della Cei, nell’ambito della visita a Valdocco nel 150° anniversario della consacrazione della basilica salesiana, il 9 marzo ha tenuto una lectio magistralis su «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Papa Francesco».

«Don  Bosco  diceva che ‘con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso’. Papa Francesco ha detto che “essere artigiani della carità è come investire nel paradiso” e che i poveri sono il nostro “passaporto per il paradiso”. Giovanni Bosco e il Papa: due personalità differenti, espressione di due epoche storiche lontane, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi». Così il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha iniziato la sua Lectio magistralis… continua a leggere 

 

A margine della visita a Valdocco, la giornalista M. Lomunno ha rivolto al presidente della CEI, alcune domande, ecco l’intervista che verrà pubblicata sulla versione cartacea nell’edizione di Domenica 18 Marzo 2018:

Il cardinale Bassetti a Torino: «Ricucire l’Italia»

Si intitolava «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Francesco» la Lectio magistralische il card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei ha pronunciato nella serata di venerdì 9 marzo, a Torino, in occasione del 150° delle celebrazioni della consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. La presenza del Presidente dei Vescovi italiani ha sottolineato la riconoscenza della Chiesa italiana per don Bosco e per i suoi figli che ne continuano l’opera.  A margine dell’incontro abbiamo intervistato il cardinale sull’attualità dei santi sociali torinesi.

Eminenza, la sua Presenza a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice, è stata l’occasione per visitare i luoghi salesiani: Valdocco è crocevia della santità sociale torinese. Qual è secondo lei l’attualità dei nostri santi sociali in un momento difficile per la nostra città che, come nell’Ottocento dove una grande fetta della popolazione viveva nell’indigenza, il 40% dei giovani è disoccupato e le periferie urbane soffrono le ricadute della crisi economica?

I santi sociali torinesi sono straordinariamente attuali. E lo sono per almeno due motivi: prima di tutto perché ci ricordano con forza che la Chiesa è da sempre presente nelle zone di indigenza e di povertà. Non è un’invenzione della modernità: cioè di una stagione che sembrerebbe diluire il cristianesimo nella solidarietà. Non si tratta assolutamente di questo: ma, al contrario, si tratta di rendere autentico il mistero dell’incarnazione e la croce gloriosa di Cristo. Laddove c’è una persona in difficoltà, da sempre, la Chiesa si china a curare e a fasciare le ferite, perché in quelle ferite sgorga il sangue di Gesù sulla Croce.

In secondo luogo, perché i santi sociali torinesi concretizzano le parole dell’apostolo Giovanni quando dice che noi siamo chiamati ad amare non solo «a parole» «ma con i fatti e nella verità». Queste parole che hanno anche fatto da incipit al messaggio di Papa Francesco per la Prima giornata mondiale dei poveri sono molto importanti perché ci chiamano ad agire nella storia con azioni concrete. Come si può ben capire, anche in questo richiamo alla questione sociale, c’è un filo diretto e continuo nel magistero della Chiesa. Un magistero che si rinnova sempre, ma che, al tempo stesso, è fedele alla tradizione. I santi sociali torinesi sono per noi dei modelli di vita a cui dobbiamo ispirarci, non per ripetere pedissequamente il passato, ma per costruire il futuro.

Durante la sua Lectio magistralis nella Basilica di Maria Ausiliatrice lei ha introdotto la sua riflessione indicando come due personalità così diverse, don Bosco e Papa Francesco, siano accomunate dalla scelta preferenziale dei poveri e dei giovani. Ha poi citato una frase di Papa Francesco per sintetizzare il suo pontificato: «Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi». Un programma che ha molte similitudini con i santi sociali come Giovanni Bosco i cui frutti dei processi da loro avviati nell’Ottocento sono ancora il motore trainante della nostra diocesi e non solo…     

Questo richiamo ai processi evocato da Papa Francesco è di fondamentale importanza. Non solo perché rimanda ad una fermissima fede nell’azione di Dio che ci sovrasta sempre, ma perché prende di petto un problema cruciale in ogni epoca storica: il rapporto degli uomini con il potere. Francesco con quella frase ci rammenta che la salvezza non viene dalla potenza degli uomini, ma solamente dal Padre, che è l’unico vero Signore della Storia. Se noi riconosciamo con sincerità questa verità e ci lasciamo guidare dall’ispirazione divina possiamo entrare in questa dimensione di totale affidamento e in definitiva possiamo cambiare il nostro stile di vita. Una vita troppo spesso soffocata dalle nostre ansie da prestazioni e dalle nostre ambizioni di successo e di dominio. In due parole, una vita che troppe volte è caratterizzata dalla mondanità e dal clericalismo. Due «piaghe» su cui Francesco si è soffermato molte volte e sempre con parole chiarissime. Dobbiamo convincerci, una volta per tutte, che nessun uomo è indispensabile e che i progetti pastorali se fatti senza questo spirito di abbandono nelle mani di Dio, inaridiscono e producono solo strutture burocratiche di dubbia utilità.

Don Bosco ha dedicato tutta la sua vita a dare speranza ai giovani, soprattutto quelli più «discoli e pericolanti». Tra i problemi dell’Italia c’è quello dei neet, giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano né lavorano. Torino e il Piemonte purtroppo hanno anche questo primato, tanto che nostri Vescovi hanno lanciato recentemente un appello alle istituzioni per mettersi in rete e affrontare questo nodo fondamentale per dare futuro al Paese, studiando progetti per «stanare» i neet che stanno diventando un allarme sociale. Cosa è successo in questi anni se migliaia di giovani rifiutano di progettare il proprio futuro e come se ne può uscire?

Questo fenomeno a mio avviso ha una spiegazione duplice. Da un lato rappresenta il trionfo del nichilismo del mondo odierno. Un vuoto di valori e prospettive che nell’immediato fa vivere il ragazzo solo per se stesso e poi, nel giro di breve tempo, finisce per fargli perdere la speranza e la visione del futuro. Dall’altro lato, invece, certifica uno dei più grandi drammi della società italiana: una società bloccata, vecchia, immobile, fatta di oligarchie e pastoie culturali che bloccano ogni prospettiva di crescita. Molti giovani si perdono in questa palude sociale dove tutto sembra stagnante, opaco, poco attraente e senza futuro. Penso però che al di là delle difficoltà che indubbiamente esistono, noi adulti abbiamo il compito, anzi, la missione di prendere per mano questi ragazzi e di dirgli: «I care». La tua persona mi interessa. Ho a cuore la tua vita e la tua dignità. E poi aggiungere: «tu vali». Tu vali così come sei. Con i tuoi limiti e le tue virtù. Tu sei una perla preziosa agli occhi di Dio che ti ama infinitamente. E inoltre sei un talento prezioso per la comunità, per il Paese e per la Chiesa. Ecco una parola che a mio avviso va riscoperta: «talento». Ogni giovane è un talento da valorizzare e non abbandonare mai.

Lei è Arcivescovo di Perugia Città della Pieve: un suo predecessore fu il cardinale Pecci, quel Leone XIII che ha posto le basi della moderna dottrina sociale della Chiesa e il suo motto episcopale è «In charitate fundati», «fondati nella carità» che, richiamando la Lettera agli Efesini di san Paolo, anticipa e conferma la scelta dei poveri a cui da cinque anni ci indica Papa Francesco. Uno stile di episcopato ben preciso che sicuramente permeerà la sua Presidenza dei Vescovi italiani. Quali sono le urgenze che la Chiesa italiana indica al nuovo Governo dopo le elezioni del 4 marzo scorso per affrontare la crisi sociale che sta attraversando il nostro Paese?

Lo abbiamo sempre detto: i poveri, le famiglie e il lavoro. In definitiva, far ripartire l’Italia tutta intera, senza egoismi sociali e culturali. Per usare un’espressione che ho utilizzato spesso è necessario «ricucire l’Italia». Occorre rammendare un Paese in difficoltà e troppo spesso in crisi d’identità. È necessario dunque fornire una speranza e una strada certa all’Italia senza, però, soffiare sul fuoco delle divisioni e soprattutto senza cercare nemici immaginari o capri espiatori nei diversi o negli stranieri. Dobbiamo tutti quanti, ognuno secondo le sue capacità o disponibilità, assumerci delle responsabilità con un unico obiettivo: dare una mano allo sviluppo umano di questo Paese, alla luce della sua storia ricca e complessa. E anche, perché no, alla luce della dottrina sociale della Chiesa che è un patrimonio prezioso a cui attingere e a disposizione di tutti.

(Articolo tratto da La Voce e  Il Tempo,
clicca qui per accedere alla pagina online)

 

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Intervista al sig. Giuseppe Ruaro

Si segnala e riporta l’intervista al salesiano coadiutore Giuseppe Ruaro che il giornale cuneese “La Guida” ha pubblicato.

Il ringraziamento alla redazione che ha realizzato l’articolo, a don Michele Molinar e a Matteo Rupil che hanno realizzato le interviste che compaiono nella pagina dedicata alla vita parrocchiale.

Da sei mesi la comunità salesiana è composta da quattro salesiani sacerdoti e da due salesiani laici: il mitico signor Botto e il signor Giuseppe Ruaro, familiarmente “Beppe”.

Ve lo facciamo conoscere strappandogli una intervista.

Di quali luoghi sei originario?

Sono nato a Gattinara, provincia di Vercelli, tra Vercelli e Biella. I miei genitori vivono a Roasio a circa 20 Km da Biella. Ho un fratello sposato, anche lui exallievo salesiano e sono zio di un ragazzo di 30 anni che è già sposato.

Da quanto tempo sei salesiano?

Sono entrato in noviziato, a Pinerolo, nel 1985 a 20 anni e ho fatto la prima professione nell’86; dunque da 32 anni sono salesiano.

Come hai conosciuto i Salesiani?

Andando a scuola nel collegio del Colle don Bosco ho seguito le orme di mio fratello che ha quattro anni più di me. Al Colle ho frequentato le medie e ho continuato con la formazione professionale, settore grafi co per editoria e stampa. Negli anni del collegio ho conosciuto una vita extra scolastica tipica di ogni casa salesiana e mi è piaciuta per il clima di amicizia, familiarità e di sano divertimento che si viveva nel gioco, nella preghiera e nella formazione umana.

Come hai deciso di farti salesiano?

La vita in collegio era condita di molta preghiera e vita spirituale (S. Messa per classi, ritiri, preghiera quotidiana ed esercizi spirituali una volta l’anno) accompagnata da Salesiani che ci seguivano per classi e poi anche personalmente. In estate la proposta educativa non si interrompeva; andavamo a Vinadio per due o tre settimane e tra il divertimento, sport e formazione continuavamo uno stile piacevole che poco per volta mi attraeva.

C’è una figura di Salesiano che ti ha particolarmente colpito?

Dovessi dire di un Salesiano particolare non saprei identificarlo; quello che mi colpiva era un gruppo di Salesiani che formavano una comunità al nostro servizio e soprattutto il gruppo dei Coadiutori ( salesiani laici): erano tanti, ognuno originale, e pieni di vitalità; dal laboratorio al cortile, compresa la coltivazione in campagna, l’orto, la stalla e persino la panetteria interna.

Perché proprio la figura del Coadiutore?

Perché i coadiutori erano più vicini al mio desiderio di servire il Signore in una attività professionale. Mi colpiva in loro il don Bosco che iniziava scuole elaboratori professionali per avvicinare i ragazzi attraverso attività e insegnare loro un mestiere.

Il più bel ricordo che hai, da Salesiano, della vita che hai trascorso al Colle?

Il Colle è una casa particolare nella nostra Congregazione: è il luogo della nascita e infanzia del nostro Fondatore e quindi è un luogo di richiamo per tutta la Congregazione. Soprattutto nel Bicentenario della nascita di don Bosco, in molte altre occasioni confluivano al Colle giovani, Salesiani, Suore e gruppi della Famiglia Salesiana da tutto il mondo. L’aver vissuto tanti anni sui luoghi di don Bosco e lì conosciuto centinaia di confratelli da tutto il mondo lo considero un dono e una responsabilità per trasmettere la santità salesiana incarnata in don Bosco ma anche mamma Margherita, Domenico Savio, don Cafasso… che hanno reso famose quelle terre e arricchito la Santità nella Chiesa.

La Basilica di Santa Maria Ausiliatrice fa 150 anni. Come si festeggerà?

L’ACI Stampa, l’agenzia di stampa cattolica, ha pubblicato un’interessante articolo, a cura di Simone Baroncia, che racconta il 150º Anniversario della Basilica di Maria Ausiliatrice, ripercorrendo le tappe principali della storia e l’itinerario dedicato proposto dalla comunità di Valdocco.

 

La Basilica di Santa Maria Ausiliatrice fa 150 anni. Come si festeggerà?

Il 9 giugno 1868 don Giovanni Bosco concludeva a Valdocco, nel quartiere di Borgo Dora, i lavori della basilica di santa Maria Ausiliatrice inaugurandola e consacrandola ufficialmente. Le ‘Memorie Biografiche’ testimoniano una specifica attenzione verso l’Ausiliatrice a partire dalla ‘Buona notte’ del 24 Maggio 1862.

E nel dicembre dello stesso anno don Bosco scrisse al chierico Albera (futuro Rettore Maggiore) che la loro chiesa era troppo piccola, esprimendo il proposito di fabbricarne una nuova ‘più bella, più grande, che sia magnifica’ e a cui dare il titolo ‘Chiesa di Maria Ausiliatrice’.

Il motivo di questa devozione fu chiarito l’8 Dicembre, dichiarando al chierico Cagliero: “Sinora abbiamo celebrato con solennità e pompa la festa dell’Immacolata […] Ma la Madonna vuole che La onoriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice: i tempi sono così tristi che abbiamo bisogno che la Vergine SS. ci aiuti a conservare la fede cristiana”.

Per celebrare l’anniversario è stato preparato un itinerario, che accompagnerà i fedeli ed i giovani a scoprire un esempio architettonico, che si è trasformato con le esigenze della città, tantoché la Basilica di Maria Ausiliatrice, oltreché essere la Casa Madre dei Salesiani, è stata definita ‘un’emergenza architettonica nella città di Torino’.

Infatti in 150 anni sono molteplici i cambiamenti che ha subìto: ai tempi di don Bosco era molto più piccola, quasi la metà. La basilica è passata dall’essere una chiesa dell’800 torinese, nata in un contesto di povertà, ad essere rivisitata interamente nel 1934, in occasione della canonizzazione di san Giovanni Bosco, con uno stile molto magniloquente che volge lo sguardo allo stile delle Basiliche romane, ma anche allo stile liberty degli anni ’20 e ’30 della città di Torino:

“La Basilica è sufficientemente visibile nel profilo architettonico della città; testimonia quel rinascere edilizio della città nella seconda metà dell’800 ed è testimone dello stile tardo liberty-umbertino degli anni Trenta (ampliamento e decorazioni degli anni 1934-1938)”. Con la Basilica, è mutato anche il quartiere, dapprima periferico con problematiche dovute all’integrazione inter religiosa, e poi in seguito multietnico oltre ad essere a ridosso del centro storico di Torino.

Per ‘festeggiare’ l’importante anniversario è stato approntato un percorso, che accompagnerà il pellegrino fino a giugno: venerdì 9 marzo 2018 ci sarà l’incontro con il card. Gaultiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, che parlerà del rapporto tra Chiesa e mondo. Gli incontri proseguiranno, venerdì 6 aprile, con la ‘Comunità Nuovi Orizzonti’ di Chiara Amirante, una realtà che si pone l’obiettivo di intervenire in tutti gli ambiti del disagio interiore, tramite solidarietà a sostegno di chi è in grave difficoltà, con una particolare attenzione alle tante problematiche che caratterizzano i ragazzi di strada e il mondo giovanile. Un altro appuntamento di aprile è il concerto con il gruppo musicale ‘The Sun’. Il percorso terminerà sabato 9 giugno con una Concelebrazione Solenne.

A proposito di questo percorso il rettore della basilica, don Cristian Besso, si è così espresso in una intervista con ACI Stampa: “Questo percorso non vuole essere una celebrazione prettamente di carattere storico. Io penso che soprattutto ricomprendere come la fede è una fede mariana, spinge stimola provoca a un nuovo impegno di carità. E si potrebbe dire ancora meglio: quella carità che certamente è il chinarsi sugli ultimi, sui poveri, sui chi ha bisogno. Ma anche quella carità che è riconsegnare senso all’uomo e alla donna del nostro tempo”.

Quindi 150 anni con il presidente della Cei: quale è il valore di questa visita?

L’invito al card. Bassetti nasce dal desiderio di comprendere sempre meglio la realtà ecclesiale italiana, così da far parte viva della chiesa, condizione necessaria per vivere l’impegno della testimonianza e la gioia del Vangelo.

Perché don Bosco volle erigere questa chiesa?

La basilica di Maria Ausiliatrice venne costruita sia per garantire agli abitanti del quartiere periferico di Torino un luogo per la celebrazione sia per sottolineare la gratitudine di don Bosco a Colei che è stata mediatrice delle intuizioni spirituali e caritative a favore della gioventù.

Don Bosco ed il metodo preventivo: a pochi mesi dal Sinodo in quale modo la Chiesa può ‘guardare’ i giovani?

Ci pare che le intuizioni del nostro santo fondatore siano quanto mai di attualità: stare con i giovani per crescere insieme nell’adesione al Vangelo; insieme scoprire la bellezza e la vita che scaturisce dall’incontro personale col Signore; rendere i giovani protagonisti dell’impegno di educazione ed evangelizzazione; camminare con sapienza alla ricerca del progetto di vita proprio di ciascuno, come garanzia di vera felicità e scoperta certa del senso della vita.

Al termine delle celebrazioni non si può pensare che al futuro: quale ‘santuario’ sarà?

Un santuario cittadino che sia aperto a tutti: non solo coloro che hanno la fede, e neppure coloro che semplicemente sono in ricerca, ma anche chi ha fatto l’esperienza dell’ateismo, della lontananza dalla chiesa. Direi che ‘domani’ potrebbe essere un luogo davvero di multi relazioni, di capacità di incontro proprio con tutti, di simpatia a cuore aperto, dentro ad una tonalità educativa, perché questo è il nostro specifico come salesiani, noi incontriamo non semplicemente per incontro, ma per accompagnare come diceva don Bosco ‘per fare, insieme’ a colui che incontriamo un percorso verso il senso della vita.

(Articolo integrale su ACI STAMPA.it)

 

Le “24 ore per il Signore” stabili, instancabili e abituali con la “movida spirituale” di San Salvario e e le iniziative di Maria Ausiliatrice

Anche quest’anno il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione propone la 5ª edizione di “24 ore per il Signore”, nei giorni di venerdì 9 e sabato 10 marzo. Il tema di quest’anno è un’espressione del Salmo 130: “Presso di te è il perdono”: il desiderio è quello di aprire il cuore per farvi entrare la vita di Dio, che lo cambia e lo trasforma e rende felici.

Si pubblica il reportage di “Famiglia Cristiana” a cura di Lorenzo Montanaro, Alberto Laggia e di Maria Elefante che ritraggono, attraverso la loro penna, alcune realtà parrocchiali “sempre aperte” del Piemonte, del Veneto e della Campania che cercano di offrire anche in orari insoliti, e non solo in occasione delle “24 ore per il Signore”, iniziative diverse all’insegna della preghiera e delle confessioni. Qui di seguito, una parte del reportage, che si affaccia alle porte dei salesiani nel quartiere di San Salvario e a Maria Ausiliatrice:

L’anima della notte

VIAGGIO NELLE CHIESE APERTE ANCHE DOPO IL TRAMONTO

IL 9 E 10 MARZO IN TUTTA ITALIA PREGHIERE E CONFESSIONI NON STOP IN OCCASIONE DELLE “24 ORE PER IL SIGNORE”, UN APPUNTAMENTO ANNUALE VOLUTO DA PAPA FRANCESCO. MA CI SONO CITTÀ IN CUI QUESTA È UNA REALTÀ QUOTIDIANA. O QUANTO MENO SETTIMANALE. SIAMO ANDATI SUL CAMPO A VEDERE DOVE E COME.

PARTENDO DAL PIEMONTE

DAL KEBAB ALL’INCENSO, L’ALTRA “MOVIDA”
Le iniziative dei salesiani nel quartiere di San Salvario e a Maria Ausiliatrice

di Lorenzo Montanaro

«In chiesa non vado mai, non so nemmeno se sono credente. Però qui, a quest’ora di notte, c’è qualcosa di speciale: un silenzio che mi piace». Entrano alla spicciolata, qualcuno dopo aver dato l’ultimo sorso al bicchiere di plastica che tiene in mano o l’ultimo morso a un trancio di pizza. C’è chi, all’ingresso, si fa un segno di croce. Chi si guarda un po’ intorno, come per “assaggiare” l’aria.

Di solito si fermano cinque o dieci minuti, ma c’è anche chi si trattiene più a lungo. Entrano perché le porte sono spalancate. Già, una chiesa senza confini e senza barriere. Aperta sulla piazzetta che ogni fine settimana viene invasa da migliaia di ragazzi in cerca di divertimento e locali alla moda. Aperta al punto da assorbire voci, rumori, perfino odori. Dal kebab all’incenso. È

un chiaro esempio di quella Chiesa in uscita voluta da papa Francesco. Ma questa parrocchia ha “giocato d’anticipo”. Questione di un soffio. Era infatti il 2 marzo 2013 (11 giorni prima dell’elezione di Bergoglio) quando don Mauro Mergola, salesiano, parroco della comunità Santi Pietro e Paolo, nel cuore del multietnico quartiere torinese di San Salvario, decise di tenere aperta la chiesa il sabato notte per incontrare i “ragazzi della movida”. Doveva essere un esperimento, legato alla Quaresima. Invece, dopo cinque anni di rodaggio, la “movida spirituale” è una realtà stabile e affermata. Un’esperienza di frontiera. Sì, perché

nelle notti di San Salvario si incontra di tutto. Accanto al divertimento sano, c’è il dolore urlato nello sballo: il consumo di alcol è elevatissimo, come quello di stupefacenti (cannabis, il cui odore dolciastro si sente ovunque, ma anche cocaina e droghe sintetiche dagli effetti devastanti). A questo mondo dai mille volti, chiassoso quanto ignorato, la parrocchia non risponde con la condanna, ma con la presenza. «Noi stiamo sulla porta» racconta Paulo Bošković, salesiano croato, che a Torino si prepara per l’ordinazione sacerdotale. «Tanti ragazzi si avvicinano per incontrarci e fare domande. È il segno di un desiderio spirituale vivo, nonostante tutto».

Tra mezzanotte e le due c’è un flusso continuo di gente che varca le porte della chiesa. Si tratta, per lo più, di piccoli gruppi di ragazzi tra i 18 e i 25 anni. Sara e Laura, entrambe diciottenni, sono entusiaste. «La proposta ci piace molto. È bella la possibilità di un istante di preghiera, magari prima di un’uscita di gruppo con gli amici». Se per loro la vita di parrocchia è esperienza quotidiana, c’è anche chi arriva da percorsi diversi. «No, non mi definirei credente, almeno non nel senso  tradizionale» dice Lorenzo, anche lui neomaggiorenne. «Eppure qui vengo spesso. Mi piace il contrasto tra il frastuono di fuori e la calma che si respira oltre la porta». Chi vuole può scrivere su un foglietto di carta la sua personale domanda e pescare da un

cestino una citazione biblica. In piedi davanti all’altare, don Mauro incontra tutti e con tutti condivide una parola, un saluto, un preghiera. «Affidiamo al Signore esperienze e persone care. Insieme diamo un senso a questo momento. A volte, qualcuno mi chiede di confessarsi».

Col buio ha a che fare anche la proposta che arriva dal santuario di Maria Ausiliatrice, cuore pulsante del mondo salesiano. Alle 21 della domenica c’è la Messa, ma, specialmente in questa Quaresima, già dalle 20.30 sono disponibili quattro o cinque confessori. E la fila di fedeli (soprattutto universitari e giovani coppie) è continua. «Non è solo questione di comodità» osserva il rettore, don Cristian Besso. «La sera è il tempo della riflessione. Come ci ricordano tanti passi biblici, è l’ora in cui l’uomo sente l’angoscia delle giornate che sfumano via, a volte nel non senso. In quest’ora è prezioso l’incontro spirituale».

 

Ecco, il reportage integrale:

Don Chavez a Novara: «L’Educazione della gioventù è la Priorità»

Si propone la lettura dell’articolo, a cura di Nicoletta Bazzani, apparso nell’edizione del 2/2/2018 de “L’Azione”, che racconta come si sono svolti i festeggiamenti del festa del Santo dei giovani, Don Bosco, e le parole di colui che ha guidato la Congregazione salesiana per 12 anni.

FESTA DI DON BOSCO Il rettore emerito dei Salesiani ha celebrato una Messa in duomo

Don Chavez: «Educazione della gioventù è priorità»

Don Bosco è stato a Novara due volte, nel 1865, il 2 e il 29 agosto, e ha visto i ponteggi di questo duomo che allora era in costruzione. Oggi questo duomo, con i ponteggi per i restauri, accoglie don Pascual Chavez Villanueva, nono successore di Don Bosco che per dodici anni ha guidato la famiglia salesiana». Con queste parole don Giorgio De Giorgi, direttore dell’Istituto Salesiano San Lorenzo, a nome dei tre istituti scolastici salesani della città che comprendono anche l’Immacolata e il Maria Ausiliatrice, nel pomeriggio di domeni- ca 28 gennaio ha dato il benvenuto al Rettor maggiore emerito che ha presieduto la messa solenne in occasione della festa di San Giovanni Bosco.
Don Chavez all’omelia ha parlato a bambini, ragazzi, giovani, famiglie, insegnanti, suore e sacerdoti che hanno gremito la cattedrale, spiegando che «la grandezza di Don Bosco è stata nell’aver saputo modellare la sua vita sulla Parola di Dio e di essere stato un Buon Pastore»…

 

L’antidoto ai Neet? Notizie dal 1° oratorio di Don Bosco.

Nella settimana che ha visto i festeggiamenti per Don Bosco, Stefano Di Lullo de “La Voce e Il Tempo” ha raccolto le parole del neo-direttore dell’Oratorio di Valdocco, Don Jack Jankosz.

VALDOCCO – Il «Cortile» è l’antidoto ai Neet

Nella settimana della festa di san Giovanni Bosco il viaggio negli oratori ci porta nel primo oratorio fondato da don Bosco nel 1841: il «Cortile» di Valdocco. Sul campo da calcio, in mezzo ai ragazzi che disputano una partita, incontriamo il direttore don Jacek Jankosz, polacco, già parroco di Trino (Vercelli), succeduto lo scorso settembre a don Gianni Moriondo che ha guidato l’oratorio per 32 anni di apprezzato servizio. «Ogni giorno», evidenzia don Jankosz, «portiamo avanti la missione che don Bosco ci ha affidato attraverso quattro sfide: Casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita, cortile dove incontrarsi tra amici». «La missione del cortile di Valdocco è proprio quella di accompagnare ciascun ragazzo», prosegue, «soprattutto quelli più fragili e ‘difficili’, in modo che facciano fruttare i propri carismi e prendano in
mano la propria vita. È nostro compito, della comunità, fare in modo che non esistano ‘neet’». In oratorio convivono ogni giorno ragazzi italiani stranieri, di diverse religioni e ceti sociali. «La santità», sottolinea don Jankosz, «come diceva san Francesco di Sales, è la meta che risolve tutti i problemi di convivenza. È la meta che siamo chiamati a mostrare a tutti i ragazzi. Anche nella religione islamica è ben presente il concetto di santità, di modello cui tendere. Se c’è questa prospettiva tutto viene
gestito bene».
Il cortile di Valdocco è aperto tutti i pomeriggi dalle 15.30 alle 19. Accanto a don Jacek sono presenti suor Silvia, Fi-
glia di Maria Ausiliatrice, due educatori e tre giovani del Servizio civile nazionale che garantiscono un’accoglienza curata a tutto campo. Vengono accolti anche 12 ragazzi del Centro diurno per minori gestito in sinergia con i servizi sociali comunali.

È attivo un servizio di dopo-scuola e viene portato avanti, in rete con la scuola media di Valdocco, il progetto «Provaci ancora Sam» contro la dispersione scolastica. Ci sono poi il gruppo teatrale portato avanti da uno degli educatori, la corale dell’oratorio che anima la Messa festiva delle 11. I gruppi giovani si ritrovano il giovedì sera dalle 18.30 alle 20.30 per un cammino di formazione e condivisione.
L’oratorio lavora in rete con il Centro di Formazione professionale e la scuola media di Valdocco.
C’è poi la proposta sportiva con diverse squadre di calcio, pallavolo e basket e corsi di danza. Nel cortile si ritrova un gruppo di cooperatori salesiani e il gruppo «Ex» formato da famiglie che animano momenti di festa e aggregazione.