La Basilica sognata da don Bosco
Si segnala l’articolo a cura di Marina Lomunno pubblicato in data 24 Maggio 2018 su “Avvenire“:
Maria Ausiliatrice, ha 150 anni la Basilica sognata da don Bosco
Don Artime: aperti all’accoglienza dei giovani più fragili
Oggi è la festa liturgica di Maria Ausiliatrice, tra le celebrazioni religiose più partecipate dai torinesi che ogni anno, il 24 maggio, si uniscono idealmente alla Famiglia salesiana sparsa in 132 Paesi del pianeta, è particolarmente solenne: nelle Messe che da questa mattina alle 7 si susseguono ogni ora e questa sera, durante la processione con la statua della Vergine per le vie di Valdocco, viene ricordato il 150° di fondazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. La chiesa, voluta da don Bosco in seguito al “celebre” sogno in cui la Madonna lo invitava a costruire a Valdocco “la sua casa” che divenne poi Casa Madre della Congregazione Salesiana e centro propulsore del metodo preventivo del santo dei giovani che la inaugurò e consacrò il 9 giugno 1868. E proprio sabato 9 giugno alle 10, in Basilica, con una Messa presieduta da monsignor Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra, si concluderanno ufficialmente le celebrazioni per il 150°, un fitto calendario di incontri, tra cui la visita compiuta a Valdocco dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti dello scorso 9 marzo.
Stamani alle 11 è in programma la concelebrazione presieduta dall’arcivescovo di Torino monsignor Cesare Nosiglia con il rettor maggiore dei salesiani don Ángel Fernández Artime che alle 20.30 guideranno la processione. «La festa di Maria Ausiliatrice in quest’anno speciale – riflette don Enrico Stasi, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta per noi salesiani è stata l’occasione per rivalutare i sogni di don Bosco a cui la Madonna, nella Torino dell’Ottocento, affidò in particolare la cura dei giovani più poveri, il nostro campo di lavoro. Sono i ragazzi e le ragazze a cui don Bosco dedicò tutta la vita e che oggi ci vengono riconsegnati, giovani che a Torino, oggi, in una città con un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 40% non è così lontana dalla realtà dove operava il nostro fondatore. C’è poi la dimensione ecclesiale: celebrare il culmine del 150° della fondazione della Basilica nei giorni in cui papa Francesco ha istituito la festa di Maria Madre della Chiesa stimola la famiglia salesiana a riappropriarsi del significato profondo della nostra fede mariana per ravvivare un nuovo impegno di carità che, sull’esempio dell’Ausiliatrice, si china sugli ultimi, su chi ha bisogno».
E i giorni della novena in preparazione alla festa nel 150° della Basilica sono stati caratterizzati da un altro “dono” speciale: la visita ispettoriale d’animazione del Rettor Maggiore don Artime alle opere e ai confratelli del Piemonte e della Valle D’Aosta: da Novara, per il 125° dell’Opera salesiana a Fossano per la benedizione del nuovo laboratorio di termoidraulica del Centro di Formazione professionale. E poi a Torino, a Valdocco per l’incontro con la Famiglia salesiana e i confratelli malati, nell’Opera San Paolo nel centenario di fondazione dove si accolgono minori stranieri non accompagnati e nella parrocchia salesiana del quartiere multietnico di San Salvario per l’apertura di un housing per giovani e l’inaugurazione di un nuovo laboratorio professionale per la riparazione di elettrodomestici rivolto ai neet, ragazzi che non studiano né lavorano. Il rettor maggiore nelle tappe della sua visita, richiamando l’invito alla concretezza e all’accoglienza che papa Francesco ha rivolto ai salesiani davanti alla Basilica di Maria Ausiliatrice il 21 giugno 2015 in occasione della visita a Torino per il Bicentenario di don Bosco, ha ripetuto: «Non è possibile dirsi cristiani e allo stesso tempo chiudere le porte. Non sono i politici a doverci dire cosa dobbiamo pensare sulle persone. Essere comunità cristiana e salesiana significa, in primo luogo, vivere con porte, mente e cuore aperti all’accoglienza delle diversità e dei giovani più fragili».
Di seguito, lo speciale su Maria Ausiliatrice che sarà in edicola Domenica 27 Maggio 2018 per La Voce E Il Tempo a firma di Gian Mario Ricciardi :
150 ANNI a Maria Ausiliatrice
È come immergersi in un mondo nuovo che non ha mai capovolto, come invece ha fatto la nostra società, i valori forti della vita. «…e il naufragar m’è dolce in questo mare». Il santuario di Maria Ausiliatrice brulica di gente; fuori finalmente il sole di una primavera bisbetica; sulla cupola quella statua dorata offre un abbraccio, universale ma discreto, nell’angolo delle meraviglie di Torino.
A poche centinaia di metri la Piccola Casa della Divina Provvidenza e il rondò della forca dove San Giuseppe Cafasso ha accompagnato tanti disperati; dietro la chiesa simboli, segni e case della grande famiglia ed avventura salesiana. La vita, la fede, il dono, la missione, l’impegno, la responsabilità. Penso ai cardini di una vita bella. Penso a tutti i Papi che ho inquadrato tra i banchi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco.
Rivedo gli arcivescovi che hanno guidato la sterminata processione del 24 maggio: Michele Pellegrino, Alberto Anastasio Ballestrero, Giovanni Saldarini, Severino Poletto, Cesare Nosiglia. Provo l’emozione di allora; sul sa-
grato le preghiere e i canti dolcissimi che trasformano per una sera Torino nella città della speranza.
Sì, perché, se ti fermi sotto un albero di corso Regina Margherita, vedi passare tutti i volti e le anime della città.
Maria Ausiliatrice, testimone silenziosa dei grandi momenti di una città difficile ma bella, complessa, laica, in questo spicchio di terra vicino alla Dora, ha visto camminare tanti santi e li vede ancora. Da fuori giungono le grida dei ragazzi dal cortile, luogo strategico per don Bosco: luogo di incontri, di confronto e di crescita. Mentre i politici, anche oggi, hanno lasciato lievitare la disoccupazione giovanile, lui, il santo giocoliere, andava a prendere i giovani in strada, come fanno ora i suoi. Ho un nodo in gola a ricordare quel prete, don Davide Durola, che ci ha rimesso la salute, dieci anni fa, per strappare dalle fogne i piccoli spacciatori di piazza Vittorio.
È cambiato il mondo; sono mutati i tempi, ma qui sono sempre un passo avanti. 1844: don Bosco, che sta ancora cercando una sede per il suo oratorio, sogna. «….vidi una chiesa piccola e bassa, un pò di cortile e giovani in gran numero..». Così la cappella Pinardi (la chiesa piccola), l’altra più grande ed infine Maria Ausiliatrice.
Sono passati 150 anni; ora è scrigno dei ricordi che stanno vicino a don Bosco, luce del futuro. Una chiesa nata dal coraggio di don Bosco e dalla sua grande devozione alla Madonna. La facciata richiama San Giorgio Maggiore a Venezia, del Palladio; sul campanile di destra l’arcangelo Gabriele, sull’altro l’arcangelo Michele, sul timpano le statue dei santi uccisi proprio qui; sull’attico San Massimo, primo vescovo di Torino, San Francesco di Sales e al centro, sotto il rosone, Gesù e i ragazzi.
Insomma, c’è tutto. E questo florilegio di messaggi e simboli ha seguito Torino sempre: nella miseria e nei drammi delle guerre, nel salvataggio degli ebrei al tempo delle leggi razziali, nei flussi delle grandi migrazioni (come oggi), nel consumismo e nella crisi.
Sì, Maria Ausiliatrice è un porto di terra. Da qui sono partiti i missionari per l’Argentina e 135 altre nazioni; da qui passano migliaia di salesiani impegnati sulle varie frontiere e nelle scuole, nei cinque continenti. Eppure, tutto è rimasto così semplice. C’è chi prega, chi aspetta di confessarsi, chi cerca un prete per confidargli le sofferenze della vita.
Ricordate i tre amori di don Bosco? La Madonna, l’eucarestia, l’amore al Papa. Ecco perché navigo in un mondo diverso mentre le auto e i bus, sul corso, sfrecciano veloci verso la periferia delle montagne olimpiche.
I social, l’ostentazione delle diversità, la famiglia naturale sgretolata, nessuna regola, nessun confine. Fuori, in strada, c’è questo.
Ma Maria Ausiliatrice e i cortili del Valdocco non sono affatto isole, anzi, ora sono un arcipelago che offre percorsi per trovare un lavoro con un mestiere in mano, come si diceva una volta; accoglie immigrati e li segue nell’inserimento nella società; ha per primo sperimentato le nuove figure che l’economia post crisi cerca. Quindi innovazione, fantasia, creatività e quel trovarsi a pregare il mattino, la sera e nelle ore più improbabili.
I «neet» cioè i giovani che né studiano né lavorano, con don Mergola a San Salvario, ripareranno lavatrici. Sono nella casa della Madre dei salesiani. Qui, don Bosco ha intrapreso la sua opera per e con i giovani, quelli di Torino prima, poi quelli del mondo. In Patagonia, a Rauwson, c’è un caseggiato che somiglia a quelli del Valdocco, c’è un cortile come questi. Una copia che hanno messo insieme donne e uomini partiti da qui. Incredibile, ma vero, perchè Rauwson è 430 chilometri a sud , verso la terra del fuoco, da Commodoro Rivadavia. Così in mille altre parti del mondo.
Eppure, chi giunge qui dal mondo, va ad inginocchiarsi davanti alla tomba di don Bosco e prega. Ora come 150
anni fa.. E per tutti ci sono le tappe di un pellegrinaggio reale e virtuale: l’ascolto della parola di Dio, la preghiera, la confessione, l’eucaristia, l’affidamento, una fede rinnovata, un impegno rafforzato. I salesiani e la Madonna, don Bosco e la Madonna: un rapporto forte e duraturo. Per costruirla si dovettero superare (come oggi) molte difficoltà. Venne consacrata il 9 giugno 1868. Da allora, lega in modo indissolubile il nome di don Bosco a quello dell’Ausiliatrice. La invocano «auxilium Christianorum»,«Aiuto dei cristiani». È così ma in realtà, incastonata com’è in questo ritaglio di terra così antico di Torino, è «aiuto a tutta la città». In un certo senso è l’altra Consolata: quello un santuario nel cuore della città storica, questa suggello di un’avventura incredibile e forse irripetibile, quella di un prete, i giovani e il mondo. «La Madonna dei tempi difficili», l’hanno chiamata così tante volte: quando imperversavano le bombe sulla città e chi poteva correva nei rifugi; quando le crisi ricorrenti e l’interminabile recessione hanno drenato persone e le loro anime. Forse è così. E la prova, ancora una volta, sta in quelle persone, uomini e donne che, col sole o con la pioggia, nella nebbia e nella canicola, varcano la soglia per portare il loro bagaglio di sofferenze, paure, ansie, drammi davanti alla Madonna che da sempre veglia sui ragazzi e sulle ragazze. Uno slancio di religiosità e spiritualità antica e nuova che la grande ventata di relativismo della fede non è riuscita a scalfire. E si vede: almeno 30-40 mila persone alla processione, la gente sui balconi; al passaggio della statua, c’è chi si fa il segno della croce, a volte sbagliandolo perché se l’era dimenticato. Maria Ausiliatrice, ricchezza e risorsa nei tempi del trionfo del cattivo gusto. E, non dimentichiamolo, è un santuario che presiede l’integrazione del grande esodo dall’Africa e dai paesi poveri. I primi immigrati sono venuti qui a Porta Palazzo, in via Cottolengo, a Borgo Dora: culture e religioni diverse che, gradualmente, si stanno integrando. Forse ne sa qualcosa anche lei, lassù, sulla cupola.
È un santuario locale e globale, glocal; è uno dei pochi che racchiude nelle sue navate le cappelle laterali, i quadri, i simboli del mondo e della sua terra. Quella suora, appena entrata, ci ricorda come «a perenne riconoscenza dei favori ricevuti» don Bosco fondò anche la congregazione delle figlie di Maria Ausiliatrice.
C’è, nella penombra della sera, un bellissimo quadro che mi colpisce, realizzato proprio 150 anni fa. Si vede Maria Ausiliatrice con lo scettro e in braccio il bambino, circondata dagli apostoli e dagli evangelisti, sospesa su una nuvola. Sullo sfondo, in basso, il santuario e l’oratorio: il cielo e la terra, la Madonna e l’oratorio.
Ecco, un secolo e mezzo dopo, stessa mission, profetica come il suono delle sue campane: inconfondibile.
Don Errico, il santuario come casa
Don Guido Errico, direttore della comunità Maria Ausiliatrice, «fotografa» il 2018.
Dopo 150 anni cos’è il santuario di Maria Ausiliatrice per i torinesi?
Esprime una tradizione mai interrotta di fede e devozione popolare. La presenza di questo tempio nel cuore della Città di Torino ricorda che, nel vortice della metropoli, tutti abbiamo bisogno di tornare a casa e di trovare una presenza accogliente.
I contatti, le presenze, la grandissima processione quale Torino esprimono, dopo la grande crisi che ha creato precari e poveri ma anche «desertificato» le anime?
La crisi nata, in gran parte, anche da speculazioni finanziare ci ha portato a diffidare gli uni degli altri considerando nemico il vicino. La basilica, con tutte le sue espressioni, manifesta il desiderio di comunità a cui tutti aneliamo, anche nel continuato impegno, avviato da Don Bosco, di servire i giovani poveri e le persone del ceto popolare.
Gli insegnamenti di don Bosco, il mondo salesiano, Valdocco luogo simbolo: tutti questi simboli come caratterizzano la spiritualità nel santuario?
È una realtà mondiale, un punto di riferimento per tutti quelli che, avendo conosciuto Don Bosco e i suoi insegnamenti, guardano al nostro santuario di Valdocco come il luogo dove si è realizzata la promessa di Dio di rendere il nostro santo vero padre e maestro dei giovani. Vediamo che questa aerea salesiana di Valdocco continua ad essere casa per tanti giovani torinesi e tanti altri pellegrini delle più diverse aree geografiche.
Chi bussa alla porta oggi?
I giovani, i consacrati della famiglia salesiana, le famiglie, le coppie che chiedono a San Domenico Savio il dono di un figlio e affidano a lui il quotidiano impegno educativo, i tanti educatori, laici e consacrati, che cercano sostegno e incoraggiamento. Bussano, inoltre, i poveri, chi è in cerca di lavoro, chi desidera sposarsi ma è frenato da difficoltà economiche, i giovani in cerca della propria vocazione e i nonni che chiedono forza per rimanere fedeli all’impegno di educare alla fede i propri nipoti. Un popolo intero, insomma.