Articoli

Basilica Maria Ausiliatrice: “Il sogno che fa sognare”: la lettura critico-storica di don Francesco Motto, Direttore Emerito dell’Istituto Storico Salesiano

Dall’agenzia ANS.

***

Un’autentica chiamata di Dio fatta nel 1824 a un bambino e raccontata cinquant’anni dopo, con il linguaggio della maturità, quasi un copione riassuntivo di un’esistenza tutta spesa per le nuove generazioni nel nome di Gesù e di Maria.

Visto da uno storico, il “sogno dei nove anni” di don Giovanni Bosco ha i contorni del fatto vero e la potenza evocativa di una pagina letteraria.

La sera di lunedì 22 gennaio, lo ha spiegato a Torino, presso la Basilica di Maria Ausiliatrice, don Francesco Motto, SDB, Direttore emerito dell’Istituto Storico Salesiano (ISS), e autore di numerosi libri e ricerche.

L’incontro è stato introdotto e concluso dal Rettore della Basilica, don Michele Viviano, ed è stato moderato dal giornalista Alberto Chiara, caporedattore di Famiglia Cristiana.

Don Motto, nella sua relazione puntuale e documentata, ha citato testimoni, scritti e interpretazioni.

“Non si trattò di un sogno unico – ha concluso –: riapparve, con varianti anche significative, vent’anni dopo all’inizio della sua missione sacerdotale (1844) e ancora successivamente, fino al 1887, al momento della celebrazione davanti al quadro di Maria Ausiliatrice nella chiesa del Sacro Cuore a Roma, quando, a pochi mesi dalla morte, scoppiò a piangere vedendo avverarsi le ultime parole della ‘donna di maestoso aspetto’ del sogno: ‘A suo tempo tutto comprenderai’. Si tratta dunque di un complesso di sogni-visioni disseminati lungo la sua vita”.

Di quel sogno, oggi, rimane l’eredità sempre attuale: l’impegno verso i giovani, tutti, ma soprattutto quelli alle prese con difficoltà pratiche, morali o spirituali; il metodo preventivo, tuttora valido, intessuto di “mansuetudine” e di “carità”; e una fede che si trasmette più con l’esempio che con verbosi discorsi.

Per quanti volessero rivivere la serata con don Motto, il video della diretta resta sempre disponibile sul canale YouTube della basilica.

Italia – Don Alberto Maria De Agostini l’ultimo esploratore della “fine del mondo”

Dall’agenzia salesiana ANS.

***

(ANS – Roma) – “Don Alberto Maria De Agostini l’ultimo esploratore della ‘fine del mondo’” è il titolo del volume che il curatore don Francesco Motto, SDB, manda in libreria in occasione della festa di Don Bosco, edito dalla LAS di Roma. Si tratta degli Atti del Convegno promosso dall’Istituto Storico Salesiano e tenutosi all’UPS a fine aprile 2022, valorizzati da un inserto fotografico di grande interesse.

Nell’ambito della storiografia salesiana il volume costituisce quasi un’assoluta novità: la quindicina di redattori dei contributi in esso presenti sono praticamente tutti laici, esterni al mondo salesiano, e tutti professori universitari o Direttori di musei e di Centri Nazionali di studi. Dunque uomini di cultura che si sono impegnati a presentare alcune delle molteplici sfaccettature del salesiano forse più famoso dell’America meridionale, non a caso chiamato anche “don Patagonia: un diligente cartografo per nascita, un provetto scalatore ed esperto fotografo per eredità territoriale, un buon sacerdote per vocazione, un generoso missionario per scelta, un intrepido esploratore della Patagonia e Terra del Fuoco, un valido promotore turistico, con eccellenti doti di naturalista, etnologo, scrittore, cineasta.

In quella terra della “fine del mondo” sognata da Don Bosco, don De Agostini, con dieci traversate transatlantiche, portò a termine spedizioni di grande valore scientifico scalando coraggiosamente decine di montagne per lo più coperte di neve e ghiaccio, attraversando foreste vergini inesplorate, navigando in acque tumultuose, percorrendo a piedi, a cavallo, su carri, migliaia di chilometri di impervi ed inesplorati terreni, il tutto affrontato con penuria di mezzi e tra incredibili difficoltà climatiche.

Per 50 anni (1910-1960), equamente divisi fra Italia e Argentina-Cile, intrecciò lunghe escursioni con giornate di lavoro a tavolino, alternò esplorazioni scientifiche e pubblicazioni con attività educative e sacerdotali, intercalò solitudini assolute con la vita comunitaria. Attraverso libri, conferenze, fotografie e documentari mise sulla mappa del pianeta l’ultimo lembo di terra ignoto all’umanità – prima che gli aerei lo potessero facilmente sorvolare – e tramandò alle future generazioni vedute naturali e volti di popolazioni indigene prima che scomparissero: le une per il surriscaldamento climatico, gli altri per violenti contatti con la “civiltà ed il progresso” degli invasori occidentali.

Il volume verrà prossimamente presentato a Roma e successivamente a Torino-Valdocco, dove sarà pure ri-allestita ed arricchita la mostra già esposta nel corso del convegno romano.

 

Presentazione dell’Epistolario di Don Bosco a cura di don Francesco Motto

Mercoledì 19 maggio in diretta streaming si terrà la presentazione del nuovo Epistolario di Don Bosco “Un nuovo volto di Don Bosco – Lettere del triennio 1884-1886”, a cura di don Francesco Motto.

Programma:

15:00 – Saluto del decano della FSE, prof. Mario Llanos
15:10 – Presentazione del curatore del volume,  prof. Francesco Motto (ISS)

Intervengono:

15:30 – prof. Giancarlo Cursi (FSE)
15:50 – prof. Carlo Maria Zanotti (FSE)
16:10 – prof. Andrea Farina (FSE) 

Modera: prof. Thomas Anchukandam, direttore dell’ISS

 

“Don Bosco, l’autobiografia nelle lettere” – La Stampa

Si avvia alla conclusione l’edizione dell’epistolario di Don Bosco curato da don Francesco Motto. Si riporta l’articolo pubblicato nella sezione Vatican Insider de La Stampa del 13 marzo scorso.

Don Bosco, l’autobiografia nelle lettere
Con il nono volume, si avvia alla conclusione l’edizione critica dell’epistolario del Santo curato dallo storico don Francesco Motto

Ancora cinquecento lettere – duecento inedite – che vanno ad aggiungersi alle migliaia già pubblicate, interamente autografe o solo firmate. Scritte in italiano, ma pure in francese. Missive sparse in tanti archivi, recuperate, trascritte per la prima volta o verificate nelle trascrizioni correnti, messe in ordine cronologico, annotate in modo sobrio ma offrendo le informazioni necessarie a comprenderle nei passaggi poco chiari. Parliamo dell’edizione critica dell’epistolario di don Bosco che, con questo nuovo volume, il nono – relativo al triennio 1884-1886 e con don Bosco ormai settantenne – si avvia alla conclusione. Restituendoci un profilo nitido del santo sacerdote, fondatore, educatore, consigliere, direttore spirituale, imprenditore, viaggiatore, nella cornice del suo tempo. Con il prossimo volume – il decimo, corredato di un robusto apparato di indici, e pronto a quanto pare nel giro di un anno e mezzo all’incirca – andrà dunque a conclusione la fatica editoriale di don Francesco Motto, già direttore dell’Istituto Storico Salesiano, attuale presidente dell’Associazione Cultori Storia Salesiana, che nel 1988 al congresso internazionale a Roma per il centenario della morte di don Bosco, aveva comunicato l’avvio dell’edizione critica di questo epistolario.

Anche il nuovo volume, con la premessa e le note del curatore – oltre agli utili indici e alle appendici – reca nuove tessere al mosaico sin qui composto dagli studiosi impegnati alla biografia documentata del grande santo piemontese. Come? «Confermando, smentendo, correggendo acquisizioni precedenti, colmando lacune. E svelando corrispondenti ignoti alla storia salesiana. Italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, belgi, polacchi, inglesi, tedeschi, austriaci, ungheresi, ma pure cileni, argentini, uruguaiani, brasiliani…: laici ed ecclesiastici, uomini e donne, ricchi e poveri, aristocratici e popolani, con cui don Bosco entra in stretto contatto per mille ragioni», sintetizza don Motto. Che, fra le novità offerte dal nuovo tomo, sottolinea il leit motiv relativo alla salute di don Bosco, ormai semicieco e un po’ malandato sia pure con sprazzi di inattesa ripresa qua e là: «Sono vecchio, semicieco, perciò legga con pazienza questo povero scritto», si legge nel post scriptum di una lettera spedita da don Bosco il 22 luglio 1886 da Pinerolo nella quale ad un sodalizio di operai cattolici chiede preghiere per la sua persona e i suoi orfanelli che – fa notare – «in questo momento oltrepassano il numero di duecentodiecimila». «Nelle lettere degli anni precedenti don Bosco si interessava per lo più della salute dei corrispondenti e dei loro familiari, ma a settant’anni, sofferente, sempre più “ombra di se stesso” è ormai costretto a riferirsi continuamente della propria, anche perché deve continuamente scusarsi della grafia quasi illeggibile, dei ritardi nel rispondere, della rinuncia ad alcuni appuntamenti previsti, della stessa brevità delle risposte. Non manca il caso, commovente anziché no, in cui non riesce a finire la lettera iniziata e chiede di farlo ad un altro», spiega don Motto. E aggiunge: «Eppure con grande fatica fisica e psichica non cessa di scrivere personalmente a particolari autorità civili e religiose, ad alcuni confratelli, a determinati benefattori, a illustri personaggi mai conosciuti di persona. Eppure decide, anche contro il parere dei medici e dei confratelli più autorevoli, di sobbarcarsi a faticosissimi viaggi in Francia nel 1884-1885 e soprattutto a quello in Spagna a Barcellona nel 1886».

È il decisionismo che lo porta a non rinunciare alla guida della Congregazione, tutt’al più aiutato dai collaboratori più fidati: dal braccio destro don Michele Rua, vicario con pieni poteri dal 1885, a don Giovanni Bonetti direttore del «Bollettino Salesiano», a don Giovanni Battista Lemoyne: quest’ultimo in particolare diventato segretario di concetto di don Bosco e segretario del Capitolo superiore. È il decisionismo che lo vede portare a conclusione vertenze disparate, continuare a tenere conferenze, viaggiare, scrivere a vescovi, sindaci, imprenditori, deputati, persino capi di Stato, oltre a benefattori di vari Paesi. Esempi? Dal ministro degli interni Agostino Depretis al Duca Tommaso Gallarati Scotti, dal Prefetto di Propaganda Fide cardinal Giovanni Simeoni all’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe cui chiede aiuti economici, fino a Leone XIII al quale presenta richieste per l’apertura di noviziati, domanda dispense dai requisiti per l’età dei suoi ordinandi, propone onorificenze per i benefattori. Balzano agli occhi in tempi di epidemia e contagi, le tante lettere a preti e suore, conti e marchesi, dove – come in precedenza aveva già fatto – torna a consigliare quale antidoto spirituale al colera, la preghiera e le medagliette di Maria Ausiliatrice.

110 anni dalla morte del Beato don Michele Rua: presto un documento inedito

Il 6 aprile del 1910 nasceva al cielo don Michele Rua, primo successore di don Bosco. Si riporta di seguito l’articolo pubblicato dall’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS in merito ai 110 dalla morte del Beato e all’inedito documentario dei funerali di don Michele Rua il quale doveva essere proiettato alla chiusura del Capitolo Generale 28°, ma che sarà invece divulgato quando terminerà l’emergenza sanitaria in atto.

(ANS – Roma) – Era tutto pronto per la grande celebrazione della Messa d’oro di Don Michele Rua, il 24 giugno 1910. Il Signore lo chiamò a sé tre mesi prima, il 6 aprile, all’età di 72 anni. Ne aveva passati la metà accanto a Don Bosco e 22 come suo successore. Con lui aveva condiviso tutto: pane, lavoro, fatiche, ansie, gioie e dolori, delusioni e speranze, fin l’età della morte. Stessa passione per i giovani, stesso zelo per le anime, stesso amore a Gesù Sacramentato, all’Ausiliatrice, ai sacramenti, al Papa, stessa disponibilità al lavoro e al sacrificio, stessa capacità di mortificazione, stessi faticosi viaggi, accompagnati da grazie e miracoli. Hanno condiviso la stessa aspirazione alla santità, raggiunta da entrambi con la canonizzazione dell’uno (1934) e la beatificazione dell’altro (1972).

Le intuizioni del carismatico fondatore in Don Rua sono divenute realtà, istituzione, organizzazione, struttura. Lungo il suo Rettorato, segnato anche da grandi sofferenze, ha consolidato e sviluppato in misura impressionante l’Opera salesiana nel mondo, che si temeva potesse non sopravvivere alla morte del fondatore; ha conciliato la necessità di un intelligente decentramento del servizio di governo; ha rilanciato con forza ed arricchito di nuove espressioni giovanili gli oratori e l’associazione dei Cooperatori.

Don Rua ha immesso la società salesiana su inedite vie dell’assistenza ai lebbrosi, ammalati, portatori di handicap; ha affrontato salesianamente l’inedita sfida della “questione operaia”; ha sviluppato con abili collaboratori il patrimonio educativo e spirituale ereditato; ha fatto preparare con studi superiori degli educatori che fossero all’altezza della situazione; ha allargato gli spazi missionari…

Tutto ciò lo possiamo trovare in due volumoni, che raccolgono gli Atti di due Convegni promossi dieci anni fa (in occasione del centenario della morte del beato), dall’Istituto Storico Salesiano (ISS) e dall’Associazione Cultori di Storia Salesiana (ACSSA).

Alieno a ogni forma di azione politica e partitica, Don Rua ha declinato la dimensione sociale dell’opera salesiana con modalità adeguate ai tempi e le celebrazioni funebri di 110 anni fa furono non meno solenni e partecipate di quelli di Don Bosco.

Il 6-7 aprile 1910 Torino si è fermata, dal Consiglio comunale agli operai degli stabilimenti della FIAT: una folla immensa (decine e decine di migliaia di persone), è accorsa a dare l’estremo saluto al cittadino illustre e benemerito, al padre, all’amico, all’apostolo della gioventù, mentre sentite condoglianze arrivavano da tutta Italia, da decine di paesi d’Europa, America, Africa, Asia…

In Piazza Maria Ausiliatrice, accanto ad un fiumana di pedoni, fu tutto un succedersi di eleganti automobili, di vetture padronali e cittadine, comprese quelle di Sua Altezza Imperiale e Reale, la Principessa Maria Laetitia, dei rappresentanti del card. arcivescovo e delle più alte autorità cittadine, di altri arcivescovi e vescovi, di rappresentanti del Governo. Succedere a Don Bosco non era un’impresa facile, ma ancor più lo era mantenere intatta, dopo un quarto di secolo, tutta la simpatia che il nome di Don Bosco trascinava irresistibilmente dietro di sé.

Uno scoop rimandato

Era quasi pronto per essere proiettato pochi giorni fa Torino, alla prevista chiusura del Capitolo Generale 28°, lo scorso 4 aprile. Ma poi è arrivato il coronavirus e tutto si è fermato. Ma “che cosa” era quasi pronto? Era pronto un incredibile filmato di vari minuti con i momenti più salienti della due giorni dei funerali di Don Rua!

Una fake news, direte? No, un vero documentario con sequenze cinematografiche girate da varie angolazioni all’interno di Valdocco, in piazza Maria Ausiliatrice, in via Cottolengo… Con immagini in movimento di Don Rinaldi, don Barberis, don Lemoyne… Volti noti, ripresi anche in primo piano, che seguono la cassa di Don Rua trasportata a mano dai giovani salesiani nel cortile di Valdocco o su apposita carrozza adornata a lutto per le vie cittadine, fino a Valsalice. E con loro vediamo la folla di popolo, di giovani, di nobili abbigliata a lutto, con loro grazie, alle immagini cinematografiche, ovviamente mute, camminiamo per via Maria Ausiliatrice, via Cottolengo… e soprattutto viale Regina Margherita, percorsa da pedoni, biciclette, carrozze a cavallo, automobili, tram…

Il mondo torinese di Don Rua offertoci da una macchina da presa affittata per la straordinaria celebrazione funebre dai lungimiranti salesiani del tempo (la cinematografia faceva ancora i primi passi). Passata la tempesta del coronavirus, contiamo di potervelo mostrare. Rimanete in attesa.

don Francesco Motto, SDB

Presidente ACSSA