Il sacrificio di Willy – La riflessione di don Domenico Ricca sul disastro educativo
Il sacrificio di Willy Monteiro Duarte. Si riporta di seguito l’intervento di don Domenico Ricca, cappellano nel carcere minorile di Torino, pubblicato su La Voce e il Tempo in merito alla vicenda.
Il sacrificio di Willy, il destino dei carnefici
Intervento – Violenza cieca dietro l’uccisione del giovane Willy Monteiro Duarte. Don Domenico Ricca, cappellano nel carcere minorile di Torino, riflette sul disastro educativo
Dopo i fatti di Colleferro, Willy Monteiro Duarte, uno splendido ragazzo di vent’anni ucciso da cosiddetti «balordi», e di Matera dove due minorenni inglesi vengono stuprate da un branco, si sono letti molti commenti.
Credo sia necessario superare ogni aggettivazione, perché in quei cosiddetti «balordi»”, magari ci stiamo anche noi, perché a quasi tutti noi piacciono i vincenti, i bulli, gli spacconi, gli sboroni. Come si è scritto in questi giorni ci piacciono nella politica, in tv, al cinema, nel paese e nel quartiere, piacciono gli imbecilli che sbraitano, urlano, si atteggiano, comandano, rompono a tutti, noi li ammiriamo pur proclamando, a parole, la nostra diversità. Noi li votiamo, li eleggiamo, li vezzeggiamo, in una parola li alleviamo. Forse per una narrazione più vera di questi fatti occorre uno sguardo più approfondito al contesto, o come si suole chiamare al brodo di cultura in cui sono immersi. È un brodo di cultura della violenza, dell’istigazione all’odio contro lo straniero, del femminicidio basato sulla presunzione che «tu sei mia», delle parole gridate, urlate, con accanimento, verso chi non la pensa come noi snaturando così il significato più vero di ogni parola pronunciata per stabilire una buona relazione. Tuttavia chi, come lo scrivente, svolge il suo ministero pastorale in carcere, sa molto bene che anche di questi «balordi» Dio ha compassione e misericordia, offre loro una sponda di salvezza. Li ha segnati con un marchio, indelebile, non per farne uno stigma ma perché gli altri si prendano cura di loro, perché Dio ha detto «nessuno tocchi Caino». E quindi con razionalità e passione farà di tutto, perché, una volta in carcere, condannati, anche per loro non si butti via la chiave.
Al là di tutte legittime esecrazioni del momento, mi pare appropriato quanto Massimo Recalcati, scrive in apertura del suo ultimo saggio «Il gesto di Caino»: «Il racconto bilico – quello di Caino – appare implacabile e disincantato: la violenza del crimine viene al mondo solo attraverso l’uomo e segna indelebilmente il rapporto con il fratello. L’innocenza della natura appare scossa da un vortice imprevisto; non si tratta solo di un impulso irrazionale, né tantomeno di una regressione dell’umano alla dimensione primitiva dell’animale, mostra che nella violenza si manifesta il carattere perverso e narcisistico del desiderio umano; la sua spinta a distruggere l’alterità, l’aspirazione alla propria divinizzazione, il desiderio dell’uomo di essere Dio».
Distruggere l’alterità, rendersi opachi ad ogni prospettiva di relazione per superare un conflitto, farsi giustizieri, onnipotenti, come Dio, andare oltre il peccato dei progenitori nel paradiso dell’Eden, con la soppressione del fratello che si mette di traverso alla propria realizzazione (Gen 4,1-14).
Il cristiano poi spenderà ogni energia per questo mondo malato. Non è un caso se Papa Francesco ha intitolato le sue udienze estive «guarire il mondo». Così ha esordito nell’udienza del 5 agosto. «Nelle prossime settimane, vi invito ad affrontare insieme le questioni pressanti che la pandemia ha messo in rilievo, soprattutto le malattie sociali. E lo faremo alla luce del Vangelo, delle virtù teologali e dei principi della dottrina sociale della Chiesa. … È mio desiderio riflettere e lavorare tutti insieme, come seguaci di Gesù che guarisce, per costruire un mondo migliore, pieno di speranza per le future generazioni (cfr. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 183).
In quest’ottica credo sia più che mai opportuno guardare avanti, seminare speranza. Il Vescovo di Tivoli e Palestrina mons. Mauro Parmeggiani così si è espresso nell’orazione funebre di Willy: «Perché la morte barbara ed ingiusta di Willy non cada nell’oblio impegniamoci tutti – istituzioni, forze dell’ordine, uomini e donne della politica, della scuola, dello sport e del tempo libero, Chiesa, famiglie e quanti detengono le chiavi di un potere enorme: quello dei media ed in particolare dei media digitali – a comprometterci insieme, al di là di ogni interesse personale e senza volgere lo sguardo altrove fingendo di non vedere – impegniamoci tutti, dicevo – a riallacciare un patto educativo a 360 gradi». Quel patto educativo che mi sta molto a cuore, su cui più volte abbiamo ragionato anche sulle pagine di questo giornale.
Vorrei che ci rimanesse dentro la convinzione, che dopo la notte viene il giorno, che si parlasse di questa vicenda triste, con velata melanconia, sorretta però da una luce che proviene proprio dalle parole di Willy Monteiro «Non ti preoccupare, ci penso io a loro… ». Si racconta – lo riporta il quotidiano Avvenire il 7 settembre – che quando gli educatori avevano qualche problemino a gestire il gruppetto degli adolescenti di Azione Cattolica di Paliano, quando al campo-scuola della diocesi di Palestrina in una stanza – succede – si andava su di giri, Willy arrivava puntuale con quell’intercalare da piccolo uomo: «Non ti preoccupare, ci penso io a loro…», diceva ai ‘grandi’, ai responsabili. Poteva avere 15-16 anni, ma già era lì, ben formata nella sua coscienza, tutta la voglia di non girare la faccia dall’altra parte. Purtroppo quel «ci penso io» gli è costata la vita.
don Domenico RICCA sdb, Cappellano dell’Ipm «Ferrante Aporti» – Torino