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Coronavirus, la resistenza della formazione professionale

Su La Voce e il Tempo, Marina Lomunno ha scritto un articolo su come la Formazione professionale sia sopravvissuta alla prova della didattica a distanza. Nell’articolo, intervista a suor Manuela Robazza, presidente nazionale del CIOFS.

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I docenti hanno imparato a insegnare a distanza, ma gli studenti hanno imparato ad apprendere?»: è una delle domande che poneva Tommaso De Luca sullo scorso numero de La Voce e il Tempo (10 gennaio 2021, pagina 2) intervenendo sull’acceso dibattito di questi giorni sul «pericolo» di scollamento tra la scuola reale e quella virtuale che incombe su centinaia di migliaia di studenti costretti a seguire le lezioni da casa. Una modalità ancora necessaria dal momento che la Pandemia non sembra allentare la morsa, ma che per molti studenti, il cui corso di studi prevede esercitazioni pratiche, laboratori e tirocini in azienda, è ancora più penalizzante.

Da quando l’emergenza Coronavirus ha imposto la didattica a distanza (Dad) ci si è soffermati poco sulla realtà degli studenti che, come li definiva don Bosco, «hanno l’intelligenza nelle mani»: sono i ragazzi e le ragazze che frequentano i corsi di formazione professionale (fp), nati a Torino nell’Ottocento grazie alla felice intuizione dei Santi sociali e che ancora oggi formano ad un mestiere migliaia di giovani – molti dei quali hanno abbandonato i percorsi scolastici dell’obbligo e/o provengono da famiglie fragili – e riqualificano i troppi lavoratori disoccupati o che vengono espulsi dal mondo del lavoro perché non riescono a star dietro al continuo mutare della tecnologia.

Abbiamo chiesto a suor Manuela Robazza, presidente nazionale del Ciofs, l’ente di fp salesiano delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e a Marco Muzzarelli, ingegnere, direttore nazionale Fondazione Engim, l’ente di formazione professionale (fp) dei Giuseppini del Murialdo, come la fp sta «sopravvivendo alla Dad». «Per fortuna per la maggior parte dei nostri corsi la normativa anticovid ha permesso ai nostri ragazzi di proseguire in presenza i laboratori» spiega Muzzarelli, che abbiamo incontrato presso il Centro di fp Engim Artigianelli di Torino, in corso Palestro 11 dove san Leonardo Murialdo nell’800 avviava ad un mestiere i giovani orfani e poveri delle periferie cittadine. «Questo permette ai nostri formatori di incontrare gli allievi una, due volte la settimana. Non solo: oltre ai formatori responsabili dei laboratori, gli altri insegnanti che tengono le lezioni a distanza, nei giorni di laboratorio vengono a scuola per incontrare i ragazzi e far sentire loro che ci sono. Forse noi docenti con grande sforzo di creatività abbiamo imparato a insegnare a distanza, ma anche a noi, come ai nostri allievi, manca il ‘contatto’ fisico, lo scambio di sguardi, in una parola la relazione alla base dell’insegnamento. E laddove non sono possibili i laboratori in presenza, come per gli allievi con disabilità, i formatori hanno dotato i ragazzi un kit che li metta in grado di esercitarsi a casa: ad esempio per gli elettricisti si è fornito il necessario per costruire un circuito, per i baristi un cocktail. Così i ragazzi, seguendo le indicazioni sul pc, possono gestirsi il loro laboratorio in autonomia».

Sulla stessa lunghezza d’onda suor Manuela Robazza, anche lei torinese, per molti anni insegnante e direttrice nelle scuole salesiane della nostra diocesi e per sette anni membro della Consulta Cei per la Pastorale giovanile, oggi a Roma nella sede nazionale del Ciofs dove l’abbiamo raggiunta: «la nostra principale preoccupazione è educativa perché molti dei nostri ragazzi hanno alle spalle famiglie con difficoltà economiche e relazionali e per loro i nostri centri sono come una seconda famiglia. Molto spesso non hanno la disponibilità di un pc o di un collegamento internet in casa e così per la Dad utilizzano il cellulare di mamma o papà con 10 euro di Giga che non sono mai sufficienti… E pensiamo cosa vuol dire stare collegati per sei ore di lezione con uno smarthphone…». Suor Manuela evidenzia come la fp, oltre che offrire ai ragazzi futuro lavorativo, sia anche un «salvagente» perché molti di loro sono abbandonati a loro stessi: «Temiamo che con la Dad i nostri allievi si perdano e, come fi glie di don Bosco, il nostro compito è di andarli a cercare. Per questo i formatori quando si accorgono che qualche allievo non si collega alla lezione on line li va a cercare talvolta anche casa. Abbiamo poi stipulato alcuni accordi con i gestori telefonici per venire incontro alle famiglie che non possono pagare le connessioni: i nostri insegnanti in questi mesi hanno passato ore al telefono per capire i motivi delle assenze e, laddove i problemi erano di tipo economico, abbiamo fornito Giga e supporti informatici perché tutti potessero essere connessi e seguire le lezioni. Se perdiamo i ragazzi abbiamo fallito la nostra missione salesiana che è quella di ‘Dare di più a chi ha avuto di meno’: così la fp contribuisce a contrastare la povertà educativa e gli abbandoni scolastici che in Italia hanno numeri spaventosi e che la Pandemia sta amplificando. La nostra è anche una missione che coinvolge le famiglie: alcuni formatori mi hanno riferito che spesso si collegano a lezione anche le mamme per seguire i figli che hanno qualche disabilità. L’impegno dei nostri formatori, che con la Dad si è ampliato molto al di là delle ore contrattuali, ed è davvero encomiabile: con il disagio che sta causando il coronavirus stiamo sperimentando uno dei pilastri del carisma di don Bosco e cioè che «l’educazione è cosa di cuore». Come nell’800, in un momento dove l’emergenza sociale delle fasce più povere a Torino era altissima, così oggi le conseguenze della Pandemia rischiano di ricadere drammaticamente sulle famiglie già ai margini. E oggi come allora il carisma dei Santi sociali è più che mai attuale per arginare la deriva.

Anche per san Leonardo Murialdo, amico di don Bosco, una delle preoccupazioni più urgenti era « ne perdantur » e cioè che i suoi ragazzi non si perdessero: «Per tutti i nostri allievi che erano sprovvisti di tablet , pc e connessioni, siamo riusciti con i fondi Engim e fi nanziamenti con gli enti che supportano la fp» prosegue Marco Muzzarelli a fornire circa 800 device ai ragazzi che ne erano sprovvisti in modo che potessero seguire le lezioni». Suor Manuela e Marco sottolineano come uno dei problemi più urgenti che sta penalizzando la fp sia la crisi di tante aziende che, per le nome anticontagio e per la mancanza di ordinativi che costringono molti alla chiusura, non possono più ospitare i ragazzi nelle ore di tirocinio formativo essenziali per ottenere la qualifi ca professionale. «La nostra speranza» auspica il direttore dell’Engim è che nella pianificazione della distribuzione dei fondi del Recovery Plan si tenga conto dell’alto valore sociale della fp che, oltre a qualificare migliaia giovani delle fasce più deboli (sono oltre 300 mila i ragazzi che nella penisola frequentano i corsi di Fp, ndr) riqualifi ca lavoratori adulti privi di titolo (847 mila), offre rimotivazione ai Neet (giovani che non lavorano né studiano, in Italia 258 mila tra i 18 e i 24 anni) e prepara all’inserimento lavorativo in apprendistato formativo. Per questo con «Forma», l’associazione degli Enti nazionali di formazione professionale, abbiamo inviato nei giorni scorsi al Governo una lettera indirizzata ai ministri competenti con precise richieste necessità di risorse economiche per la fp: la posta in gioco è il futuro dei nostri giovani».

 

Formazione Professionale – Una scelta alla pari! Suore Manuela Robazza

Si pubblica l’intervista a cura di Michela Giachetta a Suor Manuela Robazza (Preside del Centro italiano opere femminile salesiano – formazione professionale) riportata su LiberoLavoro.

Da sempre il Ciofs-fp (Centro italiano opere femminile salesiano – formazione professionale) si dedica a progetti per favorire l’orientamento, l’accompagnamento al lavoro e la formazione dei giovani, soprattutto di quelli con meno opportunità. La presidente del Centro, suor Manuela Robazza, traccia un bilancio della formazione professionale, anche alla luce della sperimentazione del cosiddetto Sistema duale, modello di formazione integrato scuola – azienda.

Ritiene che di recente ci sia un cambio di approccio da parte delle istituzioni verso la formazione professionale?

«La sperimentazione del sistema duale è stata un’idea molto preziosa per la formazione professionale. Se consideriamo questo sistema un approccio diverso, allora possiamo dire che sì, un cambio c’è stato. Ma c’è ancora strada da fare: da un lato perché si fa ancora fatica a percepire la formazione professionale alla pari della scuola dell’obbligo, dall’altro perché manca una conoscenza di quest’ambito, da parte delle scuole, sia delle imprese e soprattutto da parte delle famiglie. Significa dare spazio a chi ha l’intelligenza delle mani. La formazione professionale si muove in questo senso. E lavora anche sulle cosiddette soft skills . Quindi un bel gesto da parte delle istituzioni potrebbe essere quello di farla conoscere e darle pari dignità».

In che modo?

«A cominciare dall’orientamento al termine della scuola secondaria di primo grado, quando si presentano le varie scuole, i vari percorsi possibili per le superiori. Si deve iniziare da lì a darle maggiore dignità, presentandola non come alternativa di secondo piano o una scelta di ripiego, ma una scelta alla pari, perché significa dare la possibilità a tutti. Non c’è scritto da nessuna parte che vale di più chi ha più intelligenza e di meno chi sa organizzarsi e lavorare».

Come giudica i dati relativi alla sperimentazione del sistema duale presentati qualche giorno fa da Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche?

«I dati presentati hanno evidenziato il successo della sperimentazione duale al suo avvio, nella prima fase, ma il monitoraggio effettuato nel secondo anno ha rivelato il grande incremento, anche in regioni che nella prima fase non avevano neppure avviato la sperimentazione. Noi abbiamo 60 centri di formazione professionale, siamo presenti in 11 regioni e abbiamo 15mila allievi ogni anno. Anche nei nostri centri c’è stato un aumento del duale e una maggiore consapevolezza al riguardo da parte del mondo delle imprese».

Alcune regioni come la Sicilia hanno avviato un sistema IeFp, istruzione e formazione professionale, registrando numerosi iscritti, altre regioni non riescono o non voglio partire. È solo assenza di volontà politica?

«Non mi pare sia solo una questione di assenza di volontà politica. Manca la consapevolezza che quella della formazione professionale è un’importante esperienza. E forse c’è anche un problema di fiducia. Il sistema duale è un grande passo avanti della formazione professionale, un sistema diverso dall’alternanza scuola – lavoro, perché parliamo di 400 ore trascorse in azienda e 400 in aula o laboratorio. Si tratta proprio di una formazione in assetto lavorativo. E il fatto che le aziende non siano ancora sufficientemente a conoscenza anche dei vantaggi fiscali che possono avere, rende la strada in salita».

Il quadro generale italiano dei percorsi IeFp è ancora a macchia di leopardo. Come si può intervenire?

«Penso sia importante innanzitutto far conoscere correttamente questa grande opportunità. Poi è importante fare rete, con le imprese, le istituzioni, gli enti di formazione professionale e anche le scuole, in modo da poter organizzare al meglio il sistema duale. Formare i tutor aziendali, accompagnare i processi e creare le condizioni perché ogni giovane sia stimolato a dare il meglio di sé. Ovviamente non deve mancare la parte finanziaria: i fondi sono stati stanziati. Bisogna però che tutti i soggetti coinvolti lo sappiano. E si deve continuare a investire».

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