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Appassionato apostolo dell’ecumenismo. L’eredità spirituale di don Stefano Rosso – L’Osservatore Romano

Il 15 aprile 2021 ci lasciava don Stefano Rosso, sacerdote salesiano della Comunità di Torino Crocetta: un qualificato studioso della Liturgia e dell’Ecumenismo, che ha saputo aiutare generazioni di studenti non solo ad approfondire lo studio della Liturgia ma soprattutto ad esprimerla nella propria vita. Sulla sua figura, è uscito un opuscolo redatto da don Marek Chrzan, direttore dell’Istituto internazionale Don Bosco di Torino-Crocetta. Di seguito l’articolo pubblicato su “L’Osservatore Romano” a cura di Donatella Coalova in merito al contenuto dell’opuscolo su don Rosso.

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Appassionato apostolo dell’ecumenismo

L’eredità spirituale del salesiano don Stefano Rosso

«Sapiente e prudente nel guardare allo scorrere dei giorni, ha insegnato ad amare la liturgia come cuore della vita. Consapevole della preziosa parola di Cristo Gesù: “Ut unum sint”, ha dedicato tempo ed energie per tessere feconde relazioni tra le Chiese e nel dialogo interreligioso».

Nell’immagine-ricordo, così i confratelli fanno memoria del sacerdote salesiano don Stefano Rosso (1931- 2021). Sulla sua figura di appassionato apostolo dell’ecumenismo e di insigne studioso è uscito un interessante opuscolo redatto da don Marek Chrzan, direttore dell’Istituto internazionale Don Bosco di Torino-Crocetta. Il testo narra le tappe salienti della vita di don Stefano e raccoglie numerose testimonianze scritte dagli amici che egli, col suo stile mite e gentile, col sorriso accogliente e il cuore umile, si era fatto non solo in ambito cattolico, ma anche fra gli ortodossi, i protestanti e gli ebrei.

Don Stefano Rosso nacque a Piovà Massaia (Asti) il 6 novembre 1931, in una casa piena di fede. Don Stefano ricordò sempre i suoi cari e nel suo Testamento spirituale scrisse: «Ringrazio Dio per la mia famiglia, mia madre Teresa e mio padre Mario Giuseppe, che mi hanno dato tanto, per mio fratello Marino e la sua famiglia, per la vicinanza e il sostegno».

La vocazione alla vita religiosa sbocciò molto presto. Entrato nel noviziato salesiano di Morzano (Biella), pronunciò i primi voti il 16 agosto 1950, e la professione perpetua il 28 luglio 1956, a Borgomanero. Dopo il post-noviziato a Foglizzo (Torino) e il tirocinio a Cavaglià (Biella) e a Novara, seguì gli studi teologici a Bollengo (Torino) dove venne ordinato presbitero il 1° luglio 1960. Proseguì gli studi teologici a Roma, presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, dove conseguì la licenza e poi la laurea in liturgia. Nell’anno 1973-74 gli venne affidato l’incarico di direttore della comunità degli studenti di teologia a Roma; successivamente venne mandato come animatore liturgico a Valdocco (Torino).

Dal 1976 don Stefano fu docente di liturgia e animatore liturgico allo studentato teologico della “Crocetta”, a Torino, nella casa dove per quattordici anni, dal 1949 fino alla morte, aveva insegnato il venerabile don Giuseppe Quadrio (1921-1963). Certamente don Stefano ha incarnato con la concretezza della sua vita queste due frasi che don Quadrio era solito ripetere:

«Non abbiamo nemici da combattere, ma fratelli da amare», «formati un carattere umano che possa essere un sacramento vivente della bontà del Signore Gesù».

Ricordando don Stefano, i suoi confratelli scrivono:

«Uomo mite e sereno, salesiano-sacerdote buono e paziente, grande lavoratore, ha aiutato generazioni di studenti non solo ad approfondire lo studio della liturgia, ma soprattutto ad esprimerla nella vita».

Con i suoi studi meticolosi ed approfonditi, don Stefano era un vero maestro, eppure sapeva stare vicino a ciascuno con uno stile umile e fraterno, semplice e schivo. Porgeva quasi sottovoce i suoi consigli, che pure erano sempre intelligenti e preziosi. Autore di numerosi articoli e di volumi in campo liturgico, ci lascia in particolare tre poderosi volumi sui riti orientali, di circa mille pagine ciascuno: La celebrazione della storia della salvezza nel rito bizantino, pubblicato nel 2010 dalla Libreria Editrice Vaticana; Il rito copto pubblicato da If Press nel 2016; Il rito siro-antiocheno pubblicato nel 2018 dalla Libreria Editrice Vaticana.

Per la Elledici fra l’altro scrisse Il segno del tempo nella liturgia. Anno liturgico e liturgia delle ore, di 496 pagine; Un popolo di sacerdoti. Introduzione alla liturgia, di 472 pagine. Con semplicità e verità nel suo Testamento spirituale scrisse:

«Non ho mai speso un “et” per fare carriera; né mi è mai piaciuto farmi avanti. Lo Spirito mi ha condotto ad amare la parola di Dio e, in conseguenza, a valutare le realtà cristiane alla luce di Cristo e del Vangelo, norma suprema sopra tutti e di tutto».

Nel 1993 entrò a far parte della Commissione per l’ecumenismo ed il dialogo della diocesi di Torino e nel 1998 fu nominato segretario della Commissione per l’ecumenismo ed il dialogo di Piemonte e Val d’Aosta. Don Andrea Pacini, che gli succedette nello stesso incarico nella Commissione regionale, attesta:

«Don Stefano è stato guida per noi, quale fondatore vivente, dell’ecumenismo della nostra diocesi. E ha saputo formare all’ecumenismo diverse generazioni di credenti soprattutto attraverso quei corsi di formazione ecumenica di alto livello che per tanti anni ha ideato, ha promosso e ci ha lasciato come preziosa eredità. Tutti questi corsi sono anche stati pubblicati in una collana delle Paoline».

L’asso ciazione dell’Amicizia ebraico-cristiana di Torino scrive:

«Don Stefano è sempre stato nel direttivo e ha apportato un contributo fondamentale con la collana dei Quaderni dell’Amicizia ebraico-cristiana da lui voluta insieme a Nedelia Tedeschi e seguita per lunghi anni. Don Stefano ha creduto con convinzione all’Amicizia ebraico-cristiana impegnandosi in prima persona nell’ambito della comunità salesiana di via Caboto e nell’incarico da lui ricoperto di responsabile dei corsi di formazione del personale destinato all’insegnamento religioso. Tanti sono i ricordi che ci portano a pensare a lui con riconoscenza per averlo avuto fra di noi».

Altrettanto sentite le testimonianze giunte da esponenti delle chiese ortodosse e protestanti. Fedele all’invito lasciato da don Bosco ai suoi figli — «Lavoro e temperanza» — don Stefano portò avanti il suo denso impegno intellettuale e la fitta rete di contatti ecumenici fino a quando le forze glielo permisero.

«Dilexi Ecclesiam», diceva.

Dopo un anno e mezzo trascorso con costante serenità e forza interiore nell’infermeria salesiana di Valdocco, venne portato nella casa di cura Monsignor Luigi Novarese di Moncrivello, ma vi rimase un giorno solo, perché il Signore lo chiamò a sé il 15 aprile 2021

La pandemia non può fermare gli aiuti a chi ha bisogno

Viene pubblicato sul sito dell’Osservatore Romano una notizia pubblicata in data 5 dicembre in cui vengono raccontati una serie di progetti Salesiani e del loro impegno per portare aiuti umanitari nonostante la crisi della Pandemia. Si ringrazia l’autore Francesco Ricupero e si riporta di seguito il testo integrale della notizia:

Articolo di Francesco Ricupero

«Per salvarci tutti insieme non si può fare a meno del volontariato. La pandemia non può e non deve fermare la nostra attività, anzi ci offre ulteriori stimoli per andare avanti e aiutare chi ha bisogno in questo particolare momento di emergenza sanitaria e sociale che sta affliggendo l’intero pianeta»: è quanto dichiara a «L’Osservatore Romano» Nico Lotta, presidente del Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis) l’Ong salesiana che, oltre ad occuparsi di cooperazione e solidarietà internazionale, promuove e organizza attività di sensibilizzazione, educazione, formazione per lo sviluppo e la cittadinanza globale.

Attualmente il Vis sta portando avanti 83 progetti di cooperazione internazionale con 215 persone, tra operatori di sviluppo e staff locale, impegnate in prima linea in 40 Paesi del sud del mondo, nonostante la pandemia da covid-19 che ne rallenta le attività. L’organizzazione, nata nel 1986 su iniziativa del Centro Nazionale Opere Salesiane (Cnos), si ispira al messaggio di san Giovanni Bosco e al suo sistema educativo preventivo. «Insieme, per un mondo possibile» indica l’intenzione di fare rete in Italia, in Europa e nel resto del mondo per migliorare le condizioni di vita delle bambine, dei bambini, dei giovani in condizioni di vulnerabilità e delle loro comunità, nella convinzione che attraverso l’educazione e la formazione si possano combattere alla radice le cause della povertà estrema. Gli interventi del Vis puntano su diversi ambiti: ambientale con la promozione di modelli di sviluppo sostenibile rispettosi della biodiversità e in grado di contribuire a contrastare gli effetti del cambiamento climatico in Albania, Eritrea, Senegal, Ghana ed Etiopia; nella protezione dell’infanzia, con supporto psico-sociale, promozione ed emancipazione per le bambine, i bambini e i giovani più vulnerabili, le loro famiglie e le comunità, in particolare in Africa e in America Latina; con l’educazione e la formazione professionale per combattere alla radice le cause della povertà, come strumenti chiave per un vero sviluppo di persone e comunità; con aiuti umanitari e sostegno e sviluppo della resilienza delle comunità più fragili, colpite da calamità naturali o dalle conseguenze dei conflitti. Infine, nella prevenzione della migrazione irregolare attraverso progetti integrati di sensibilizzazione, informazione e di sviluppo locale. Al riguardo, Nico Lotta ricorda l’iniziativa di sensibilizzazione Stop Tratta, che insieme a Missioni Don Bosco punta alla realizzazione di una campagna di comunicazione alternativa volta ad informare le popolazioni che vivono nelle aree rurali. «Purtroppo — spiega il presidente del Vis — ci sono ancora tanti giovani che non sanno a cosa vanno incontro affidandosi a persone senza scrupoli per raggiungere l’Europa nella speranza di trovare un lavoro. I trafficanti chiedono sempre più soldi lungo la strada. Continuamente. E il debito dei migranti cresce. Noi, grazie ai volontari e ai missionari salesiani, cerchiamo di raggiungere le aree più remote per far arrivare la giusta informazione e mettere in guardia tanti giovani disperati».

Quest’anno, in occasione della Giornata internazionale del volontariato, le Nazioni Unite hanno scelto lo slogan «Together We Can Through Volunteering» e come logo un cuore blu che punta a evidenziare il ruolo chiave, ma anche il tema dell’accesso alle cure, dei volontari impegnati in prima linea nelle risposte all’emergenza Covid. «La pandemia — aggiunge Lotta — non ci ha fermati, ma ci ha fatto capire che bisognava riorientare la nostra attività. I volontari del Vis, per lo più giovani che hanno conseguito la laurea e anche un master, sono riusciti comunque a raggiungere i luoghi di destinazione per aiutare, insieme ai sacerdoti salesiani e ai cooperatori, le popolazioni che hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita. Sebbene nei mesi scorsi le Ong siano state oggetto di campagne infamanti — prosegue il nostro interlocutore — siamo comunque riusciti a dare aiuto e sostegno a migliaia di persone. Questo grazie anche alle donazioni istituzionali e ai privati che continuano a credere nelle attività benefiche dei salesiani nel mondo».

“Intorno al fuoco vivo del Sinodo”, il libro di don Rossano Sala su L’Osservatore Romano

Sull’edizione del 5 settembre de L’Osservatore Romano è uscita la presentazione dell’ultimo libro di don Rossano Sala, “Pastorale giovanile 2. Intorno al fuoco vivo del Sinodo. Educare alla vita buona del Vangelo» (Torino, Elledici, 2020, pagine 608, euro 28). Il quotidiano della Santa Sede ne riporta l’invito alla lettura di Papa Francesco, e stralci dell’introduzione – a firma di don Rossano Sala – e della parte conclusiva scritta da Padre Giacomo Costa, SJ.

Rettor Maggiore: Il profilo dell’educatore al centro dei lavori del CG28

Il quotidiano L’Osservatore Romano dedica un articolo a cura del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime sul profilo dell’educatore al centro dei lavori del capitolo generale salesiano e sul tema «Quali Salesiani per i giovani di oggi?». Di seguito il testo dell’articolo pubblicato in data odierna.

Il profilo dell’educatore al centro dei lavori del capitolo generale salesiano

Con don Bosco come modello

ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME

«La nostra non è un’assemblea di azionisti di una industria, non è un’assemblea politica con le fazioni dai contrastanti interessi economici, di prestigio, di ambizioni. Noi siamo qui Chiesa, meglio, assemblea di uomini consacrati, riuniti nel nome del Signore, votati totalmente a un ideale sovrannaturale: noi sentiamo di essere uomini di fede, le cui preoccupazioni hanno le loro radici nella fede e la cui attività, anche questa in atto, è tutta illuminata, ravvivata e motivata dalla fede. Siamo qui infatti non per interessi in qualsiasi modo umano, ma per gli interessi di Dio, del suo Regno, della sua Chiesa»

( Discorso del Rettor maggiore don Luigi Ricceri in apertura del Capitolo Generale Speciale, Roma 1971 ).

Pensando al frutto del nostro Capitolo generale, ciò che ho appena citato risulta decisivo: ciò che non conduce all’incontro con Dio nella persona del suo Figlio Gesù Cristo non viene da Dio e non ci servirà. Ciò che non ci rende più fedeli al carisma e allo stesso don Bosco, il nostro fondatore, è destinato al fallimento anche se i miraggi del momento sembrano annunciare qualcos’altro. Non siamo una Congregazione con molti secoli di vita; ma non siamo neppure gli ultimi arrivati e i 160 anni di storia ci hanno già insegnato molto. Solo lasciandosi guidare dallo Spirito di Dio la Congregazione trova il modo di dare la risposta migliore qui ed ora. Solo uno sguardo libero e lucido di fronte a mentalità fortemente secolarizzate ed edoniste permette un cammino sicuro.

Altri tentativi, prima o poi falliscono, logorano e fanno languire quell’ideale di vita che portò alla fondamentale decisione del giovane Cagliero: «Frate o non frate, sto con Don Bosco». Tutti i presenti conoscono il tema del Capitolo generale: «Quali Salesiani per i giovani di oggi?». Il tema risponde all’urgenza che abbiamo di concentrare la nostra attenzione, in questo momento della nostra storia, sulla persona del salesiano che come uomo di Dio, consacrato e apostolo, deve essere capace di sintonizzarsi il meglio possibile con gli adolescenti e i giovani di oggi e con il loro mondo allo scopo di camminare con loro, nell’educazione e formazione alla fede, aiutandoli ad essere buoni credenti – considerando che molte volte professano altre religioni – e preparandoli per la vita, accompagnandoli nella ricerca di senso e all’incontro con Dio. E siamo consapevoli di non essere solo noi ad avere la responsabilità di questa missione. La realizziamo contando su numerose altre forze di educatori ed educatrici, dei tanti laici di tutte le presenze del mondo salesiano.

Il tema che ci occuperà in queste sette settimane è unico e articolato in tre nuclei:

  • la priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi;
  • il profilo del salesiano per i giovani di oggi;
  • insieme ai laici, nella missione e nella formazione.

Il mondo nel quale viviamo in questo XXI secolo, caratterizzato dalla diversità delle culture e dei contesti, ha bisogno di incontrare salesiani consacrati – apostoli preparati e disposti a vivere la propria vita con la mente e il cuore di don Bosco. Salesiani capaci di continuare a donare la vita per i giovani del mondo di oggi, con i loro linguaggi, le loro visioni e i loro interessi.

Senza dubbio molti di questi adolescenti e giovani si trovano nelle case salesiane, mentre molti altri frequentano “altri cortili”: siamo salesiani anche per loro. Quanto proposto al Capitolo generale come sfida per l’intera Congregazione, speriamo di realizzarlo nell’unico modo possibile e valido: nel cammino della fedeltà al Signore e a don Bosco e nella fedeltà ai giovani.

Molti di questi giovani, con maggiore o minore consapevolezza, chiedono di non essere abbandonati al loro destino, un destino incerto, come naufraghi, per la nostra incapacità di essere educatori, amici, fratelli e padri – come, invece, fu don Bosco per i giovani del suo tempo – in grado di percepire le loro necessità o di ascoltare la loro chiamata. Per questa ragione la riflessione capitolare deve concentrarsi sui seguenti elementi. Dare l’assoluto primato alla missione salesiana con i giovani di oggi , e tra loro dando la priorità ai più bisognosi, ai più poveri e abbandonati.

Una predilezione per gli adolescenti e i giovani di oggi che in un certo senso sono, senza dubbio, differenti da quelli di dieci anni fa; come differenti sono i contesti sociali ed educativi nei quali vivono e che per tale ragione condizionano oggettivamente la nostra missione . Sappiamo bene che parlando di questa predilezione per i giovani ci stiamo riferendo a qualcosa di essenziale e di costitutivo della nostra identità carismatica.

Citando il testo della lettera di convocazione al CG28 ricordo all’assemblea capitolare questa priorità:

«Il nuovo Capitolo generale sarà un’opportunità per discernere attentamente e per verificare con coraggio se le nostre presenze, le nostre opere e le nostre attività sono al servizio dei giovani più poveri; se essi occupano il nostro cuore e sono al centro delle nostre preoccupazioni e dei nostri interessi; se concentriamo le nostre energie e sforzi per loro».

Ciò che ci viene chiesto e che ci si aspetta da noi salesiani sarà possibile solo se saremo in grado di essere «come don Bosco, con i giovani e per i giovani». Per questo una parte decisiva della nostra riflessione e delle nostre delibere capitolari dovrà prestare particolare attenzione alla persona del salesiano e alla nostra formazione, sia iniziale sia permanente.

Con don Bosco come modello, dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire uomo consacrato di fede profonda; dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire passione apostolica per i giovani; dire oggi salesiano dovrebbe essere lo stesso che dire figlio di Dio che sa di essere e si sente padre dei giovani; dire oggi salesiano dovrebbe essere lo stesso che dire identità carismatica di ognuno che arricchisce la Chiesa del carisma di don Bosco e crea la comunione ecclesiale; dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire apostolo dei giovani sempre fedele, sempre flessibile e creativo; dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire sempre educatore, sempre amico dei giovani. Un profilo di salesiano che non si improvvisa ma che si forma. È questo uno dei motivi che ci ha portato a vedere l’importanza di questo tema capitolare.

La vocazione di ciascuno di noi è risposta a una chiamata; una chiamata di amore e di grazia che riceviamo con gratitudine e stupore, non come diritto o merito. È una chiamata personale in un momento concreto della storia di ciascuna persona, nella trama del tempo e spesso con molteplici mediazioni; è una chiamata in un determinato contesto familiare, sociale, religioso, culturale; è una chiamata che giunge nel mondo di ciascuno, con la propria diversità e, forse, complessità. E in contesti e condizioni così diversi, ognuno di noi deve compiere un percorso che ci condurrà, nella sequela del Signore Gesù, a plasmare il nostro cuore e la nostra personalità in modo tale da avere in noi stessi lo stesso cuore pastorale di don Bosco, a imitazione di Gesù Buon Pastore, e con il desiderio di donarci generosamente agli altri, in particolare ai giovani.

Senza vivere in un genericismo, che sarebbe preoccupante e pericoloso, ma come consacrati, salesiani di don Bosco nella Chiesa per i giovani. Il profilo che deve avere il salesiano non può essere frutto dell’improvvisazione, ma deve passare attraverso le mediazioni delle diverse tappe formative, con le loro esperienze, i tempi e le persone. Sappiamo bene che questo cammino non si può percorrere senza l’aiuto delle mediazioni. Frequentemente queste mediazioni sono molte e diversificate. Immagino che la nostra riflessione capitolare prenderà coscienza del modo in cui, avendo presente il profilo del salesiano di oggi, diventa più importante che mai contare su un autentico discernimento e accompagnamento. E per questo il ruolo della comunità o delle comunità salesiane locali, il ruolo dei laici delle comunità educative pastorali e quello dei confratelli dell’ispettoria saranno di fondamentale importanza.

La riflessione e la comprensione della nostra realtà formativa nel mondo attuale ci condurranno, durante i lavori, a chiederci di quale rinnovamento formativo abbiamo bisogno, dal momento che i giovani salesiani di oggi sono tutti “nativi digitali“, provenendo da contesti culturali forse molto diversi dal nostro. Professiamo le stesse Costituzioni salesiane, ma nelle nazioni, nelle culture, nei linguaggi e in contesti molto differenti. Tutto ciò deve portarci a pensare a processi formativi personalizzati che, forse, sono l’unica garanzia di un buon cammino vocazionale con prospettiva di futuro. A ciò si collega, evidentemente, la necessità di continuare ad avere le migliori équipe formative; équipe consolidate e stabili, non improvvisate ma composte da persone preparate per questo specifico servizio. Crediamo certamente che la missione condivisa con i laici è una via per la scoperta dell’identità carismatica e che oggi si manifesta come l’unico modo possibile di portare avanti la missione salesiana nella complessità del nostro mondo, nella diversità e complessità di tante situazioni nazionali e culturali, e nella molteplicità dei contesti. Come ho affermato anche nella lettera di convocazione: saremo chiamati a discernere con realismo, coraggio e determinazione, l’orientamento del cammino da percorrere in questo XXI secolo, in un momento ecclesiale molto speciale di rinnovamento e purificazione. Siamo chiamati a dare il primato e la centralità nelle nostre decisioni e delibere a ciò che si riferisce alla missione salesiana a favore dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani più poveri e bisognosi, gli ultimi, coloro che spesso sono ignorati o scartati. Siamo chiamati a vivere in un permanente atteggiamento di formazione per non smettere di essere per e con i giovani. Siamo chiamati ad avere una visione e un cuore grande per valorizzare tutto il potenziale apostolico che, come salesiani e laici insieme, abbiamo.

Per i giovani di oggi

Con la relazione del rettor maggiore dei salesiani, di cui pubblichiamo ampi stralci, sono entrati nel vivo, sabato 22 febbraio a Valdocco (Torino), i lavori del ventottesmo Capitolo generale della Congregazione fondata da don Bosco. Alla presenza di duecentoquarantadue ispettori e delegati dai centotrentaquattro Paesi dove i salesiani sono attivi, dei rappresentanti di una buona parte dei gruppi appartenenti alla Famiglia salesiana, di due vescovi e di quattro cardinali salesiani, il rettor maggiore ha ricordato l’obiettivo di questo raduno: trovare una risposta comune alla domanda: «Quali Salesiani per i giovani di oggi?». Questione non banale con risposta non scontata se si considerano il cambiamento della condizione giovanile degli ultimi anni e l’ampiezza di situazioni che si presentano nei diversi Paesi. I lavori del Capitolo si concluderanno sabato 4 aprile.