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Visitazione: l’«accademia dell’amore» – La Voce e il Tempo

Nuovo contributo sulla figura di san Francesco di Sales, di cui quest’anno ricorre il IV centenario dalla morte, su La Voce e il Tempo. Suor Mariagrazia Franceschini, dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria, ci parla della fondazione delle suore Visitandine da parte di san Francesco di Sales e santa Giovanna De Chantal. Di seguito l’articolo pubblicato su La Voce e il Tempo.

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Proseguono i nostri contributi sulla figura di san Francesco di Sales, di cui quest’anno ricorre il IV centenario dalla morte. Sullo scorso numero (24 aprile, pagina 14) don Giovanni Ghiglione sdb ha illustrato la spiritualità del Vescovo di Ginevra che don Bosco scelse come patrono dei salesiani; su questo numero suor Mariagrazia Franceschini, dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria (le suore Visitandine fondate da san Francesco di Sales con santa Giovanna de Chantal) e studiosa del carisma del cofondatore, presenta il legame di san Francesco con la spiritualità delle Visitandine presenti in diocesi nel monastero della Visitazione a Moncalieri.

 

“Per dare a Dio donne di preghiera»

per formare cioè persone in grado di esprimere con la totalità della propria vita l’adorazione a Dio in spirito e verità, quale risposta di amore grato e totale: questo il motivo, dichiarato da lui stesso, che induceva Francesco di Sales, vescovo di Ginevra (1567- 1622) ad aprire ad Annecy (Alta Savoia) – era il 6 giugno 1610 – la prima casa della Visitazione. Dapprima semplice istituzione diocesana, il breve di Paolo V, che nel 1618 la erige in ordine religioso, la apre sull’orizzonte internazionale e la Visitazione si diffonde rapidamente oltre che nel ducato di Savoia, nel regno di Francia e in altri stati europei; nel XIX secolo varca l’Atlantico e oggi la troviamo presente in America, da nord a sud, in Africa, nella regione dei grandi laghi, in Congo e Guinea eq., in Asia con un monastero in Libano e uno in Corea del sud.

L’epoca della fondazione della Visitazione è il ‘600: un’Europa travagliata da guerre continue che ridisegnano ogni volta i confini, mentre vanno precisandosi le diverse identità nazionali. Una Chiesa ormai lacerata dallo scisma, impegnata nell’attuazione delle linee emerse a Trento. Una realtà culturale variegata nel pieno fermento di nuove intuizioni. Il luogo è Annecy: una cittadina nell’Alta Savoia, affacciata sul lago omonimo, racchiusa nella cerchia delle sue mura sotto lo sguardo austero del castello del duca di Nemours, sul confine tra il cattolico ducato di Savoia e i territori di Ginevra, roccaforte ed emblema del calvinismo e il cui vescovo era da anni esiliato ad Annecy. Risalendo le viuzze ombrose e i canali della città vecchia si raggiunge il sobborgo de La Perrière, qui – era il tramonto del 6 giugno 1610, festa della Santissima Trinità – tre giovani donne, scortate da un corteo di nobili e di gente del popolo, giungono alla casa chiamata La Galerie per iniziarvi l’esperienza di vita comune sulla scorta di un abbozzo di Costituzioni redatto da Francesco di Sales.

Sono Giovanna Francesca di Chantal, 38 anni, baronessa della Borgogna, vedova e madre di 4 figli, «mente lucida, pronta, decisa, cuore vigoroso, capace di amare e volere con potenza», Jacqueline Favre, 18 anni, spirito aperto e libero, amante della danza e della bellezza, figlia del senatore Antoine Favre, savoiardo doc, umanista coltissimo e uno dei giuristi più celebri del suo tempo, Jeanne Charlotte de Brechard, 30 anni, borgognona, alle spalle una misteriosa storia di umano patire e di splendori soprannaturali, entrata per vie provvidenziali nell’irradiamento spirituale del vescovo di Ginevra. Ad attenderle c’è una donna più attempata, Anne Jacqueline Coste, che si è messa a loro disposizione, una semplice donna del popolo che il Signore stesso si è fatto premura di informare di quanto stava realizzando Francesco di Sales.

Il segreto dell’espansione che la Visitazione conobbe nel XVII e nei primi decenni del XVIII va rinvenuto nella capacità di Francesco di Sales di cogliere i segni dei tempi e di avvertire le nuove esigenze di spiritualità che andavano emergendo nel popolo di Dio. Nel 1610 è da anni padre e maestro spirituale di una grande varietà di persone, di cui ha imparato a discernere gli aneliti più profondi e che guida con impareggiabile sapienza. Francesco è altresì pastore, e di una diocesi tra le più vaste del suo tempo e indubbiamente tra le più difficili, a confronto continuo e diretto con il calvinismo e il proselitismo dei suoi ministri, spesso prepotente, non raramente armato. Da queste sue esperienze vissute con uno sguardo profetico, un cuore docile allo Spirito Santo e abitato dall’amore di Cristo nasce la Visitazione. La sua proposta all’epoca risultava assolutamente innovativa: puntare alle vette più alte dell’amore fino all’unione con Dio percorrendo una via di umile amore, di ascesi interiore, di cordiale carità, amicizia, fraterna lungo lo sgranarsi dei giorni, in semplicità e modestia.

Nell’ideare la Visitazione Francesco era mosso anche dalla sua profonda sollecitudine pastorale: rendere questo cammino accessibile al maggior numero di donne, anche a quelle che, pur avendo la sete delle vette dell’unione d’amore con Dio, in quel tempo, a diverso titolo non potevano avere accesso ai monasteri già esistenti oppure, pur sentendosi chiamate a una dedizione esclusiva a Dio, non si riconoscevano più in forme di vita gravate da una infinità di pratiche esteriori, connotate da grandi austerità esterne, ma impoverite quanto a spessore spirituale. Francesco di Sales, profondamente consapevole che l’unica risposta alla deriva calvinista era la santità vissuta in seno alla Chiesa, ha voluto la Visitazione per servire la Chiesa stessa, non con «opere apostoliche», ma con una «vita apostolica», cioè di Vangelo integralmente vissuto, di testimonianza e di fecondità di bene offerto incondizionatamente a tutti i fratelli. Egli ama descrivere la Visitazione come una realtà in cui tutto è semplice, povero, modesto, aggiunge però subito: «tranne l’aspirazione di chi vi dimora», una aspirazione di pienezza d’amore che non conosce altro limite se non quello del Cuore stesso di Dio.

Ma non si può comprendere l’anima profonda della Visitazione se non si penetra nell’universo del «Trattato dell’amore di Dio», l’altra opera cui Francesco di Sales sta lavorando in quegli stessi anni. Nel diversificato universo religioso del suo tempo Francesco di Sales pensa e propone la Visitazione come «accademia dell’amore», secondo la definizione che ne avrebbe poi dato Henry Brémond, come un luogo cioè dove apprendere, esercitare, comunicare l’arte dell’amore di Dio, quella che sola ci rende pienamente umani. La Visitazione nasce dunque contemplativa, nella dichiarata intenzione del fondatore come già nel vissuto delle prime sorelle. Orientata al conseguimento del puro amore di Dio, nell’abbandono alla sua benevola volontà, riconosciuta e benedetta nella trama delle umili vicende quotidiane come nelle grandi ore della storia: le linee di forza che innervano la vita nel monastero trovano il loro sicuro fondamento teologico e la compiuta espressione proprio nelle pagine del «Trattato».

Per questo il ritratto più bello di una monaca della Visitazione – meta mai raggiunta ma cui sempre tendere di nuovo– è quello che Francesco tratteggia nel libro X del suo «Trattato» descrivendo «la sposa» per eccellenza:

«Colei che ama di più, la più amabile e la più amata, che non soltanto ama Dio sopra tutte le cose e in tutte le cose, ma in tutte le cose ama soltanto Dio […] e siccome è soltanto Dio che essa ama in tutto ciò che ama, essa lo ama ugualmente dovunque […] ama ugualmente il suo re con tutto l’universo o senza tutto l’universo. Non ama nemmeno il paradiso se non perché lì si può amare lo Sposo».

Come sia possibile giungere a questo è ancora Francesco che traccia la via e indica i mezzi adeguati. La via è l’imitazione di Gesù, anzi il lasciare in sé libero spazio a lui, fino a poter dire con san Paolo:

«Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».

I mezzi sono le virtù più care al Salvatore che definì se stesso «mite e umile di cuore»: l’umiltà dunque verso Dio e la dolcezza verso il prossimo, declinate in tutte le situazioni della vita. L’humus che rende tutto ciò vita, e vita piena, bella, concreta, è la preghiera, realtà che diventa via via omnicomprensiva fino ad avvolgere e penetrare tutta l’esistenza. Preghiera che significa essenzialmente relazione, «amicizia di predilezione», per usare le parole di Francesco di Sales, con le persone della Santissima Trinità, e che di tale relazione conosce tutte le sfumature, le delicatezze, le impensabili profondità, gli sconfinati orizzonti.

-suor Mariagrazia FRANCESCHINI

 

San Francesco di Sales: cuore e umanità – La Voce e il Tempo

A Valdocco, nel Museo Casa don Bosco, è allestita fino al 15 gennaio 2023 una mostra che illustra la vita e le opere di san Francesco di Sales nel IV centenario della sua morte. In occasione delle celebrazioni La Voce e il Tempo ha chiesto un contributo che evidenzi l’attualità del santo a un salesiano, ad una suora visitandina e a una giornalista. Inizia don Gianni Ghiglione, salesiano, uno dei massimi esperti della spiritualità e dell’opera di san Francesco di Sales, che ci parla del cuore e dell’umanità del santo. Di seguito l’articolo pubblicato su La Voce e il Tempo.

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Quest’anno ricorre il IV centenario dalla morte di san Francesco di Sales, vescovo francese di Ginevra, dottore della Chiesa, avvenuta a Lione il 28 dicembre 1622. A Valdocco, nel Museo Casa don Bosco, è allestita fino al 15 gennaio 2023 una mostra che illustra la vita e le opere del santo scelto da don Bosco come patrono della congregazione e che fondò con santa Giovanna de Chantal l’ordine delle Visitandine. Il santo è anche patrono dei giornalisti per la sua attenzione alla comunicazione del Vangelo: noti sono i manifesti che affiggeva ai muri di Ginevra e i foglietti che infilava sotto le porte delle case. In occasione delle celebrazioni del centenario abbiamo chiesto tre contributi – ad un salesiano, ad una suora visitandina e a una giornalista – che evidenziano l’attualità del santo. Iniziamo con don Gianni Ghiglione, salesiano, uno dei massimi esperti della spiritualità e dell’opera di san Francesco di Sales: ha scritto numerosi studi sul santo tra cui una biografia in due volumi.

 

Il messaggio di Francesco di Sales, dopo 400 anni, non ha perso nulla della sua freschezza e della sua modernità. Basta dare un’occhiata alle nuove edizioni che hanno le sue opere. Vorrei evidenziare alcuni elementi di modernità del messaggio umano e spirituale che Francesco di Sales ci comunica in questo anno giubilare.

Il primo elemento che ce lo rende subito affascinante è la sua ricca umanità. Scrive don Mackey, che ha curato l’edizione critica dei primi 15 volumi dell’OeA (Opere di Annency), a proposito delle «Lettere» (11 volumi!): «È qui che il santo si manifesta completamente; a sua insaputa, egli permette di contemplare facilmente e di studiare sotto tutti gli aspetti la sua personalità così ricca di fascino. C’è l’uomo dotato della natura più squisita che si possa immaginare. La tenerezza dell’amicizia e della pietà filiale, l’attaccamento alla Chiesa, lo zelo per le anime e il suo immenso amore per Dio, tutti i sentimenti più nobili, più puri, più elevati sgorgano dal suo cuore e vengono versati nelle sue lettere». Ricchezza di umanità che significa capacità di contatto con le persone, desiderio di creare relazioni di amicizia e di abbattere i muri della diffidenza, di costruire rapporti duraturi all’insegna della bontà e della tenerezza. Francesco non ha paura dei suoi sentimenti e li comunica con una semplicità e luminosità disarmanti. Alcuni esempi:

  • A Giovanna di Chantal scrive:

«Amo questo amore. Esso è forte, ampio, senza misura né riserva, ma dolce, forte, purissimo e tranquillissimo; in una parola è un amore che vive solo in Dio. Dio che vede tutte le pieghe del mio cuore, sa che in questo non v’è nulla che non sia per Lui e secondo Lui, senza il quale non voglio essere nulla per nessuno».

  • A una persona che ha avuto di recente un lutto scrive:

«Voi vivete sempre presente nel mio cuore che si rallegra nel vedervi perseverare nel voler servire con tutto il vostro cuore Sua divina Maestà in santità e purezza».

  • A una suora ammalata e fragile:

«Amo con fermezza il vostro spirito, perché penso che Dio lo voglia, e teneramente perché lo vedo ancora debole e giovane». In una delle prime lettere che scrive all’amico Antonio Favre, leggiamo: «Vivrà sempre nel mio petto l’ardente desiderio di coltivare diligentemente tutte le amicizie!».

E Francesco rimarrà fedele per sempre a questo ‘ardente desiderio’. Basti pensare che a nessuna virtù di cui tratta nell’«Introduzione alla Vita Devota» dedica tanto spazio come all’amicizia: ben 6 capitoli! In altre parole, quello che rende attuale Francesco è la sua apertura all’umano, così vivo nella cultura del suo tempo, il suo amore per lo studio come strumento di dialogo e di sguardo positivo sul mondo.

Un secondo elemento di modernità è il pensare la santità in chiave universale, per tutti! Recentemente Papa Francesco ha ribadito questo concetto: Tutti sono chiamati alla santità e si serve quasi delle stesse parole di Francesco di Sales:

«Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova».

 

E questo perché? Perché Dio guarda il cuore e tutti hanno la possibilità di donarlo interamente a Lui, qualunque sia la loro situazione di vita: «La santità deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; non solo ma deve essere pure proporzionata alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli». Infatti la santità (Francesco usa il termine «devozione») «non è altro che un vero amore di Dio giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza… E’ una forma di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto». Anche oggi, ci ricorda Francesco, là dove ti trovi, puoi amare, far crescere la vita, donare un po’ di te perché qualcuno ricuperi la speranza.

Un terzo elemento di modernità lo trovo nel fatto che Francesco, buono e amabile, sa essere esigente: non abbassa l’obiettivo. La virtù di cui è diventato simbolo è la dolcezza. Ma che cos’è veramente la dolcezza salesiana? La dolcezza salesiana non è sentimentalismo, non è buonismo, tipico di chi chiude volentieri gli occhi sulla realtà per non avere problemi e seccature; non è la miopia di chi vede tutto bello e buono e per il quale tutto va sempre bene; non è l’atteggiamento inerte di chi non ha proposte da fare. La dolcezza salesiana nasce da una profonda e solida carità ed esige un attento controllo delle proprie risorse emotive ed affettive; si esprime in un carattere di umore sereno costante, evita modi bruschi, severi o autoritari… Dunque la dolcezza non va confusa con la debolezza, anzi è forza che richiede controllo, bontà d’animo, chiarezza di intenti e forte presenza di Dio. In un mondo in cui si confonde spesso la libertà con il fare ciò che si vuole, in cui nell’educazione spesso è abolita la richiesta di impegno, l’obbedienza a norme e regole, in cui il «devo» è sostituito dal «se me la sento», ecc. Francesco di Sales è esigente e punta in alto. Infine evidenzio ancora la centralità del cuore.

La strenna, offerta alla Famiglia salesiana in questo anno, «Fare tutto per amore e niente per forza», va in questa direzione. Le persone guidate da Francesco di Sales avanzano sostenute dall’amore e non hanno altro scopo che l’amore: «Bisogna perseverare nel tendere alla perfezione del santo amore, affinché l’amore sia perfetto». Uno dei primi consigli che dà a Giovanna di Chantal è:

«Tutto quello che si fa per amore è amore. Il lavoro e perfino la morte non sono che amore quando è per amore che noi li accogliamo».

Significativa è la conclusione del suo capolavoro, il «Trattato dell’amore di Dio». Il Calvario, luogo dove Gesù ha donato per amore tutto se stesso, diventa il monte sul quale si danno appuntamento gli amanti, cioè coloro che sono disposti ad amare come Gesù ha amato! In che cosa Francesco di Sales fa consistere l’amore? Nella ferma decisione del cuore che vuole per sempre e inseparabilmente restare unito con tutte le sue forze alla volontà divina. Questa volontà di Dio non si trova nelle orazioni o nelle vie straordinarie, ma sui sentieri ordinari, in quelle contraddizioni, in quei piccoli fastidi, in quei minuti doveri, in quelle sofferenze di ogni giorno. Tutta la perfezione consisterà dunque nel volerla, nel compierla, nell’amarla:

«Bisogna discernere ciò che Dio vuole e, dopo averlo riconosciuto, bisogna cercare di farlo con gioia o almeno con corag- gio… È questo il centro del bersaglio della perfezione, al quale dobbiamo mirare e chi più si avvicina ottiene il premio»

 

Don Gianni GHIGLIONE.

 

Le reliquie della FMA a Torino-Valdocco

Il 10 aprile 2022 Madre Chiara Cazzuola – Superiora Generale dell’Istituto FMA – ha donato al Rettor Maggiore diverse reliquie rappresentative delle FMA da destinare al “Museo Casa Don Bosco” di Torino, Valdocco.

Ecco il racconto proveniente dalla notizia su www.cgfmanet.org – sito ufficiale dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice.

Roma (Italia). Il 10 aprile 2022, Domenica delle Palme, la Madre generale dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Suor Chiara Cazzuola, con la Vicaria generale, Suor María del Rosario García Ribas, ha raggiunto il Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco, Don Ángel Fernández Artime, presso la Sede Centrale SDB Sacro Cuore di Gesù a Roma.

Nell’incontro familiare Madre Chiara, oltre a porgere a nome di tutte le FMA gli auguri per la Pasqua imminente, in risposta a una specifica richiesta del Successore di don Bosco, animatore e centro di unità della Famiglia Salesiana (Cf Art. 3 della Regola di vita FMA) ha consegnato a Don Ángel diverse reliquie rappresentative (2° grado) delle FMA.

Si tratta di oggetti appartenuti ad alcune sorelle incamminate agli onori degli altari, che serviranno ad impreziosire con l’apporto femminile il settore della Santità Salesiana del “Museo Casa don Bosco” di Torino, Valdocco.

Nel testo “Le Cause dei Santi. Sussidio per lo Studium” della Congregazione delle Cause dei Santi, nello specifico del Capitolo II dedicato al culto delle reliquie, si trovano elementi importanti che aiutano a comprendere il valore del significativo gesto svoltosi in un colloquio tra il Rettor Maggiore e Madre Chiara.

Il termine reliquia letteralmente significa “frammento” e viene riferito al corpo umano o ad una sua parte; in senso lato, viene usato per indicare anche gli oggetti di proprietà di un defunto. In senso prettamente religioso le reliquie si dividono in:

  • reliquie insigni (1° grado), il corpo intero o una parte rappresentativa non piccola di un Santo o Beato;
  • reliquie non insigni o rappresentative (2° grado), gli oggetti che sono appartenuti ai Santi o che sono stato in contatto con loro. Già nel Nuovo Testamento si vedono i presupposti per il culto delle reliquie rappresentative: i credenti che toccavano gli abiti appartenuti a San Paolo (cf At 19,11) venivano risanati (Cf. “Le Cause dei Santi. Sussidio per lo Studium”, a cura di Vincenzo Criscuolo, Carmelo Pellegrino, Robert J. Sarno, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2018,227-230).

Infine esistono anche le reliquie di 3° grado che corrispondono a qualsiasi oggetto che sia entrato in contatto con reliquie insigni.

Il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, al n. 111, chiarisce il fine genuino e corretto della devozione delle reliquie: «La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei Santi, infatti, proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare».

La venerazione delle reliquie ha come scopo dare Gloria a Dio, magnificare e lodare la bontà del Signore manifestata in quella creatura ed imitare il/la Santo/a nella sua disponibilità a corrispondere al dono sovrabbondante della Grazia.

Le reliquie non insigni consegnate nelle mani del Rettor Maggiore sono: gli occhiali, il libro delle preghiere “Piccolo ufficio della Beata Vergine Maria” della Venerabile Madre Laura Meozzi (1873-1951); un fazzoletto e un biglietto autografo della Serva di Dio Madre Rosetta Marchese (1922-1984); la camicia da notte, un libro di spartiti e un libro sulla cosmologia in francese della Venerabile Suor Teresa Valsé Pantellini (1878-1907); due corone del rosario, tre medaglie e un fazzoletto della Beata Maddalena Morano (1847-1908), un’armonica a bocca e un quaderno autografo della Beata Maria Romero (1902 – 1977) con trascrizioni di brani poetici di vari autori; una pinza utilizzata nell’assistenza ai malati e una corona del rosario Beata Maria Troncatti (1883 – 1969).

Il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, ha ringraziato vivamente Madre Chiara Cazzuola per questo dono, segno eminentemente pasquale di donazione di queste sorelle in cammino verso la Santità, che arricchisce tutta la Famiglia Salesiana.

Museo Casa Don Bosco: “Disegniamo un sogno” – Domenica 10 Aprile

Museo Casa Don Bosco prende parte al tradizionale progetto “Disegniamo l’arte” dell’Associazione Abbonamento Musei con l’attività Disegniamo un sogno prevista per Domenica 10 Aprile dalle h 10:30 alle 12:00 presso il Museo. Di seguito le principali informazioni sull’evento.

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Si tratta di una iniziativa pensata per tutti i bambini e i ragazzi fino ai 14 anni di età dedicata al disegno dal vivo per scoprire i musei in maniera speciale.

Presso il Museo Casa Don Bosco si ripercorrerà uno dei sogni più importanti del cammino di Don Bosco, “il sogno dei nove anni”:

“Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una grande quantità di ragazzi. Alcuni ridevano e giocavano, tantissimi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi lanciai in mezzo a loro, provando a farli tacere con pugni e percosse. In quel momento apparve un uomo maestoso, con un manto bianco che gli copriva tutta la persona. Il suo viso era così luminoso che non riuscivo a fissarlo. Mi chiamò per nome e mi chiese di guidare quei ragazzi con bontà e carità, non con le botte”.

Nella sala della Pastorale Giovanile, sono raffigurati infatti i sogni più importanti vissuti da San Giovanni Bosco: il sogno dei 9 anni, il trasferimento dell’Oratorio nel cortile di Valdocco e il sogno missionario.

I bambini e i ragazzi saranno accompagnati nella lettura delle immagini per comprendere l’importanza dei sogni e la bellezza del cammino per realizzarli. Ciascuno cercherà di disegnare il proprio sogno provando poi, in maniera spontanea, a raccontarlo agli altri. Perché un sogno è ancora più bello se condiviso!

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI

Disegniamo un sogno
Domenica 10 Aprile dalle h 10:30 alle 12:00
Offerta di 3 euro a persona
Per prenotazione: info@museocasadonbosco.it
Via Maria Ausiliatrice 32, 10152, Torino

Museo Casa Don Bosco alle Giornate Nazionali delle case Museo dei Personaggi illustri italiani

Sabato 2 e domenica 3 aprile 2022, Museo Casa Don Bosco parteciperà alla prima edizione delle Giornate Nazionali delle case Museo dei Personaggi illustri italiani. Di seguito le informazioni dedicate all’iniziativa riportate sul sito del Museo.

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Il nostro museo è stato invitato a partecipare ad una interessante iniziativa prevista per sabato 2 e domenica 3 aprile, ovvero la prima edizione delle Giornate Nazionali delle case Museo dei Personaggi illustri italiani, promossa dall’Associazione Nazionale Case della Memoria con il patrocinio di ICOM Italia: https://www.casedellamemoria.it/it/giornata-nazionale-delle-case-dei-personaggi-illustri

MUSEO CASA DON BOSCO
VALDOCCO, TORINO
Prenotazioni dal 21 al 30 marzo

info@museocasadonbosco.it

Tel. 011.522.44.21

Don Michele Viviano: «Don Bosco ci insegna a stimare i giovani» – Avvenire

A seguito dei festeggiamenti per don Bosco, don Michele Viviano, Rettore della basilica Maria Ausiliatrice di Torino lascia la sua parola in un intervista riportata su Avvenire a cura di Marina Lomunno.

Di seguito l’articolo.

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Don Viviano è il rettore di Maria Ausiliatrice a Torino cuore storico della Famiglia Salesiana: una casa dove tutti devono sentirsi accolti.

A don Bosco, che mi ha voluto qui, chiedo ogni giorno: “Che cosa devo fare per continuare a rendere bella e accogliente la casa di Maria Ausiliatrice da te costruita con tante fatiche”?».

È una delle preoccupazioni di don Michele Viviano, siciliano nato a San Cataldo (Caltanissetta) nel 1962 e prete dal 1991: è stato nominato rettore della Basilica dal 1° settembre 2021 al 31 agosto 2024 e ha celebrato ieri la sua prima festa di don Bosco nella casamadre dei salesiani, a cui tutta la famiglia del santo dei giovani, sparsa in 134 Paesi del mondo, guarda come punto di riferimento carismatico. «Ogni figlio di don Bosco sogna di stare un giorno, un periodo nei luoghi dove è nata la nostra Congregazione: così è stato per me fino adesso. Un sogno diventato realtà», prosegue don Michele al termine delle Messe presiedute ieri in Basilica dal rettor maggiore dei Salesiani, don Ángel Fernández Artime, e dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia.

«È la prima volta che vivo la festa di don Bosco accanto a lui in Basilica, qui in questi luoghi dove ha cominciato ad accogliere i ragazzi e con alcuni a fondare la Congregazione dei salesiani nel 1854. E il ricordo va al nostro patrono san Francesco di Sales, di cui abbiamo iniziato la scorsa settimana le celebrazioni del 400° dalla morte con l’inaugurazione di una mostra qui a Valdocco, al Museo Casa don Bosco”. Un santo da riscoprire perché don Bosco ce lo diede come modello: quasi a dirci “siate come lui, vi chiamate come lui”: ecco la sua grande umiltà».

Don Viviano, docente al Centro teologico San Tommaso di Messina, è giunto a Torino dopo numerosi incarichi a Roma e in Sicilia. Una nomina, rettore della Basilica più importante della Congregazione, che davvero non si aspettava:

«Mi sento molto privilegiato e vivo questo mandato come un regalo di don Bosco per il mio 30° anno di ordinazione.  Nel 2016, nel mio 25° di sacerdozio, mi giunse un’obbedienza “strana”, a cui non mi sentivo per nulla preparato: alla mia vita abbastanza tranquilla di docente mi si chiedeva di aggiungere la direzione di un centro di accoglienza per migranti che arrivavano dal porto di Catania. Era il periodo in cui papa Francesco ci invitava ad aprire le case e gli istituti religiosi per ospitare chi rischiava la vita attraversando il mar Mediterraneo. Accolsi quell’obbedienza come un regalo di Dio per il mio 25°.  Ora, dopo 5 anni, con mia grande sorpresa e senza esser stato mai parroco, il rettor maggiore mi ha chiesto l’obbedienza di venire a Maria Ausiliatrice e dove si venerano le spoglie mortali del nostro santo: come non accoglierla come un dono di Dio, come una chiamata di don Bosco? Certo, è una grande responsabilità ma ciò che mi conforta e incoraggia è che non sono solo: ho una comunità che mi sostiene, confratelli che mi aiutano e collaborano. Sono il rettore ma ancor prima che a me la Basilica è affidata alla mia comunità».

Chiediamo a don Michele quale segno sono i santuari come Maria Ausiliatrice in questo tempo infragilito dalla pandemia.

«Innanzitutto, come ha detto l’arcivescovo nell’omelia, per i ragazzi e le ragazze che entrano in questa chiesa e in questi cortili, l’esempio di don Bosco e la sua azione educativa è un forte appello a stimare i giovani capaci di grandi cose e a spronarli a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. E poi la nostra Basilica, come i santuari mariani sparsi per l’Italia, deve offrire, insieme alla celebrazione eucaristica e a quella della riconciliazione sempre ben curate, iniziative formative e culturali. Ma soprattutto, come diceva don Bosco della Basilica di Maria Ausiliatrice, deve essere “casa” dove tutti si sentono accolti».

Francesco di Sales, il santo cui si ispirò don Bosco – Avvenire

Nella giornata di sabato 15 gennaio, all’interno delle Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana, si è svolta l’inaugurazione della mostra dedicata a San Francesco di Sales presso il Museo Casa Don Bosco di Torino-Valdocco, in occasione del IV centenario dalla morte del Santo.

Di seguito l’articolo di Marina Lomunno pubblicato su “Avvenire” in merito all’evento.

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UNA MOSTRA A TORINO VALDOCCO

Francesco di Sales, il santo cui si ispirò don Bosco

Una mostra per celebrare l’inizio del IV centenario dalla morte di san Francesco di Sales (avvenuta a Lione il 28 dicembre 1622), il vescovo di Ginevra scelto da don Bosco come patrono della congregazione che fondò il 18 dicembre 1859. Si è inaugurata ieri a Valdocco, Casa Madre dei Salesiani, alla presenza del rettor maggiore lo spagnolo don Ángel Fernández Artime e con 12mila persone collegate in streaming dai 134 paesi dove sono presenti i figli e le figlie del santo dei giovani.

Un’occasione speciale, nella 40a edizione delle Giornate di spiritualità della famiglia salesiana sul tema “Fate tutto per amore, nulla per forza” che si conclude oggi nella Basilica di Maria Ausiliatrice.

La mostra si può visitare fino al 15 gennaio 2023 nel museo “Casa Don Bosco” (Informazioni su: museocasadonbosco.org), aperto nell’ottobre 2020 e fortemente voluto dal rettor maggiore.

«Valdocco è lanterna per il mondo salesiano – ha sottolineato don Artime – e il museo è un sogno realizzato che ogni anno vuole offrire un’iniziativa speciale per approfondire un aspetto del carisma salesiano nato qui 162 anni fa. Ecco allora l’omaggio a san Francesco di Sales, fonte a cui don Bosco si è abbeverato e ispirato nell’attenzione ai giovani più poveri, nella comunicazione della fe- de: noti sono i manifesti che affiggeva sui muri della città o i foglietti che infilava sotto le porte delle case: per questo è anche patrono dei giornalisti».

Gli ha fatto eco l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia:

«Ringrazio i salesiani per il museo che arricchisce Torino e la nostra diocesi. San Francesco di Sales è un santo a me molto caro perché ha dedicato il suo ministero ai più bisognosi: visitare la mostra è fare un esame di coscienza guardando a un santo che ha ispirato don Bosco a educare buoni cristiani e buoni cittadini. Un messaggio attuale ancora più oggi in questo tempo difficile di pandemia».

L’allestimento “Francesco di Sales 400”, come hanno spiegato Stefania De Vita, direttrice del museo, don Cristian Besso, preside dell’Università Pontificia Salesiana (Ups) sede di Torino e responsabile del progetto museologico ed Enrica Pagella, direttrice dei musei reali di Torino, accompagnano il visitatore alla conoscenza della vita del santo, all’iconografia “salesiana” nell’oratorio delle origini e alle sorgenti della pedagogia salesiana.

Tra i vari “pezzi” esposti un ritratto del santo del 1618, un paramento liturgico ricamato da santa Giovanna de Chantal (cofondatrice con san Francesco di Sales delle suore Visitandine), una lettera olografa e un prezioso medaglione del 1613, ricordo coevo dell’ostensione della Sindone del 1613.

La mostra temporanea “Francesco di Sales 400” al Museo Casa Don Bosco

In occasione del quarto centenario della morte di San Francesco di Sales, il Museo Casa Don Bosco di Torino-Valdocco presenta la mostra Francesco di Sales 400, un percorso espositivo che racconterà la vita, la fede e la spiritualità del salesiano. Di seguito le principali informazioni riportate sul sito del museo.

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La mostra Francesco di Sales 400 sarà aperta al pubblico dal 15 gennaio 2022 fino al 15 gennaio 2023: le linee guida mireranno ad educare il visitatore alla conoscenza del santo, alla lettura salesiana della sua vita e all’approfondimento del “clima” salesiano seicentesco.

La mostra verrà inaugurata il 15 gennaio alle ore 10:30 presso il Teatro Grande di Valdocco.

La partecipazione all’inaugurazione è esclusivamente su invito ed è gratuita.

Il momento dell’inaugurazione sarà in diretta streaming, trasmessa in 5 lingue su ANS e sulla Pagina Facebook del Museo.

In ottemperanza alle disposizioni governative vigenti, è obbligatorio che i visitatori esibiscano il Super Green Pass muniti di mascherina FFP2 e controllo della temperatura.

LA MOSTRA

La mostra Francesco di Sales 400 sarà aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2023: le linee guida mireranno ad educare il visitatore alla conoscenza del santo, alla lettura salesiana della sua vita e all’approfondimento del “clima” salesiano seicentesco.

Tre saranno i settori tematico/espositivi principali, ovvero:

  • gli elementi biografici del Santo,
  • l’iconografia ‘salesiana’ del Santo nell’oratorio delle origini,
  • gli elementi della spiritualità e della pedagogia salesiana.

Sarà possibile ammirare un ritratto di San Francesco di Sales del 1618, il parato liturgico, detto “di San Francesco di Sales” (ante 1622), il parato liturgico di San Francesco di Sales con ricami eseguiti da Santa Giovanna F. Frémiot de Chantal (1610-1622), una lettera olografa del 1608, e ancora, stampe, libri, oggetti molto particolari come un medaglione in osso di manifattura piemontese del 1613, ricordo coevo dell’ostensione della Sindone del 1613. Preziose le collaborazioni con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, il Monastero della Visitazione di Annecy, il Monastero della Visitazione di Moncalieri, il Santuario della Consolata di Torino e l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice del Piemonte.

ORARIO

  • Lunedì: chiuso
  • Martedì e Giovedì: 9:30 – 12:30
  • Mercoledì e Venerdì: 14:30 – 17:30
  • Sabato e Domenica: 9:30 – 12:30 / 14:30 – 17:30

Incontro Economi e CGA: “Non ebbe a cuore altro che le anime”

“Non ebbe a cuore altro che le anime”

Questa la frase di don Bosco che ha guidato il momento formativo degli economi e i coordinatori della gestione amministrativa delle case dell’Ispettoria nella giornata di mercoledì 15 dicembre a Valdocco. Di seguito un resoconto dell’incontro.
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“La formazione carismatica – ha introdotto l’economo ispettoriale, don Giorgio Degiorgi – è ancora più importante di quella professionale, perché in qualche modo la sottende. Essere economi e coordinatori della gestione amministrativa di una casa salesiana significa guardare a questi aspetti con il gli occhi e il cuore di don Bosco. A Valdocco si faceva un “commercio di anime” per portarle al Cielo e tutto, ma proprio tutto, era al servizio della missione. Solo così sappiamo che il nostro ruolo, spesso immerso nelle cose terrene, ha un orizzonte di senso molto più alto”.

Il momento formativo è stato guidato da don Enrico Lupano:

“L’Economia al servizio del carisma e della missione, ci ricorda che il criterio ultimo delle scelte economiche e gestionali è il carisma, ovvero è la vita vissuta come hanno fatto i santi. Don Bosco “non ebbe a cuore altro che le anime”.

Il carisma è come una finestra attraverso cui si vede tutto lo spazio. C’è un modo evangelico in cui vivere l’economia e un modo che, inquinando il carisma, ci porta lontano da Dio. La Chiesa ci ricorda che «mai l’economia e la sua gestione sono eticamente e antropologicamente neutre. O concorrono a costruire rapporti di giustizia e di solidarietà, o generano situazioni di esclusione e di rifiuto». Le scelte gestionali possono essere illuminate dal carisma, o possono essere fine a se stesse o, peggio, fatte per interessi personali e logiche di potere. Non solo. Non stiamo lavorando per la salvezza di una banca o di una ditta, ma all’interno di un respiro molto più ampio: il progetto di Dio per l’umanità e quindi per ogni uomo”

La giornata di formazione è poi proseguita con la visita del Museo Casa Don Bosco con gli “occhi dell’economo” per poi concludere con la preghiera del Vespro nella comunità ispettoriale e la cena fraterna.

Museo Casa Don Bosco: “Matteo 25. Restiamo umani” – Mostra pittorica

Dal 2 dicembre al 6 gennaio il Museo Casa Don Bosco ospiterà la mostra “Matteo 25. Restiamo umani“, di Massimiliano Ungarelli. Di seguito si riporta l’articolo pubblicato sul sito del Museo contenente tutte le informazioni relative all’evento.

Il titolo della mostra è tratto dal capitolo 25 del Vangelo di Matteo; i pannelli lignei, assemblati con scarti di falegnameria, riproducono foto realmente scattate, ma reinterpretate dall’artista con pastelli e carboncini. Il colore prevalente è il rosso, il colore degli estremi, ovvero l’amore, la passione, la regalità, la guerra, il sangue dei martiri, la passione di Cristo.Mt. 25 suggerisce di prendersi cura del dolore del mondo, appello e condizione unica per restare umani.

Grazie all’associazione Midrash dei frati Cappuccini di Torino, la mostra sarà accompagnata da due eventi: il 4 e il 19 dicembre, alle ore 16, musica, reading e danza aiuteranno il visitatore ad “entrare” nelle immagini, nelle vite raccontate attraverso le mani di Ungarelli.

La partecipazione è gratuita. In ottemperanza alle disposizioni governative vigenti (DPCM del 23 luglio 2021), è obbligatorio che i visitatori esibiscano il Green Pass corredato da un valido documento di identità per accedere al Museo.

La mostra verrà inaugurata giovedì 2 dicembre dalle ore 16.00 – 17.00 presso la Sala Accoglienza del Museo.

Gli operatori dei media possono registrarsi inviando una email a media@buonastampa.net oppure chiamando il 392.9533907.

LA MOSTRA

Titolo tratto dal celebre capitolo 25 del Vangelo di Matteo, famoso per la forza disturbante delle sue parole, capaci di mettere a nudo i limiti e le contraddizioni della miseria umana. Il supporto utilizzato su cui è stesa la pittura è lo stesso, umili pannelli di legno, assemblati con scarti di falegnameria:“pannelli che generano bellezza imperfetta a causa della superficie ferita, unici e irripetibili per le loro cicatrici, perfetta incarnazione metaforica di cos’è realmente la vita, di cos’è l’uomo e l’intera umanità”.

In Mt. 25 c’è più colore. Si è utilizzato come fondo base l’acrilico per irrobustire i pastelli e i carboncini. I colori prevalenti sono caldi e in tutti gli sfondi c’è la presenza del rosso che rappresenta il colore degli estremi come l’amore, la violenza, il pericolo, la vita, il sangue, il fuoco, la passione, la regalità, la guerra e molto altro. Inoltre in questo lavoro il rosso è stato posto come simbolo della Passione di Cristo, del sangue dei martiri, delle lingue di fuoco dello Spirito Santo nella Pentecoste, e per ultimo, come colore dell’inferno.

Paradiso o Inferno, salvezza o dannazione, vita o morte? Domande che obbligano una scelta: “si sceglie sempre se restare umani”.

Altro obiettivo del progetto come in “In fuga da Nazareth’ è l’aiuto concreto. In collaborazione con l’Associazione Midrash dei frati Cappuccini verranno individuate alcune famiglie di profughi alle quali destinare la metà dei proventi raccolti attraverso la vendita delle opere originali e delle ristampe in scala delle stesse. Sul sito verrà pubblicato, a fine mostra, il resoconto della raccolta e donazione.