Fossano: tra Covid e smartphone, i Salesiani raccontano gli adolescenti – La Fedeltà

Per il settimanale fossanese “La Fedeltà”, sono stati intervistati il direttore don Bartolo Pirra e i referenti educativi – insegnanti Giorgio D’Aniello e Fabrizio Spina del Centro di formazione professionale di Fossano al fine di riportare una panoramica sugli adolescenti presenti presso l’opera.

Di seguito l’articolo a cura di Fabrizio Bonardo.

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La formazione professionale dei Salesiani di Fossano (il Cnos-Fap) raccoglie 562 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni, che dal lunedì al venerdì frequentano l’Istituto dalle 5 alle 8 ore al giorno per i corsi teorici e i laboratori, con l’obiettivo di imparare un mestiere e cominciare a sperimentarsi nel mondo del lavoro. Arrivano da ogni parte della provincia, e anche oltre: una piccola parte, il 10%, è di Fossano, gli altri provengono (sulla direttrice nord-sud) da Villastellone a Ceva-Garessio o (sulla direttrice est-ovest) dalle Langhe alle valli del Saluzzese. Si formano per diventare meccanici – di macchinari industriali, d’auto, di mezzi agricoli -, carrozzieri, elettricisti, termoidraulici, ma anche acconciatori ed estetiste, categorie tra le quali le ragazze sono, rispettivamente, il 50 e il 100%. Grande è anche la varietà delle provenienze, sia in termini di nazionalità (italiana e straniere), sia di ambiente (rurale o metropolitano), che fa dei Salesiani un osservatorio privilegiato del mondo degli adolescenti, della loro ricchezza e delle loro vecchie e nuove fragilità: quelle venute alla luce in una stagione difficile come quella della pandemia. Ne parliamo con i referenti educativi e insegnanti Giorgio D’Aniello e Fabrizio Spina e con il direttore don Bartolo Pirra.

Vi capita spesso di incontrare il disagio tra i ragazzi? Da dove arriva? Quando deve preoccupare?
Capita, certo. Perché il disagio è una condizione dell’età evolutiva. Diventa preoccupante quando, legandosi in particolar modo a difficoltà delle famiglie di provenienza, sfocia in una serie di comportamenti anomali. Quali comportamenti? L’aggressività o l’autolesionismo, che sono due aspetti della non accettazione di sé, di una mancanza di autostima. Lo spettro dei comportamenti a rischio è ampio: comprende il bere, il legarsi a dipendenze (la marijuana e altre sostanze), i disturbi alimentari…

La situazione è cambiata rispetto alla generazione precedente, una decina-quindicina di anni fa?
La differenza principale è dovuta allo sviluppo dello smartphone, e dei social network, a cui tutti – non solo i ragazzi – siamo arrivati impreparati. Fuori dalla scuola, sono costantemente connessi, legati a un mondo virtuale che falsa la percezione della realtà. Pensiamo ad esempio al diffondersi della pornografia tra i ragazzi e ai danni che può creare alla loro sfera affettiva e sessuale. E il Covid? Ha peggiorato la situazione, producendo ulteriore isolamento e un uso del cellulare ancor più massiccio, fino a confondere – qualche volta – il giorno con la notte.

Che cosa cercano gli adolescenti di oggi?
Le esigenze base sono le stesse di sempre: sentirsi importanti per qualcuno e trovare il proprio posto nel mondo.

Qual è la risposta che forniscono i Salesiani?
Mettere al centro la relazione tra le persone, far sentire la nostra vicinanza e dare loro strumenti per affrontare la vita.

Come si riesce a entrare in relazione?
Con il contatto personale, il lavoro che si effettua quotidianamente sul gruppo-classe, sullo spirito di appartenenza, con un ambiente che spinge ad aprirsi e – a chi è in difficoltà – a chiedere aiuto, in modo esplicito o implicito, ai referenti adulti.
Don Bartolo: È importante anche l’aspetto religioso, spirituale. A chi è cristiano diamo la possibilità di confessarsi, una volta al mese. E a tutti, anche i non cristiani, di raccontarsi attraverso gli “esami di coscienza”.

Avete bisogno del mondo “di fuori”?
Certo, nessuno può bastare da solo, come diceva don Bosco. Stiamo preparando progetti con le Forze dell’ordine e con l’Asl sulla prevenzione dei comportamenti a rischio, siamo in contatto con il Comune e abbiamo un rapporto di dialogo costante con le famiglie. Creare spazi per gli adolescenti è una bella sfida e noi vogliamo giocarla, non appena il Covid ce lo permetterà, mettendo a disposizione i nostri spazi e i nostri educatori, dalla formazione professionale all’Estate ragazzi.

L’oratorio del Michele Rua festeggia un secolo di vita in mezzo ai giovani – Corriere Torino

1922 – 2022: l’oratorio salesiano di Barriera di Milano festeggia un secolo di vita in mezzo ai giovani. Sono ormai trascorsi 100 anni da quando don Lunati aprì le porte dell’oratorio salesiano Michele Rua, un luogo di culto e gioco che accoglieva numerosi bambini, figli delle tante migrazioni che hanno colorato il volto del quartiere.
Di seguito l’articolo pubblicato su Corriere della sera – Sezione Corriere Torino, a cura di Paolo Coccorese.

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Torino, il Michele Rua compie 100 anni

L’oratorio salesiano di Barriera di Milano festeggia un secolo di vita in mezzo ai giovani

Oggi sul campo sintetico rincorrono il pallone bambini e bambine di trenta nazionalità diverse. All’oratorio salesiano Michele Rua le differenze hanno sempre fatto parte del gioco fin dalla sua fondazione, 100 anni fa. Un secolo trascorso in mezzo ai giovani di Barriera di Milano. Tra i figli delle tante migrazioni che hanno colorato il volto del quartiere senza modificarne il dna. Dal 1922 in poi, tra gli immigrati veneti, toscani, poi quelli pugliesi di Cerignola o Corato, fino agli albanesi, romeni e marocchini. Fanno parte anche loro della comunità del Michele Rua che quest’anno festeggia l’anniversario della fondazione.

La storia del Michele Rua è quella del quartiere. Anche dal punto di vista urbanistico. Il «Ricreatorio Mamma Margherita Bosco» nasce nel 1917. L’impresario Luigi Grassi mette a disposizione di don Lunati un capannone in via Candia 9. A seconda della necessità, la baracca si trasforma in sala giochi, cappella, spazio musicale. Finché il costruttore non decide di abbatterla per erigere nuovi alloggi. I salesiani sono costretti a spostarsi. A finanziare la fondazione del Michele Rua di oggi sono i più importanti imprenditori dell’epoca. Il 19 giugno 1921 il cardinale Richelmy benedice la prima pietra. Via Paisiello non è quella di oggi. Non ci sono altri palazzi. Intitolata all’erede di don Bosco, nasce letteralmente una parrocchia di frontiera. Ancora oggi lo è, immersa nelle difficoltà e nei sogni di riscatto del quartiere. Ne è convinto anche Dario Licari, 47 anni, diventato educatore dell’oratorio in cui è cresciuto. «La missione è rimasta la stessa delle origini. Don Bosco diceva: “Voglio creare buoni cristiani e onesti cittadini” perché credeva in una comunità che fosse non solo religiosa, ma anche educativa». Certo, non è stato facile.
Venticinque anni fa, i salesiani, prevedendo il presente, aprirono le porte dell’oratorio agli educatori professionali. La crisi delle vocazioni e l’età del disimpegno hanno obbligato molte parrocchie a rinunciare all’accoglienza dei più giovani. Non in via Paisiello, dove il doposcuola, complice la dad degli ultimi due anni, è sempre più partecipato e necessario. Il cinemateatro (di seconda visione), il Monterosa con la sua insegna a bandiera, continua a proporre spettacoli per tutte le tasche. In tanti anni, il Michele Rua non ha rinunciato neanche allo sport. «Il campetto di via Boito è stato calcato da migliaia di ragazzi. Da qui è passato il rapinatore Cavallero, professori universitari e anche calciatori», ricorda Beppe Beraudo, lo storico di Barriera. Sono tantissimi. Per esempio, Cesare Valinasso, il portiere juventino degli anni Trenta, Antonio Maggioni, Claudio Garella (numero 1 del Napoli di Maradona), Domenico Maggiora. Era un giovane del Michele Rua anche Raf Vallone che al calcio preferì il cinema. Il futuro pone nuove sfide. «Tre, in particolare. Il sostegno alle famiglie, quella culturale e quella dell’inserimento lavorativo», spiega don Stefano Mondin, il direttore del Michele Rua.

In via Paisiello è stato inaugurato un maker lab, un laboratorio di sartoria digitale con stampante 3D. Arrendersi è vietato. Come nel 1932 quando i fascisti misero i sigilli al primo circolo. I giovani di allora non si lasciarono intimorire e, saltando il muretto, continuarono le loro attività. Il loro motto era «W Don Bosco, W l’Italia».

Un pranzo stellato al Ristorante Paradiso – L’Opinionista News

Un pranzo stellato al Ristorante Paradiso: un ricco menù di possibilità per sostenere attivamente i progetti rivolti a famiglie, giovani, minori italiani e stranieri nei tanti oratori salesiani presenti sul territorio del Piemonte e della Valle d’Aosta. Ne parla l’imprenditore Fiorenzo Zaggia su L’Opinionista News. Di seguito l’articolo pubblicato l’8 febbraio.

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Un pranzo stellato al Ristorante Paradiso

Paradiso è molto più di un Ristorante e con i Salesiani offre un menu di possibilità per i bisognosi

Paradiso in realtà non è un Ristorante ma un progetto di ristoro. Uno di quei progetti di sostegno e conforto a chi è in difficoltà che rappresentano il tessuto di umanità con il quale affrontare e superare il disagio.

Ce ne parla Fiorenzo Zaggia, che sul sito della sua Impresa, la Edil Zeta di Briona (NO), si presenta con un principio peculiare: “da soli si va veloce, ma insieme si va lontano”. Sono parole che esprimono una filosofia di vita e lavoro e si ritrovano perfettamente nell’idea che sostiene sul fronte sociale con don Giorgio De Giorgi, ex Direttore dell’Istituto Salesiano San Lorenzo di Novara e ora Economo Ispettoriale Salesiano del Piemonte e della Valle D’Aosta.

Fiorenzo Zaggia è legato ai Salesiani, ha conosciuto e ammirato don Giorgio durante gli anni della sua direzione novarese e, in occasione delle nozze di perla nel 2022 (ben 30 anni di matrimonio!), voleva essere parte di un’iniziativa di aiuto ai giovani che vivono situazioni o momenti problematici. A celebrare l’amore voleva insomma fosse proprio qualche concreta azione amorevole.

L’idea è diventata una campagna di crownfounding grazie allo storico e prezioso attivismo di AGS per il Territorio, Associazione Giovanile Salesiana che si occupa appunto di accoglienza, inclusione, inserimento nel mondo del lavoro.

“Ristorante Paradiso” ha un menu speciale ovvero un ricco menu di solidarietà per sostenere concretamente i progetti rivolti a famiglie, giovani, minori italiani e stranieri nei tanti oratori salesiani presenti sul territorio del Piemonte e della Valle d’Aosta: Antipasti perché nessuno resti a pancia vuota, Primi per assaporare il calore di famiglia, Secondi per nutrire corpo ed anima Dessert che sono i dolci dello zainetto.

Con Fiorenzo Zaggia e don Giorgio De Giorgi, con i Salesiani di AGS, con le Aziende aderenti che contribuiscono a “Ristorante Paradiso, possono unirsi tutti con libere erogazioni.

Più che mai in questo periodo il pensiero di Fiorenzo Zaggia merita attenzione ed entusiasmo:

«c’è sempre qualcuno più sfortunato per il quale poter fare qualcosa e avevo proprio voglia di impegnarmi, di fare un passo vero verso gli altri. Credo peraltro che unire le forze sia sempre la scelta migliore!»

Zaggia ha ragione e appassionatamente si è lasciato ispirare dalle opere salesiane e dalla figura di don Giorgio. Un ottimo esempio da seguire. Del resto a Novara ad esempio, come ci ricorda ancora Zaggia:

«quanti bambini e ragazzi sono passati dall’Oratorio e dalle Scuole Salesiane? Un mondo di lezioni, di educazione, di crescita. Io ho apprezzato molto la figura di don Giorgio e di tanti salesiani, oggi collaborare è più di un dovere morale, è una gioia.»

Il menu stellato prevede tante portate, tutte utili, tutte buone. Ciascuno può partecipare nella misura possibile, sarà la somma dei gesti a servire davvero un’esperienza “gourmet”. Essere e sentirsi comunità rende tutto più facile e tutti più felici, ricordiamolo sempre.

Il bene che si fa torna e ci auguriamo dunque che l’anniversario di Fiorenzo Zaggia e signora sia una festa splendida.

Irene Spagnuolo

Agnelli, riscoprire il gioco da tavolo: strumento educativo in era Covid – La Voce e il Tempo

All’Oratorio Salesiano Agnelli di Torino parte il progetto “Accorciamo le distanze” promosso dai Salesiani per il sociale, con «P.L.A.Y.» (Prevent, Learn, Amuse, Youth): un ciclo di incontri di formazione per gli animatori. Di seguito l’articolo di Emanuele Carrè per “La Voce e il Tempo“.

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FORMAZIONE PER GLI ANIMATORI – QUATTRO INCONTRI NELL’AMBITO DEL PROGETTO «ACCORCIAMO LE DISTANZE» PROMOSSO DAI SALESIANI PER IL SOCIALE

Agnelli, riscoprire il gioco da tavolo: strumento educativo in era Covid

Il gioco da tavolo come strumento educativo a supporto in particolare dei ragazzi che hanno subìto tutte le conseguenze di due anni di pandemia. Si tratta di «P.L.A.Y.» (Prevent, Learn, Amuse, Youth): un ciclo di incontri di formazione per gli animatori dell’oratorio salesiano Agnelli di Torino (via Sarpi 117) che si terrà tra l’11 febbraio e l’11 marzo e che rientra nel progetto «Accorciamo le distanze» promosso dal Comitato interregionale dell’Associazione Salesiani per il Sociale di Piemonte e Valle d’Aosta, in collaborazione con l’Associazione giovanile salesiana per il territorio (Ags) e l’associazione di promozione sociale «Quindi Ci Sei» con il sostegno della Regione Piemonte e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il progetto si pone l’obiettivo di implementare le azioni volte alla cura e al supporto educativo e socia- le. Nel caso di «Play» il fulcro è il gioco, in particolare quello da tavolo, che diviene strumento formativo e di coesione sociale assumendo una funzione riabilitativa in particolare per tutti i ragazzi che sono stati e sono ancora vittima degli effetti negativi della pandemia, a livello sociale, psicologico e didattico. Ne abbiamo parlato con l’educatore dell’oratorio Agnelli, Gianni Glorioso che segue l’iniziativa:

«è un progetto a cui abbiamo aderito per poter seguire i bambini e i ragazzi che frequentano l’oratorio, in particolare il doposcuola con linguaggi e tecniche diversi dal solito. Con l’aiuto di Egidio Carlomagno, responsabile del settore Animando della cooperativa sociale salesiana E.T. i nostri animatori impareranno ad utilizzare il gioco da tavolo come strumento per aiutare i bambini a sviluppare un proprio metodo di studio e a scoprire le loro capacità. È un modo diverso per riuscire a capire le loro debolezze e i loro punti di forza in modo da aiutarli al meglio».

A partecipare al ciclo di incontri (l’11, il 18 febbraio e l’11 marzo dalle 18 alle 20) saranno una quindicina di animatori tra i diciassette e i ventidue anni con alle spalle esperienze di servizio nell’oratorio dell’Agnelli. «Grazie a questi incontri gli animatori potranno comprendere e far loro questo nuovo strumento di relazioni in modo da poterlo poi utilizzare con consapevolezza a favore di bambini e ragazzi», conclude l’educatore Gianni Glorioso.

Per ulteriori informazioni: www.oratorioagnelli.it

Emanuele CARRÈ

Il primo contratto di apprendistato compie 170 anni. “Imparare facendo”: don Bosco precursore – Avvenire

170 anni fa, esattamente l’8 febbraio 1852, don Bosco firmava a Torino il primo contratto di apprendistato: Giuseppe Bertolino, “mastro minutiere”, si “obbligava” ad insegnare “l’arte di falegname” al giovane Giuseppe Odasso fornendo “le necessarie istruzioni e le migliori regole onde ben imparare ed esercitare l’arte suddetta”. Di seguito l’articolo pubblicato oggi su Avvenire, a cura di Andrea Zaghi.

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IL PRIMO CONTRATTO DI APPRENDISTATO COMPIE 170 ANNI

Imparare facendo Don Bosco precursore

Imparare lavorando e lavorare per imparare meglio. Senza essere sfruttati. E in sicurezza. Protetti dalle leggi ma, prima ancora, dall’attenzione degli insegnanti dentro e fuori l’azienda e con la famiglia accanto. Con un patto: impegnarsi reciprocamente a crescere. Sono gli obiettivi ai quali guarda Giovanni Bosco (prete e santo) firmando a Torino l’8 febbraio 1852 quello che molti indicano come il primo contratto di apprendistato. Sono passati centosettanta anni, ma quell’accordo è ancora valido e attuale nei suoi contenuti di fondo. E può dire molto – soprattutto in un periodo come questo –, sul valore non solo dell’apprendistato, ma più in generale della formazione in “assetto di lavoro”, della formazione duale e della necessaria collaborazione tra scuole e imprese.

A ricordare il documento, tirato fuori per l’occasione dagli archivi della congregazione, sono i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice con tutti i formatori CNOS e CIOFS che spiegano come «la possibilità che i giovani possano vivere l’alternanza scuola-lavoro, in un contesto protetto e in stretta collaborazione con i centri di formazione, rappresenti una preziosa opportunità». Sempre che tutti facciano le cose per bene. E su come farle, proprio quanto scritto da don Bosco appare essere la sintesi migliore e più efficace. Ad iniziare dal sancire «un’alleanza – viene sottolineato –, che è ancora oggi di ispirazione per l’opera dei formatori: quella tra il datore di lavoro, il lavoratore, la famiglia dell’apprendista e l’educatore».

Un “accordo” scandito da parole precise, che 170 anni fa, come oggi, hanno un peso. E che ancora si possono leggere messe nero su bianco con una scrittura nitida e in buon italiano. Così a Torino in quel febbraio del 1852, Giuseppe Bertolino, “mastro minutiere”, si “obbliga” ad insegnare “l’arte di falegname” al giovane Giuseppe Odasso “per lo spazio di due anni”, fornendo “le necessarie istruzioni e le migliori regole onde ben imparare ed esercitare l’arte suddetta”. E l’allievo “si obbliga” anche lui ad avere “prontezza assiduità e attenzione” nell’imparare. Il lavoro sarà pagato, il giovane sarà “schiettamente” giudicato per quello che fa e per come si comporta; ma Bertolino ha il dovere anche di trattare bene il suo allievo seguendolo e dandogli “quegli opportuni salutari avvisi che darebbe un buon padre al proprio figlio”. Quattro pagine di contratto con quattro firme al fondo: il datore di lavoro, l’apprendista, il padre di lui e Giovanni Bosco.

La parola-chiave pare essere “collaborazione”. Oppure “alleanza”. E vale nel 1852 come nel 2022. Certo, 170 anni fa come oggi, il percorso dalla scuola al lavoro è duro e in salita.

La strada da fare è lunga per tutti, per Giuseppe Odasso un tempo e per le migliaia di giovani oggi: basta intraprenderla nel modo giusto.

ANDREA ZAGHI

La Messa per don Bosco ai Salesiani di Bra presieduta da Mons. Gabriele Mana – La Voce di Alba

Presso la chiesa dei Salesiani di Bra, domenica 30 gennaio si è tenuta la S.Messa in onore di San Giovanni Bosco presieduta da Mons. Gabriele Mana. Di seguito l’articolo pubblicato su La Voce di Alba a cura di Silvia Gullino.

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Monsignor Gabriele Mana: “Come don Bosco, fate tutto per amore, nulla per forza”

“Fate tutto per amore, nulla per forza”. Un messaggio semplice quello di don Bosco, che è stato ripreso da monsignor Gabriele Mana, vescovo emerito di Biella, durante la Messa celebrata nella chiesa dei Salesiani di Bra, alla vigilia del 31 gennaio, memoria liturgica del Santo.

La funzione eucaristica di domenica 30 gennaio, che ha visto la presenza tra i banchi del sindaco di Bra, Gianni Fogliato e dell’assessore Luciano Messa, è stata seguita anche nel cortile del Cnos-Fap, secondo le modalità anti-contagio previste al tempo del Coronavirus.

Una bella occasione di crescita e di gioia per tutti i fedeli che hanno partecipato con devozione al rito e che alla fine ha ricevuto la tradizionale merendina, come era solito fare l’Apostolo dei giovani.

Ma quello che la gente ha portato a casa è stato molto di più:

“Le parole di un vescovo che ha saputo far capire che cosa è stato San Francesco di Sales per la gente di Annecy e cosa è stato don Bosco per chi lo ha incontrato, questa amorevolezza e questo tratto delicato che monsignor Mana ha saputo trasmettere nelle sue parole”.

Lo ha detto il direttore dei Salesiani di Bra, don Alessandro Borsello, sempre sorridente e pieno dello spirito di festa.

“Cari giovani, io con voi mi trovo bene”: è il claim di don Bosco che campeggia nel cortile della famiglia salesiana braidese, testimone della sua missione dal 1959. Da allora, sacerdoti, laici consacrati, educatori, ex allievi e cooperatori sono al servizio di bambini e ragazzi della città, operando con fede e dedizione nell’Istituto San Domenico Savio, che sorge nel quartiere Oltre-ferrovia.

A sostenerli è l’Auxilium Christianorum (l’Aiuto dei Cristiani) che era continuamente invocata da don Bosco. Il grande educatore di Valdocco pose la sua opera di sacerdote e fondatore, sin dall’inizio, sotto la protezione e l’aiuto di Maria Ausiliatrice, alla quale si rivolgeva per ogni necessità, specie quando le cose s’ingarbugliavano.

È il caso di questi anni segnati dall’emergenza sanitaria, che ha imposto limiti e nuove abitudini, ma senza azzerare l’entusiasmo, come spiega ancora don Alessandro:

“Fare festa non è necessariamente fare grandi pranzi, grandi cose, come poteva essere prima del Covid. La presenza di un vescovo è stato un modo semplice per far capire che don Bosco è stato un grande Santo e nello stesso tempo un modo per rendere visibile la comunità, cosa che il Covid aveva reso difficile. E allora, in modo ordinato, però festoso, questa occasione è un modo per rendere visibile la comunità salesiana sul territorio, la comunità della scuola, dell’oratorio e del Centro di Formazione Professionale”.

Insomma, lo stile salesiano supera le barriere del tempo. Anche quelle improvvise, come il Coronavirus.

Curiosità chieresi – Un cassetto che racconta

Il quotidiano online 100Torri riporta nel suo articolo una breve storia di un cassettino all’interno della chiesa di San Guglielmo di Chieri, e racconta della prima persona che Don Bosco ha conosciuto quando si trasferì a Chieri nel 1831, ovvero Don Placido Valimberti.

Di seguito l’articolo di 100Torri a cura di Roberto Toffanello.

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Non proprio un cassetto, ma un cassettino che con altri tre si trova all’interno di uno sportello della sacrestia della chiesa di San Guglielmo in Piazza Mazzini; qui venivano conservati l’amitto e il purificatoio dei sacerdoti (piccoli panni di lino per la celebrazione della Messa).

Ogni cassettino è ricoperto nella parte frontale da un foglio di carta che riporta il nome del sacerdote. Uno dei quattro cassettini riporta un nome che venne eliminato facendovi sopra alcuni tratti con l’inchiostro e il pennino: Sig. D. Valimberti.

Quel nome, che si riesce ancora a scorgere, è il nome della prima persona che Giovanni Bosco (il futuro don Bosco) conobbe quando il 4 novembre 1831 si trasferì a Chieri per iscriversi alle scuole pubbliche. Giovanni Bosco inizialmente abitò presso una casa che si affacciava su Piazza Mazzini (allora Mercadillo) poco distante dalla chiesa di San Guglielmo. Per chi arrivava dalla campagna non doveva esser facile prendere confidenza con una cittadina come era Chieri; a Giovanni Bosco bastò attraversare quella piazza, entrare in quella chiesa e così conoscere chi la officiava. Lo stesso don Bosco anni dopo scrisse: La prima persona che conobbi fu il sacerdote don Placido Valimberti di cara e onorata memoria. Egli mi diede molti e buoni avvisi sul modo di tenermi lontano dai pericoli: mi invitava a servirgli la Messa, e ciò gli porgeva occasione di darmi sempre qualche buon suggerimento. Egli stesso mi condusse dal prefetto delle scuole, P. Sibilla, domenicano, e mi pose in conoscenza cogli altri miei professori.

Dopo qualche mese fu poi suo professore, don Bosco lo definì cara persona e ne ebbe sempre un chiaro ricordo.

Don Placido Valimberti morì il 27 febbraio 1848, a 45 anni d’età, nella casa accanto alla chiesa di San Guglielmo. A quell’anno deve risalire la “cancellazione” del suo nome sul cassettino della sacrestia e la scrittura sottostante “Sera”.

Anche un cassettino può esser spunto per raccontare la nostra storia.

Roberto Toffanello

Don Michele Viviano: «Don Bosco ci insegna a stimare i giovani» – Avvenire

A seguito dei festeggiamenti per don Bosco, don Michele Viviano, Rettore della basilica Maria Ausiliatrice di Torino lascia la sua parola in un intervista riportata su Avvenire a cura di Marina Lomunno.

Di seguito l’articolo.

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Don Viviano è il rettore di Maria Ausiliatrice a Torino cuore storico della Famiglia Salesiana: una casa dove tutti devono sentirsi accolti.

A don Bosco, che mi ha voluto qui, chiedo ogni giorno: “Che cosa devo fare per continuare a rendere bella e accogliente la casa di Maria Ausiliatrice da te costruita con tante fatiche”?».

È una delle preoccupazioni di don Michele Viviano, siciliano nato a San Cataldo (Caltanissetta) nel 1962 e prete dal 1991: è stato nominato rettore della Basilica dal 1° settembre 2021 al 31 agosto 2024 e ha celebrato ieri la sua prima festa di don Bosco nella casamadre dei salesiani, a cui tutta la famiglia del santo dei giovani, sparsa in 134 Paesi del mondo, guarda come punto di riferimento carismatico. «Ogni figlio di don Bosco sogna di stare un giorno, un periodo nei luoghi dove è nata la nostra Congregazione: così è stato per me fino adesso. Un sogno diventato realtà», prosegue don Michele al termine delle Messe presiedute ieri in Basilica dal rettor maggiore dei Salesiani, don Ángel Fernández Artime, e dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia.

«È la prima volta che vivo la festa di don Bosco accanto a lui in Basilica, qui in questi luoghi dove ha cominciato ad accogliere i ragazzi e con alcuni a fondare la Congregazione dei salesiani nel 1854. E il ricordo va al nostro patrono san Francesco di Sales, di cui abbiamo iniziato la scorsa settimana le celebrazioni del 400° dalla morte con l’inaugurazione di una mostra qui a Valdocco, al Museo Casa don Bosco”. Un santo da riscoprire perché don Bosco ce lo diede come modello: quasi a dirci “siate come lui, vi chiamate come lui”: ecco la sua grande umiltà».

Don Viviano, docente al Centro teologico San Tommaso di Messina, è giunto a Torino dopo numerosi incarichi a Roma e in Sicilia. Una nomina, rettore della Basilica più importante della Congregazione, che davvero non si aspettava:

«Mi sento molto privilegiato e vivo questo mandato come un regalo di don Bosco per il mio 30° anno di ordinazione.  Nel 2016, nel mio 25° di sacerdozio, mi giunse un’obbedienza “strana”, a cui non mi sentivo per nulla preparato: alla mia vita abbastanza tranquilla di docente mi si chiedeva di aggiungere la direzione di un centro di accoglienza per migranti che arrivavano dal porto di Catania. Era il periodo in cui papa Francesco ci invitava ad aprire le case e gli istituti religiosi per ospitare chi rischiava la vita attraversando il mar Mediterraneo. Accolsi quell’obbedienza come un regalo di Dio per il mio 25°.  Ora, dopo 5 anni, con mia grande sorpresa e senza esser stato mai parroco, il rettor maggiore mi ha chiesto l’obbedienza di venire a Maria Ausiliatrice e dove si venerano le spoglie mortali del nostro santo: come non accoglierla come un dono di Dio, come una chiamata di don Bosco? Certo, è una grande responsabilità ma ciò che mi conforta e incoraggia è che non sono solo: ho una comunità che mi sostiene, confratelli che mi aiutano e collaborano. Sono il rettore ma ancor prima che a me la Basilica è affidata alla mia comunità».

Chiediamo a don Michele quale segno sono i santuari come Maria Ausiliatrice in questo tempo infragilito dalla pandemia.

«Innanzitutto, come ha detto l’arcivescovo nell’omelia, per i ragazzi e le ragazze che entrano in questa chiesa e in questi cortili, l’esempio di don Bosco e la sua azione educativa è un forte appello a stimare i giovani capaci di grandi cose e a spronarli a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. E poi la nostra Basilica, come i santuari mariani sparsi per l’Italia, deve offrire, insieme alla celebrazione eucaristica e a quella della riconciliazione sempre ben curate, iniziative formative e culturali. Ma soprattutto, come diceva don Bosco della Basilica di Maria Ausiliatrice, deve essere “casa” dove tutti si sentono accolti».

Giovanni Bosco e Francesco di Sales, una santità vicina – Città Nuova

In occasione dei 400 anni dalla morte di San Francesco di Sales, la sezione dedicata alle notizie sul sito di Città Nuova dedica un articolo al Patrono dei giornalisti e degli scrittori cattolici.

Di seguito l’articolo a cura di Valter Marchetti.

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Alla riscoperta di due cristiani di immensa umanità che ci aiutano a riscoprire ogni giorno il valore della mitezza operosa e della allegrezza.

Il 24 gennaio la Chiesa ha festeggiato  San Francesco di Sales, canonizzato nel 1665 e proclamato Dottore (della Carità) della Chiesa nel 1877 nonché, nel 1923, Patrono dei giornalisti e degli scrittori cattolici.

Francesco, nato nel 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, studiò teologia e filosofia a Parigi mentre si laureò a Padova in diritto civile ed ecclesiastico. Ordinato sacerdote si mise a disposizione del suo vescovo per ricondurre i Calvinisti dello Chablais alla fede cattolica. Venne fatto vescovo di Ginevra, con residenza ad Annecy e svolse un ruolo fondamentale nell’attuazione delle riforme del Concilio di Trento.

La persona di Francesco di Sales era caratterizzata da uno spirito nobile, arguto e profondo, da immensa umanità, con una propensione non comune alla guida spirituale, soprattutto sotto il profilo dell’ascetica e della vita spirituale nell’amore di Dio, come ben testimoniano le sue opere come  Filotea Teotimo.

La passione per la stampa. Francesco di Sales non fu solo un grande studioso ma anche un uomo molto pragmatico e di azione tanto da creare a Thonon un Accademia che raccolse le menti più elette per lo studio e la ricerca scientifica e, soprattutto, per avviare i giovani ad una formazione professionale. Instancabile lavoratore e sacerdote zelante, Francesco parve non aver molti riscontri con le sue predicazioni e così si ingegnò con la pubblicazione di fogli volanti  chiamati “ manifesti” che egli stesso fece scivolare sotto gli usci delle case, una vera e propria opera di comunicazione sociale.

Recuperare quante più anime possibili. Eletto vescovo di Nicopoli e poi di Ginevra, Francesco cerca di introdurre nella sua diocesi le riforme promulgate dal Concilio di Trento, senza rinunciare al confronto con i protestanti, perché era desideroso di recuperare quante più anime possibili e riportarle alla Chiesa. L’obiettivo più urgente per Francesco di Sales fu quello di rivolgersi ai laici, lavorando ad una predicazione che fosse davvero alla portata delle persone più semplici, nel quotidiano della loro vita perché, come amava ripetere, tutti «dobbiamo fiorire lì dove Dio ci ha piantato».

Con Santa Giovanna di Chantal, conosciuta a Digione e con la quale iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia,  fondò e diresse l’Ordine della Visitazione. Francesco muore  a Lione il 28 dicembre 1622.

Il decalogo di San Francesco di Sales. Si tratta di un testo scritto su un poster presso il castello di Allinges dove Francesco si fermava spesso per sostare e pregare nel corso della sua opera di evangelizzazione nello Chablais. Il santo dei giornalisti  propose  dieci brevi indicazioni per un buon cammino spirituale e di crescita umana.

1Cercare di piacere a Dio deve costituire  «il centro della mia anima e il polo immobile intorno al quale ruotano tutti i miei desideri e tutti i miei movimenti».

2. «Nulla per forza tutto per amore», e lo spirito di libertà deve escludere la costrizione, lo scrupolo e l’agitazione dell’uomo.

3Nulla chiedere, nulla rifiutare: «restare nelle braccia della Provvidenza, senza fermarsi su nessun altro desiderio, se non quello di volere ciò che Dio vuole da noi».

4Pensare solo all’oggi di Dio… «quando arriverà il giorno di domani, si chiamerà anch’esso oggi, e allora ci penseremo».

5. Ricominciare ogni giorno: «Ogni giorno dobbiamo cominciare il nostro progresso spirituale, e pensando bene a questo, non ci meraviglieremo di trovare in noi delle miserie. Non c’è nulla che sia già tutto fatto: bisogna ricominciare e ricominciare di buon cuore».

6. Andare dall’interno verso l’esterno«Il cuore, essendo la sorgente delle azioni, esse sono tali quale è il cuore. Chi ha Gesù nel cuorelo ha subito dopo in tutte le azioni esteriori».

7. Andare tranquillamente: «con una dolce diligenza…La fretta, l’agitazione non servono a nulla, il desiderio di una vita spirituale è buono, ma deve essere senza agitazione…Dobbiamo essere quello che siamo ed esserlo bene, per fare onore all’Operaio, di cui siamo l’opera».

8. Mettere a profitto tutte le occasioni: «sopportare con dolcezza le piccole ingiustizie, le piccole incomodità, le perdite di poca importanza che capitano ogni giorno. Queste piccole occasioni vissute con amore vi guadagneranno il cuore di Dio e lo faranno tutto vostro».

9. State allegri: «andate avanti con gioia e con il cuore aperto più che potete; e se non andate sempre con gioia, andate sempre con coraggio e fiducia».

10. Vivere in spirito di libertà: «io non mi faccio nessun scrupolo di lasciare il mio regolamento di vita quando lo richiede il servizio delle mie pecorelle…Dio mi fa la grazia di amare la santa libertà di spirito così come odiare la dissoluzione e il libertinaggio».

Il 31 gennaio la Chiesa ricorda la figura di San Giovanni Bosco, padre, maestro ed amico della gioventù che nacque  nella frazione collinare I Becchi a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815.

Sacerdote e pedagogo proprio Don Bosco, quando fondò la famiglia salesiana, si ispirò a San Francesco di Sales ed in particolare all’amorevole bontà di questo uomo. L’8 dicembre 1844, venne inaugurato un oratorio ( sull’esempio di San Filippo Neri che fondò l’oratorio per la prima volta nel XVI secolo, a Roma)  nella periferia di Torino, dedicandolo proprio a San Francesco di Sales. Nell’oratorio Don Bosco radunava i giovani che incontrava nelle strade e nei cantieri della città, organizzando momenti di formazione religiosa, di istruzione umana ma anche di giochi, di festa e di canto e di divertimento perché secondo Don Bosco «la santità consiste nello stare allegri”.

Don Bosco si ispirò ai valori di Francesco di Sales ma, soprattutto, alla sua carità e alla sua dolcezza così motivando questa scelta: «perché la parte di quel nostro ministero esigendo grande calma e mansuetudine, ci eravamo messi sotto la protezione di questo santo, affinché ci ottenesse da Dio la grazia di poterlo imitare nella sua straordinaria mansuetudine e nel guadagno delle anime “.

E per i salesiani, ancora oggi e sull’esempio di Don Bosco, San Francesco di Sales rappresenta il simbolo della bontà e della carità, valori che si racchiudono in questa sua espressione: «la carità è la misura della nostra preghiera, perché il nostro amore per Dio si manifesta nell’amore per il prossimo “.

Don Bosco, incantato  dalla dolcezza e dall’amorevolezza di Francesco, ad ogni giovane non mancherà di dire: «studia di farti amare”. Fate tutto per amore, niente per forza, perché chi ama è riamato.

Francesco di Sales così come Don Giovanni Bosco, il primo nato in un nobile castello in Savoia ed il secondo in una modesta cascina della collina astigiana, da sempre ed oggi più che mai, rappresentano due grandi maestri di profonda e quotidiana spiritualità, di pace e di mansuetudine, esempi di carità cristiana e di amore per il prossimo, soprattutto dei giovani che sono alla ricerca di un senso pieno e profondo nella (e per la) loro vita. Perché l’esistenza umana non riguarda sempre e soltanto la questione delle diversità, dell’uguaglianza, della contrapposizione tra ricchi e poveri o tra nobili e persone di origini più umili: ciò che davvero conta, nella co-esistenza umana,  è amarsi e lasciarsi amare, ogni giorno, ricominciando come se fosse la prima volta, perché tutto si fa per amore e niente per forza. Docilità e mansuetudine, liberi e forti (solo) nello spirito.

Premiata ad Arenzano un’alunna della scuola media salesiana di Bra

Il 23 gennaio scorso, presso il Santuario “Bambin Gesù” di Arenzano (Ge), si è svolta la premiazione del concorso internazionale di disegno “Piccoli artisti del Natale”, alla quale si è classificata al terzo posto l’alunna Alisea Bertoluzzo della scuola media salesiana di Bra. Di seguito un resoconto dell’evento a cura della Prof.ssa Cinzia Longo dell’Istituto.

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E’ successo di nuovo…anche quest’anno un’alunna dell’istituto salesiano San Domenico Savio di Bra ha vinto un premio nel concorso internazionale di disegno “Piccoli artisti del Natale”!

Il concorso è organizzato dai frati carmelitani scalzi del Santuario “Bambin Gesù” di Arenzano (Ge), è dedicato alla memoria di Papa Paolo VI e Giovanni Paolo II ed è sorto con l’auspicio del Ministero della Pubblica Istruzione.

Stavolta la vincitrice è Alisea Bertoluzzo, classe 2A, che con il suo disegno si è classificata 3° ASSOLUTA su 10.727 partecipanti.
Due anni fa si era distinto Samuele Barbieri che si era classificato 3° nella categoria “Tecnica di esecuzione”.

Il 23 gennaio si è svolta la premiazione proprio all’interno dello splendido Santuario. Presentava la nota giornalista del tg3 Cristina Carbotti. Era presente Alisea con la sua famiglia. Queste sono le sue parole:

“Dopo aver ammirato i bellissimi disegni esposti, intorno alle 15:00 hanno proiettato tutti i disegni vincitori.
In riferimento al mio disegno è stato scritto: “Un turbine dolcemente colorato unisce, come in carezza, la scena della Natività al nostro mondo, che occupa una parte marginale del disegno, ma è riprodotto con molta cura.”

In seguito c’è stata la premiazione: ero molto agitata, ma anche contenta di ricevere questo premio molto importante. È stata una bellissima giornata!”

La proiezione dei disegni è stata accompagnata da una descrizione preparata e letta dal prof. Benedetto Maffezzini (preside e dirigente scolastico regionale) che per ognuno dei 33 disegni premiati ha espresso parole mirate.
La dedica al disegno di Alisea è stata la seguente:

“Alisea, con il suo disegno, ci porta nello spazio siderale, dove in un vortice di bel cromatismo prende corpo e forma la Sacra Famiglia, molto raccolta per un Natale sì spaziale, ma con vista sul nostro pianeta e sulla nostra Italia. Il mistero di Gesù che si fa uomo per venire tra noi è sospeso tra terra e cielo, portatore di un messaggio d’Amore che non ha confini”.

Quest’anno si è trattata della 55° edizione a cui hanno partecipato 203 scuole di cui 13 dall’estero (Giappone, Cina, Repubblica Ceca e Polonia). Il tema del concorso è stato “La nascita di Gesù”.

Tra tutti i disegni pervenuti ne sono stati scelti 1.280 che sono stati esposti nei locali del Santuario. Tra questi elaborati 9 sono stati realizzati dagli alunni della nostra scuola.

Tutti i piccoli artisti hanno ricevuto un attestato di partecipazione. Gli autori dei disegni esposti hanno avuto un attestato speciale con una medaglietta realizzata dal prof. Angelo Biancini, scultore di fama internazionale e autore delle maioliche del Santuario. Ad Alisea é stata consegnata una targa con la statuina del Gesù Bambino di Parga, un libro a fumetti intitolato “Il piccolo Re” che ripercorre le tappe principali della Sua storia e l’ultimo numero della rivista del Santuario “Il messaggero di Gesù Bambino” che raccoglie, nelle ultime pagine, tutti i disegni premiati.

Congratulazioni, quindi, ad Alisea per il bel risultato e un grazie a tutti coloro che, con estro e fantasia, hanno partecipato al concorso.

Prof.ssa Cinzia Longo
Docente di arte