La Voce e il Tempo racconta la festa di don Bosco

Si riporta , ringranziando “La Voce e il Tempo”,  e la giornalista Marina Lomunno autrice dello speciale pubblicato.

 

Con il gennaio salesiano, che culminerà 31 con la festa liturgica di don Bosco, a Valdocco si è entrati nel vivo delle celebrazioni del 150°anniversario della consacrazione della Basilica Maria Ausiliatrice. Il 9 giugno 1868 don Bosco concludeva i lavori della Basilica, inaugurandola e consacrandola ufficialmente. Tra qualche mese saranno trascorsi 150 anni da quel giorno e a Valdocco di qui a giugno sono in programma una serie di appuntamenti culturali, spirituali e formativi. «Le celebrazioni della festa di don Bosco che quest’anno sono impreziosite dal 150° della consacrazione della Basilica» spiega il Rettore, don Cristian Besso «non sono semplicemente una commemorazione storica ma le varie iniziative che proponiamo vogliono essere un’occasione per riscoprire la fede che ha spinto 150 anni fa a costruire un edificio monumentale come la Basilica che don Bosco ha voluto intitolare a Maria Ausiliatrice. In questo anno vogliamo riappropriarci del signicato profondo della nostra fede mariana che spinge, stimola e provoca a un nuovo impegno di carità che, sull’esempio dell’Ausiliatrice,si china sugli ultimi, sui poveri, sui chi ha bisogno».

Le celebrazioni del gennaio salesiano iniziano il 18 alla pre- senza del il Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime che dà il via a Valdocco alla 36a edizione delle «Giornate di spiritualità della Famiglia Salesiana» in programma no a domenica 21. Sono attese 400 persone provenienti dalle opere salesiane dei 5 continenti chiamate a riettere sul tema della tradizionale strenna che ogni anno il Rettor Maggiore af da alla famiglia salesiana dal titolo: «Signore, dammi di quest’acqua’ (Gv 4,15): coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare». I partecipanti alle Giornate rietteranno sull’ascolto e l’accompagnamento dei giovani come atteggiamenti che gli educatori salesiani intendono approfondire e interpretare sempre meglio sull’esempio di don Bosco. Domenica 21 il Rettore Maggiore, a conclusione delle Giornate, presiede la Messa in basilica alle 9.30. Altro appuntamento signicativo, sabato 20 gennaio alle 21, sempre in Basilica, il concerto di canti mariani della corale «Basilica Maria Ausiliatrice» diretta da don Maurizio Palazzo dove, per l’occasione, viene presentato il restauro al grande organo ‘Tamburini’ composto da 3 mila canne, uno tra i più maestosi del nord Italia e noto nel panorama organistico europeo. Durante la serata suor Marisa Fasano e don Silvano Oni parleranno di don Bosco negli anni della costruzione della Basilica. Oltre alle numerose iniziative negli oratori salesiani torinesi (servizio pag 27), il 29 gennaio, ancora in Basilica, viene presentato il libro «I sogni di Don Bosco», curato da don Andrea Bozzolo, che raccoglie i contributi di venti studiosi, teologi e psicologi sul tema del sogno, centrale nella vita spirituale del santo dei giovani (recensione pag 13). In preparazione alla presentazione del volume, un appuntamento «curioso» presso il Bar della Basilica di Maria Ausiliatrice, mercoledì 24 gennaio, festa di san Francesco di Sales, patrono di salesiani: alle 8.15 don Bruno Ferrero, direttore del Bollettino Salesiano, intratterrà gli avventori che in quel momento stanno consumando caffè o cappuccino e croissant, con il racconto di uno dei sogni di don Bosco.

Marina LOMUNNO

Il gennaio salesiano – Avvenire (20/01/2018)

Nell’edizione di sabato 20 gennaio 2018, Avvenire ha pubblicato un articolo relativo agli appuntamenti del gennaio salesiano. Si riporta il testo è si ringrazia Marina Lomunno, autrice del pezzo.

Ha preso il via giovedì a Valdocco il “Gennaio salesiano” alla presenza del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime che apre la 36a edizione delle
“Giornate di spiritualità della Famiglia salesiana” in programma fino a domani. Partecipano 400 persone provenienti dalle opere salesiane dei 5 continenti chiamate a riflettere sul tema della tradizionale strenna che ogni anno il Rettor Maggiore affida alla famiglia salesiana dal titolo «“Signore, dammi di quest’acqua” (Gv 4,15): coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare». I partecipanti rifletteranno sull’ascolto e l’accompagnamento dei giovani come atteggiamenti che gli educatori salesiani intendono approfondi- re e interpretare sull’esempio di don Bosco. Domani il Rettore Maggiore, a conclusione delle Giornate, presiede la Messa in Basilica alle 9.30. E con il “Gennaio salesiano”, che culminerà 31 con la festa liturgica di don Bosco, si è entrati nel vivo delle celebrazioni del 150° anniversario della consacrazione della Basilica Maria Ausiliatrice. Il 9 giugno 1868 don Bosco concludeva i lavori del Santuario, inaugurandolo ufficialmente.  A Valdocco sono in programma una serie di appuntamenti culturali, spirituali e formativi. «Le celebrazioni per il 150° della consacrazione – spiega il rettore don Cristian Besso – non sono semplicemente una commemorazione storica. Le iniziative che proponiamo vogliono essere un’occasione per riscoprire la fede che ha spinto 150 anni fa a costruire un edificio monumentale come la Basilica che don Bosco ha voluto intitolare a Maria Ausiliatrice. In quest’anno vogliamo riappropriarci del significato profondo della nostra fede mariana che spinge, stimola e provoca a un nuovo impegno di carità che, sull’esempio dell’Ausiliatrice, si china sugli ultimi, sui poveri, su chi ha bisogno».

 

Oggi alle 21 in Basilica il concerto della corale “Basilica Maria Ausiliatrice” durante il quale viene presentato il restauro al grande organo Tamburini composto da 3mila canne, tra i più maestosi del Nord Italia. Lunedì 29 gennaio, ancora in Basilica, la presentazione del libro I sogni di don Bosco, curato da don Andrea Bozzolo (ed. Las) che raccoglie i contributi di venti studiosi, teologi e psicologi sul tema del sogno, centrale nella vita spirituale del santo dei giovani.

Un vivo ricordo di Don Pietro Zago

Si riporta una viva testimonianza di don Pietro Zago, apparsa su La Vita Diocesana Pinerolese di domenica 14 gennaio. Si ringrazia la testata giornalistica e Monica Casalis, autrice del testo:

“È difficile sintetizzare l’affetto e la stima che mi legava a Don Pietro Zago. Lo conobbi nel gennaio 2013 a Lahore, durante un viaggio che feci in Pakistan per conoscere la sua missione e far vi sita agli amici sindacalisti che avevo incontrato quando lavoravo all’Inter national Labour Organization. Don Pietro mi accolse nella casa salesiana del quartiere di Youhanabad, l’area cri stiana della città, offrendomi non solo un luogo sicuro in cui stare (e in Paki stan non è poco), ma anche un’amicizia paterna e spirituale. Don Pietro aveva già affrontato molti anni di missione in Asia, nelle Filippine, in India, a Papua Nuova Guinea, ma in Pakistan si era trovato di fronte ad una sfida ancora più difficile delle altre. Nonostante il paese sia a netta maggioranza musul mana, con sacche di fondamentalismo ed un’arretratezza cul turale che limita for temente il ruolo delle donne, era comunque riuscito ad ambien tarsi e a realizzare grandi progetti, grazie alla sua pazienza, alla tolleranza e anche ad un pizzico di astuzia. Sapeva per esempio mordersi la lingua e trattenersi dal muove re apertamente critiche ai capifamiglia per le manifeste discrimi nazioni verso le figlie femmine, purché con tinuassero a mandarle a scuola e non ostaco lassero le numerose attività educative dei Salesiani. La scuola da lui fondata a Quetta, nella parte occidenta le del paese, poté quindi fiorire e godere dell’apprezzamento di tutta la popola zione, anche musulmana, seminando lentamente e prudentemente valori e idee cristiani. In perfetto stile salesiano, Don Pietro puntava tutto sulla concre tezza dell’educazione e della , dando un’opportunità di istruzione e avviamento al lavoro a tan ti ragazzi e ragazze. Non faceva prose litismo per non incorrere in pericolose rappresaglie, che avrebbero compro messo l’intera missione, ma con la sua testimonianza personale ha certamente toccato il cuore di tanti pakistani. Sole va dire che la durezza del Pakistan, la difficoltà a vivere liberamente la fede, lo avevano reso più cristiano. Il suo amore per Gesù era stato temprato da una lun ga esperienza sul campo, dai tanti spo stamenti da un paese all’altro, ognuno con la sua lingua, il suo clima, e i suoi costumi (in Papua Nuova Guinea ave va persino conosciuto i popoli canniba li…), da delusioni umane come quelle che capitano un po’ a tutti. Era un amo re ormai “ripulito” dai fronzoli inutili, dalla forma, dalle fantasie. Parlava di Gesù come di una persona a cui ave va dedicato la sua vita e ultimamente si chiedeva spesso: «Gesù, quando tor nerà, troverà ancora fede sulla Terra?», preoccupato com’era della secolarizza zione in cui è sprofondato l’occidente. Parlava con serenità della sua morte e si diceva persino curioso di vedere ciò che Cristo ci ha promesso per l’aldilà. Aveva imparato a vivere il Cristia nesimo, prima di parlarne. E la sua capacità di entrare in relazione con l’umanità del prossimo, a prescindere dall’appartenenza religiosa, gli aveva permesso di farsi tanti amici, anche tra i musulmani. Ricordo che due o tre anni fa, nel periodo in cui i musulmani attaccava no le case dei cristiani a Youhanabad, incendiandole, lui e i suoi ragazzi ave vano nottetempo trovato rifugio presso la fabbrica dei vicini musulmani, a ri prova che il dialogo è possibile, sempre e comunque, laddove ci si incontra sul terreno della bontà e dell’umanità. Don Pietro sapeva farsi degli amici, non aveva paura della diversità e sdram matizzava le oggettive difficoltà di vita in u n contesto così avverso, coltivando semplici piaceri come la buona cucina o una bella partita di cricket. Era un uomo che la profonda unio ne con Gesù aveva reso più uomo, più umano. Ora spero che i limpidi occhi azzurri di Don Pietro sorridano per sempre nella sua nuova missione”.

 

La voce del Vescovo a chi non ha voce

Si pubblica, di seguito, il servizio giornalistico realizzato nel periodo natalizio da M. Lomunno della redazione de “La Voce e Il Tempo”, in particolare si segnala il racconto della vigilia di natale nel carcere minorile torinese «Ferrante Aporti».

GLI APPELLI DI NATALE

La voce del Vescovo a chi non ha voce

«La nostra città vive in un’apnea che sembra non avere sbocchi positivi di superamento, per cui predomina la rassegnazione, che si traduce in stagnazione sotto tanti punti di vista e tarpa le ali della speranza di una ripresa che stenta a decollare». Sono parole dell’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia, pronunciate al crepuscolo di San Silvestro presso il santuario della Consolata, durante il tradizionale canto del Te Deum a conclusione dell’anno.

Torino, città in apnea. Parole troppo forti? Troppo pessimiste? Dipende dai punti di vista.
Il punto di osservazione di mons. Nosiglia e della comunità cristiana torinese non può che essere quello degli ultimi, più che quello di chi si sta preparando per il cenone di fine anno nella seconda casa in montagna. Il punto di vista del nostro Arcivescovo è quello di chi non ha né prime né seconde case, di chi non ha denaro per pagare affitto e bollette perché ha perso il lavoro, è quello delle migliaia di giovani che non trovano lavoro e che per questo se ne vogliono andare via da Torino al più presto, è quello dei Neets, i ragazzi che un’occupazione non la cercano neppure. Già
in altre occasioni l’Arcivescovo aveva denunciato il rischio di «due città» che non si parlano e nemmeno si guardano – una che sta fuori dalla crisi, e non vuol sentire parlare di difficoltà economiche, disoccupazione, mancanza di casa e di lavoro; e un’altra, sempre più numerosa, che invece nella crisi sta affondando, così come affonda nel silenzio
e nell’indifferenza.
Ecco allora il senso della Corona d’Avvento che mons. Nosiglia ha iniziato il 9 dicembre e termina il 6 gennaio 2018 nella solennità dell’Epifania, come segno di vicinanza della Chiesa torinese a chi è a i margini e a chi soffre. È il punto di osservazione delle periferie, dove vive la gente che fa fatica, i carcerati, i senza dimora, gli ammalati soli, i migranti, i nomadi come ha documentato il no- stro giornale in queste settimane.
Fra i tanti incontri vorremo sottolinearne alcuni, più emblematici:

Ferrante Aporti – Domenica 24 dicembre, ad esempio, abbiamo partecipato alla Messa della Vigilia con i ragazzi detenuti nel carcere minorile torinese «Ferrante Aporti»: mons. Nosiglia, accolto dal direttore Gabriella Picco, dal procuratore dei minori del Piemonte e della Valle d’Aosta Anna Maria Baldelli, dal garante regionale per i minori Rita Turino e dal cappellano, il salesiano don Domenico Ricca, ha salutato uno per uno i 30 giovani detenuti -cattolici, ortodossi e musulmani – che hanno voluto partecipare alla celebrazione. E a ricordo dell’incontro, l’Arcivescovo ha consegnato l’immagine dei suoi auguri natalizi, i tre Re Magi, «persone come voi di religioni diverse che hanno alzato lo sguardo e hanno seguito la stella, insieme, in pace e hanno trovato il Signore».

Ricordando come grazie al «sì» di Maria «una giovane minorenne come voi, povera e umile, Gesù è potuto nascere», l’Arcivescovo ha espresso ancora una volta il suo punto di vista invitando i ragazzi detenuti a considerare come i protagonisti del Vangelo siano le persone che la società scarta: «questi realizzano il disegno del Signore perché
nulla è impossibile a Dio se ci crediamo».

L’Arcivescovo, ringraziando i tanti volontari presenti, gli agenti di custodia, il coro di giovani che ogni 15 giorni animano la Messa, ha esortato i ragazzi reclusi a non avere paura, come hanno fatto i Magi, ad alzare lo sguardo al Signore in questi giorni in cui si celebra la nascita del suo Figlio: «L’angelo che è apparso a Maria ha detto ‘Il Signore è con te’: lo dice anche a voi. Anche in situazioni tragiche, difficili, dove abbiamo sbagliato il Signore è con noi, anzi ci ama ancora di più perché chi è nel dolore ha ancora più bisogno della vicinanza di Dio. Credeteci, ragazzi: tutto può essere risolto, si può ricominciare sempre».

 

Andrea Beltrami: si avvicina alla beatificazione perchè «Come lui ce n’è uno solo».

“I veri protagonisti della nuova evangelizzazione sono i santi: essi parlano un linguaggio a tutti comprensibile con l’esempio della vita e con le opere della carità” (Benedetto XVI 23.10.2012).

Questa la frase introduttiva del Dossier Postulazione Generale Salesiani di Don Bosco, edizione 2017, recentemente pubblicato, che presenta le figure di cui sono in corso gli atti di canonizzazione degli appartenenti alla famiglia salesiana: don Andrea Beltrami risulta essere tra le figure in cima all’elenco.

Il venerabile don Andrea Beltrami (1870-1897), sacerdote omegnese che “tanto amava la gente del lago e della Valle, devoto alla Madonna del Popolo, un punto di riferimento e di crescita nella fede a livello personale e comunitario”, sottolinea il parroco di Omegna e vicario del Cusio don Gianmario Lanfranchini.

Nonostante la sua giovane età, don Beltrami, si distinse per la sua profonda saggezza e il suo modo di accogliere la sua sofferenza con letizia interiore. Si diede tutto alla contemplazione e all’apostolato della penna. D’una tenacia di volontà a tutta prova, con un desiderio veementissimo della santità, consumò la sua esistenza nel dolore e nel lavoro incessante. “La missione che Dio mi affida è di pregare e di soffrire“, diceva. “Né guarire né morire, ma vivere per soffrire“, fu il suo motto. Esattissimo nell’osservanza della Regola, ebbe un’apertura filiale coi superiori e un amore ardentissimo a don Bosco e alla Congregazione.

Si pubblica qui di seguito l’approfondimento a riguardo del Venerabile, a cura del giornalista Vincenzo AMATO della redazione de “La Stampa” del Verbano Cusio Ossola:

Vicino alla beatificazione il discepolo di san Giovanni Bosco nato sul Lago d’Orta
Don Andrea Beltrami, salesiano morto nel 1897 a 27 anni, è venerabile da mezzo secolo: ora l’iter potrebbe avere un’accelerata

Per i cusiani il venerabile don Andrea Beltrami santo lo è da sempre, tanto da avergli dedicato la piazza antistante la chiesa parrocchiale di Omegna. Lo considerava santo anche San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, che parlando del giovane Andrea al momento di ricevere i voti diceva: «Come lui ce n’è uno solo». Adesso la Chiesa ha messo Beltrami al primo posto nell’elenco delle cause in attesa di beatificazione.

Un processo avviato da tempo che oggi trova un percorso nuovo. E’ stato pubblicato il dossier che presenta le figure di cui sono in corso gli atti di canonizzazione degli appartenenti alla famiglia salesiana e don Beltrami figura in cima all’elenco.

«Prezioso esempio»

A Omegna, dove in via Alberganti c’è ancora la casa natale del venerabile, nato il 24 giugno 1870 e morto il 30 dicembre 1897 a soli 27 anni dopo essere stato ordinato sacerdote, c’è molta attesa.

«Non ho dubbi nel definirlo un santo moderno, un giovane che voleva vivere per gli altri, e in modo particolare per i suoi coetanei, pur a ccettando la sofferenza della malattia, cosa che la società contemporanea non sembra più capace di fare – spiega il parroco di Omegna don Gianmario Lanfranchini -. Tutti noi siamo depositari di una preziosa eredità spirituale che merita di essere valorizzata». Il giovane salesiano fu dichiarato venerabile il 5 dicembre del 1966 da papa Paolo VI e le sue spoglie riposano nella collegiata di Sant’Ambrogio a Omegna.

Alla città, al Lago d’Orta, alle montagne della valle Strona – ricordano i biografi – Andrea Beltrami era particolarmente legato. Nel Cusio tornava spesso: era ammirato e amato per il suo zelo e fervore religioso pari solo al suo impegno con i giovani. Per ottenere il riconoscimento come beato si attende un miracolo che possa essergli attribuito e riconosciuto come tale dalla Chiesa e dal mondo scientifico. In passato si sono verificati episodi che la gente ha attribuito all’intercessione del venerabile don Beltrami, ma mai si è istruito un processo per il riconoscimento.

Arte e fede nella cripta degli eredi di Don Bosco

Si pubblica, qui di seguito, l’articolo apparso su La Stampa di Domenica 18 Dicembre 2017, a cura di Andrea Parodi:

BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE

Riapre la cappella delle reliquie con i successori del Santo

Il restauro di uno dei luoghi di più alta spiritualità salesiana

Maria Ausiliatrice come Superga: luogo sacro di sepolture eccellenti. Se da tre secoli nella cripta della basilica sabauda sono riunite le salme dei re di Sardegna e i membri di casa Savoia, da pochi giorni la cripta della basilica di Don Bosco è diventata il sacrario dove collocare le sepolture dei più importanti esponenti della storia salesiana.
Per mesi la Cappella delle Reliquie è rimasta chiusa al pubblico e ai fedeli. Un semplice cartello indicava generici «Lavori di restauro». Con riservatezza tipicamente sabauda – invece – sono state realizzate modifiche non indifferenti per aggiungere l’ultimo tassello rimasto e svelato oggi: riunire in quello stesso luogo tutte le sepolture dei Rettori Maggiori (ovvero dei successori di Don Bosco) che, terminati i lavori, sono stati traslati dalle loro originali collocazioni. Lunedì, con la traslazione dell’ultimo Rettor Maggiore mancante, al termine di lunghe e complesse pratiche burocratiche, si è completata un’operazione fortemente voluta dal XXVI Capitolo Generale Salesiano del 2008 e maturata nel tempo. Sempre con grande riservatezza, e senza clamori o annunci trionfanti, quasi in anonimato, l’ambiente è ora aperto ai fedeli e al pubblico, in attesa – anche se non è ancora ufficiale – dell’inaugurazione formale in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario della basilica, che cadrà proprio nel 2018 con un programma ricco di eventi.
Don Cristian Besso, giovane rettore della basilica, ha aperto a «La Stampa» il cancello delle nuove tombe dei Rettori Maggiori, mostrando con discreto orgoglio questa novità della basilica, che non è solamente un luogo di importante fede per tutta la famiglia salesiana, ma anche una nuova realtà artistica e culturale, patrimonio (anche turistico) della città, forte al momento di una media di circa 5.000 visitatori al mese.

Quando si entra nella basilica di Valdocco, a destra, vi è l’accesso alla «Cappella (o cripta) delle Reliquie», uno dei luoghi di più alta spiritualità salesiana. Qui la Madonna, secondo la tradizione, ha indicato in sogno a Don Bosco nel 1845 il luogo dove i protomartiri torinesi della legione tebea – Avventore, Solutore e Ottavio – vennero uccisi nel III secolo e quindi dove erigere la basilica. Qui si conservano le principali tra le reliquie della famiglia salesiana, con al posto d’onore un frammento della Santa Croce. È una cappella di inizio Novecento, decorata con motivi neoromanici. In questo luogo i salesiani hanno cominciato a posizionare le sepolture eccellenti. Due dei Rettori Maggiori, Michele Rua e Filippo Rinaldi, rispettivamente il primo e il terzo successore di Don Bosco, sono seppelliti ai due lati dell’altare. La loro posizione di riguardo è dovuta al fatto che entrambi sono beati (a differenza dei tre santi – Giovanni Bosco, Domenico Savio e Maria Mazzarello – che sono seppelliti in basilica, al piano superiore).
«Per i Salesiani il Rettor Maggiore è centro di unità di tutta la famiglia salesiana – spiega don Besso – la sua è una funzione carismatica di comunione; con questo nuovo ambiente non vogliamo creare un culto verso la loro singola persona. Questa realizzazione è un luogo caro, fortemente voluto per un desiderio di unità della grande famiglia salesiana, presente in tutto il mondo». La traslazione delle salme dei Rettori Maggiori a Maria Ausiliatrice, avvenuta con molta discrezione, è anche occasione per ribadire la centralità torinese del vasto mondo salesiano, in particolare di Valdocco. È tutto molto simbolico: da qui tutto è partito, con sobrietà sabauda.

 

La festa dei diplomi al Cnos Fap di Vigliano

Sabato scorso, 2 Dicembre 2017, al Cnos Fap di Vigliano si è svolta la cerimonia di consegna degli attestati agli allievi che hanno completato i corsi organizzati all’istituto dei Salesiani di Vigliano.
Un momento di festa per docenti, studenti e famiglie.

Un successo la prima lezione de “La salute nel piatto”

A Savigliano, lo scorso 30 settembre, ha riscosso molti consensi l’evento dal titolo “LA SALUTE NEL PIATTO – Come, cosa, quando mangiare per vivere in salute e a lungo secondo le indicazioni del WCRF (World Cancer Research Foundation)” in collaborazione con l’Associazione Sana Forchetta di Tortona, un appuntamento informativo rivolto alla popolazione con accesso gratuito. L’evento è stato organizzato e moderato da Donatella Giorgis, medico originario di Fossano, operante nell’ambito della Medicina di gruppo di Savigliano, presso i locali del Centro di formazione professionale salesiana di Savigliano.

Il seminario, che ha registrato una numerosissima partecipazione, ha offerto indicazioni preziose: sono state condivise le prime basi di una corretta prevenzione alimentare nelle patologie cronico degenerative, ed in particolare in ambito oncologico, illustrando le basi scientifiche che sottendono all’importanza dei corretti stili alimentari. Spesso oggi le informazioni in ambito nutrizionale sono le più svariate e talvolta contraddittorie, l’intento della giornata è stato quello di dare informazioni, supportate da basi scientifiche, il più possibili chiare e soprattutto applicabili alla vita quotidiana.

Successivamente, il 4 novembre, l’argomento è stato trattato grazie ad un corso pratico di cucina, con iscrizione obbligatoria, organizzato dall’Associazione Culturale “Sana forchetta” promossa dal nutrizionista Bellingeri. Il messaggio di fondo è che “sano” può e deve essere anche “buono”, proprio come l’Associazione promuove ormai da diversi anni su tutto il territorio nazionale con conferenze, incontri e corsi pratici. Ridurre proteine animali, prediligere cereali integrali e legumi, condire con spezie e olio evo (olio di oliva di prima spremitura), fare attività fisica, vivere bene le emozioni. Sinteticamente queste sono state le tematiche affrontate al corso di cucina: un’ iniziativa che ha immediatamente fatto il tutto esaurito; si è pertanto proceduto alla formazione di una lista d’attesa per un secondo corso.

Qui di seguito, si pubblica la lettera che la Dr.ssa Donatella Giorgis ha inviato alla redazione di Targato CN in merito all’iniziativa:

Gentile Direttore,

sabato 4 novembre si è svolta la prima delle tre sessioni pratiche seguito della giornata divulgativa del 30 settembre dal titolo “La salute nel piatto”. Si tratta di un corso di cucina, della durata di una giornata, per mettere in pratica l’utilizzo di nutrienti sani sposando accostamenti di sapori intensi ed appaganti.

Il programma prevede un’alternanza di momenti di didattica in aula sugli ingredienti e sulla loro combinazione, e sperimentazione pratica in cucina. Inoltre, non poteva mancare il ricco pranzo con la degustazione dei manicaretti preparati con entusiasmo e impegno da tutti i partecipanti.

Le ricette sono state appositamente messe a punto da Sana Forchetta per far scoprire nuovi sapori e allo stesso tempo mangiare cibi salutari, con attenzione alla stagionalità e alla provenienza delle materie prime. Un doveroso e sentito ringraziamento va fatto a don Gabriele Miglietta direttore del Cnos-Fap per aver messo a disposizione i locali e l’attrezzatura del Centro di formazione professionale salesiana di Savigliano.

La preziosa collaborazione con questa bella realtà saviglianese è stato un ingrediente aggiunto alla giornata. Grazie anche per la professionalità, pazienza e creatività a Sana Forchetta cui diamo appuntamento per le repliche di gennaio che già registrano il tutto esaurito.

Dr.ssa Donatella Giorgis

Il Cnos-Fap compie 40 anni!

Il rapporto tra formazione professionale e salesiani è saldo ormai da oltre 170 anni, quando Giovanni Bosco, nei cortili di Valdocco, applicava il suo sistema preventivo a ritmo di “cortile, scuola, chiesa e mestiere”.
Questa preziosa eredità viene raccolta dall’intera Congregazione e porta, il 30 giugno 1978, alla fondazione ufficiale dell’ente regionale Cnos-Fap – Centro nazionale opere salesiane – Formazione aggiornamento professionale. Un percorso di quarant’anni ad oggi instancabile con 15 centri solo sul territorio piemontese, il Cnos-Fap si conferma un punto di riferimento per le imprese che cercano personale qualificato e teso all’innovazione.

L’anno formativo appena iniziato si configura, pertanto, come un anno speciale, di celebrazione di questi 40 anni: la testimonianza che “l’intelligenza nelle mani” nell’era digitale è ancora la sfida vincente dei figli di don Bosco.

Si segnala, qui di seguito, l’articolo della giornalista Marina LOMUNNO, che ha puntualmente fotografato il Cnos-Fap e i suoi 40 anni, tra le pagine dell’edizione domenicale de La Voce e Il Tempo, il settimanale della diocesi di Torino:

Formazione professionale è ancora «cosa di cuore»

Da Valdocco a Rebaudengo, dall’Agnelli al Colle don Bosco e a Bra. E poi nelle altre diocesi del Piemonte per un totale di 15 Centri dove, oltre all’obbligo formativo, si erogano corsi post diploma e di riqualificazione per adulti con un’attenzione particolare alle nuove tecnologie e ai cambiamenti del mondo del lavoro: «l’intelligenza nelle mani» nell’era dei robot è ancora la sfida vincente dei figli di don Bosco

Un anno speciale quello che si apprestano a vivere i 15 centri di formazione professionale salesiana del Piemonte. Al termine dell’anno formativo in corso, l’associazione Cnos-Fap (Centro nazionale opere salesiane – Formazione aggiornamento professionale) della nostra Regione compirà i 40 anni di fondazione, avvenuta il 30 giugno 1978. In realtà la formazione professionale «inventata» nei cortili di Valdocco, dove oggi c’è la sede dell’ente regionale, è nata 170 anni fa con il sistema preventivo di don Bosco: «cortile, scuola, chiesa e mestiere», pilastri del carisma del santo dei giovani sono ancora più che mai attuali nell’educazione di «buoni cristiani ed onesti cittadini» soprattutto per quanto concerne la formazione al lavoro in un periodo storico che ha molte somiglianze con la rivoluzione
industriale in atto ai tempi dei santi sociali. «Oggi» spiega Lucio Reghellin ingegnere, direttore generale Cnos-Fap Piemonte «cerchiamo di proseguire sul solco del nostro fondatore, grande precursore di cambiamenti sociali, cercando di tenere le antenne alzate sulle nuove esigenze del mondo del lavoro nell’era dell’industria 4.0 che, come è stato sottolineato al recente G7 avrà sempre più bisogno di formazione professionale. Del resto l’apertura alle esigenze delle imprese è il cuore della nostra formazione. Per questo diamo grande importanza anche all’aggiornamento dei formatori con stage all’estero e visite costanti alle imprese». C’è poi l’aspetto educativo che continua ad essere al centro del percorso offerto dal Cnos-Fap, sia che si tratti di una corso di grafi ca, meccanica, elettricista, informatica o ristorazione. La formazione salesiana – che ha punte di eccellenza non solo in Italia (i centri del Piemonte hanno un successo formativo dell’85%: chi si qualifica per il 65% trova lavoro e per il 20% prosegue gli studi) continua ad essere ricercata in tutti i 5 continenti in cui sono presenti i figli di don Bosco proprio perché al tornio o al controllo di un robot si impara a superare i propri limiti anche se alle spalle si ha una bocciatura o, se si è adulti, si è reduci da un licenziamento. «In Piemonte il primo nucleo della nostra associazione – prosegue Reghellin – era composto da nove Cfp (Centri di formazione professionale) con attività formativa per i giovani dopo la scuola media principalmente nei tre settori professionali: meccanica industriale, elettro/elettronica e grafica. Oggi con 15 sedi abbiamo diversificato la nostra proposta formativa ampliando i settori professionali anche in ambito artigianale e dei servizi: si va dalla carrozzeria alla termoidraulica, dai servizi alla persona agli operatori di cucina-sala bar. Negli anni abbiamo aperto la nostra offerta formativa, oltre che ai ragazzi in obbligo di istruzione (3600 nei 15 Cfp del Piemonte – il 15% stranieri) anche con l’attivazione di corsi di qualifica per adulti disoccupati, di aggiornamento per i lavoratori, di accompagnamento per le fasce più deboli». Di qui l’apertura nei Cfp Cnos degli sportelli lavoro che, oltre all’attività di collegamento con le imprese, offrono consulenze alle famiglie meno attrezzate culturalmente per l’orientamento e l’ascolto dei propri figli. «’L’educazione è cosa di cuore’ era convinto don Bosco» aggiunge Marco Gallo, direttore del Cfp di Valdocco «e questo è ancora lo stile con cui cerchiamo di insegnare un mestiere sia ai nativi digitali che agli adulti che si devono riqualificare per rientrare nel mondo del lavoro. Flessibilità, apertura al cambiamento, non fermarsi a ciò che si è appreso ma assimilare una mentalità che richiede aggiornamento continuo 170 anni fa come oggi è l’unico modo con cui cerchiamo di non essere colti impreparati dalla sfida della rivoluzione industriale 4.0. Attrezzature e macchinari all’avanguardia, collegamento continuo con le imprese e le istituzioni, dialogo con il territorio sono gli altri ingredienti fondamentali che fanno dei nostri allievi appetibili sul mercato del lavoro. Ma il nostro valore aggiunto è che nelle nostre aule, accanto all’innovazione, si viene accompagnati a prendere in mano la propria vita nel rispetto delle regole, della convivenza civile e del rispetto reciproco».

Intervista: 

Come per don Bosco la sfida è possibile

Don Pietro Mellano, salesiano, fossanese classe 1971, è da settembre il nuovo direttore nazionale del Cnos-fap. Già economo della Ispettoria salesiana del Piemonte e direttore generale dell’editrice salesiana Elledici (Italia Circoscrizione Piemonte) don Pietro ha iniziato il suo nuovo incarico con la concretezza tipica del suo fondatore che cercava di cogliere nel cambiamento spunti positivi a vantaggio dei giovani più in difficoltà.

Al G7 appena concluso a Torino si è parlato molto del ruolo centrale della formazione professionale come vi state attrezzando per la sfida dell’industria 4.0? Il nostro programma pastorale per l’anno formativo appena iniziato ha come slogan «#nessunoescluso». Con l ’ h a s h t a g vogliamo indicare che le nostre scuole professionali vogliono continuare ad accettare la sfida dell’innovazione ma con lo stile di don Bosco che cercava vie di riscatto per tutti, soprattutto per i giovani in difficoltà perché nessuno fosse escluso. La nostra formazione è inclusiva ha come obiettivo di dare a tutti un’opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro imparando un mestiere anche se non nascondiamo le difficoltà di questo momento storico in cui, come è stato sottolineato al G7, l’industria 4.0 sta rivoluzionando il mondo del lavoro».

Come vi state attrezzando? Don Bosco nel 1852 Torino inventò il primo contratto di apprendistato per uno dei suoi giovani facendosi da garante presso il datore di lavoro. Oggi a distanza di 165 anni i dati ci dicono che i contratti di apprendistato introdotti dal Job act con il sistema duale di formazione professionale alternata tra scuola e lavoro sta funzionando tanto che questo tipo di contratti sono passati nel 2017 da 1400 a 14 mila. Gli sportelli lavoro attivi nei nostri centri di formazione professionale e in rete su tutto il territorio nazionale, dove si raccolgono le richieste da parte delle aziende di figure professionali cercando di favorire la domanda con l’offerta, spesso registrano difficoltà a trovare personale qualificato. Questo significa che la formazione professionale che si sta adeguando ai cambiamenti dell’automazione ha anche bisogno di un cambiamento culturale delle famiglie italiane: occorre accettare che i propri figli si spostino laddove c’è richiesta di lavoro che sarà sempre meno sotto casa e nella città di origine.

 

Dalla violenza alla pace: Medellìn e il suo cambiamento culturale

Si segnala il reportage video pubblicato dalla redazione de La Stampa Online del 10 Ottobre 2017, dove si testimonia il successo del sistema preventivo di Don Bosco nel centro salesiano colombiano di Medellìn.

Recuperare i bambini e gli adolescenti vittime del disagio sociale, della guerra e della violenza in Colombia. È questo l’obiettivo di Ciudad Don Bosco, il centro salesiano fondato nel 1915 a Medellìn, una delle città che più ha subito gli effetti delle violenze legate al traffico di cocaina.
Tra gli altri, negli ultimi 15 anni a Ciudad Don Bosco sono stati riabilitati 1.500 giovani fra ragazze e ragazzi di età compresa fra i 14 e i 17 anni, reduci dalla guerra tra le Farc e le forze governative che ha insanguinato il Paese per più di 50 anni. Un successo dovuto all’applicazione del sistema preventivo salesiano, che coinvolge i ragazzi in un percorso riabilitativo integrale. Oltre alle cure di base (assistenza nutrizionale e sanitaria in primis), i salesiani puntano a una solida formazione scolastica e professionale, ma anche, e soprattutto, a un percorso psicologico e, quando possibile, al ricongiungimento familiare.
Padre Rafael Bejarano, 39 anni, salesiano di Don Bosco nato e cresciuto in Colombia, è il direttore di Ciudad Don Bosco. «Il nostro obiettivodiceè realizzare un grande cambiamento culturale, perché la nostra società possa cambiare il suo corso storico: dalla violenza alla pace».

Video di Francesco Marino
Montaggio di Camilla Cupelli