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Amici di Don Bosco: passa in Fondazione Avsi: un’alleanza con i bambini e le famiglie al centro

Dal sito di Amici di Don Bosco.

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Con il 3 aprile scorso è iniziata una nuova stagione per le attività di adozione internazionale di Amici di Don Bosco, incorporate nella Fondazione Avsi, che ha vent’anni di esperienza nelle adozioni internazionali e molti più nella cooperazione internazionale.
Lo scopo principale di questa operazione è offrire a bambini e famiglie un servizio più capillare, articolato, efficace e puntuale, durante ogni fase del percorso adottivo, considerati i cambiamenti che questo settore sta affrontando.
Con questo nuovo assetto Fondazione Avsi estende il suo raggio di azione a nuovi Paesi esteri e offre più sedi in Italia aperte alle famiglie: 12 Paesi (Colombia, Messico, Bolivia, Lituania, Romania, Sierra Leone, Benin, Costa D’Avorio, India, Mongolia, Filippine e Sri Lanka) e 5 sedi distribuite sul territorio italiano (Milano, Torino, Cesena, Firenze e Lecce).

“Le scelte operative di Amici di Don Bosco sono sempre state improntate verso un forte senso di responsabilità nei confronti delle coppie e delle famiglie. Nell’attuale quadro dell’adozione internazionale, la ricerca di sinergie profonde ci sembrava l’unica strategia possibile per non disperdere un patrimonio fatto di relazioni istituzionali e personali, di attività di accompagnamento e sostegno, di progetti di formazione e di trasformazione della cultura dell’adozione accumulato in trentotto anni di lavoro”

dichiara Daniela Bertolusso, coordinatrice di Amici di Don Bosco.

“Il panorama delle adozioni internazionali è profondamente cambiato negli ultimi anni e continuerà a cambiare nel prossimo futuro”

sottolinea Marco Rossin, direttore adozioni internazionali Avsi.

“Se vogliamo, in quanto ente autorizzato, essere una reale risorsa per bambini e famiglie, è necessario investire in un settore in contrazione. Noi puntiamo a realizzare un modello virtuoso che riesca a coniugare un servizio di qualità e un intervento nei Paesi di provenienza dei bambini”.

È una prospettiva di lungo termine, che non considera le adozioni come un sistema separato dalla tutela dell’infanzia e dalle azioni di cooperazione.

Inoltre con l’acquisizione di Amici di Don Bosco viene valorizzata l’attività di accompagnamento delle coppie e delle famiglie, fiore all’occhiello dell’associazione.

“Il vero valore aggiunto di questo accordo con Amici di Don Bosco sta nelle persone, che hanno un capitale di esperienza enorme, soprattutto nel post adozione”.

Commenta così Daniela Bertolusso:

“Penso che fare economie di scala sia inevitabile, che non vuol dire perdere la propria individualità ma trovare il soggetto giusto che raccolga un’eredità e la porti a frutto, valorizzandola. Negli ultimi sette anni in particolare abbiamo fatto un lavoro di enorme valore proprio per ricercare il modo migliore per stare vicino alle coppie e a questi ragazzi che non sono sempre bambini ma che diventano giovani adultiPer noi sono stati importanti agenti di formazione, ci hanno dato un grosso supporto nel progettare un modo di fare formazione e accompagnamento diverso. Il nostro post adozione è sempre andata al di là dell’obbligo e delle relazioni, abbiamo sempre accompagnato le famiglie nel tempo. Questo ci ha molto rafforzato nella relazione con le famiglie: penso davvero di poter dire che le nostre famiglie non sono mai state sole”.

Amici di Don Bosco onlus: Adozioni internazionali – Daniela Bertolusso

L’agenzia di stampa del Servizio d’Informazione Religiosa SIR pubblica un articolo dedicato alla tematica delle adozioni internazionali, con l’intervento sull’argomento da parte di Daniela Bertolusso, coordinatrice dell’associazione Amici di Don Bosco onlus che si dedica a questo tipo di attività. Nel 2019 le adozioni internazionali in Italia tuttavia hanno registrato un decremento, arrestandosi sotto quota mille. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato ieri sul sito del SIR.

Adozioni internazionali: Bertolusso (Amici di Don Bosco), “sempre più difficile l’incastro tra attese e realtà, servono responsabilità e nuovi strumenti”

Nel 2019 le adozioni internazionali in Italia hanno registrato, a livello nazionale e per molti enti autorizzati, una flessione, arrestandosi sotto quota mille.

“Le cause del fenomeno sono da ricercarsi in una molteplicità di elementi e ci spingono ad una riflessione collettiva”,

afferma intervenendo nell’ampio dibattito in corso Daniela Bertolusso, coordinatrice dell’associazione Amici di Don Bosco onlus, ente accreditato per l’adozione internazionale, emanazione del mondo salesiano, che, in controtendenza, negli ultimi tre anni ha aumentato il numero dei minori adottati, puntando molto su incontri di formazione “post adozione” e sulla ricerca delle origini, coinvolgendo genitori e giovani adottati.

Innanzitutto, secondo Bertolusso, “alcuni Paesi hanno avviato serie politiche di promozione dei diritti dell’infanzia e, anche grazie a un’economia in crescita, applicano con rigore il principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale, affidando alle famiglie straniere solo i minori che non trovano accoglienza in adozione nazionale (bambini grandi, con necessità particolari o speciali, nuclei di fratelli). In altri Stati si sono fatte strada tendenze nazionaliste: in queste ipotesi, la politica internazionale gioca sulla pelle dei bambini, che non hanno una valida alternativa nel loro Paese di nascita e sono destinati a crescere senza una vera famiglia. Altri Paesi hanno carenze strutturali (a livello di politiche e di personale) rispetto alle quali un serio lavoro di cooperazione guidato dalla Commissione adozioni internazionali (Cai) potrebbe in qualche modo essere d’aiuto”.

Sul versante italiano, “oltre alla discontinuità (in leggero miglioramento) delle relazioni tra la Cai e le Autorità centrali partner, gioca un ruolo decisivo la difficile corrispondenza tra le disponibilità all’accoglienza maturate dalle coppie e i bisogni dei bambini che oggi vanno in adozione internazionale. Un incastro sempre più delicato da realizzare, se si lavora con responsabilità e coscienza. Il richiamo alla responsabilità vale per tutti: per gli enti autorizzati, che non possono solo essere spinti dalla necessità di fare abbinamenti e che hanno il dovere di accompagnare per un periodo significativo le famiglie dopo l’adozione. Per coloro che valutano l’idoneità delle coppie, affinché si mantengano sempre più aderenti agli attuali scenari dell’adozione internazionale. Per le coppie, che magari sono in attesa da lungo tempo rispetto a un bambino che oggi ‘non esiste (quasi) più’, perché rinunciare a un progetto in cui si era investito molto, a livello affettivo e anche economico, richiede infinito coraggio. Per le autorità centrali, chiamate a progettare con tutti gli attori istituzionali e i partner stranieri un nuovo modello di adozione internazionale, che preveda adozioni miti, forme di affido internazionale che tutelino i diritti dei minori ad avere una famiglia”.