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Animazione Missionaria: aggiornamenti attività gemellaggio MOR

Di seguito gli aggiornamenti delle attività dell’Animazione Missionaria riguardo il gemellaggio MOR.

La Syria è un po’ più vicina da mercoledì 21 aprile scorso!
Dopo una lunga sensibilizzazione durante la quaresima di fraternità, le iniziative a beneficio del Medio Oriente cominciano a dare i primi riscontri.
Il primo passo è stato in Google Meet, dove si è dato appuntamento il nostro primo gruppo di volontari.
L’obiettivo di questa sfida è poter arricchire e potenziare il livello di lingua inglese di alcune decine di ragazzi di Damasco, che hanno come riferimento la nostra casa salesiana.
Sappiamo tutti quanto sia importante questa competenza per potersi muovere e magari continuare gli studi in paesi esteri.
Particolarmente difficile è in questo momento poter garantire una connessione di rete stabile con un territorio ancora segnato da danni strutturali e privazioni non secondarie sui servizi: pensate che per collegarsi, i ragazzi dovranno andare in oratorio, perché il segnale nelle abitazioni è ancora troppo debole e instabile.
Una decina di docenti attualmente impiegati nelle case dell’ispettoria si è messa dunque a disposizione per iniziare un corso online con i giovani della capitale siriana: hanno partecipato e coordinato la prima programmazione don Theophilus Ehioghilen per l’AM ICP e Spiro Morcos, giovane collaboratore della casa di Damasco.
Nell’incontro, in occasione del quale l’inglese è risuonato nelle sue diverse pronunce del mondo, si è raggiunto l’accordo per una prima parte di collegamenti in maggio, per poter filtrare e proporzionare i livelli di insegnamento in base alle effettive necessità dei ragazzi siriani.
Ci auguriamo di poter presto “parlare la stessa lingua” e che anche questo seme diventi frutto nel futuro di questi giovani di don Bosco che chiedono di non essere dimenticati nelle violenze della storia.
So… good luck!

Oratorio Michele Rua: la testimonianza di Amal – Gruppo Triennio

Nella serata di ieri, giovedì 14 maggio, i giovani del Gruppo Triennio dell’Oratorio Michele Rua hanno avuto la possibilità di intervistare e seguire la testimonianza (su Google Meet) della giovane Amal, cooperatrice dell’oratorio di Damasco recatasi in Italia in occasione del Capitolo Generale. Di seguito l’intervista.

Gruppo Triennio – Michele Rua – 14 maggio 2020

#spazistrettiperallargareilcuore

Testimonianza di Amal – giovane cooperatrice dell’oratorio di Damasco

  • Quali sono i motivi che hanno spinto te e la tu famiglia a decidere di rimanere in una realtà difficile e dolorosa come la guerra?

All’inizio non sapevo cosa rispondere. Poi ci siamo chiesti: ma se tutti noi giovani partiamo, chi si occuperà dei bambini o di chi resta perché non può partire? Siamo rimasti per poter fare qualcosa di buono e di bello per gli altri, anche in questo tempo di guerra. E questa non è solo una decisione mia, ma di tutta la mia famiglia. 

  • Durante i momenti di dolore, di fragilità, quello che aiuta a non chiudersi è sentirsi amati. Quali sono stati i segni concreti con cui Dio si è preso cura di te?

All’inizio mi chiedevo: “Perché Dio non fa un miracolo e ferma questa guerra?”. Ho passato un anno, forse due, a chiedermi questo. Negli anni, in questo tempo, sono rimasta con Lui, ma continuavo a non capire. Poi ho capito che quando io pregavo o parlavo con Lui chiedevo una cosa sbagliata; la mia preghiera così è cambiata ed è diventata: “Dio aiutami a sapere come posso agire nelle condizioni di questa guerra”. Lì ho capito che Dio non cancella il problema ma mi aiuta a viverlo, a superarlo. Durante la guerra ho imparato a pregare e questo ha cambiato la mia relazione con Dio. Ho imparato in questo periodo a cercare la vera pace del cuore, soprattutto quando ero più nell’angoscia. E sapevo che solo Lui poteva darmi quella pace del cuore. Ho capito che non potevo più smettere di cercare quella pace. 

  • A causa della guerra, come a causa di questa pandemia, non si può vivere “normalmente” l’oratorio. Cos’ha voluto dire essere animatrice salesiana in una situazione del genere? Quali sono le cose che veramente contano dell’animazione?

La spiritualità salesiana mi ha aiutato nella mia relazione con Dio. Tanti sono stati i momenti in cui l’oratorio veniva chiuso (perché era troppo pericoloso o per situazioni economiche difficili). Nonostante questo cercavamo di riaprire l’oratorio. La cosa più importante non era solo aprire l’oratorio, ma avere buoni e bravi animatori che stessero con i ragazzi. E visto che siamo salesiani, vuol dire che servono animatori felici: quindi per prima cosa abbiamo cercato di incoraggiare, noi per primi e poi gli animatori, a cercare questa felicità, perché i ragazzi sanno distinguere bene se fai finta di essere allegro o se lo sei davvero nel tuo cuore. Abbiamo poi scoperto che tanti aspetti venivano trascurati: es. l’aspetto e la cura psicologica dei ragazzi. I due aspetti allora su cui abbiamo investito sono stati questi: ricerca della gioia e cura dell’aspetto psicologico. Teniamo sempre presente che siamo solo discepoli del vero Maestro, che è Gesù: abbiamo un buon maestro per imparare la Gioia. 

  • Abbiamo ricevuto il video commovente in cui i giovani della Siria pregavano per l’Italia in questo momento di pandemia, spesso noi crediamo che il dolore ci chiuda in noi stessi e invece quel video è stata la testimonianza che invece la sofferenza può renderci più attenti a chi è in difficoltà. Come la sofferenza ti ha portato ad essere una fonte di speranza per altri che soffrono e a non chiuderti?

Durante la guerra molte persone hanno armi, non solo i soldati, e le usano in modo orribile; e molti di questi erano siriani. Hanno ucciso siriani come loro, amici, fratelli, sorelle…e a causa loro abbiamo persone molte persone care. Per questo motivo, questi gruppi venivano attaccati perdendo così le loro case. Si sono così spostati dalle loro città alle nostre, facendo occupare le nostre scuole alle loro donne e ai bambini perché potessero vivere lì. Noi allora abbiamo organizzato delle missioni all’interno della città: andavamo a gruppetti di animatori e facevamo animazione per i bambini in quelle scuole, per i figli dei nostri nemici. All’inizio era difficile farli sentire felici dopo tutto quello che i loro padri avevano fatto a noi. Ma da questo abbiamo imparato due cose: se non riusciamo ad amare i nostri nemici, come ha insegnato Gesù, almeno possiamo amare i loro figli che non hanno colpa di ciò che hanno fatto i loro padri; e abbiamo imparato che questo è ciò che avrebbe voluto Don Bosco che ci insegna ad amare i ragazzi al di là delle loro situazioni e delle loro famiglie. Tutto questo ci ha aperto la mente e il cuore, per cercare di creare un legame più autentico e semplice nei modi. E anche perché sapevamo che l’Italia stava con noi: voi italiani ci avete insegnato come possiamo rimanere legati e vicini anche nelle difficoltà. Voi ci avete insegnato che cosa vuol dire stare vicini nelle difficoltà, perché lo siete stati. Non dimenticate mai quanto valete, quante benedizioni avete ricevuto. E quando vi accorgete di quante grazie avete ricevuto allora inizierete a donarle agli altri. 

  • Il Papa dice che questa Pandemia è come una guerra, tu che una guerra l’hai vissuta veramente potresti darci 3 consigli per vivere a pieno il presente e ripartire migliori domani?
  • Intanto dovremmo essere sempre consapevoli che siamo solo discepoli di un maestro che è Gesù e che Lui saprà guidarci. 
  • Imparate ad essere misericordiosi con voi stessi: potete anche non capire tutto adesso (don Bosco ha compreso il sogno dei 9 anni solo prima di morire): siate misericordiosi con voi stessi.
  • Cercate i lati positivi di questa situazione: non possono non esserci! Se saprete trovarli, questo vi aiuteranno a vivere quelle altre difficoltà che incontrerete anche oltre al Covid. 

Domande dei ragazzi

  • Come si è pensata la missione nelle scuole? chi ha avuto l’iniziativa e come siete stati coinvolti?

Di sicuro abbiamo dovuto essere preparati, non potevamo andare così. A Damasco, all’inizio abbiamo fatto un po’ di esercizio con i nostri ragazzi. Una delle metodologie pensate era quella di far disegnare ai bambini come vedono la loro realtà oggi: e i loro disegni erano molto molto tristi. Se i nostri bambini sentono questo, chissà quei ragazzi delle scuole. I cristiani da noi venivano sempre visti come quelli che stavano fermi: invece volevamo dimostrare che noi potevamo essere forti, ma in modo pacifico. L’incaricato dell’oratorio di Damasco, don Alejandro, l’attuale ispettore, ci ha preparati facendoci fare un passo alla volta, ampliando il nostro sguardo in quello di don Bosco. All’inizio eravamo solo 15 a partecipare, poi andavamo lì con dei pullman. Non è stato facile, ma si fa…un passo alla volta. 

  • Quali i segni più forti di speranza in questo tempo difficile di guerra?

È stato molto difficile per noi più grandi vederli; ma la cosa più importante è che non abbiamo mai smesso di animare i nostri ragazzi. Quando abbiamo visto la gioia nei loro occhi, abbiamo iniziato a scoprirla anche dentro di noi e a vedere la speranza che le cose sarebbero davvero potute andare bene. Ogni anno ci dicevamo: “questo è l’ultimo”, sono passati 10 anni e ancora non è finita. Ma la cosa più importante in questo periodo è stato l’aver imparato, un giorno per volta, come vivere non in attesa della fine di tutto questo, ma dentro tutto questo. La speranza per continuare giorno per giorno è il sorriso dei ragazzi. Nel 2011 abbiamo pensato di dover chiudere l’oratorio perché avevamo pochi ragazzi e tante spese. Siccome però don Bosco si occupava soprattutto dei ragazzi più poveri, i ragazzi più poveri della zona hanno iniziato a venire da don Bosco, nel nostro oratorio. Prima della guerra eravamo in tutto 300 ragazzi e giovani. Ora, tolti gli universitari, siamo più di 1000; gli universitari sono 250. Adesso, in mezzo a questa guerra, abbiamo tante persone nel nostro oratorio: DB era per i poveri e noi anche. E ogni volta che vediamo anche solo un ragazzo in oratorio, sappiamo che dobbiamo continuare. 

  • Le persone del posto, come prendono la presenza salesiana? 

Con un po’ di invidia perché i cristiani sono pochi e noi soli coinvolgiamo tante famiglie: gli altri cristiani pensano che li “rubiamo”. Ma noi non facciamo pubblicità: loro vengono da noi! A volte, ma già prima della guerra, ci facevano dei dispetti (fermavano i pullman…), ora questa situazione è un po’ cresciuta perché il numero è aumentato. L’oratorio è in un quartiere abitato da musulmani; e di tutti i ragazzi che abbiamo solo 4 vengono dalla nostra zona, tutti gli altri vengono da lontano. I nostri vicini così fanno problemi un po’ perché siamo cristiani e un po’ perché siamo rumorosi!!!

Piccoli segnali di “resurrezione” dalla Siria

(Nella foto: Domenica delle Palme nella chiesa di San Giovanni Bosco, a Damasco)

Si propone la lettura dell’intervista a cura della redazione del quotidiano internazionale online IN TERRIS con don Mounir Hanachi, che dopo la lettera pubblica delle scorse settimane (clicca qui per leggere la lettera) per denunciare “la manipolazione dell’informazione” in Occidente riguardo ciò che accade in Siria, oggi legge la riapertura del suo oratorio salesiano di Damasco, che accoglie 1.300 ragazzi, avvenuta la Domenica delle Palme dopo la sospensione delle attività a febbraio, come un segnale di resurrezione.

La Via Crucis dei cristiani in Siria

La testimonianza di don Mounir Hanachi, direttore del centro salesiano a Damasco

Per molti cristiani nel mondo la salita sul Calvario è una realtà vissuta quotidianamente, sulla propria pelle. Per i cristiani in Siria la “passione” dura da otto lunghi anni. In quel Paese martoriato le stazioni della Via Crucis sono storie di vita che è possibile leggere negli sguardi della gente o nei loro racconti carichi di trasporto emotivo.

Si legge l’inquietudine per le condanne a morte decretate dai terroristi e dall’indifferenza occidentale. Si avverte il batticuore per gli ultimi gesti di affetto in famiglia prima delle separazioni forzate. Si percepisce l’emozione per gli episodi di grande umanità e di altruismo. Si piange per le migliaia di vittime del conflitto. Ma poi c’è anche la “risurrezione”. I cristiani di Siria ne sono convinti. Qualche segno inizia a farsi largo a mo’ di un raggio di luce nell’oscurità, come la riapertura dell’oratorio salesiano di Damasco, che accoglie 1.300 ragazzi, avvenuta la Domenica delle Palme dopo la sospensione delle attività a febbraio. In Terris ne ha parlato con don Mounir Hanachi, 34enne direttore del centro salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco, nella Capitale.

Don Mounir, che senso assume la riapertura dell’oratorio?
“È stata una gioia immensa. Può immaginare la felicità dei ragazzi nel riappropriarsi di momenti di aggregazione, di studio, di sport. In questi anni di guerra non era la prima volta che sospendevamo le attività, ma mai ci era capitato di doverlo fare per cinque settimane di seguito. Ringraziamo il Signore e quanti ci hanno sostenuto con la preghiera. E ringraziamo anche l’esercito siriano e i suoi alleati per la liberazione della Ghouta”.

Per cinque anni, Ghouta Est è stata occupata dai “ribelli”. Cosa ha significato per voi abitanti di Damasco questa presenza?
“Sono stati cinque anni all’insegna del sangue. Il suono dei colpi di mortaio e dei missili era una presenza costante, che ha seminato morte. Ci sono stati tanti bambini tra le vittime, abbiamo perso diversi ragazzi dell’oratorio. Oggi in Siria non trovi una famiglia che non abbia perso almeno una persona cara o che non si sia divisa, perché in molti sono fuggiti all’estero. Esperienze che ho vissuto anch’io: mio nonno è stato rapito mentre viaggiava lungo l’autostrada, gli sono stati sparati contro dei proiettili, siamo riusciti a riscattarlo pagando una cifra enorme. Ci vorranno almeno due generazioni per sanare le ferite”.

Questi “ribelli” chi sono?
“Sappiamo tutti chi sono i ‘ribelli’: gruppi armati composti da molte persone venute dall’estero. Hanno ricevuto il sostegno da alcuni Paesi occidentali e del Golfo. Ma questo ormai è chiarissimo”.

Nelle scorse settimane ha scritto una lettera pubblica per denunciare “la manipolazione dell’informazione” in Occidente riguardo ciò che accade in Siria. A cosa si riferiva?
“Prima di tornare in Siria vivevo in Italia. Tutti i giorni avevo modo di leggere come venivano manipolate le informazioni sul conflitto pur di gettare discredito sul governo siriano. Leggevo i siti siriani, raccoglievo le testimonianze dirette, e poi vedevo che tutto ciò era stato totalmente stravolto dai media italiani ma non solo. E questo è avvenuto per anni. Il ruolo del giornalista dovrebbe essere quello di riportare i fatti, non di fare propaganda”.

La manipolazione dei media ha ferito il popolo siriano?
“Moltissimo. La delusione è palpabile. Così come la frustrazione qui da noi, perché non si riusciva a rompere il silenzio sulla sofferenza vissuta da 8milioni di persone a Damasco durante l’occupazione del Ghouta”.

Come valuta l’atteggiamento della comunità internazionale in questi otto anni di guerra?
“Come siriani non crediamo più alla comunità internazionale: sono state spese tante parole, ma pochi fatti. Crediamo soltanto all’esercito nazionale siriano, che ha il diritto di difendere il popolo siriano”.

Nel contesto tragico della guerra avvengono anche episodi di grande umanità?
“È dura, ma di episodi ne avvengono molti. Ci sono momenti di forte crisi, di smarrimento. Però la fede cristiana in Siria è davvero forte. I ragazzi dell’oratorio, le loro famiglie consegnano tutto al Signore e vanno avanti con la speranza che il domani sarà migliore. Tra fratelli nella fede ci trasmettiamo il coraggio a vicenda”.

Che senso assume la Settimana Santa per chi, come voi, vive in una terra martoriata?
“Dalla Domenica delle Palme siamo entrati in un clima di grande devozione, con processioni e momenti di preghiera comunitaria in chiesa. Dopo anni di paura nel manifestare pubblicamente la propria fede, finalmente si sta tornando alla normalità”.

Dopo la “passione”, si avverte già l’arrivo della “resurrezione”…
“Esattamente. Se torna la pace, riprendono anche le attività e dunque l’opportunità per la gente di non essere costretta ad emigrare”.

Damasco, le bombe sui civili: la lettera di Don Mounir

L’international Press Agency “Pressenza” ha pubblicato in questi giorni il comunicato stampa a cura di Missioni don Bosco che riporta le parole del Direttore dei salesiani Don Bosco Damasco – Siria, Don Mounir Hanachi, con la sua accorata richiesta ai mezzi d’informazione per “rompere il silenzio assoluto che avvolge la tragedia che sta vivendo il popolo siriano, per non parlare della manipolazione dell’informazione da parte di tanti mass media in occidente”.

 

Cari amici,

vi scrivo in questi giorni in cui la capitale della Siria vive momenti difficili. È sempre stato così, in questi sette anni di guerra in Siria, ma in questi giorni si soffre ancora di più. Vengono lanciati tanti missili e colpi di mortaio sulla capitale dal Ghouta, zona della periferia di Damasco piena di Jihadisti dell’Isis e tanti altri gruppi islamici fondamentalisti che cercano di fare della Siria il loro califfato. Tanti missili stanno causando tanti morti civili e bambini, tante scuole hanno chiuso le porte.  É stato ordinato il coprifuoco in tutta Damasco. Tanta è la paura dalla gente e dei bambini.

Anche noi dell’oratorio salesiano abbiamo sospeso tutte le attività. I ragazzi solitamente arrivano con i pullman all’oratorio, per cui può essere pericoloso fargli attraversare la città. Abbiamo detto a tutti loro di stare in casa fino ad un miglioramento della situazione. Che al momento non arriva.

Spero la mia voce possa giungere a tutti voi, voglio rompere il silenzio assoluto che avvolge la tragedia che sta vivendo il popolo siriano, per non parlare della manipolazione dell’informazione da parte di tanti mass media in occidente.

Mi affido tutti voi, amici. In questo tempo di Quaresima, tempo di preghiera e ritorno a Dio Padre. Che il sole della risurrezione tocchi i cuori dei potenti e torni la pace in questa terra martoriata.

Noi continuiamo a sostenere le famiglie in difficoltà.

Con affetto,
Don Mounir Hanachi
Direttore dei salesiani Don Bosco Damasco – Siria

 

Comunicato a cura dell’Ufficio Stampa Missioni don Bosco

Parla padre Mounir di Damasco. «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime. È l’esatto contrario. »

Si pubblica la testimonianza, rilasciata alla alla testata Tempi.it, di Padre Mounir Hanachi , sacerdote salesiano nato ad Aleppo, da qualche anno parroco a Damasco e direttore del centro salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco, un oratorio che ospita oltre 1200 giovani dalla seconda elementare all’università, “per concedere loro qualche ora al giorno di serenità, di servizi essenziali come l’acqua e l’elettricità che in casa non hanno. Ecco perché ci siamo chiamati Oasi di pace”, come afferma Padre Mounir. L’oratorio è stato momentaneamente chiuso per ragioni di sicurezza.

 

Siria. «Su Ghouta voi europei raccontate una verità parziale. Quelli sono terroristi»

Parla padre Mounir di Damasco. «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili»

«Lo so cosa scrivono i media da voi in Italia e in tutto l’Occidente sulla guerra che si sta combattendo a Ghouta. Raccontano solo una faccia della medaglia, nessuno si preoccupa del nostro dramma». Si confida così a tempi.it padre Mounir, 34 anni, originario di Aleppo ma residente a Damasco, dove si occupa di un oratorio con oltre 1.200 giovani. Il salesiano fa riferimento ai durissimi scontri di questi giorni tra l’esercito del governo di Bashar al-Assad e le formazioni terroristiche che difendono Ghouta orientale, nella periferia della capitale. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani, organizzazione vicina agli estremisti, negli ultimi giorni sarebbero morte quasi 300 persone nel sobborgo.

«Nessuno però parla dei civili, tanti bambini, uccisi qui dai colpi di mortaio, anzi, dai missili che vengono sparati da Ghouta», continua il sacerdote. Molte scuole nei quartieri di Damasco più colpiti dall’artiglieria ribelle sono state chiuse per sicurezza, al pari di molti negozi. I colpi di mortaio, infatti, cadevano spesso vicini agli istituti e nelle ore di uscita dei ragazzi. Da settimane anche i salesiani hanno dovuto chiudere il loro centro: «Era troppo pericoloso. Noi abbiamo degli autobus che girano per la città e raccolgono i ragazzi per portarli al centro, dove giochiamo, studiamo, facciamo catechismo ma ora per prudenza li lasciamo a casa, perché per strada potrebbero essere colpiti dai missili».

Il bombardamento di Ghouta si è intensificato nell’ultima settimana, perché il governo prepara l’assalto finale per riprendere il quartiere. «Tutto il giorno si sentono gli aerei dell’esercito che sorvolano la capitale. Spero che l’attacco cominci presto e che la zona venga finalmente liberata, come è stata liberata Aleppo», continua padre Mounir, ricordando che «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime, come raccontate voi. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili. Quanti sono i bambini morti qui di cui nessuno parla? Questi non sono l’opposizione, sono terroristi, vengono da ogni parte del mondo, e l’esercito siriano ha il diritto di difendere la dignità dei siriani e il paese».

Il prossimo mese la Siria entrerà nel suo ottavo anno di guerra e padre Mounir non si fida più delle trattative di pace condotte dalla comunità internazionale: «Non stanno risolvendo niente, parlano ma non fanno nulla». Il sacerdote è stato ordinato cinque anni fa a Torino, ma ha scelto di lasciare l’Italia e tornare a Damasco per «servire il mio popolo in difficoltà». In questi giorni, però, le sue attività sono limitate al minimo perché «il governo ha consigliato a tutti di non muoversi di casa, se non per attività strettamente necessarie, perché molte zone della capitale sono sotto tiro. Nonostante questo cerchiamo di stare vicini ai nostri ragazzi e alle nostre famiglie».

Pare Mounir ha vissuto in Italia, ma ora non riesce più a leggere i giornali nostrani: «Ho visto come date le informazioni: sempre parziali, sempre nascondendo una parte della verità, addirittura truccando le foto», continua. «Voi di Tempi siete tra i pochi che avete il coraggio di raccontare tutta la verità. Io lo so che il governo siriano non è costituito da santi né da angeli, c’è la corruzione come in tanti altri paesi. Però dovete capire che la maggioranza della popolazione siriana, che soffre come e più degli altri, si fida di questo governo, nonostante i suoi sbagli. Voi europei invece appoggiate i terroristi che colpiscono la gente innocente. Questo è inaccettabile e qualcuno deve dirlo».

(fonte: Tempi.it)

Si segnala, qui di seguito, anche il video di Missioni don Bosco che, 4 anni fa, ha realizzato un’intervista con Padre Hanachi Mounir, raccontando la sua esperienza in Siria, terra di missione travagliata da una guerra che non accenna a fermarsi.

 

Inoltre, si pubblica qui di seguito l’articolo apparso su ANS relativo alla dichiarazione di G. Pettenon sulla chiusura dell’oratorio di don Mounir a Damasco:

“Come dimenticare…?”
Il ricordo indelebile della martoriata Siria nelle parole del sig. Pettenon

Mi si è gelato il sangue nelle vene”. In questo modo il Presidente di “Missioni Don Bosco”, sig. Giampietro Pettenon, SDB, commenta la notizia della sospensione delle attività presso l’oratorio salesiano di Damasco, ben sapendo che, per arrivare ad una simile decisione, la realtà nella capitale siriana deve essere arrivata a livelli di gravità inauditi. Il sig. Pettenon aveva visitato la Siria con una troupe di Missioni Don Bosco nello scorso autunno e per questo ha scritto questa commovente lettera, che qui riportiamo:

 

Cari amici,

ieri leggendo le notizie delle agenzie di stampa mi si è gelato il sangue nelle vene, notando che veniva comunicata l’interruzione dell’attività dei Salesiani a Damasco, a causa della situazione drammatica che sta vivendo la capitale siriana in questi giorni di intensi combattimenti. Solo quattro mesi fa eravamo a Damasco, loro ospiti. Rivedo i volti dei giovani che abbiamo conosciuto, dei Salesiani della comunità locale, degli adulti che gravitano attorno all’oratorio per i servizi di cucina, pulizia, manutenzione. Ad ottobre erano tutti pieni di speranza per la fragile tregua che c’era in quel periodo e tutti si auguravano che il peggio fosse passato. Purtroppo così non è stato.

Se il direttore – don Munir – e i confratelli dell’oratorio hanno deciso di chiudere la struttura per evitare ulteriori rischi per la vita dei giovani che lo frequentano, significa che la situazione è davvero drammatica. Come dimenticare le lacrime che sgorgavano abbondanti quando ci raccontavano della paura avuta durante i precedenti bombardamenti? Come dimenticare i nomi dei loro familiari che ci venivano da loro descritti prima che una granata o un colpo di mortaio ne facesse scempio? Come dimenticare la grandissima dignità e la fede autentica di queste persone, vittime innocenti, che non si fermavano a piangere sui drammi vissuti, ma erano pronti a raccontarti i sogni e le speranza per il futuro? Come dimenticare?

In pochi giorni sono tornati al terrore dei vetri infranti per lo scoppio di ordigni, alla mancanza di corrente elettrica per buona parte della giornata, alla carenza di cibo perché andare a fare la spesa è un rischio, e poi, dove comprare qualcosa? I mercati e i negozi faticano ad approvvigionare le derrate da vendere perché i trasporti sono quasi del tutto interrotti; le strade sono i luoghi più pericolosi…. Senza contare la forte pressione psicologica che la paura alimenta in tutti, compresi i Salesiani che non aprono le porte dei cortili ai ragazzi, ma continuano ad accogliere padri e madri di famiglia che vengono a bussare discretamente alla porta per chiedere un aiuto per poter mangiare qualcosa…

(Articolo tratto da ANS – Agenzia Info Salesiana)