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Animazione Missionaria: il quarto incontro del Corso Partenti 2019/2020

Sabato 11 e domenica 12 gennaio 2020, al Colle Don Bosco e a Valdocco, si è svolto il quarto incontro dedicato al Corso Partenti 2019/2020 promosso dall’Animazione Missionaria dell’Ispettoria del Piemonte e Valle d’Aosta.

Quarto appuntamento per i giovani che si preparano a vivere un’esperienza di missione estiva: quale cornice migliore per approfondire la spiritualità missionaria salesiana se non “andando alle radici” nel luogo dove tutto ebbe inizio? Al Colle don Bosco i ragazzi hanno prima avuto modo di conoscere i vari carismi missionari e poi approfondire quello salesiano che possiamo riassumere in tre aspetti:

  • L’attenzione ai giovani, in particolare quelli più poveri e in difficoltà;
  • Investire nella loro educazione, affinché siano “buoni cristiani e onesti cittadini”;
  • Necessaria una buona dose di allegria.

In Basilica è stata approfondita la storia di don Bosco a partire dall’inizio, dalla cascina dei Becchi: proprio in quei luoghi, il grande dipinto in Basilica ci riporta alle immagini e ai personaggi del sogno dei 9 anni. Il tramonto ha poi sottolineato in modo incredibile la bellezza del Colle delle beatitudini giovanili (com’è l’ha battezzato San Giovanni Paolo II), davvero un luogo dove continuare a sognare… l’estate!

In serata, tappa al museo missionario in compagnia di due giovani salesiani, don Alexis e don Oliver, che fanno parte della 150° spedizione missionaria salesiana: saranno inviati in Lituania e partiranno in questi giorni.
Ci hanno dato testimonianza del loro paese di origine e ciò che i salesiani hanno fatto nelle loro terre, per concludere con una breve presentazione dell’esperienza che li attende.

Dopo aver quindi toccato con mano i luoghi di origine in cui è nato il sogno salesiano che tutt’oggi vive e di cui questi giovani fanno parte, la giornata di sabato si è conclusa con il rientro a Torino Valdocco.

Domenica 12 gennaio, giornata interamente vissuta a Torino Valdocco: al mattino i ragazzi hanno potuto ascoltare la testimonianza di don Silvio Roggia, salesiano di don Bosco e con una forte esperienza missionaria. Oggi si trova a Roma e opera nella congregazione nell’ambito della Formazione dei salesiani; più volte missionario in Africa occidentale, don Silvio ha voluto condividere coi giovani alcune considerazioni sulla missione e alcuni consigli. Cosa ha da dire un luogo povero al nostro cuore? Madre Teresa diceva “Siamo tutti poveri di fronte a Dio”: questo deve essere il punto di partenza della nostra missione. Una chiave di lettura per il ritorno. “L’esperienza che vi apprestate a vivere è un munus” dice don Silvio, “un munus di eccezionale valore durante la vostra vita” (il munus inteso in accezione romana, quando i soldati vinta la battaglia ricevevano in dono il munus, il pezzo di terra, che però diveniva dopo, una responsabilità). Uno sguardo poi a due figure da usare come “decoder”: la Beata Maria Troncatti e il venerabile Vincenzo Cimatti.

Punto di riflessione importante, quello riguardo la “crisi”, situazione esistenziale e spesso anche momento chiave dell’esperienza estiva, della missione in generale: la crisi è sempre rischio e possibilità di crescita. La missione può essere il momento di “gestazione” della propria nuova vita.
Infine, uno sguardo ad un tipico simbolo della cultura ghanese, il Sankofa. Un piccolo uccello, rappresentato mentre avanza guardando all’indietro: per poter camminare, è necessario riconoscere, conservare e custodire quanto fa parte della mia identità, della mia storia.

Don Silvio ha quindi salutato i giovani lasciando loro leggere alcuni tratti della Evangelii Gaudium.

272. L’amore per la gente è una forza spirituale che favorisce l’incontro in pienezza con Dio fino al punto che chi non ama il fratello «cammina nelle tenebre » (1 Gv 2,11), « rimane nella morte » (1 Gv 3,14) e « non ha conosciuto Dio » (1 Gv 4,8). Benedetto XVI ha detto che « chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio »,[209] e che l’amore è in fondo l’unica luce che « rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire ».[210] Pertanto, quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio. Come conseguenza di ciò, se vogliamo crescere nella vita spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari. L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente ed il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati. Contemporaneamente, un missionario pienamente dedito al suo lavoro sperimenta il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere » (At 20,35). Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio.

273. La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri. Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria vita privata, tutto diventa grigio e andrà continuamente cercando riconoscimenti o difendendo le proprie esigenze. Smetterà di essere popolo.

274. Per condividere la vita con la gente e donarci generosamente, abbiamo bisogno di riconoscere anche che ogni persona è degna della nostra dedizione. Non per il suo aspetto fisico, per le sue capacità, per il suo linguaggio, per la sua mentalità o per le soddisfazioni che ci può offrire, ma perché è opera di Dio, sua creatura. Egli l’ha creata a sua immagine, e riflette qualcosa della sua gloria. Ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita. Gesù Cristo ha donato il suo sangue prezioso sulla croce per quella persona. Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!

Rivivi il momento:

Papa Francesco – Don Bosco portatore sano di gioia!

Si riporta un articolo pubblicato dalla redazione di Avvenire in data 10 gennaio 2019 riguardo alla prefazione del libro sull’Evangeli Gaudium in cui Papa Francesco ricorda la “misura alta della vita cristiana” che il santo fondatore don Bosco mise in pratica nella periferia sociale di Torino. Buona lettura!

Pubblichiamo la prefazione del Papa al volume, curato da Antonio Carriero, “Evangelii gaudium con don Bosco”, testo in cui la Famiglia salesiana riprende in chiave educativo pastorale il messaggio dell’Esortazione apostolica di Francesco, vero e proprio documento programmatico del suo pontificato. Il titolo del contributo firmato dal Pontefice è “Cari salesiani”.

Voi salesiani siete fortunati perché il vostro fondatore, Don Bosco, non era un santo dalla faccia da “venerdì santo”, triste, musone… Ma piuttosto da “domenica di Pasqua”. Era sempre gioioso, accogliente, nonostante le mille fatiche e le difficoltà che lo assediavano quotidianamente. Come scrivono nelle Memorie biografiche,

«il suo volto raggiante di gioia manifestava, come sempre, la propria contentezza nel trovarsi tra i suoi figli» ( Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, volume XII, 41).

Non a caso per lui la santità consisteva nello stare “molto allegri”. Possiamo definirlo quindi un “portatore sano” di quella “gioia del Vangelo” che ha proposto al suo primo grande allievo, San Domenico Savio, e a voi tutti salesiani, come stile autentico e sempre attuale della

«misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 31).

Il suo è stato un messaggio rivoluzionario in un tempo in cui i preti vivevano con distacco la vita del popolo. La «misura alta della vita cristiana» Don Bosco la mette in pratica entrando nella “periferia sociale ed esistenziale” che cresceva nella Torino dell’800, capitale d’Italia e città industriale, che attirava centinaia di ragazzi in cerca di lavoro. Infatti, il “prete dei giovani poveri e abbandonati”, seguendo il consiglio lungimirante del suo maestro san Giuseppe Cafasso, scendeva per le strade, entrava nei cantieri, nelle fabbriche e nelle carceri, e lì trovava ragazzi soli, abbandonati, in balia dei padroni del lavoro, privi di ogni scrupolo. Portava la gioia e la cura del vero educatore a tutti i ragazzi che strappava dalle strade, i quali ritrovavano a Valdocco un’oasi di serenità e il luogo in cui apprendevano ad essere «buoni cristiani e onesti cittadini». È lo stesso clima di gioia e di famiglia che ho avuto la fortuna di vivere e gustare anche io da ragazzo frequentando la sesta elementare al Colegio Wilfrid Barón de los Santos Ángeles, a Ramos Mejía. I salesiani mi hanno formato alla bellezza, al lavoro e a stare molto allegro e questo è un carisma vostro.

Mi hanno aiutato a crescere senza paura, senza ossessioni. Mi hanno aiutato ad andare avanti nella gioia e nella preghiera. Come ebbi occasione di ricordarvi nella visita alla Basilica di Maria Ausiliatrice, il 21 giugno 2015, torno a raccomandarvi i tre amori bianchi di Don Bosco: la Madonna, l’Eucaristia e il Papa. Oggi si parla poco della Madonna con lo stesso amore con cui ne parlava il vostro Santo. Si affidava a Dio pregando la Madonna e quella fiducia in Maria gli dava il coraggio di affrontare sfide e pericoli della vita e della sua missione. L’Eucaristia, come secondo amore di Don Bosco, deve ricordarvi di avviare i ragazzi alla pratica della liturgia, vissuta bene, per aiutarli ad entrare nel mistero eucaristico e non dimenticate anche l’Adorazione. Infine, l’amore al Papa: non è solo amore per la sua persona, ma per Pietro come capo della chiesa e come rappresentante di Cristo e sposo della Chiesa. Dietro quell’amore bianco per il Papa, c’è l’amore per la Chiesa. L’interrogativo che dovete porvi è:

«Che salesiano di Don Bosco bisogna essere per i giovani di oggi?».

Io direi: un uomo concreto, come il vostro fondatore, che da giovane prete ha preferito alla carriera di precettore nelle famiglie dei nobili il servizio tra i ragazzi poveri e abbandonati. Un salesiano che sa guardarsi attorno, vede le situazioni critiche e i problemi, li affronta, li analizza e prende decisioni coraggiose. È chiamato ad andare incontro a tutte le periferie del mondo e della storia, le periferie del lavoro e della famiglia, della cultura e dell’economia, che hanno bisogno di essere guarite.

E se accoglie, con lo spirito del Risorto, le periferie abitate dai ragazzi e dalle loro famiglie, allora il regno di Dio inizia ad essere presente e un’altra storia diventa possibile. Il salesiano è un educatore che abbraccia le fragilità dei ragazzi che vivono nell’emarginazione e senza futuro, si china sulle loro ferite e le cura come un buon samaritano. Il salesiano è anche ottimista per natura, sa guardare i ragazzi con realismo positivo. Come insegna ancora oggi Don Bosco, il salesiano riconosce in ognuno di loro, anche il più ribelle e fuori controllo, «quel punto di accesso al bene» su cui lavorare con pazienza e fiducia. Il salesiano è, infine, portatore della gioia, quella che nasce dalla notizia che Gesù Cristo è risorto ed è inclusiva di ogni condizione umana. Dio infatti non esclude nessuno. Per amarci non ci chiede di essere bravi. E né ci chiede il permesso di amarci. Ci ama e ci perdona. E se ci lasciamo sorprendere con quella semplicità di chi non ha nulla da perdere, sentiremo il nostro cuore inondato di gioia. Quando queste caratteristiche vengono a mancare, ecco quei musi lunghi, facce tristi.

No! Ai ragazzi si deve portare questa notizia bella, una notizia vera contro tutte le notizie che passano ogni giorno sui giornali e la rete. Cristo è veramente risorto, e a dimostrarlo sono stati Don Bosco e Madre Mazzarello, tutti i santi e i beati della Famiglia Salesiana, come anche tutti i membri che ogni giorno trasfigurano la vita di chi li incontra perché si sono lasciati loro per primi raggiungere dalla misericordia di Dio. Il salesiano diventa così testimone del Vangelo, la Buona Notizia che nella sua semplicità deve confrontarsi con la cultura complessa di ogni Paese. Mettere insieme semplicità e complessità, per un figlio di Don Bosco, è una missione quotidiana. L’ampio commento che segue, rilegge l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium in chiave salesiana. È affidato a grandi esperti delle diverse discipline che, con fine sensibilità e sotto la lente di Don Bosco, mettono in risalto il pensiero del Papa in collegamento con le diverse situazioni attuali, per educare e orientare al bene dei ragazzi e dei giovani. Sono convinto che la lettura di queste pagine potrà fare del bene a tutti i figli e alle figlie di Don Bosco sparsi nel mondo, e a quanti condividono il carisma educativo salesiano. Troveranno nelle pagine di questo testo molti spunti di interpretazione della realtà e di rinnovamento della prassi educativa al servizio dei ragazzi e dei giovani del nostro tempo.