E’ scomparso don Eugenio Fizzotti, sdb, il “prete della mente”

Si riporta la notizia circa la scomparsa del salesiano don Eugenio Fizzotti: per lunghi anni è stato docente nella Facoltà di Scienze dell’Educazione, esperto di Psicologia della Religione, fu allievo di Viktor Frankl e poi divulgatore ed esperto del suo pensiero non solo in Italia ma anche a livello internazionale, ha scritto numerosi e apprezzati saggi, lasciando una testimonianza di dedizione alla formazione culturale e di vita salesiana completamente spesa al servizio dei giovani.

27 Giugno 2018, ANS – Agenzia Info Salesiana

È salito al Cielo don Eugenio Fizzotti, SDB

È venuto a mancare, lo scorso lunedì, 25 giugno, presso l’ospedale di Salerno dove era ricoverato, il Salesiano don Eugenio Fizzotti. Docente di Filosofia e Psicologia, ha insegnato presso numerose università, sia pontificie, sia statali, ed era rinomato come uno dei maggiori studiosi e divulgatori del pensiero di Viktor Frankl.

Don Fizzotti era nato il 1° luglio del 1946 a Caserta, ed era entrato tra i Salesiani nel 1964, frequentando il noviziato di Portici. Nel suo percorso di formazione religiosa venne inviato a Vienna per gli studi di Teologia, e fu consacrato sacerdote da Paolo VI in Piazza San Pietro a Roma il 29 giugno 1975.

Proprio gli anni viennesi di formazione furono fondamentali per la sua vocazione, religiosa ed educativa, in quanto gli permisero di frequentare i corsi del prof. Viktor Frankl, fondatore della “Terza Scuola Viennese di Psicoterapia”, nota in tutto il mondo come “logoterapia e analisi esistenziale”.

Ha servito poi la Congregazione in diverse comunità dell’Italia meridionale – Napoli, Salerno, Locri – e con diversi incarichi pastorali. Quindi proseguì gli studi di specializzazione in Teologia Morale presso l’Università Gregoriana e l’Alfonsianum di Roma.

Dal 1984 al 1986 diresse, in qualità di Giornalista Pubblicista, l’Ufficio Stampa della Direzione Generale della Congregazione Salesiana.

Successivamente intraprese il servizio dell’insegnamento nelle università, tenendo corsi di Psicologia della Religione e Deontologia Professionale all’Università Pontificia Salesiana – mansione che ha mantenuto fino al 2008 – e insegnando poi, durante tutta la sua carriera accademica, presso numerosissimi altri atenei: l’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università di Urbino, la Facoltà Valdese di Teologia di Roma, la Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, il Pontificio Ateneo “Antonianum”, la Facoltà di Scienze della Formazione della “LUMSA”, l’Istituto di Scienze religiose di Frosinone, la Facoltà di Psicologia1 dell’Università “La Sapienza” di Roma, l’Università Europea di Roma, l’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”, l’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum”, la Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo, la Facoltà di Bioetica del Pontificio Ateneo “Regina Apostolorum”, l’Istituto Teologico Calabro “S. Pio X” di Catanzaro, il Pontificio Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense…

Per l’UPS è stato anche Direttore dell’Istituto di Psicologia (1994-2001) e Preside della Facoltà di Scienze dell’Educazione (2001-2002).

Prolifico autore di libri, articoli e contributi accademici, soprattutto nell’ambito della logoterapia e della trasposizione del pensiero di Viktor Frankl, è stato anche Presidente onorario dell’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana (A.L.Æ.F.), Direttore scientifico di “Ricerca di senso”, rivista dell’associazione, e socio onorario della “Società Medica Austriaca di Psicoterapia”.

Dal 2005 al 2009 è stato membro della Commissione Deontologica dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e nel 2002 gli venne assegnato il Gran Premio dalla “Fondazione Viktor Frankl” della città di Vienna, destinato annualmente a una personalità che a livello mondiale risulti particolarmente impegnata nell’approfondimento e nella diffusione di orientamenti psicologici e psicoterapeutici di natura umanistico-esistenziale.

I funerali si svolgono oggi pomeriggio, mercoledì 27 giugno, nella chiesa salesiana di Caserta.

25 Giugno 2018, Quotidiano online “Casertace.net

Grave lutto nel mondo di Salesiani. E’ morto don Eugenio Fizzotti

Era malato da tempo, don Eugenio Fizzotti, 72 anni salesiano nato a Caserta, e per questo si era ritirato presso l’istituto di Salerno, dove negli ultimi tempi si era aggravato al punto tale da essere ricoverato presso l’ospedale di Salerno dove è deceduto questa mattina. Il prelato, professore di filosofia e psicologia, persona amabilissima e di grande spessore culturale, è stato preside all’Università pontificia salesiana e poi, direttore anche dell’Istituto salesiano di Caserta.

Salesiano dal 1965, ha frequentato la Facoltà di Filosofia presso l’Università Salesiana di Roma ed ha conseguito il dottorato in psicologia nel 1970, dopo aver seguito al Policlinico di Vienna i corsi del prof. Viktor E. Frankl, fondatore della “Terza Scuola Viennese di Psicoterapia”, nota in tutto il mondo come “logoterapia e analisi esistenziale”. Dopo aver vissuto un anno a Soverato e un anno a Salerno come animatore degli studenti collegiali ha iniziato gli studi di teologia a Vienna nel 1972 e li ha proseguiti a Roma fino al 1975, quando è stato ordinato sacerdote da Paolo VI in Piazza S. Pietro il 29 giugno 1975. Dopo essere stato vicepreside e insegnante di Storia e Filosofia al Liceo Classico dell’Istituto Salesiano di Napoli-Vomero e Vicario del Direttore della comunità Salesiana di Salerno ha effettuato gli studi di specializzazione in teologia morale presso l’Università Gregoriana e l’Alfonsianum di Roma.

Quindi ha affiancato dal 1978 al 1980 il Delegato Ispettoriale della Pastorale Giovanile dell’Italia Meridionale. Nel 1980 è stato inviato a Locri per collaborare all’animazione della Pastorale Giovanile della Diocesi di Locri-Gerace. Nel 1984, essendo stato inscritto all’Ordine dei Giornalisti come Pubblicista, è stato chiamato a Roma per dirigere l’Ufficio Stampa della Direzione Generale della Congregazione Salesiana. Dal 1986 ha iniziato a insegnare all’Università Salesiana dove è stato docente di “psicologia della religione” e di “Deontologia professionale” fino al 2008. Negli stessi anni ha insegnato “Psicologia della religione” presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università di Urbino, presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma, presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, presso il Pontificio Ateneo “Antonianum”, presso la Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA, presso l’Istituto di Scienze religiose di Frosinone.

Nel 2008 ha tenuto il corso di Deontologia professionale anche presso la Facoltà di Psicologia1 dell’Università “La Sapienza” di Roma. Dal 1994 al 2001 è stato Direttore dell’Istituto di Psicologia e dal 2001 al 2002 Preside della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Salesiana. Dal 2005 al 2009 è stato membro della Commissione Deontologica dell’Ordine degli Psicologi del Lazio. Dopo aver trascorso un anno a Caserta e due anni a Locri, nel settembre 2011 è ritornato a Roma dove ha ripreso la docenza all’Università Salesiana, all’Università Europea di Roma e all’Istituto di teologia della Vita Consacrata Claretianum.

Nell’anno accademico 2012-2013 ha insegnato al Camillianum (Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria), alla Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo, all’Istituto Monastico della Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo, alla Facoltà di Bioetica del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, all’Istituto Teologico Calabro “S. Pio X” di Catanzaro della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, al Pontificio Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense, al Corso di Studi in Scienze e tecniche psicologiche del Dipartimento di Scienze Umane della Libera Università Maria Ss. Assunta.

Aiuto concreto allo sportello lavoro dell’Oratorio Salesiano San Luigi

LA STAMPA, edizione del 27 Giugno 2018. Articolo a cura di Lidia CATALANO

Info sullo Sportello Lavoro

Bilancio sulle povertà e sulle politiche antidroga in Italia

Su segnalazione di Don Domenico Ricca, Delegato dell’Emarginazione e Disagio e Presidente Comitato Interregionale SCS/CNOS, si pubblicano qui di seguito due approfondimenti.

Il primo circa il recente report di ISTAT sul 2017 riguardante la povertà in Italia, che delinea una situazione attuale drammatica: oltre 18 milioni di persone a rischio povertà o esclusione sociale, si stima in aumento sia l’incidenza di individui a rischio di povertà (20,6%, dal 19,9%) sia la quota di famiglie gravemente deprivate (12,1% da 11,5%) e quelle a bassa intensità lavorativa (12,8%, da 11,7%).

Il secondo focus presenta un bilancio sulle politiche antidroga in Italia, alla luce di quanto emerge dalla nona edizione nono Libro Bianco sulle Droghe presentato al Senato e redatto dalla Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cnca, Cgil, associazione Luca Coscioni con l’adesione di Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd, LegaCoopSociali e Lila. Un testo che rileva un aumento della popolazione carceraria e denuncia gli effetti della repressione in termini di carcerazione.

Buona Lettura!

Istat – 26 giugno 2018

La povertà in Italia Report sul 2017

Le stime diffuse in questo report si riferiscono a due distinte misure della povertà: assoluta e relativa, che derivano da due diverse definizioni e sono elaborate con metodologie diverse, utilizzando i dati dell’indagine campionaria sulle spese per consumi delle famiglie.

Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui.
L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%). Due decimi di punto della crescita rispetto al 2016 sia per le famiglie sia per gli individui si devono all’inflazione registrata nel 2017. Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005.

Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord.

L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%).

A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%). Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%.

Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente).
Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016.

Si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza raggiunge il 34,5%, con forti differenziazioni sul territorio (29,3% al Centro, 59,6% nel Mezzogiorno).

Redattore Sociale, 26 giugno 2018

L’aumento della popolazione carceraria e il ruolo delle politiche repressive di
nuovo in primo piano. “I pesci piccoli continuano ad aumentare, mentre i consorzi
criminali restano fuori dai radar della repressione penale”

Libro bianco droghe: “Torna il carcere, serve cambiamento politico e legislativo”

Nona edizione del dossier curato dalle associazioni presentato oggi al Senato.

ROMA – Crescono le presenze in carcere per violazione della legge sulle droghe, un detenuto su 4 è tossicodipendente e ancora oggi si fa riferimento ad un testo di legge di ben 28 anni fa. A fare il bilancio sulle politiche antidroga in Italia, anticipando nuovamente la Relazione governativa al Parlamento del Dipartimento politiche antidroga, è il nono Libro Bianco sulle Droghe presentato oggi al Senato e redatto dalla Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cnca, Cgil, associazione Luca Coscioni con l’adesione di Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd, LegaCoopSociali e Lila. Un testo che ancora una volta lancia l’allarme in primo luogo sugli effetti della repressione in termini di carcerazione.

Questo libro bianco – scrivono nell’introduzione Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà delle Regioni Lazio e Umbria e coordinatore dei Garanti territoriali, e Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana -, ci racconta del ritorno dell’affollamento penitenziario e del ruolo che, in esso, gioca ancora una volta la legislazione proibizionista in materia di droghe”.

Un carcere pieno di pesci piccoli. Secondo i dati raccolti dal Libro bianco, nel 2017, oltre 14 mila ingressi in carcere su 48 mila totali sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Si tratta di poco meno del 30 per cento degli ingressi in carcere. Al 31 dicembre 2017, invece, sono quasi 13,8 mila i detenuti presenti in carcere a causa del solo art. 73 del Testo unico, “sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio”, chiariscono gli autori. Poco meno di 5 mila detenuti sono in carcere anche per l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), ma solo 976 sono detenuti esclusivamente per l’art. 74. “Mentre questi ultimi rimangono sostanzialmente stabili, aumentano dell’8,5 per cento i detenuti per solo art. 73 – continua il Libro bianco -. Si tratta complessivamente del 34 per cento del totale. I pesci piccoli continuano ad aumentare, mentre i consorzi criminali restano fuori dai radar della repressione penale”.

Ad aumentare, secondo il dossier, sono anche i tossicodipendenti. Nel 2017 sono più di 14 mila, ovvero il 25 per cento circa del totale. Preoccupante, tra questi ultimi, l’impennata degli ingressi in carcere, che toccano un nuovo record: il 34 per cento dei soggetti entrati in carcere nel corso del 2017 era tossicodipendente.

Un dato positivo arriva dalle misure alternative. Negli ultimi anni, infatti, i numeri sono in lieve e costante crescita. “Il fatto che il trend prosegua oltre la inversione di tendenza nella popolazione detenuta databile dal 2016 lascia ben sperare per una autonomia delle misure penali di comunità – si legge nel Libro bianco -. Restano marginali le misure alternative dedicate: 3.146 sono i condannati ammessi all’affidamento in prova speciale per alcool e tossicodipendenza su 14 mila detenuti tossicodipendenti”. In crescita anche i dati che riguardano le segnalazioni ex art. 75, relative al possesso di sostanze stupefacenti per uso personale, soggette a sanzioni di tipo amministrativo.

Continuano ad aumentare le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite – si legge nel Libro bianco – : da 27.718 del 2015 a 38.613 del 2017: +39 per cento (+18 per cento rispetto al 2016). Si conferma l’impennata delle segnalazioni dei minori che quadruplicano rispetto al 2015. Aumenta sensibilmente anche il numero delle sanzioni: da 13.509 nel 2015 a 15.581 nel 2017: +15 per cento (+18 per cento rispetto al 2016)”.

Per gli autori del dossier, inoltre, risulta “irrilevante la vocazione terapeutica della segnalazione al Prefetto: su 35.860 persone segnalate solo 86 sono state sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario”. Dieci anni prima erano ben 3 mila. Anche le sanzioni amministrative crescono: riguardano il 43,45 per cento dei segnalati, percentuale in aumento rispetto all’anno precedente. Secondo i dati raccolti dal Libro bianco, però, la repressione colpisce per quasi l’80 per cento i consumatori di cannabinoidi. Seguono a distanza quelli di cocaina (14 per cento) e ancora meno sono quelli di eroina (4,8 per cento). In maniera irrilevante, infine, le altre sostanze. Dal 1990, quindi, oltre 1,2 milioni di persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale. Per Anastasia e Corleone, si tratta di “una inutile macchina sanzionatoria che ingolfa uffici amministrativi e di polizia – concludono -. Ce n’è quanto basta per continuare a chiedere un cambiamento politico, culturale e legislativo che rimetta l’Italia tra le nazioni che stanno cercando e sperimentando vie nuove per la prevenzione dei rischi dell’abuso di droghe e della loro proibizione”.

Amazzonia: periferia del mondo o paradiso terrestre? Il Diario di Viaggio di Missioni Don Bosco

Il presidente di Missioni Don Bosco, Giampietro Pettenon, sta rientrando in sede dopo il suo viaggio in Brasile per la visita alle comunità salesiane in Amazzonia. Ecco un’anteprima del suo diario di viaggio:

Viaggio missionario in Amazzonia

DA MANAUS A IAUARETÊ, PASSANDO PER SAO GABRIEL DE CACHOEIRA

“Stiamo andando alla periferia del mondo
e sembra di essere nel paradiso terrestre”

Lungo il percorso vediamo numerose comunità indigene nei piccoli villaggi
In tutti spiccano in mezzo al verde la cappella e l’edificio scolastico

Cari amici,

siamo sbarcati a Manaus, capitale dell’Amazzonia, dopo un lungo viaggio da Torino. Come capita spesso, quando si visita un capoluogo non possiamo avere percezione della vita reale delle zone interne, di coloro che vivono nelle lontane periferie.

Manaus ha circa tre milioni di abitanti, è completamene circondata dalla foresta amazzonica e si trova sulla sponda destra del Rio Negro che arriva da nord (le acque sono limpide, ma scure) in prossimità della sua confluenza con il Rio Branco che arriva da ovest (le cui acque sono di colore chiaro, sabbiose e quindi sempre torbide e limacciose, ambiente ideale per i coccodrilli) e subito dopo vi confluisce il Rio Medeira che viene da sud (con acque color marrone, come il legno). I tre fiumi formano, da Manaus all’oceano Atlantico, il grande Rio delle Amazzoni.

A Manaus i salesiani hanno numerose opere educative, ma soprattutto da questa città coordinano il lavoro delle opere missionarie fra gli indigeni dell’Amazzonia. La nostra destinazione è proprio una di queste opere missionarie: Iauaretê, all’estremo confine occidentale del Brasile, proprio di fronte al confine con la Colombia.

Per avvicinarci alla nostra meta dobbiamo prendere un altro volo aereo, fino a Sao Gabriel de Cachoeira (cachoeira significa “cascata”). Anche a Sao Gabriel ci sono i salesiani, da ben 103 anni: sono infatti arrivati nel 1915. La cittadina si sviluppa intorno al nucleo storico di edifici che furono il collegio salesiano e la sua grande chiesa, che oggi è la cattedrale della diocesi. I primi vescovi erano tutti salesiani, perché questa parte dell’Amazzonia – la regione dell’alto Rio Negro – è stata conformata dalla presenza dei Figli di Don Bosco. A Sao Gabriel si arriva solo per via fluviale risalendo il fiume con il battello in tre giorni di viaggio, oppure con l’aereo che la collega a Manaus due volte la settimana. Sao Gabriel è l’ultima, o la prima, cittadina indigena di questo immenso territorio pieno d’acqua e di vegetazione lussureggiante.

Per partire verso Iauarete dobbiamo aspettare il giorno successivo. Poiché il tempo ordinario di viaggio in barca sul fiume è di dodici ore, bisogna partire al mattino appena albeggia per essere sicuri di arrivare prima che faccia buio, la sera. Viaggiare di notte sul fiume infatti è troppo pericoloso perché non si vedono i tronchi, le rocce affioranti, i gorghi d’acqua e si rischia molto: se non in casi estremi, il viaggio si deve fare sempre alla luce del sole. Sole che picchia fortissimo, anche se non lo avverti finché corri sull’acqua e la brezza ti inganna con la sua frescura. Ma siamo all’Equatore, siamo in mezzo all’acqua che riverbera ulteriormente i raggi solari. Se non ci si copre completamente come nel deserto, alla sera i lembi di pelle esposti al sole sono rossi come peperoni e il riposo notturno ne viene compromesso.

Il viaggio in barca per tutto il giorno è per se stesso un’esperienza unica e per molti versi, straordinaria. Sveglia al mattino alle 5, veloce colazione e trasporto sul porticciolo dove ci aspetta la barca. Carichiamo i bagagli, le taniche di benzina e l’olio per il motore, qualche pacco di materiale per l’oratorio, e via!

In un attimo il pilota della barca – il signor Adifino, un indigeno di Iauarete che conosce il fiume come le proprie tasche – manda il motore a tutta velocità e noi scivoliamo velocissimi sulle acque controcorrente, saltando sulle creste delle onde. I primi cinque minuti sono di panico perché non capisci se al prossimo salto ti troverai sbalzato fuori dalla barca. Ma poi, un po’ ci si abitua e un po’ le acque si calmano, e procediamo verso la meta.

Risaliamo il Rio per circa un’ora fino alla prima tappa, che si rivela molto breve. Stiamo entrando nella zona esclusivamente indigena, l’esercito controlla l’accesso al fiume e verifica che abbiamo il permesso per entrare. Il controllo super veloce quando padre Roberto Cappelletti comunica al militare che siamo tutti salesiani ed andiamo alla missione. Un sorriso, un saluto con la mano e via di nuovo a tutta velocità con la barca che sfreccia a pelo d’acqua.

 

La Voce E Il Tempo: arriva la nuova rubrica che dà voce ai penitenziari torinesi

Il prossimo numero de “La Voce e il Tempo” del 24 Giugno 2018 sarà arricchito da una nuova rubrica, a cura di Marina Lomunno, che darà spazio e “voce” a chi quotidianamente vive, a diverso titolo, dietro le sbarre.

Ecco l’articolo di presentazione:

 

NUMERO, NELLA FESTA LITURGICA DI SAN CAFASSO PATRONO DEI DETENUTI,
IL NOSTRO GIORNALE DÀ VOCE AI PENITENZIARI TORINESI

CARCERE
Giulia di Barolo torna dietro le sbarre

«Il Cafasso raccomandava ai volontari ‘di dimostrare stima ai detenuti, di trattarli bene, da galantuomini, con dolcezza e carità, senza offendersi se maltrattati, e soprattutto senza mai denunciarli ai custodi per comportamenti scorretti’». Giuseppe Tuninetti, San Giuseppe Cafasso, Elledici, Biografie, Torino 2010) .
Il giornale inaugura questa settimana la rubrica «La Voce dentro» perché il 23 giugno la Chiesa ricorda, nella liturgia, san Giuseppe Cafasso, «il prete della forca», come ricorda il monumento a lui dedicato al «rondò» di corso Regina, crocicchio delle opere dei santi sociali torinesi (don Bosco, Cottolengo, Murialdo, Giulia e Tancredi di Barolo…). Con queste pagine il nostro giornale desidera entrare «dentro» le carceri torinesi («Lorusso e Cutugno» e «Ferrante Aporti») e dare «Voce» a chi vive dietro le sbarre a diverso titolo.

I detenuti innanzi tutto, ma anche gli agenti penitenziari, i volontari, gli educatori, i diversi operatori, i cappellani, l’amministrazione, la direzione: insomma tutto l’ambiente carcerario che più volte il nostro Arcivescovo e i suoi predecessori hanno indicato come «uno spicchio della nostra comunità diocesana» e, come tale, parte integrante delle nostre attenzioni pastorali. La nostra rubrica sarà aperta ai contributi di tutti coloro che hanno a cuore il reinserimento nella società dei ristretti – e, se credenti, il dettato evangelico «ero carcerato e siete venuti a trovarmi».

Vogliamo sottolineare questo collegamento con san Giuseppe Cafasso perché egli non fu soltanto un «cappellano dei carcerati» ma anche un maestro del clero, ispiratore di quelle idee e di quelle intuizioni a cui tutti i santi sociali, a cominciare da don Bosco, diedero attuazione.

«Prete della forca» perché accompagnava al patibolo i condannati a morte confortandoli col messaggio di speranza del Vangelo; prete dei più disperati, i detenuti delle prigioni senatorie torinesi, con cui il Cafasso teologo «prete colto» e formatore di sacerdoti trascorreva gran parte delle sue giornate a confortare e, come scrivono i biografi , «trattenendosi fino a tarda notte a confessarli o ad asciugare le loro lacrime». Per questo il 9 aprile 1948 papa Pio XII proclamò Giuseppe Cafasso patrono dei carcerati.

Dicevamo dell’influenza che san Cafasso ebbe nell’ispirare i santi sociali torinesi: fu lui che invitò don Bosco a frequentare «La Generala», oggi il carcere minorile «Ferrante Aporti» dove il santo dei giovani maturò l’idea del «sistema preventivo». E fu proprio il Cafasso il confessore della marchesa Giulia Falletti di Barolo che, insieme al marito Tancredi, poi sindaco di Torino, fece del loro Palazzo un centro di accoglienza e riscatto per «gli scarti della città». Alla marchesa in particolare stavano a cuore i carcerati: narrano i biografi che era tormentata dalle urla delle prigioniere delle carceri senatorie, quelle frequentate dal Cafasso. Giulia si fa nominare Sovrintendente delle carceri delle Forzate, dove riunisce solo le donne, riuscendo a conquistare la loro fiducia, operando per il loro recupero. E di lì la sua opera a favore della dignità dei detenuti che versavano in condizioni penose non si fermò facendo diventare il Palazzo un punto di riferimento per il reinserimento delle recluse nella società.

E proprio in questi giorni, dopo 150 anni, nello spirito di Giulia, l’Opera Barolo è rientrata in carcere: martedì 29 maggio. L’Arcivescovo, attuale presidente dell’Opera (che sulle orme dei marchesi continua ad operare per la promozione delle fasce più deboli della città), ha convocato per la prima volta nella sua storia il Consiglio di amministrazione presso la Casa Circondariale «Lorusso e Cutugno». «Il nostro progetto, fortemente voluto da mons. Nosiglia, è quello di collaborare con le istituzioni per accelerare i processi di reinserimento dei detenuti» spiega Tiziana Ciampolini, delegata del Distretto sociale dell’Opera Barolo (la «cittadella» fondata dai marchesi nel 1829 e che oggi opera in collaborazione con agenzie del Terzo Settore e con gli Enti locali) «per gli interventi nei penitenziari cittadini nella convinzione – come detta la Costituzione che il carcere, extrema ratio, deve essere luogo dove la pena ha funzione riabilitativa. Per questo abbiamo chiamato i nostri interventi ‘Progetto di giustizia di Comunità’ dove la comunità si attiva tra carità e giustizia. In sinergia con l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) sperimenteremo collaborazioni con la rete del mondo del sociale di reinserimento lavorativo, aggregativo per far sentire i detenuti e le detenute una risorsa e non un peso».

«Sono lieto che l’Opera Barolo si sia attivata in questo campo così caro a Giulia che ha sorpreso i suoi amici e concittadini del suo tempo in quanto lei nobile e ricca frequentava le carceri soprattutto femminili subendo anche tante umiliazioni da quelle poverette che vivevano in un ambiente disumano» precisa mons. Nosiglia. «Il suo obiettivo, che è anche oggi il nostro impegno, è salvaguardare e promuovere la dignità della persona che, certo, ha sbagliato, ma ha il diritto di potersi riscattare, per ritrovare vie dicambiamento a servizio della comunità. L’impegno dell’Opera Barolo insieme alla Città, alla Caritas, ai cappellani del carcere e all’amministrazione penitenziaria sarà dunque quello di attivare misure alternative per l’esecuzione penale, con un proficuo accompagnamento dei detenuti per un reinserimento sociale, mediante disponibilità di alloggi e di lavoro. Ci auguriamo che le comunità cristiane e civili della città siano solidali con questo progetto accogliendo le persone con rispetto amore».

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India: il salesiano, Padre George, lancia una tempesta di preghiere in Paradiso per la pace in Yemen

Con preoccupazione seguo la sorte drammatica delle popolazioni dello Yemen, già stremate da anni di conflitto…”. Le parole del Papa dopo la recita dell’Angelus di domenica scorsa hanno focalizzato l’attenzione su un Paese stremato da oltre tre anni di guerra civile, che ha causato circa 15.000 vittime e che ha costretto alla fuga più di tre milioni di persone: praticamente oggi uno yemenita su 8 vive lontano dalla propria casa. Nel Paese hanno servito come missionari per diversi anni anche i Salesiani dell’Ispettoria indiana di Bangalore, che oggi rilanciano l’invito del Papa alla preghiera in favore della popolazione yemenita.

È don George Muttathuparambil, attuale Ispettore di Bangalore, a manifestare tutta la gravità della situazione e l’urgenza della preghiera. “Questa guerra è ingiusta. Le persone soffrono in modo atroce” racconta il Salesiano.

“Ho visto l’orrore della guerra in Yemen. Dobbiamo pregare per la pace”, prosegue, rilanciando così l’appello di Papa Francesco e di mons. Paul Hinder, il Vicario apostolico dell’Arabia meridionale – che si estende su Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen – che aveva a sua volta rinnovato, nella giornata di lunedì 18 giugno, l’appello del Pontefice.

Il Paese mediorientale don Muttathuparambil lo conosce bene: vi è stato dal 2010 al 2016, dapprima a Hodeidah e poi a Taiz. Era lì quando, il 4 marzo del 2016, presso Aden, un gruppo islamista rapì dalla casa per anziani delle Missionarie della Carità il suo confratello don Tom Uzhunnalil, massacrando anche quattro religiose e altre 12 persone. Viste le pericolose condizioni nel Paese, il 30 marzo 2016 il sacerdote è stato costretto a lasciare la missione per fare ritorno in India, ma attende di tornare al servizio della popolazione yemenita.

La vicinanza spirituale alla popolazione dello Yemen i Salesiani di Bangalore la esprimeranno, in particolare, nella giornata di sabato prossimo: “Il 23 giugno – spiega don Muttathuparambil – offriremo una Messa e un’adorazione eucaristica in solidarietà [con la popolazione]. Insieme alla mia comunità, tempesterò il Paradiso [di preghiere] per la pace in Yemen. Preghiamo Dio affinché egli intervenga e porti giustizia e pace”.

Conclude, infine il religioso: “La situazione è molto grave, le persone hanno bisogno di cibo, acqua, medicine. Tutto è stato distrutto. Ci uniamo a mons. Hinder nella preghiera. Egli è molto preoccupato per la regione e per i cristiani che vivono nelle quattro parrocchie” – Sana’a, Taiz, Hodeidah e Aden.

(Articolo tratto da ANS – Agenzia Info Salesiana)

Si riporta, qui di seguito, la notizia di Asianews.it a cura di Nirmala Carvalho, che riporta la testimonianza di Padre George Muttathuparambil, superiore provinciale dei salesiani a Bangalore, in Karnataka, il quale ha svolto in Yemen la sua missione fin dal 2010.

Salesiano indiano:
“Ho visto l’orrore in Yemen. Preghiamo per la pace”

P. George Muttathuparambil è il superiore provinciale dei salesiani a Bangalore, in Karnataka. Nel 2016 era in Yemen quando un gruppo islamista ha rapito p. Tom Uzhunnalil e massacrato quattro suore di Madre Teresa. “Questa guerra è ingiusta. Le persone soffrono in modo atroce”.

Mumbai (AsiaNews) – Ho visto l’orrore della guerra in Yemen. Dobbiamo pregare per la pace. Lo dice ad AsiaNews p. George Muttathuparambil, salesiano indiano e superiore provinciale di Bangalore, in Karnataka. Accogliendo l’appello di papa Francesco, che all’Angelus del 17 giugno ha invocato la pace in Yemen, e a mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), che ieri ha fatto altrettanto, il sacerdote sostiene: “La sofferenza delle persone è inimmaginabile. Il 23 giugno offriremo una messa e un’adorazione eucaristica in solidarietà [con la popolazione]. Insieme alla mia comunità, tempesterò il Paradiso [di preghiere] per la pace in Yemen”.

P. Muttathuparambil conosce bene lo Yemen, dove ha svolto la sua missione fin dal 2010. Nel Paese arabo le Missionarie della Carità gestivano quattro parrocchie a Sana’a, Taiz, Hoddai e Aden. Egli si trovava nella chiesa di Taiz quando il 4 marzo 2016, nel mezzo dell’escalation della guerra, un gruppo islamista rapiva p. Tom Uzhunnalil, suo confratello [poi liberato nel settembre 2017, ndr], e massacrava quattro suore di Madre Teresa nella casa per anziani di Aden. Di quel tragico giorno ricorda: “Sister Sally [unica sopravvissuta al massacro, ndr] mi ha telefonato. Piangeva, e intanto diceva che i corpi di quattro missionarie giacevano in terra nel recinto nella casa, mentre p. Tom era disperso. A quel punto ho chiamato subito mons. Hinder, la casa generalizia delle missionarie a Calcutta e la casa provinciale dei salesiani a Bangalore e li ho informati di quanto accaduto. In seguito qualcuno mi ha riferito che p. Tom era stato portato via”.

Viste le pericolose condizioni nel Paese, il 30 marzo 2016 il sacerdote ha lasciato la missione per fare ritorno in India e qui ancora attende di tornare al servizio della popolazione yemenita. “Persone innocenti soffrono in modo atroce – sostiene –. Questa è una guerra ingiusta, preghiamo Dio affinché egli intervenga e porti giustizia e pace. La situazione è molto grave, le persone hanno bisogno di cibo, acqua, medicine. Tutto è stato distrutto”.

Secondo le ultime stime, il conflitto ha provocato oltre 10mila vittime e a rischio vi è la vita di almeno 250mila persone. P. Muttathuparambil conclude: “Ci uniamo a mons. Hinder nella preghiera. Egli è molto preoccupato per la regione e per i cristiani che vivono nelle quattro parrocchie”.

(Articolo tratto da AsiaNews.it)

“Dare il meglio di sé”: nuovo documento vaticano sulla visione cristiana dello sport e della persona

Il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita consegna alla comunità degli sportivi un Documento utile alla “costruzione di un sport umano e sempre più autentico”.

L’attenzione per lo sport non è nuova alla Chiesa, che ha sempre manifestato un particolare riguardo verso tutte le attività che hanno al centro la persona. In questo senso il titolo del Documento è rivelatore dell’essenza e della ragione dell’interesse e dell’impegno della Chiesa verso lo sport.

Al centro vi è infatti l’essere umano, nella sua unicità fatta di corpo e spirito; vi è il bisogno che ogni sua attività, compresa quella sportiva, sia sostenuta da un corredo di virtù e buone qualità, che gli permettano di elevarsi e mai di cadere nei pericoli che possono insidiare ogni umana attività.

Il primo concetto richiamato non a caso è quel “fare del proprio meglio” che Papa Francesco ha più volte citato in molti suoi discorsi, invitando soprattutto i giovani a “non accontentarsi di un pareggio” nella vita.

Lo sport poggia su questo valore dell’impegno, del sacrificio, sull’idea di superare i propri limiti lavorando  duramente, senza imbrogliare, inseguendo la vittoria – ma non a tutti i costi – e, al tempo stesso, imparando a gestire la sconfitta senza farsi abbattere.

Le cinque sezioni che compongono il documento non hanno l’ambizione di comprendere ogni aspetto del variegato comporsi dell’attività sportiva, ma vogliono offrire una prospettiva cristiana dello sport, rivolgendosi a chi lo pratica, a chi vi assiste come spettatore, a chi lo vive come tecnico, arbitro, allenatore, alle famiglie, ai sacerdoti e alle parrocchie.

Il primo capitolo spiega le ragioni dell’interesse della Chiesa verso lo sport e della necessità di una pastorale sportiva, ricordando che questo rapporto poggia su tre pilastri: lo sforzo fisico necessario perché l’atleta possa esprimersi, le qualità morali che devono supportare il suo impegno, il desiderio di pace, fratellanza e solidarietà che lo sport deve aiutare a diffondere.

Nel secondo capitolo il Documento traccia le linee salienti del fenomeno sportivo e la sua contestualizzazione nella società attuale: sport come una sorta di costante antropologica e come fenomeno universale compatibile con quasi tutte le culture.

Nel terzo capitolo è approfondito il tema del significato dello sport per la persona. Si parte da considerazioni su temi già noti al dibattito cattolico sullo sport (corpo-anima-spirito) per allargare la prospettiva di analisi ad alcune qualità insite nello sport; sentimenti che fanno parte del Dna sportivo e che spesso vengono dimenticati: lo spirito di sacrificio, il senso di responsabilità, il rispetto delle regole, la capacità di lavorare in squadra, la gioia, il coraggio, la solidarietà, l’armonia.

Il quarto capitolo è dedicato alle sfide aperte, al desiderio di contribuire attraverso lo sport alla promozione di valori autentici, che possano fornire a ciascuno sportivo un patrimonio per sconfiggere i molti pericoli che lo sport moderno si trova sovente ad affrontare, come il doping, la corruzione e il tifo violento.

Il quinto e ultimo capitolo è dedicato al ruolo della Chiesa come protagonista in questo percorso di umanizzazione attraverso lo sport. In casa, in famiglia, a scuola, in palestra, in parrocchia: sono tanti i luoghi in cui si esprime una pastorale dello sport che vuole sviluppare in ciascun soggetto, praticante o spettatore, quel corredo di buone qualità e virtù che caratterizzano un bravo sportivo, un bravo cittadino e un bravo cristiano.

La formazione professionale salesiana nel mondo è uno spot su La7

Nell’ambito delle cosiddette “Settimane Sociali” che si terranno, dal 17 al 30 giugno, l’emittente nazionale La7 trasmetterà uno spot televisivo circa l’attività di formazione professionale che i salesiani realizzano in tutto il mondo: il cuore della comunicazione di Missioni Don Bosco. Lo spot offre una carrellata di riprese effettuate in tutto il mondo e conservate nella fototeca e nella videoteca di Missioni Don Bosco.

L’attività educativa dei Figli di Don Bosco comprende fin dalle origini una particolare attenzione all’insegnamento di competenze tecniche, rivolta soprattutto ai ragazzi in difficoltà nei loro percorsi scolastici o decisamente esclusi da questi. Nei Paesi di missione, le scuole di formazione professionale costituiscono una delle migliori opportunità per guadagnare capacità spendibili nei processi di sviluppo agricolo, artigianale e industriale.

L’inserimento nelle scuole, spesso integrato con servizi di ospitalità per chi abita lontano o presenta difficoltà economiche, permette agli allievi di perseguire i loro obiettivi esistenziali, di gettare le basi per il loro futuro lavorativo.

L’azione educativa, che completa i percorsi scolastici, costituisce nei Paesi più poveri una potente azione di contrasto ai pericoli di diversa natura in cui possono incorrere i giovani. Trovandosi spesso in situazioni estreme, i salesiani intervengono anche per la cura e per la prevenzione contro il consumo di droghe e l’inserimento nelle reti di distribuzione di queste, contro le organizzazioni di ingaggio nella prostituzione e in bande armate, contro la messa in schiavitù e l’espianto di organi.

Missioni Don Bosco sostiene numerosi progetti di gestione di queste scuole, affidate a operatori che mirano – beninteso – a raggiungere condizioni di autosostentamento anche in Africa, Asia, Sud America. Non mancano tuttavia emergenze derivanti dai fenomeni naturali (eruzioni vulcaniche, alluvioni, siccità), dai conflitti armati, dallo sfruttamento dissennato dei territori, da politiche sbagliate dei governi: anche in questi casi l’aiuto finanziario e l’invio di beni fanno parte del sostegno che Missioni Don Bosco eroga grazie ai suoi sostenitori.

Arriva il nuovo numero di MondoErre

Il numero di giugno e luglio 2018 della rivista per ragazzi “Mondoerre”, ecco le anticipazioni di questa edizione:

Siemens Italia e Cnos-Fap insieme per formare nuovi profili professionali 4.0

Si pubblica, qui di seguito, la notizia pubblicata dalla rivista specializzata, BM BeverageMachines, riguardante l’accordo stretto tra Cnos-Fap e Siemens Italia finalizzato alla formazione per i tecnici e gli imprenditori del futuro.

Firmato l’Accordo di collaborazione tra Siemens Italia e CNOS-FAP, con obiettivo lo sviluppo delle conoscenze e competenze tecnico-professionali di Industria 4.0 per studenti e insegnanti.

Tra le sfide lanciate dall’Industria 4.0 c’è la richiesta di professionisti formati e qualificati non solo sulle tecnologie di automazione ma anche sulla digitalizzazione e sull’integrazione del software industriale e dell’Information Technology, quali fattori chiave per la competitività: su queste basi si fonda l’Accordo di collaborazione tra Siemens Italia, azienda che si distingue per eccellenza tecnologica, innovazione, qualità, affidabilità e focalizzata nelle aree dell’elettrificazione, dell’automazione e della digitalizzazione, e la Federazione CNOS-FAP, Associazione che coordina i Salesiani d’Italia impegnati a promuovere un servizio di pubblico interesse nel campo dell’orientamento, della formazione professionale, dei servizi al lavoro a favore di giovani, adulti e operatori.
Attraverso attività in grado di coniugare le finalità educative del sistema Istruzione e Formazione con le nuove esigenze del mondo produttivo, l’Accordo si pone l’obiettivo di migliorare le conoscenze e le competenze tecnico-professionali ed operative di studenti e insegnanti, in particolar modo nel settore delle macchine utensili a controllo numerico e dell’automazione industriale, nella prospettiva di facilitare l’inserimento dei primi nel mondo del lavoro e tenere costantemente aggiornati i secondi.
Numerose sono quindi le iniziative e le risorse che Siemens Italia e CNOS-FAP mettono a disposizione per formare i tecnici e gli imprenditori del futuro – dalle attività di formazione per gli studenti e di aggiornamento per i docenti, all’elaborazione di corsi didattici specifici e coerenti con i nuovi profili professionali 4.0, ad incontri con il mondo dell’impresa allo scopo di creare collaborazioni più estese, ad attività di alternanza scuola-lavoro, importantissime per rispondere alle esigenze degli studenti e di un mercato del lavoro e delle professioni in rapida evoluzione.