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«Ola» per sostenere il post-adozione internazionale – La Voce e il Tempo

La Voce e il Tempo dedica un articolo al progetto «Ola» (Oltre l’adozione), ovvero un coordinamento di Enti autorizzati dalla Commissione governativa per le adozioni internazionali a cui ha aderito anche l’Associazione Amici don Bosco onlus. Di seguito l’articolo a cura di Marina Lomunno.

«Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio»: questo celebre proverbio africano è ancor più vero se il bambino arriva da lontano, «se è nato da un’altra pancia», perché chi sceglie di adottare un figlio ha bisogno di una comunità che sostenga i genitori soprattutto nei momenti cruciali della crescita che spesso coincidono con l’adolescenza. È ciò che si propone «Ola» (Oltre l’adozione)» un coordinamento di Enti autorizzati dal Cai (la Commissione governativa per le adozioni internazionali) a cui ha aderito recentemente anche l’Associazione Amici don Bosco onlus con sede centrale a Valdocco, in piazza Maria Ausiliatrice 32. Con l’associazione torinese di ispirazione salesiana salgono a 11 gli Enti che fanno parte di «Ola», uno dei 4 coordinamenti italiani che raggruppano gli organismi che informano, formano, affiancano i futuri genitori adottivi nel percorso dell’adozione internazionale e curano lo svolgimento all’estero delle procedure necessarie assistendoli davanti all’autorità straniera e appoggiandoli nel percorso post-adozione.

«Come Amici di don Bosco abbiamo deciso di aderire al coordinamento ‘Ola’» spiega l’antropologa Elisabetta Gatto «perché riteniamo sia importante fare rete tra enti autorizzati all’accompagnamento delle famiglie che decidono di intraprendere l’avventura dell’adozione internazionale. Il progetto proposto da ‘Ola’ è dedicato al post adozione: con gli altri enti siamo in rete, uniamo forze ed esperienze sul campo per rispondere a un bisogno da molto tempo espresso dalle famiglie adottive, cioè l’accompagnamento per i loro figli adottivi adolescenti. Se il momento dell’arrivo in famiglia del bambino che viene da un altro contesto culturale è delicato ancor più lo è in adolescenza dove emergono fragilità e il ragazzo o la ragazza iniziano a costruire con fatica la propria identità mettendo insieme i pezzi del proprio vissuto di figlio adottivo. È allora che sia le famiglie che i ragazzi hanno bisogno di sostegno e la nostra associazione, da sempre attenta ai temi della formazione alla genitorialità sociale, ovvero sulla capacità di allargare l’accoglienza oltre confini familiari e alla promozione della cultura dell’adozione, con ‘Ola’ ha trovato un alleato prezioso per dare una risposta mirata ai bisogni dell’adolescenza e a quelli specifici dei ragazzi adottivi».

«Siamo nati nel 2004» spiega Pietro Ardizzi» genitore adottivo, portavoce di «Ola» «e oggi operiamo in 30 sedi italiane presso gli Enti che aderiscono al nostro coordinamento e che condividono l’impegno e la cura a seguire le coppie non solo nel momento dell’adozione ma nella crescita del figlio che viene accolto. La nostra proposta è di tenere incontri – individuali e di coppia, con bambini e ragazzi adottati, con gruppi di genitori adottivi e gruppi con bambini e adolescenti adottati – condotti da professionisti con lunga esperienza sul campo (psicologi, insegnanti, medici, avvocati, educatori, antropologi…). Per l’iscrizione ai corsi (in questo momento purtroppo in modalità on line) per i genitori chiediamo una quota di iscrizione simbolica per sostenere le spese, mentre sono totalmente gratuiti gli incontri individuali con i nostri professionisti nel caso vengano richiesti dai minori e dai ragazzi,): modalità e calendari si possono trovare presso le sedi degli enti che fanno parte del coordinamento. L’adozione è un bene comune: sosteniam’Ola’».

Per saperne di più scrivere a servizi@oltreladozione.org o www.amicididonbosco.org (tel. 011. 3990102; info@amicididonbosco.org)

Chi sono i genitori? Formazione e confronto con Amici di Don Bosco

La Voce e il Tempo di questa domenica, 14 giugno, dedica un articolo all’incontro online che si è svolto lo scorso 6 giugno da parte dell’Associazione Amici di Dosco sul tema “Chi sono i genitori?“. Si riporta di seguito l’articolo a cura di F. Bel.

CORRELAZIONI – IL 6 GIUGNO INCONTRO ON LINE DELL’ASSOCIAZIONE IMPEGNATA NELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Chi sono i genitori?

Formazione e confronto con Amici di Don Bosco

Il bambino e la sua crescita, la sua educazione sono il cuore della missione salesiana: negli oratori, nelle scuole, nei luoghi dove le famiglie sono in difficoltà o non ci sono. Così il campo dell’adozione internazionale è ambito di impegno per chi si ispira al carisma di don Bosco e in particolare dalla seconda metà degli anni ‘80 lo è attraverso l’associazione Amici di Don Bosco.

Se al centro c’è il bambino e la sua crescita, la famiglia che lo accoglie e le sue relazioni, fondamentale è il percorso di formazione e sensibilizzazione, anche in tempo di distanziamento sociale. Così è nata l’idea di mantenere attraverso il web i contatti e gli obiettivi del cammino e l’Associazione ha proposto sabato 6 giugno il primo incontro on line (dopo una puntata ‘zero’ in aprile) di «CorRelazioni», il ciclo di appuntamenti che era previsto in questo anno «per esplorare insieme il mondo delle relazioni che si intrecciano attorno all’adottato». «Abbiamo iniziato», spiegano i referenti dell’associazione, «con la relazione per eccellenza, quella tra genitori e figli. E quando si parla di adozioni le sfumature si fanno più importanti e le figure genitoriali di cui tenere conto aumentano».

Ad aprire la condivisione: Giovanni Berton, Francisca Noha e Aroti Shrimati Bertelli del gruppo di adottati adulti dell’associazione, che hanno focalizzato la riflessione a partire da «quanti e quali» genitori entrano in gioco. «Ci sentiamo dire che genitore è chi cresce, ama, si prende cura. Ma questo esclude un seppur breve tratto della nostra vita che sono le origini», ha sottolineato Aroti.

Ai papà, che tante volte rimangono sullo sfondo, si è dato voce e spazio con l’esperienza di Enzo Alfano, genitore di una ragazza di origini indiane e di un ragazzo di origini filippine, che ha evidenziato come oggi sia impensabile non tenere conto della storia degli adottati: nel 2019, infatti, l’età media dei bambini in adozione internazionale è stata di 6,6 anni e non si può pensare di trascurare una fetta così importante della loro vita.

La ricchezza delle narrazioni condivise sabato scorso è stata anche la varietà delle esperienze riportate. «Mamma io l’ho detto a una sola persona nella mia vita, così come papà», ha detto Giovanni, adottato a pochi mesi.

Mentre Aroti, adottata all’età di 9 anni, ha faticato a riconoscere nelle persone che l’hanno adottata i suoi genitori: non poteva fare finta che tutto fosse immediato e normale, perché sarebbe stato come tradire il suo passato e chiamarli «mamma» e «papà» sarebbe stato come negare una parte di sé di cui conservava un ricordo molto vivo. Quanto è stata inclusa la famiglia d’origine nella loro storia? E come la narrazione del passato delle origini ha influenzato il legame con la famiglia adottiva? A casa di Giovanni è stato molto naturale parlarne («sentivamo di essere un dono l’uno per l’altro»), mentre per Francisca «non parlarne ha facilitato in un primo momento la costruzione di una relazione più intima, più nostra». Ma crescendo ha avvertito una mancanza e il bisogno di colmare dei vuoti.

Per una buona cultura dell’adozione è indispensabile il passaggio da «ti ho amato come se fossi mio figlio a ti ho amato perché sei mio figlio» o meglio ancora con il tempo verbale al presente: «ti amo perché sei mio figlio». Con l’adozione insieme al figlio infatti nascono una mamma e un papà. «Il bambino», sottolineano, «è una risposta nuova a un percorso nuovo. Ed è un percorso che dura tutta la vita».

Infine, si è parlato di due sentimenti molto presenti nel racconto dell’adozione, ovvero la rabbia e a gratitudine. La rabbia verso i genitori biologici per la ferita dell’abbandono e verso i genitori adottivi per i silenzi e i segreti tenuti nascosti. Ma anche la trasformazione di questa rabbia in energia, impulso vitale e comprensione, nella consapevolezza che l’abbandono non è facile neanche per chi lo mette in atto.

Tante condivisioni, domande e risposte che non si possono esaurire in un incontro e per questo il cammino dell’Associazione prosegue (in ottobre con incontri anche in presenza) con la consapevolezza di aver aggiunto, in un sabato pomeriggio, un altro tassello a quello che è il percorso delle famiglie che vivono l’esperienza dell’adozione, mai conclusa «perché l’amore si espande sempre».

Per approfondire le iniziative dell’Associazione: www.amicididonbosco.org

F.BEL.

Adozione e speranza: un viaggio nel libro di Paolo La Francesca con Amici di Don Bosco

In edicola, a partire da Sabato 31 Marzo 2018, nella nuova edizione de “La Voce e il Tempo“, settimanale della diocesi di Torino, si trova il seguente articolo – curato da Marina LOMUNNO – relativo alla presentazione del libro, tenutasi nei giorni scorsi presso la sede dell’Associazione “Amici di don Bosco”, «Il profumo della speranza» edito da Armando Editore, che racconta il viaggio nell’adozione di Paolo La Francesca alla ricerca delle proprie radici.

 

 

AMICI DI DON BOSCO – PRESENTATO IL VOLUME DI PAOLO LA FRANCESCA

Le adozioni, aroma di speranza

Il profumo della speranza può inondarti all’improvviso, in un momento buio della vita con una scia persistente che ti indica una luce in fondo al tunnel: è la storia di Paolo La Francesca, 30 anni, sposato, una figlia, poliziotto alla Questura di Torino , nato in Brasile e adottato a 20 giorni da una famiglia italiana di Trapani. La sua testimonianza che ha raccontato in un libro (consigliato a tutti i genitori e i figli adottivi) intitolato appunto «Il profumo della speranza» (Armando Editore, Roma 2017), è stata al centro del secondo appuntamento dell’itinerario sulla ricerca delle proprie radici promosso dall’Associazione Amici di don Bosco.

L’incontro, molto partecipato, si è tenuto sabato 24 marzo in via Maria Ausiliatrice 32 a Torino, presso la sede dell’Associazione, accreditata dal Governo italiano per le adozioni internazionali in India, Colombia, Filippine, Mongolia e Benin. Un percorso aperto a tutti gli interessati e pensato per sostenere le famiglie adottive, i figli adolescenti e quanti sono coinvolti nelle storie di adozione nel momento delicato della ricerca delle origini e della doppia appartenenza.

Un tema molto delicato, come è stato sottolineato nell’introduzione da Daniela Bertolusso, di amici di Don Bosco «in un tempo dove alcuni organi di informazione – anche sull’onda dei presunti facili ritrovamenti tramite i social media di genitori naturali tra parte degli adottati – orientano l’opinione pubblica a pensare che tutte le storie dei ricongiungimenti siano a lieto fine…». Ma, come ha raccontato Paolo La Francesca alle numerose famiglie presenti con i loro figli in adozione, l’inquietudine che ogni figlio adottato si porta dentro, soprattutto se nato in un paese lontano, ha bisogno di tempo per trasformarsi da sofferenza in speranza. E, soprattutto, c’è bisogno di rispetto per l’adottato che ha diritto a sapere la verità sulle sue origini; per la scelta della madre e del padre (quando c’è) naturali che spesso non hanno alternative a far crescere il proprio figlio in un’altra famiglia; e rispetto per i genitori adottivi che hanno cresciuto un figlio o una figlia che ad un certo punto sembra voler scappare.

Paolo La Francesca narra con lucidità e fermezza, senza nascondere luci ed ombre e la paura di essere abbandonato due volte (tutte le storie non sono a lieto fine!), il percorso che l’ha condotto all’incontro con la mamma di nascita e i suoi fratelli e dell’integrazione tra le sue due famiglie. Ma ci sono voluti 30 anni, il superamento – grazie a due genitori pazienti e tenaci, delle crisi adolescenziali – dei silenzi, delle porte sbattute, dei «tanto non siete mia madre e mio padre…». E poi l’incontro con la donna giusta e la nascita di una bambina che ha convinto Paolo ad andare in Brasile «a cercare la seconda nonna».

Una vita insomma, un percorso di conoscenza di se stesso prima che delle sue doppie origini. E che, a 30 anni, fa scrivere a Paolo alla fine del suo libro, dopo aver ritrovato la madre che l’ha partorito e riabbracciato al ritorno dal Brasile la madre adottiva: «L’amore di una mamma è sempre amore, è un assoluto che può sbocciare e spandere il suo profumo nei modi più diversi, al di là dei modi in cui si diventa mamme, al di là dei vissuti differenti, al di là di tutto».