Andrea Beltrami: si avvicina alla beatificazione perchè «Come lui ce n’è uno solo».

“I veri protagonisti della nuova evangelizzazione sono i santi: essi parlano un linguaggio a tutti comprensibile con l’esempio della vita e con le opere della carità” (Benedetto XVI 23.10.2012).

Questa la frase introduttiva del Dossier Postulazione Generale Salesiani di Don Bosco, edizione 2017, recentemente pubblicato, che presenta le figure di cui sono in corso gli atti di canonizzazione degli appartenenti alla famiglia salesiana: don Andrea Beltrami risulta essere tra le figure in cima all’elenco.

Il venerabile don Andrea Beltrami (1870-1897), sacerdote omegnese che “tanto amava la gente del lago e della Valle, devoto alla Madonna del Popolo, un punto di riferimento e di crescita nella fede a livello personale e comunitario”, sottolinea il parroco di Omegna e vicario del Cusio don Gianmario Lanfranchini.

Nonostante la sua giovane età, don Beltrami, si distinse per la sua profonda saggezza e il suo modo di accogliere la sua sofferenza con letizia interiore. Si diede tutto alla contemplazione e all’apostolato della penna. D’una tenacia di volontà a tutta prova, con un desiderio veementissimo della santità, consumò la sua esistenza nel dolore e nel lavoro incessante. “La missione che Dio mi affida è di pregare e di soffrire“, diceva. “Né guarire né morire, ma vivere per soffrire“, fu il suo motto. Esattissimo nell’osservanza della Regola, ebbe un’apertura filiale coi superiori e un amore ardentissimo a don Bosco e alla Congregazione.

Si pubblica qui di seguito l’approfondimento a riguardo del Venerabile, a cura del giornalista Vincenzo AMATO della redazione de “La Stampa” del Verbano Cusio Ossola:

Vicino alla beatificazione il discepolo di san Giovanni Bosco nato sul Lago d’Orta
Don Andrea Beltrami, salesiano morto nel 1897 a 27 anni, è venerabile da mezzo secolo: ora l’iter potrebbe avere un’accelerata

Per i cusiani il venerabile don Andrea Beltrami santo lo è da sempre, tanto da avergli dedicato la piazza antistante la chiesa parrocchiale di Omegna. Lo considerava santo anche San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, che parlando del giovane Andrea al momento di ricevere i voti diceva: «Come lui ce n’è uno solo». Adesso la Chiesa ha messo Beltrami al primo posto nell’elenco delle cause in attesa di beatificazione.

Un processo avviato da tempo che oggi trova un percorso nuovo. E’ stato pubblicato il dossier che presenta le figure di cui sono in corso gli atti di canonizzazione degli appartenenti alla famiglia salesiana e don Beltrami figura in cima all’elenco.

«Prezioso esempio»

A Omegna, dove in via Alberganti c’è ancora la casa natale del venerabile, nato il 24 giugno 1870 e morto il 30 dicembre 1897 a soli 27 anni dopo essere stato ordinato sacerdote, c’è molta attesa.

«Non ho dubbi nel definirlo un santo moderno, un giovane che voleva vivere per gli altri, e in modo particolare per i suoi coetanei, pur a ccettando la sofferenza della malattia, cosa che la società contemporanea non sembra più capace di fare – spiega il parroco di Omegna don Gianmario Lanfranchini -. Tutti noi siamo depositari di una preziosa eredità spirituale che merita di essere valorizzata». Il giovane salesiano fu dichiarato venerabile il 5 dicembre del 1966 da papa Paolo VI e le sue spoglie riposano nella collegiata di Sant’Ambrogio a Omegna.

Alla città, al Lago d’Orta, alle montagne della valle Strona – ricordano i biografi – Andrea Beltrami era particolarmente legato. Nel Cusio tornava spesso: era ammirato e amato per il suo zelo e fervore religioso pari solo al suo impegno con i giovani. Per ottenere il riconoscimento come beato si attende un miracolo che possa essergli attribuito e riconosciuto come tale dalla Chiesa e dal mondo scientifico. In passato si sono verificati episodi che la gente ha attribuito all’intercessione del venerabile don Beltrami, ma mai si è istruito un processo per il riconoscimento.

Arte e fede nella cripta degli eredi di Don Bosco

Si pubblica, qui di seguito, l’articolo apparso su La Stampa di Domenica 18 Dicembre 2017, a cura di Andrea Parodi:

BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE

Riapre la cappella delle reliquie con i successori del Santo

Il restauro di uno dei luoghi di più alta spiritualità salesiana

Maria Ausiliatrice come Superga: luogo sacro di sepolture eccellenti. Se da tre secoli nella cripta della basilica sabauda sono riunite le salme dei re di Sardegna e i membri di casa Savoia, da pochi giorni la cripta della basilica di Don Bosco è diventata il sacrario dove collocare le sepolture dei più importanti esponenti della storia salesiana.
Per mesi la Cappella delle Reliquie è rimasta chiusa al pubblico e ai fedeli. Un semplice cartello indicava generici «Lavori di restauro». Con riservatezza tipicamente sabauda – invece – sono state realizzate modifiche non indifferenti per aggiungere l’ultimo tassello rimasto e svelato oggi: riunire in quello stesso luogo tutte le sepolture dei Rettori Maggiori (ovvero dei successori di Don Bosco) che, terminati i lavori, sono stati traslati dalle loro originali collocazioni. Lunedì, con la traslazione dell’ultimo Rettor Maggiore mancante, al termine di lunghe e complesse pratiche burocratiche, si è completata un’operazione fortemente voluta dal XXVI Capitolo Generale Salesiano del 2008 e maturata nel tempo. Sempre con grande riservatezza, e senza clamori o annunci trionfanti, quasi in anonimato, l’ambiente è ora aperto ai fedeli e al pubblico, in attesa – anche se non è ancora ufficiale – dell’inaugurazione formale in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario della basilica, che cadrà proprio nel 2018 con un programma ricco di eventi.
Don Cristian Besso, giovane rettore della basilica, ha aperto a «La Stampa» il cancello delle nuove tombe dei Rettori Maggiori, mostrando con discreto orgoglio questa novità della basilica, che non è solamente un luogo di importante fede per tutta la famiglia salesiana, ma anche una nuova realtà artistica e culturale, patrimonio (anche turistico) della città, forte al momento di una media di circa 5.000 visitatori al mese.

Quando si entra nella basilica di Valdocco, a destra, vi è l’accesso alla «Cappella (o cripta) delle Reliquie», uno dei luoghi di più alta spiritualità salesiana. Qui la Madonna, secondo la tradizione, ha indicato in sogno a Don Bosco nel 1845 il luogo dove i protomartiri torinesi della legione tebea – Avventore, Solutore e Ottavio – vennero uccisi nel III secolo e quindi dove erigere la basilica. Qui si conservano le principali tra le reliquie della famiglia salesiana, con al posto d’onore un frammento della Santa Croce. È una cappella di inizio Novecento, decorata con motivi neoromanici. In questo luogo i salesiani hanno cominciato a posizionare le sepolture eccellenti. Due dei Rettori Maggiori, Michele Rua e Filippo Rinaldi, rispettivamente il primo e il terzo successore di Don Bosco, sono seppelliti ai due lati dell’altare. La loro posizione di riguardo è dovuta al fatto che entrambi sono beati (a differenza dei tre santi – Giovanni Bosco, Domenico Savio e Maria Mazzarello – che sono seppelliti in basilica, al piano superiore).
«Per i Salesiani il Rettor Maggiore è centro di unità di tutta la famiglia salesiana – spiega don Besso – la sua è una funzione carismatica di comunione; con questo nuovo ambiente non vogliamo creare un culto verso la loro singola persona. Questa realizzazione è un luogo caro, fortemente voluto per un desiderio di unità della grande famiglia salesiana, presente in tutto il mondo». La traslazione delle salme dei Rettori Maggiori a Maria Ausiliatrice, avvenuta con molta discrezione, è anche occasione per ribadire la centralità torinese del vasto mondo salesiano, in particolare di Valdocco. È tutto molto simbolico: da qui tutto è partito, con sobrietà sabauda.

 

La festa dei diplomi al Cnos Fap di Vigliano

Sabato scorso, 2 Dicembre 2017, al Cnos Fap di Vigliano si è svolta la cerimonia di consegna degli attestati agli allievi che hanno completato i corsi organizzati all’istituto dei Salesiani di Vigliano.
Un momento di festa per docenti, studenti e famiglie.

Un successo la prima lezione de “La salute nel piatto”

A Savigliano, lo scorso 30 settembre, ha riscosso molti consensi l’evento dal titolo “LA SALUTE NEL PIATTO – Come, cosa, quando mangiare per vivere in salute e a lungo secondo le indicazioni del WCRF (World Cancer Research Foundation)” in collaborazione con l’Associazione Sana Forchetta di Tortona, un appuntamento informativo rivolto alla popolazione con accesso gratuito. L’evento è stato organizzato e moderato da Donatella Giorgis, medico originario di Fossano, operante nell’ambito della Medicina di gruppo di Savigliano, presso i locali del Centro di formazione professionale salesiana di Savigliano.

Il seminario, che ha registrato una numerosissima partecipazione, ha offerto indicazioni preziose: sono state condivise le prime basi di una corretta prevenzione alimentare nelle patologie cronico degenerative, ed in particolare in ambito oncologico, illustrando le basi scientifiche che sottendono all’importanza dei corretti stili alimentari. Spesso oggi le informazioni in ambito nutrizionale sono le più svariate e talvolta contraddittorie, l’intento della giornata è stato quello di dare informazioni, supportate da basi scientifiche, il più possibili chiare e soprattutto applicabili alla vita quotidiana.

Successivamente, il 4 novembre, l’argomento è stato trattato grazie ad un corso pratico di cucina, con iscrizione obbligatoria, organizzato dall’Associazione Culturale “Sana forchetta” promossa dal nutrizionista Bellingeri. Il messaggio di fondo è che “sano” può e deve essere anche “buono”, proprio come l’Associazione promuove ormai da diversi anni su tutto il territorio nazionale con conferenze, incontri e corsi pratici. Ridurre proteine animali, prediligere cereali integrali e legumi, condire con spezie e olio evo (olio di oliva di prima spremitura), fare attività fisica, vivere bene le emozioni. Sinteticamente queste sono state le tematiche affrontate al corso di cucina: un’ iniziativa che ha immediatamente fatto il tutto esaurito; si è pertanto proceduto alla formazione di una lista d’attesa per un secondo corso.

Qui di seguito, si pubblica la lettera che la Dr.ssa Donatella Giorgis ha inviato alla redazione di Targato CN in merito all’iniziativa:

Gentile Direttore,

sabato 4 novembre si è svolta la prima delle tre sessioni pratiche seguito della giornata divulgativa del 30 settembre dal titolo “La salute nel piatto”. Si tratta di un corso di cucina, della durata di una giornata, per mettere in pratica l’utilizzo di nutrienti sani sposando accostamenti di sapori intensi ed appaganti.

Il programma prevede un’alternanza di momenti di didattica in aula sugli ingredienti e sulla loro combinazione, e sperimentazione pratica in cucina. Inoltre, non poteva mancare il ricco pranzo con la degustazione dei manicaretti preparati con entusiasmo e impegno da tutti i partecipanti.

Le ricette sono state appositamente messe a punto da Sana Forchetta per far scoprire nuovi sapori e allo stesso tempo mangiare cibi salutari, con attenzione alla stagionalità e alla provenienza delle materie prime. Un doveroso e sentito ringraziamento va fatto a don Gabriele Miglietta direttore del Cnos-Fap per aver messo a disposizione i locali e l’attrezzatura del Centro di formazione professionale salesiana di Savigliano.

La preziosa collaborazione con questa bella realtà saviglianese è stato un ingrediente aggiunto alla giornata. Grazie anche per la professionalità, pazienza e creatività a Sana Forchetta cui diamo appuntamento per le repliche di gennaio che già registrano il tutto esaurito.

Dr.ssa Donatella Giorgis

Il Cnos-Fap compie 40 anni!

Il rapporto tra formazione professionale e salesiani è saldo ormai da oltre 170 anni, quando Giovanni Bosco, nei cortili di Valdocco, applicava il suo sistema preventivo a ritmo di “cortile, scuola, chiesa e mestiere”.
Questa preziosa eredità viene raccolta dall’intera Congregazione e porta, il 30 giugno 1978, alla fondazione ufficiale dell’ente regionale Cnos-Fap – Centro nazionale opere salesiane – Formazione aggiornamento professionale. Un percorso di quarant’anni ad oggi instancabile con 15 centri solo sul territorio piemontese, il Cnos-Fap si conferma un punto di riferimento per le imprese che cercano personale qualificato e teso all’innovazione.

L’anno formativo appena iniziato si configura, pertanto, come un anno speciale, di celebrazione di questi 40 anni: la testimonianza che “l’intelligenza nelle mani” nell’era digitale è ancora la sfida vincente dei figli di don Bosco.

Si segnala, qui di seguito, l’articolo della giornalista Marina LOMUNNO, che ha puntualmente fotografato il Cnos-Fap e i suoi 40 anni, tra le pagine dell’edizione domenicale de La Voce e Il Tempo, il settimanale della diocesi di Torino:

Formazione professionale è ancora «cosa di cuore»

Da Valdocco a Rebaudengo, dall’Agnelli al Colle don Bosco e a Bra. E poi nelle altre diocesi del Piemonte per un totale di 15 Centri dove, oltre all’obbligo formativo, si erogano corsi post diploma e di riqualificazione per adulti con un’attenzione particolare alle nuove tecnologie e ai cambiamenti del mondo del lavoro: «l’intelligenza nelle mani» nell’era dei robot è ancora la sfida vincente dei figli di don Bosco

Un anno speciale quello che si apprestano a vivere i 15 centri di formazione professionale salesiana del Piemonte. Al termine dell’anno formativo in corso, l’associazione Cnos-Fap (Centro nazionale opere salesiane – Formazione aggiornamento professionale) della nostra Regione compirà i 40 anni di fondazione, avvenuta il 30 giugno 1978. In realtà la formazione professionale «inventata» nei cortili di Valdocco, dove oggi c’è la sede dell’ente regionale, è nata 170 anni fa con il sistema preventivo di don Bosco: «cortile, scuola, chiesa e mestiere», pilastri del carisma del santo dei giovani sono ancora più che mai attuali nell’educazione di «buoni cristiani ed onesti cittadini» soprattutto per quanto concerne la formazione al lavoro in un periodo storico che ha molte somiglianze con la rivoluzione
industriale in atto ai tempi dei santi sociali. «Oggi» spiega Lucio Reghellin ingegnere, direttore generale Cnos-Fap Piemonte «cerchiamo di proseguire sul solco del nostro fondatore, grande precursore di cambiamenti sociali, cercando di tenere le antenne alzate sulle nuove esigenze del mondo del lavoro nell’era dell’industria 4.0 che, come è stato sottolineato al recente G7 avrà sempre più bisogno di formazione professionale. Del resto l’apertura alle esigenze delle imprese è il cuore della nostra formazione. Per questo diamo grande importanza anche all’aggiornamento dei formatori con stage all’estero e visite costanti alle imprese». C’è poi l’aspetto educativo che continua ad essere al centro del percorso offerto dal Cnos-Fap, sia che si tratti di una corso di grafi ca, meccanica, elettricista, informatica o ristorazione. La formazione salesiana – che ha punte di eccellenza non solo in Italia (i centri del Piemonte hanno un successo formativo dell’85%: chi si qualifica per il 65% trova lavoro e per il 20% prosegue gli studi) continua ad essere ricercata in tutti i 5 continenti in cui sono presenti i figli di don Bosco proprio perché al tornio o al controllo di un robot si impara a superare i propri limiti anche se alle spalle si ha una bocciatura o, se si è adulti, si è reduci da un licenziamento. «In Piemonte il primo nucleo della nostra associazione – prosegue Reghellin – era composto da nove Cfp (Centri di formazione professionale) con attività formativa per i giovani dopo la scuola media principalmente nei tre settori professionali: meccanica industriale, elettro/elettronica e grafica. Oggi con 15 sedi abbiamo diversificato la nostra proposta formativa ampliando i settori professionali anche in ambito artigianale e dei servizi: si va dalla carrozzeria alla termoidraulica, dai servizi alla persona agli operatori di cucina-sala bar. Negli anni abbiamo aperto la nostra offerta formativa, oltre che ai ragazzi in obbligo di istruzione (3600 nei 15 Cfp del Piemonte – il 15% stranieri) anche con l’attivazione di corsi di qualifica per adulti disoccupati, di aggiornamento per i lavoratori, di accompagnamento per le fasce più deboli». Di qui l’apertura nei Cfp Cnos degli sportelli lavoro che, oltre all’attività di collegamento con le imprese, offrono consulenze alle famiglie meno attrezzate culturalmente per l’orientamento e l’ascolto dei propri figli. «’L’educazione è cosa di cuore’ era convinto don Bosco» aggiunge Marco Gallo, direttore del Cfp di Valdocco «e questo è ancora lo stile con cui cerchiamo di insegnare un mestiere sia ai nativi digitali che agli adulti che si devono riqualificare per rientrare nel mondo del lavoro. Flessibilità, apertura al cambiamento, non fermarsi a ciò che si è appreso ma assimilare una mentalità che richiede aggiornamento continuo 170 anni fa come oggi è l’unico modo con cui cerchiamo di non essere colti impreparati dalla sfida della rivoluzione industriale 4.0. Attrezzature e macchinari all’avanguardia, collegamento continuo con le imprese e le istituzioni, dialogo con il territorio sono gli altri ingredienti fondamentali che fanno dei nostri allievi appetibili sul mercato del lavoro. Ma il nostro valore aggiunto è che nelle nostre aule, accanto all’innovazione, si viene accompagnati a prendere in mano la propria vita nel rispetto delle regole, della convivenza civile e del rispetto reciproco».

Intervista: 

Come per don Bosco la sfida è possibile

Don Pietro Mellano, salesiano, fossanese classe 1971, è da settembre il nuovo direttore nazionale del Cnos-fap. Già economo della Ispettoria salesiana del Piemonte e direttore generale dell’editrice salesiana Elledici (Italia Circoscrizione Piemonte) don Pietro ha iniziato il suo nuovo incarico con la concretezza tipica del suo fondatore che cercava di cogliere nel cambiamento spunti positivi a vantaggio dei giovani più in difficoltà.

Al G7 appena concluso a Torino si è parlato molto del ruolo centrale della formazione professionale come vi state attrezzando per la sfida dell’industria 4.0? Il nostro programma pastorale per l’anno formativo appena iniziato ha come slogan «#nessunoescluso». Con l ’ h a s h t a g vogliamo indicare che le nostre scuole professionali vogliono continuare ad accettare la sfida dell’innovazione ma con lo stile di don Bosco che cercava vie di riscatto per tutti, soprattutto per i giovani in difficoltà perché nessuno fosse escluso. La nostra formazione è inclusiva ha come obiettivo di dare a tutti un’opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro imparando un mestiere anche se non nascondiamo le difficoltà di questo momento storico in cui, come è stato sottolineato al G7, l’industria 4.0 sta rivoluzionando il mondo del lavoro».

Come vi state attrezzando? Don Bosco nel 1852 Torino inventò il primo contratto di apprendistato per uno dei suoi giovani facendosi da garante presso il datore di lavoro. Oggi a distanza di 165 anni i dati ci dicono che i contratti di apprendistato introdotti dal Job act con il sistema duale di formazione professionale alternata tra scuola e lavoro sta funzionando tanto che questo tipo di contratti sono passati nel 2017 da 1400 a 14 mila. Gli sportelli lavoro attivi nei nostri centri di formazione professionale e in rete su tutto il territorio nazionale, dove si raccolgono le richieste da parte delle aziende di figure professionali cercando di favorire la domanda con l’offerta, spesso registrano difficoltà a trovare personale qualificato. Questo significa che la formazione professionale che si sta adeguando ai cambiamenti dell’automazione ha anche bisogno di un cambiamento culturale delle famiglie italiane: occorre accettare che i propri figli si spostino laddove c’è richiesta di lavoro che sarà sempre meno sotto casa e nella città di origine.

 

Dalla violenza alla pace: Medellìn e il suo cambiamento culturale

Si segnala il reportage video pubblicato dalla redazione de La Stampa Online del 10 Ottobre 2017, dove si testimonia il successo del sistema preventivo di Don Bosco nel centro salesiano colombiano di Medellìn.

Recuperare i bambini e gli adolescenti vittime del disagio sociale, della guerra e della violenza in Colombia. È questo l’obiettivo di Ciudad Don Bosco, il centro salesiano fondato nel 1915 a Medellìn, una delle città che più ha subito gli effetti delle violenze legate al traffico di cocaina.
Tra gli altri, negli ultimi 15 anni a Ciudad Don Bosco sono stati riabilitati 1.500 giovani fra ragazze e ragazzi di età compresa fra i 14 e i 17 anni, reduci dalla guerra tra le Farc e le forze governative che ha insanguinato il Paese per più di 50 anni. Un successo dovuto all’applicazione del sistema preventivo salesiano, che coinvolge i ragazzi in un percorso riabilitativo integrale. Oltre alle cure di base (assistenza nutrizionale e sanitaria in primis), i salesiani puntano a una solida formazione scolastica e professionale, ma anche, e soprattutto, a un percorso psicologico e, quando possibile, al ricongiungimento familiare.
Padre Rafael Bejarano, 39 anni, salesiano di Don Bosco nato e cresciuto in Colombia, è il direttore di Ciudad Don Bosco. «Il nostro obiettivodiceè realizzare un grande cambiamento culturale, perché la nostra società possa cambiare il suo corso storico: dalla violenza alla pace».

Video di Francesco Marino
Montaggio di Camilla Cupelli

La realizzazione di un allievo è la soddisfazione di un insegnante?

Quali sono le qualità essenziali di un buon insegnante? L’obiettivo di questa professione? Elevare lo spirito degli studenti e individuarne il talento, forse. Ma le risposte più immediate si possono scorgere negli esempi di tanti insegnanti che ogni giorno con solerzia e attenzione seguono costantemente i loro studenti.

Si riporta qui di seguito l’intervista realizzata da Veronica Privitera per Avvenire, che testimonia la bella esperienza di Sergio Ligato, operatore del centro professionale salesiano Cnos-Fap di Alessandria.

«Mi emoziono se un allievo si realizza»
Sergio Ligato, operatore del centro professionale salesiano Cnos-Fap:
«Vivo al fianco dei giovani»

Abbiamo chiesto a Sergio Ligato, formatore presso Cnos–Fap di Alessandria, (centro di formazione professionale dei Salesiani di don Bosco) di raccontarci quali sono gli aspetti più coinvolgenti del suo lavoro.
Il tuo lavoro è la tua vocazione?
È solo uno dei modi attraverso cui vivo quella che sento essere la mia vocazione, ovvero la passione per l’insegnamento, per la tecnologia e per tutto ciò che accomuna questi aspetti che mi hanno portato a vivere esperienze molto intense sia nel centro in cui opero che in un contesto decisamente più esteso, cioè il web.
Come lo hai scelto?
È il lavoro che svolgo ad aver scelto me. Ho iniziato nel 2001 a conoscere il mondo della formazione professionale salesiana, quasi per caso. Il mio primo incarico è stato quello di affiancare altri formatori e di svolgere attività di recupero per giovani minori, spesso con storie difficili alle spalle e grandi difficoltà. Ho avuto però la fortuna di poter contare sulla guida e il supporto di chi la formazione professionale in Alessandria l’ha avviata, colleghi formatori e salesiani «esperti».
Tre aggettivi per definire il tuo lavoro.
Complesso. La formazione professionale richiede grande predisposizione al cambiamento e spirito di adattamento. Il mondo del lavoro e le tecnologie cambiano velocemente e la formazione professionale è efficace nella misura in cui riesce a rispondere in modo puntuale alle nuove sfide.
Emozionante. Le emozioni che questo ambito può offrire sono certamente uniche. Le storie di tutti gli allievi che ho incontrato in circa quindici anni di attività non sono purtroppo tutte a lieto fine. Il cuore di un formatore vive sempre in bilico tra l’amarezza per chi non è riuscito a diventare «chi avrebbe voluto essere» e la gioia per coloro che si sono realizzati sia nella vita che nel lavoro.
Formativo. Ho sempre sentito dire che ogni insegnante impara moltissimo dai propri allievi. Non ci ho mai creduto, fino a che non l’ho sperimentato direttamente.

 

Il progetto «Manuattenzioni» impegna alcuni detenuti nella riqualificazione di una palestra

Come la comunità locale, a fianco degli istituti carcerari e degli uffici di esecuzione penale esterna, può contribuire alla buona riuscita del fine pena?
Da questa domanda e dall’idea di generare più valori insieme – sociale, economico, culturale, ambientale – nasce il progetto “Manuattenzioni“, con il fine di accompagnare  i detenuti al reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo, mantenendo un alto grado di flessibilità e capacità di rispondere ai bisogni di detenuti ed ex detenuti coinvolti e imparando a sviluppare sinergia e comunicazione efficace tra le organizzazioni coinvolte. Il progetto promuove una riflessione “aperta” intorno alla reclusione e alla progettualità di cura e di vita rispetto alla immobilità della pena. Manuattenzioni è un progetto pilota replicabile che si svolge a Fossano nel 2017.

Si riporta qui di seguito l’articolo a cura di Federico Carle apparso nell’edizione di Avvenire di Domenica 8 Ottobre 2017, che entra nel merito del progetto con un cantiere “dal basso”, pensato per  far fronte al degrado di una palestra di proprietà dell’Istituto salesiano di Fossano:

“Liberi di lavorare per il bene di tutti”
Un cantiere «dal basso» che coinvolge anche la comunità
Tra i promotori principali ci sono salesiani e Comune

In città, negli ultimi sei mesi, un ponte è crollato e il cornicione della palestra di una scuola pubblica si è staccato. Tragedie scampate, ma solo per fortuna. Sono però segnali di una fragilità che denota come la manutenzione dei beni comuni da parte dello Stato sia messa in crisi dalla difficile situazione economica. Una fragilità che induce a pensare a quella del fine pena, in cui il reinserimento sociale e lavorativo è spesso troppo complicato. Due fragilità che il progetto «Manuattenzioni» ha unito, generando una forza. Così proprio a Fossano, ancor prima dei crolli, si era già pensato a come far fronte al degrado di una palestra di proprietà dell’Istituto salesiano, progettando un «percorso» di recupero che avesse al centro il lavoro di detenuti in uscita: dodici tra carcerati a fine pena, agli arresti domiciliari o ex detenuti. Così, da aprile, molti di loro sono stati impegnati nella manutenzione e recupero dei locali della palestra. Un cantiere «dal basso», soprattutto, in cui coinvolgere la comunità locale – così come le associazioni sportive o culturali che usano normalmente la palestra – per provare a «disegnare insieme» con dei laboratori creativi, i motivi artistici per gli interni. «Manuattenzioni» però si è rivelato anche un progetto sostenibile perché basato sui criteri della bioedilizia e bioclimatica, come l’utilizzo del sughero per il rivestimento della facciata esterna. «È importante scegliere il materiale giusto, sia per l’ambiente, ma anche per tararlo con la vita media di una palestra pubblica, superiore rispetto ai normali edifici», racconta Monica Mazzucco dell’impresa sociale innovativa Culturadalbasso che ha coordinato il progetto. Un «per-corso», per cui «la formazione è stata fondamentale – sostiene Maurizio Giraudo, coordinatore dei Cfp salesiani della provincia di Cuneo – i detenuti in uscita hanno svolto per otto settimane una formazione in aula e sul campo con le imprese edili e le aziende. Un modo per passare da meri esecutori a piccoli imprenditori, imparando soluzioni e progettando con la testa e con le mani». Sono queste le «attenzioni» del progetto: al lavoro, alla persona, alla comunità e al Creato, che i salesiani sanno fare di «mestiere» molto bene. Per questo sono (come associazione Cnos–Fap) tra i promotori principali del progetto insieme a Culturadalbasso, cooperativa Frassati e Comune di Fossano. Un’iniziativa che ha come maggior sostenitore la Compagnia di San Paolo e che vede in rete, oltre alla casa di reclusione di Fossano e l’ufficio esecuzione penale esterna di Cuneo, anche il Consorzio Monviso solidale, la fondazione NoiAltri onlus, la Caritas della diocesi di Fossano, l’impresa Energia Soave, le cooperative Arti e mestieri, Il Ramo e quella agricola sociale Pensolato. Proprio a Pensolato, realtà nata grazie alla catalizzazione di sinergie che si è attuata col progetto, stanno trovando occupazione alcuni dei detenuti che hanno partecipato a «Manuattenzioni». Adesso il lavoro è quasi ultimato, manca l’abbellimento interno coi disegni emersi dai laboratori svolti fra comunità locale e detenuti. L’inaugurazione – potrebbe essere presente anche il ministro Orlando (il ministero di Grazia e Giustizia ha concesso il patrocinio) –, è prevista a novembre. La palestra è gestita dal Comune, che da solo non avrebbe avuto i fondi necessari per la riqualificazione, per questo Manuattenzioni «è stato un bellissimo esempio di lavoro di squadra», sostiene Stefano Mana direttore della Caritas diocesana. Un progetto di inclusione sociale, di formazione e di secondo welfare in cui il pubblico ha incontrato il privato in modo virtuoso e positivo. E i detenuti? «Grazie…», si limitano a dire con un sorriso che forse a inizio progetto non avevano. Un grazie semplice semplice, ma vero e generativo.

 

Beato Titus Zeman: il salesiano che salvò le vocazioni dalle persecuzioni comuniste

Oggi la Chiesa rilegge la vicenda di don Titus Zeman, salesiano slovacco e martire del regime comunista, e la sua beatificazione, avvenuta Sabato 30 Settembre 2017, come un invito per i giovani. Don Titus, il primo beato salesiano sacerdote della Slovacchia, è la sintesi della scritta biblica “Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”.

Dopo la recita domenicale dell’Angelus, il Papa ha reso omaggio al sacerdote salesiano Titus Zeman che “si unisce – ha detto – alla lunga schiera dei martiri del XX secolo”. Morì infatti nel 1969 “dopo essere stato per lungo tempo in carcere a causa della sua fede e del suo servizio pastorale”. “La sua testimonianza – ha sottolineato Francesco – ci sostenga nei momenti più difficili della vita e ci aiuti a riconoscere, anche nella prova, la presenza del Signore”.

Ecco l’articolo della beatificazione di Don Titus pubblicato da Avvenire in data 30 Settembre a cura di A. Carriero:

Oggi, a Petržalka (Bratislava), viene beatificato don Titus Zeman. Martire sotto il regime comunista, salvò decine di chierici e sacerdoti, riuscendo ad accompagnarli oltre il confine verso Torino. Per questa sua attività il regime comunista cecoslovacco lo ha arrestato, torturato, processato come traditore della patria e spia del Vaticano e lo ha condannato a venticinque anni nelle più dure carceri del Paese, provocandone la morte nel 1969 a 54 anni. A presiedere il rito sarà l’inviato del Papa, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Saranno presenti, tra gli altri, il rettor maggiore dei salesiani, don Ángel Fernández Artime, due sorelle di Zeman, diversi nipoti, amici e gli ex allievi, oltre a don Alois Pestun, l’ultimo dei giovani salesiani salvati dal neo beato ancora in vita. «La beatificazione di don Titus – spiega il postulatore generale della Famiglia salesiana, don Pierluigi Cameroni – è un forte stimolo per un rinnovato impegno non solo di testimonianza della fede, ma anche di promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale, alla vita consacrata e al matrimonio». Il suo martirio è frutto di un’eroica “carità pastorale”, un richiamo al Buon Pastore che non abbandona il gregge quando arriva il lupo. «La sua testimonianza è di grande attualità – prosegue Cameroni – anche in vista del prossimo Sinodo dedicato ai giovani». Don Titus, infatti, attraverso passaggi clandestini, ha permesso lo svolgersi delle tappe fondamentali del processo di discernimento, strumento principale con il quale si offre ai giovani la possibilità di scoprire la propria vocazione. Attraverso la missione di salvare le vocazioni e soprattutto il dono della vita, il nuovo beato dimostra che non c’è nessuna sfida, nessuna difficoltà, nessun insuccesso che con l’aiuto del Signore non possa essere cambiata in bene. «Attesta che chi si affida e crede non porta al fallimento la propria vita, anche se dovesse perderla», osserva il postulatore. Educando i giovani alla “normalità” delle persecuzioni per la Chiesa, Zeman è riuscito ad abbracciare e far abbracciare “il futuro con speranza”. Ha considerato così prezioso il dono della sua chiamata a seguire il Signore e servire i giovani come don Bosco che, anche quando avrebbe potuto facilmente mettersi in salvo, ha preferito rimanere fedele a prezzo della stessa vita. Una scelta, questa, che ha reso possibile il sacerdozio di molti altri. Come vero figlio di don Bosco, racconta don Cameroni, il beato Zeman ha incar nato il «credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica». In un’epoca in cui in Cecoslovacchia si crea una Chiesa parallela e di Stato, con una falsa Azione cattolica, lui non tradisce, ma dà la vita per questa fedeltà al successore di Pietro e ai vescovi. A testimonianza di questa fedeltà verso il Papa, la sorella Veronica ricorda che al termine degli studi a Roma don Titus portò un grande quadro del Pontefice con la sua firma. Un altro salesiano, a sua volta, don Anton Kyselý, ha testimoniato che don Titus, dopo il primo passaggio riuscito verso l’Italia, fu ricevuto in udienza privata da Pio XII.

Il video della Beatificazione di Don Titus Zeman

 

 

L’attività dei Santi Sociali torinesi come stimolo per il G7

Si segnala l’articolo di Alberto Carpinetti sulle sfide affrontate e i valori propagati da laici e religiosi illuminati del XIX e XX secolo. Possono rappresentare l’agenda del vertice internazionale in corso.

Immigrazione. Disoccupazione. Violenza. Nuove povertà. Evoluzione tecnologica. Questi temi potrebbero essere l’agenda del G7 che si sta svolgendo in questi giorni a Torino. Erano però anche le problematiche quotidiane di una metropoli del XIX e XX secolo, le sfide che una decina di laici e religiosi illuminati di quegli anni ha voluto indirizzare nell’allora capitale del Regno.

Sono coloro che la storia ha definito i Santi Sociali per il loro impegno nella città a fianco degli ultimi: Cottolengo, Cafasso, Murialdo, Don Bosco, Allamano, Frassati, Valfrè, Faà di Bruno, Marello. I loro nomi sono tutti ricordati dalla toponomastica cittadina (tranne uno, Morello) e dalle opere che hanno fondato e che ancora oggi sono attive nel portare avanti le parole del Signore sull’educazione, l’accoglienza, la formazione professionale, l’assistenza ai malati. Opere e parole ancora oggi attualissime che l‘Ucid, l’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, ha avuto l’idea di portare dentro al G7 insieme agli auspici del vescovo di Torino, Cesare Nosiglia.

  «Buoni cristiani e Onesti Cittadini»,

diceva ai suoi seguaci San Giovanni Bosco, fondatore dell’ordine dei Salesiani, oggi in 15mila di cui 2/3 sacerdoti impegnati in oltre 1800 strutture nel mondo. L’8 febbraio 1852 don Bosco siglava tra alcuni ragazzi del suo oratorio ed una impresa torinese il primo contratto di apprendistato che le relazioni industriali ricordino. Sei punti sottoscritti oltre che dalle parti, da lui stesso come garante delle persone che aveva formato e dai loro genitori, che sono ancora oggi di piena attualità: il rispetto delle regole, il senso del dovere e della gratitudine, la conoscenza della materia, la dignità del lavoro, il dialogo ed il confronto, la riconoscenza verso chi farà lo stesso percorso in futuro.

«A bisogni nuovi opere nuove»,

erano invece le parole con cui raccoglieva le elemosine San Leonardo Murialdo. Elemosine che lui, figlio di un agente di cambio, investiva nell’insegnamento di nuovi mestieri ai ragazzi di strada che sarebbero poi diventati i suoi “artigianelli”. Egli riteneva che – allora come oggi – l’economia aveva un futuro solo se al centro c’era la persona umana ed il suo saper fare in relazione con gli altri. Il bene comune era l’obiettivo che doveva prevaricare il bene particolare di pochi, attraverso la speranza cristiana nella provvidenza. Un primo modello di rischio d’impresa che Murialdo giustificava spiegando che il primo a rischiare è stato Dio con l’uomo. Ed oggi “SocialFare”, il centro per l’Innovazione sociale dei Giuseppini, è uno dei principali acceleratori di start up in Italia, del Piemonte e non solo. Attualmente la congregazione conta 109 case e 609 religiosi, 440 dei quali sacerdoti.

Il motto di San Giuseppe Benedetto Cottolengo era «Dai il meglio nel peggio»: egli abbandonò le posizioni di vertice del clero torinese per aiutare gli ultimi, i più sfortunati, i migranti di allora che a quel tempo provenivano da Biella, dalla Lombardia, delle campagne del Veneto e vivevano in ghetti che il resto della popolazione chiamava «siberie». Un modello di aiuto basato non solo sulla compassione, ma nel ridare dignità e nel trasformare le sfide in punti di forza. Come fa oggi la cooperativa “ChiccoCotto” che valorizza la maniacale precisione di oltre 200 ragazzi autistici per riassortire le vending machine degli impianti industriali e degli uffici italiani, offrendo loro una vera e soddisfacente opportunità di integrazione, valorizzando una debolezza.

Oggi nella Piccola Casa della Divina provvidenza – che poi tanto piccola non è con i suoi oltre 1770 assistiti in 35 case e oltre 1200 volontari solo a Torino – arrivano sempre più persone “normali” che trovano nei più deboli una fonte di ispirazione a e conforto. La sua risposta alla violenza è sempre stata la pace difendendo i deboli e coinvolgendo i violenti per far loro superare le paure che li rendono tali.

Signori Ministri, se il G7 di lavoro, Industria e Scienza si sono svolti a Torino è anche perché questa città ha vinto negli anni con i suoi Santi Sociali le sfide del tempo, puntando su educazione, senso del dovere, gratitudine, integrazione come valore di crescita. Sono ricette che tutti capiscono e sono applicabili anche alle sfide del XXI secolo. Spesso la storia si ripete, si dice che l’umanità incorre negli stessi errori del passato. Chissà se questa non sia la volta buona per replicare quanto di buono la storia e la fede hanno fatto a Torino.