Un vivo ricordo di Don Pietro Zago
Si riporta una viva testimonianza di don Pietro Zago, apparsa su La Vita Diocesana Pinerolese di domenica 14 gennaio. Si ringrazia la testata giornalistica e Monica Casalis, autrice del testo:
“È difficile sintetizzare l’affetto e la stima che mi legava a Don Pietro Zago. Lo conobbi nel gennaio 2013 a Lahore, durante un viaggio che feci in Pakistan per conoscere la sua missione e far vi sita agli amici sindacalisti che avevo incontrato quando lavoravo all’Inter national Labour Organization. Don Pietro mi accolse nella casa salesiana del quartiere di Youhanabad, l’area cri stiana della città, offrendomi non solo un luogo sicuro in cui stare (e in Paki stan non è poco), ma anche un’amicizia paterna e spirituale. Don Pietro aveva già affrontato molti anni di missione in Asia, nelle Filippine, in India, a Papua Nuova Guinea, ma in Pakistan si era trovato di fronte ad una sfida ancora più difficile delle altre. Nonostante il paese sia a netta maggioranza musul mana, con sacche di fondamentalismo ed un’arretratezza cul turale che limita for temente il ruolo delle donne, era comunque riuscito ad ambien tarsi e a realizzare grandi progetti, grazie alla sua pazienza, alla tolleranza e anche ad un pizzico di astuzia. Sapeva per esempio mordersi la lingua e trattenersi dal muove re apertamente critiche ai capifamiglia per le manifeste discrimi nazioni verso le figlie femmine, purché con tinuassero a mandarle a scuola e non ostaco lassero le numerose attività educative dei Salesiani. La scuola da lui fondata a Quetta, nella parte occidenta le del paese, poté quindi fiorire e godere dell’apprezzamento di tutta la popola zione, anche musulmana, seminando lentamente e prudentemente valori e idee cristiani. In perfetto stile salesiano, Don Pietro puntava tutto sulla concre tezza dell’educazione e della , dando un’opportunità di istruzione e avviamento al lavoro a tan ti ragazzi e ragazze. Non faceva prose litismo per non incorrere in pericolose rappresaglie, che avrebbero compro messo l’intera missione, ma con la sua testimonianza personale ha certamente toccato il cuore di tanti pakistani. Sole va dire che la durezza del Pakistan, la difficoltà a vivere liberamente la fede, lo avevano reso più cristiano. Il suo amore per Gesù era stato temprato da una lun ga esperienza sul campo, dai tanti spo stamenti da un paese all’altro, ognuno con la sua lingua, il suo clima, e i suoi costumi (in Papua Nuova Guinea ave va persino conosciuto i popoli canniba li…), da delusioni umane come quelle che capitano un po’ a tutti. Era un amo re ormai “ripulito” dai fronzoli inutili, dalla forma, dalle fantasie. Parlava di Gesù come di una persona a cui ave va dedicato la sua vita e ultimamente si chiedeva spesso: «Gesù, quando tor nerà, troverà ancora fede sulla Terra?», preoccupato com’era della secolarizza zione in cui è sprofondato l’occidente. Parlava con serenità della sua morte e si diceva persino curioso di vedere ciò che Cristo ci ha promesso per l’aldilà. Aveva imparato a vivere il Cristia nesimo, prima di parlarne. E la sua capacità di entrare in relazione con l’umanità del prossimo, a prescindere dall’appartenenza religiosa, gli aveva permesso di farsi tanti amici, anche tra i musulmani. Ricordo che due o tre anni fa, nel periodo in cui i musulmani attaccava no le case dei cristiani a Youhanabad, incendiandole, lui e i suoi ragazzi ave vano nottetempo trovato rifugio presso la fabbrica dei vicini musulmani, a ri prova che il dialogo è possibile, sempre e comunque, laddove ci si incontra sul terreno della bontà e dell’umanità. Don Pietro sapeva farsi degli amici, non aveva paura della diversità e sdram matizzava le oggettive difficoltà di vita in u n contesto così avverso, coltivando semplici piaceri come la buona cucina o una bella partita di cricket. Era un uomo che la profonda unio ne con Gesù aveva reso più uomo, più umano. Ora spero che i limpidi occhi azzurri di Don Pietro sorridano per sempre nella sua nuova missione”.