Don Bosco Asti: cambio ai vertici della parrocchia – don Jacek Jankosz

Domenica 5 settembre si è tenuta la messa di saluto a don Roberto Gorgerino al Don Bosco di Asti. Il nuovo parroco sarà don Jacek Jankosz.

(Estratto da La nuova Provincia)

Classe 1966, originario di Chieri, don Gorgerino è stato ordinato sacerdote nel 1999. Da sei anni nella parrocchia di corso Dante, si è dedicato principalmente ai giovani e alle attività di oratorio ed Estate ragazzi.

Il ruolo di parroco sarà ricoperto da don Jacek Jankosz, per la terza volta nella parrocchia astigiana. Nel 1994, infatti, aveva collaborato all’organizzazione dell’Estate ragazzi in qualità di giovane sacerdote ancora studente a Roma. Dopodiché, nel 2004, era tornato per rimanere fino al 2012, prima come incaricato dell’oratorio e poi come direttore della casa salesiana. Di origine polacca, 57 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1992. Tra i vari incarichi svolti, quelli nelle parrocchie di Trino, Valdocco e Casale Monferrato, da cui proviene.
Don Jankosz arriverà ad Asti domenica 12 settembre e sarà insediato come parroco dal vescovo Marco Prastaro domenica 19 settembre alle 10.

Direttore della casa salesiana e amministratore sarà invece don Genesio Tarasco. Classe 1944, ordinato sacerdote nel 1972, è salesiano dal 1961. Laureato in Agraria, è stato per quindici anni economo dell’Ispettoria salesiana di Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania. Dopo una breve parentesi in Vaticano dal 2001 al 2003, dove è stato Capo dell’ufficio della sezione amministrativa della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, in virtù della sua formazione universitaria ha successivamente diretto la scuola agricola salesiana di Lombriasco. Negli ultimi anni, invece, è stato direttore del Centro di formazione professionale salesiana a Vigliano Biellese. Don Tarasco arriverà martedì 7 settembre, giorno in cui verrà insediato ad Asti dall’ispettore salesiano don Leonardo Mancini.

Pandemia anno terzo, come dare speranza ai giovani: intervista a don Domenico Ricca

Da La Voce e il Tempo, intervista di Marina Lomunno a don Domenico Ricca, cappellano dell’Istituto penale per minorenni «Ferrante Aporti» di Torino sul tema delle fragilità giovanili alla luce della pandemia.

***

Don Domenico Ricca, salesiano, sacerdote dal 1975, dal 1978 è cappellano dell’Istituto penale per minorenni «Ferrante Aporti» di Torino. Ha ricoperto per la sua congregazione numerosi incarichi nazionali e regionali a favore dei ragazzi più fragili. Presidente dell’associazione «Amici di don Bosco» onlus che si occupa di adozioni internazionali, è anche consigliere ecclesiastico delle Acli della Provincia di Torino.

Don Ricca, lei ha dedicato tutta la sua vita di prete ai giovani più deboli secondo il carisma salesiano «diamo di più ai giovani che hanno avuto di meno». La pandemia ha svelato fragilità nuove anche nei giovani più «fortunati» e da più parti si afferma che saranno le nuove generazioni a pagarne il prezzo più alto. Dal suo osservatorio condivide questa analisi?

Se c’è una categoria di persone su cui non si dovrebbe mai generalizzare sono proprio i giovani: solitamente siamo noi adulti dediti a quest’arte, perché li conosciamo troppo poco, è troppa la distanza di anni fra noi e loro, e così ci affidiamo agli analisti del mestiere. Mi piace partire da alcune testimonianze dirette, colte sul campo, che ho letto in questi mesi sui giornali. «Ho 12 anni, mi vaccino perché sono stufo della Dad e non voglio fare tamponi su tamponi»; «La rinuncia più grande nel periodo del Covid forse è lo sport. Pratico basket e nuoto e non sono riuscito a fare nulla per quasi due anni. Spero di rifarmi adesso. Per non restare troppo fermo ho fatto ginnastica con papà a casa. Esercizi a corpo libero, papà mi dice come si faceva una volta in palestra. Era l’unico modo per muovermi un po’». E altri giovanissimi: «Ci vacciniamo per tornare a stare con gli amici».

Mostrano fieri il cerotto sul braccio: sono giovani e adolescenti che non pensano solo alla vacanza in libertà. Scelgono il vaccino per ritrovare la normalità, rientrare in classe e superare l’incubo della Dad, riprendere le attività sportive, ma anche per tornare a vivere in sicurezza l’università o il lavoro. Tra i ventenni, c’è anche la spinta ad ottenere il Green pass per i concerti e per «uscire con gli amici e feste». Ma non solo: «Paola guarda il cerotto sul braccio e si rivolge a mamma: ‘Quando torneremo a trovare nonna, finalmente potrò abbracciarla?».

I «suoi» giovani al Ferrante Aporti sperimentano la reclusione, la sottrazione della libertà e fondamentale, nel percorso di riabilitazione, è l’incontro con adulti significativi che rimotivino a ripartire. In questi due anni anche i giovani «liberi» in qualche modo hanno vissuto «ristretti» non potendo andare a scuola in presenza, frequentare gli amici, fare sport ecc. Secondo lei il mondo degli adulti (genitori, educatori, insegnanti, politici…) cosa deve fare per aiutare ragazzi e le ragazze a guardare oltre il Covid che ci ha gettato in un clima di pessimismo e progettare il futuro?

Qui il tema rimanda a quale tipo di comunicazione va innestata tra gli adulti e i giovani. Noi adulti siamo ancora troppo legati alla comunicazione verbale fatta di buone parole, piena di «mi raccomando». Ma forse non è giunto il tempo di avviare segnali e possibili percorsi di incontro? Perché tutti sperimentiamo la ricchezza di un incontro prolungato, senza fretta, non guardando l’orologio ma trasmettendo la vera sensazione di essere lì solo per loro. Occorre condivisione di esperienze: ci abbiamo provato un po’ nel tempo del lockdown, ma poi la Dad per i ragazzi, il lavoro in remoto per gli adulti hanno di nuovo ridotto le possibilità di incontro. Dice un ragazzo «E il resto della giornata: Dad e play station, che d’altronde erano gli unici due modi per stare in contatto con i miei amici». Il tema del guardare oltre va trasmesso con segnali di speranza. Non possiamo consegnare ai giovani ciò che a noi adulti per primi manca. Mi sembra che siamo incapaci di manifestare passione, vicinanza, empatia con chi ci sta accanto, fosse anche nostro figlio. È quanto scriveva san Giovanni Bosco nel 1884 da Roma in una lettera inviata ai salesiani di Torino Valdocco: «Non basta che i giovani siano amati ma che capiscano di essere amati!». Con questo li invitava a stare in mezzo ai ragazzi, a giocare con loro, a seguirli in ogni loro attività, a praticare la vicinanza… Erano questi per don Bosco i veri segnali d’incontro. Adulti arrabbiati nelle piazze per le proteste «No Green Pass» con lo slogan di «Potere al popolo» non so cosa possano trasmettere ai giovani…

Qual è il ruolo della pastorale giovanile delle nostre diocesi?

La Pastorale giovanile ha  grandi opportunità, educatori e preti giovani che stanno in mezzo ai ragazzi. Li favorisce la vicinanza di età, le tante occasioni, anche quelle estive: Estate ragazzi, campi scuola, oratori aperti e accoglienti al di là del colore della pelle e dell’appartenenza religiosa. Ma anche qui – e io sono nessuno per insegnare agli altri – sembra ovvio che queste occasioni di incontro bisogna giocarsele a tutto campo, non aver paura, ma viverle con gioia: perché se i ragazzi vedono che noi ci crediamo, non saranno mai spettatori.

Il presidente Mattarella intervenendo al Meeting di Rimini ha invitato tutti, soprattutto i credenti, al coraggio della responsabilità: «la nostra responsabilità è immaginare il domani» ha detto. Come possiamo aiutare i nostri giovani ad immaginare il loro domani?

Rispondo con le parole di Mattarella: «Il mondo ‘globale’ viene percepito, e diviene in realtà, sempre più piccolo, le distanze si accorciano, comunichiamo on line, con immediatezza, non soltanto parole e immagini, ma speranze e paure, modelli di vita e comportamenti sociali. Un virus temibile e sconosciuto ha propagato rapidamente i suoi effetti sull’uomo, sulle società, sulle economie, diffondendo morte e provocando una crisi ancor più pesante delle altre di questo primo scorcio di millennio. Avere il coraggio ‘di dire io’ richiama la necessità di rivolgersi ad altri, a uno o a tanti tu. Si tratta, anche per i credenti, della chiave del rapporto con Dio. La pandemia ci ha dimostrato quanto ci sia bisogno di responsabilità. L’io responsabile e solidale, l’io che riconosce il comune destino degli esseri umani, si fa pietra angolare della convivenza. E, nella società civile, nella democrazia.

Lo sviluppo integrale della persona si è arricchito di ulteriori implicazioni e coerenze, connesse anche all’irrinunciabile principio di pari dignità e uguaglianza. La persona è più dell’individuo: è un io pienamente realizzato. Vive nel ‘noi’, cerca il ‘noi’. Sentiamo che cresce la voglia di ripartire: il motore è la fiducia che sapremo migliorarci, che riusciremo a condurre in avanti il nostro Paese».

Nel chiudere vorrei rivolgere a tutti l’invito a tradurre queste grandi parole in un costante, anche se faticoso, esercizio della responsabilità, ma, e ancor più in quello, tutto da inventare, del trasmettere ai giovani gli strumenti adatti per non restarne fuori.

Progetto: “Facciamo rivivere le camminate di Don Bosco” – La Stampa

Con l’intento di riportare alla luce i tanti percorsi tracciati da Don Bosco nelle sue numerose passeggiate autunnali organizzate con i ragazzi tra il 1850 e il 1864, si sta imbastendo un progetto a tale scopo col coordinamento di don Egidio Deiana, parroco ad Alessandria, già rettore della basilica del Colle Don Bosco di frazione Morialdo a Castelnuovo. Di seguito l’articolo pubblicato lo scorso 9 agosto su La Stampa a cura di Marina Rissone.

Progetto: “Facciamo rivivere le camminate di Don Bosco”

Giovanni Bosco, santo sociale dei giovani, amava organizzare per i suoi ragazzi lunghe passeggiate autunnali. Erano appuntamenti importanti per il fondatore della congregazione salesiana. Per non dimenticare i tanti percorsi a piedi tracciati da Don Bosco, si sta imbastendo un progetto, col coordinamento di don Egidio Deiana, parroco ad Alessandria, già rettore della basilica del Colle Don Bosco di frazione Morialdo a Castelnuovo. Il primo tassello è stato l’incontro a Montemagno, nella sede della Casa sul Portone di piazza San Martino.

«L’idea di fondo – annota Don Egidio Deiana – è riprendere le camminate d’autunno di San Giovanni Bosco che svolse tra il 1850 e il 1864. Gli itinerari erano davvero moltissimi. I tragitti principali da Torino al Colle Don Bosco sono già stati ripresi alcuni anni fa. Ora il nostro lavoro sarà concentrato sui sentieri dai Becchi alla zona del Monferrato, tra Astigiano, Casalese, Alessandria, Ovada, Acqui Terme e Tortona».

Tanti borghi toccati dal santo con la comitiva, spesso reduce da piccole disavventure lungo il viaggio, ma anche di interessanti visite e incontri del tessuto sociale, tra parroci, abitanti e nobili locali. Il clima era di festa giovanile, popolare, tra preghiera, musica, teatro e ospitalità.

Aggiunge l’ex rettore:

«Vogliamo realizzare una cartina con un percorso ad ampio raggio, dopo aver verificato paese per paese il cammino e lo stato di praticabilità. Ad aiutarci nell’iniziativa saranno anche i sindaci, Gal, Cai e Pro loco».

Il legame tra Don Bosco e il Monferrato, è molto stretto. Il santo castelnovese aveva tessuto importanti rapporti personali tra Nizza Monferrato, Rocchetta Tanaro, Casale, Mirabello e Lu.

Il sorriso, la simpatia e la risata di Anita Fissore: dai Salesiani di Bra, poi modella e ora volto TV (VIDEO)

Di seguito l’articolo di IdeaWebTV che racconta la storia di una ex allieva della casa salesiana di Bra.

Nata a San Paolo (Brasile) nel 1990 e arrivata in Italia, a Bra, quando aveva 4 mesi. Lei è Anita Fissore, sorriso smagliante, simpatica e con la risata sempre pronta. Cresciuta all’Istituto Salesiano braidese, tra scuola Media e oratorio; ha iniziato il percorso da modella all’età di 20 anni ed ora si è avvicinata alla TV grazie ad Edoardo Raspelli. Con il celebre giornalista e gastronomo, sta girando le puntate di “L’Italia Che Mi Piace…in viaggio con Raspelli”, una nuova trasmissione televisiva che andrà in onda su Canale Italia, Sky, Amazon TV, Samsung TV. Abbiamo incontrato Anita nella palestra dei Salesiani di Bra.

Bra, continua a pieno ritmo l’Estate Ragazzi organizzata dall’Oratorio Salesiano

Si riporta l’articolo del sito IDEAWEBTV che racconta l’esperienza di oratorio estivo della casa salesiana di Bra.

Si è completata la quarta settimana dell’Estate all’oratorio salesiano di Bra. Le prime due settimane erano riservate ai giovani del Biennio delle Superiori. Le altre quattro sono destinate ai ragazzi dalla terza primaria alla terza media. Anche l’esperienza di quest’anno risente delle restrizioni legate al coronavirus, anche se meno della scorsa estate. Si sta svolgendo al meglio, soprattutto grazie alla disponibilità e all’intraprendenza degli organizzatori e dei numerosi volontari che si sono messi in gioco. Chi é direttamente impegnato con i ragazzi, chi li accoglie all’ingresso assicurando le prescrizioni del triage, chi cura le pulizie, chi la segreteria. Con queste risorse in campo, la riuscita dell’esperienza è garantita.

Un opportuno dosaggio di momenti liberi e momenti organizzati rende varia e interessante la giornata. Dopo l’arrivo scaglionato, la musica vivace ad alto volume segnala ai ragazzi, e anche al quartiere, l’inizio delle attività. Dopo i balletti tutti insieme, don Livio presenta la tematica formativa legata al personaggio di Ralph Spaccatutto, a cui fa segue un breve momento di preghiera. E’ quindi il momento di confronto a gruppi di età, di attività personale o a gruppetti nell’ampio studio della scuola media, del grande gioco negli spaziosi cortili. Al termine della settimana viene organizzata l’uscita alle piscine di Bra: un giorno per le elementari e un giorno per le medie. Alle superiori spetta la piscina de Le Cupole.

Segue il pranzo cucinato internamente, servito al bancone e consumato in parte nel refettorio e in parte ai tavoli collocati sotto il porticato per adeguarsi meglio alle norme. Segue il tempo libero dedicato ai giochi informali. L’attività principale del pomeriggio è costituita dai vari laboratori e dal grande gioco. Con il saluto finale e la preghiera animata da don Livio si conclude la giornata. Dopo aver ricevuto la merenda i ragazzi escono ordinatamente dall’istituto e si danno appuntamento al mattino successivo per vivere un’altra giornata entusiasmante con gli amici e gli animatori.

Solito successo per il recital  – CNOS-FAP San Benigno Canavese

Il 3 e il 4 luglio si è svolto il recital dal sapore di amarcord che il Cnos-Fap di San Benigno Canavese. Quest’anno sono state riproposte le sequenze migliori delle edizioni precedenti. Di seguito l’articolo pubblicato su “Il Risveglio popolare“.

È ben riuscito il recital dal sapore di amarcord proposto nel chiostro abbaziale nelle serate del 3 e 4 luglio. È una tradizione e un omaggio che il Cnos-Fap dei Salesiani da anni faceva alla cittadinanza, e che ostinatamente gli organizzatori hanno voluto riprendere dopo il Covid. Diciamo “sapore di amarcord” perché molto intelligentemente quest’anno la novità è consistita nel riproporre in sequenza il meglio di tutte le edizioni dal 2016 al 2019.
Così il pubblico ha potuto rivivere, in “In viaggio nel tempo“, l’emozione di canti e balli dei vari recital:
  • Forza venite gente” (2016),
  • Aggiungi un posto a tavola” (2017),
  • “Grease” (2018)
  • Fotloose” (2019).

Sono state due serate di musica, danze e soprattutto bellissime coreografie, con 25 artisti (dai bimbi ai veterani, dai docenti ai collaboratori, e pure da una dama un po’ vanesia e uno scienziato mezzo pazzo a un rompiscatole piuttosto ” fatto “), un validissimo staff tecnico e una organizzazione di misure antiCovid perfetta.

Al prossimo anno, già promesso. m.l.

Qualifiche professionali – Cnos Fap di Saluzzo

Con la fine di giugno centinaia di ragazzi hanno concluso il proprio percorso nell’ambito della formazione professionale conseguendo i titoli di qualifiche e diplomi. Tra questi gli allievi del  CNOS FAP di Saluzzo. Di seguito l’articolo pubblicato sul “Corriere di Saluzzo“.

SALUZZO Non solo gli esami di maturità dell’Istruzione (Licei e Istituti). Per una parte del mondo scolastico e formativo, infatti, il mese di giugno significa esami di qualifiche professionali, nell’ambito della Iefp, il sistema di Istruzione e formazione professionale. Nelle settimane scorse, centinaia di ragazzi e ragazze hanno terminato i propri percorsi triennali e quadriennali della formazione professionale, conseguendo i titoli di qualifiche e diplomi professionali rilasciati nell’ambito della direttiva regionale Obbligo di Istruzione (Iefp).

Nel comprensorio saluzzese due sono i Cfp (Centri di formazione professionale) che svolgono questo tipo di attività: il Centro salesiano Cnos Fap di Saluzzo e l’Afp di Verzuolo. A differenza dell’Istruzione, la cui competenza è sostanzialmente statale, la formazione professionale è disciplinata dalla Regione Piemonte, che opera attraverso gli Enti di formazione professionali accreditati a svolgere questa attività sul territorio.

Al Cnos di Saluzzo il numero dei qualificati nei percorsi triennali, al termine dell’anno formativo 2020-2021, è stato complessivamente di 59 ragazzi e ragazze: 20 nel percorso di “Operatore della trasformazione agroalimentare – panificazione pasticceria e pizzeria”, 15 nel percorso di “Operatore del benessere – estetica” e 24 nel percorso di “Operatore del benessere – acconciatura”. Inoltre, ai qualificati dei percorsi triennali, vanno aggiunti i 23 diplomati del cosiddetto “quarto anno della formazione professionale, che hanno conseguito il titolo di “Tecnico dell’acconciatura”.

All’Afp di Verzuolo i qualificati triennali complessivamente sono stati 36: 19 nel percorso “Operatore alla riparazione dei veicoli a motore”, con l’allievo Andrea Bonnet che ha riportato la votazione massima di 100/100, e 17 nel percorso “Operatore Meccanico – saldocarpenteria”. Anche all’Afp inoltre, ci sono stati 14 ragazzi che hanno conseguito il diploma professionale di “Tecnico riparatore dei veicoli a motore – Manutenzione e riparazione di parti e sistemi meccanici ed elettromeccanici e di pneumatici”.

CS – Il nuovo mondo di don Bosco: un documentario che raccolta la “casa che accoglie”

I Salesiani San Paolo di Torino, con la “Casa che accoglie” hanno creato un luogo che ospita una decina di giovani immigrati minorenni. La Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino ha prodotto un documentario che ne tratteggia le attività assieme alla storia di Don Bosco e dei Salesiani. Di seguito il Comunicato Stampa.

 COMUNICATO STAMPA
Torino, 6 luglio 2021

IL MONDO NUOVO DI DON BOSCO: UN DOCUMENTARIO DELLA CITTÀ METROPOLITANA RACCONTA LA “CASA CHE ACCOGLIE”

Da quando Don Bosco aprì il primo oratorio a Valdocco per ospitare i giovani esclusi e in precarie condizioni di vita è passato ben oltre un secolo, ma la volontà dei Salesiani di restare accanto agli ultimi non è mai venuta meno. Oggi il messaggio del Santo si traduce, in Borgo San Paolo a Torino, nella “Casa che accoglie”, un luogo che ospita una decina di giovani immigrati minorenni, i cosiddetti minori non accompagnati.

Un documentario recentemente prodotto dalla Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino alterna la storia di Don Bosco e dei Salesiani, raccontata dal giornalista Gian Mario Ricciardi, con la descrizione di “Casa che accoglie” fatta dai protagonisti: don Lagostina, direttore della casa, un tutore volontario, i due educatori e alcuni volontari che prestano la loro opera rendendo possibile il funzionamento della struttura.

La realizzazione del film è stata un’avventura, condizionata dalla pandemia, iniziata con una telefonata alla fine di febbraio di quest’anno a don Lagostina e proseguita con pochi incontri preparatori per definire la sceneggiatura. Le riprese si sono svolte nella seconda metà di aprile in diverse location. Il Museo Casa Don Bosco e l’oratorio di Valdocco sono stati lo sfondo degli interventi di Ricciardi, mentre le immagini girate nelle stanze e nelle sale comuni di “Casa che accoglie” mostrano i momenti della vita quotidiana: le pulizie effettuate dai ragazzi, la preparazione del pranzo con le volontarie, lo studio, il gioco e il pasto serale. Le vie di borgo San Paolo con il mercato rionale sono la scenografia in cui si muovono i ragazzi che camminano, camminano… Il camminare è inteso come metafora del migrante che abbandona il suo paese, la povertà, la guerra o le persecuzioni in cerca di sicurezza, di una vita migliore. Spesso si tratta di sogni, della ricerca di un mitico Eldorado che poi, presto, non si rivela come tale. Talvolta le storie dei ragazzi che provengono dall’Africa, dall’Albania, dal Bangladesh e da altri Paesi del terzo mondo sono drammatiche: viaggi avventurosi costellati dalle violenze delle guardie alle frontierepericolose deviazioni, una volta arrivati in Italia, nell’ambito della malavita (un tetto e del cibo in cambio di azioni illegali).

Il lavoro di chi si occupa di questi ragazzi e li strappa alla strada, proprio come faceva Don Bosco, è prezioso e complesso, sempre in relazione con il Comune, con gli Enti formativi e con tutte le istituzioni e i privati che collaborano per inserire i giovani nel tessuto sociale e produttivo torinese.

Il messaggio del film si può sintetizzare nelle parole di don Lagostina nella chiusura del documentario: “E’ l’incontro fra persone diverse che porta a una ricchezza comune. Questo è il mondo nuovo che noi auspichiamo”.

Il film, della durata di circa 23 minuti, realizzato praticamente senza costi dal Centro di Produzione multimediale della Direzione Comunicazione e Rapporti con i Cittadini e i Territori della Città Metropolitana di Torino, è ora disponibile su Youtube.

Si presenta il corso per trasfertisti – CNOS-FAP Bra

Sabato 10 luglio alle ore 9.00 verrà presentato il corso Ifts per tecnico trasfertista del Cnos Fap di Bra nell’azienda Gai macchine imbottigliatrici di Ceresole. Durante il percorso del trasfertista verranno insegnate discipline e competenze da acquisire insieme al lavoro da trovare.

Per informazioni scrivere a gai@gai1946.com

Giovani e agricoltura a Lombriasco

Al termine dell’anno scolastico e degli esami di maturità con lodevoli risultati e 29 diplomati, alcuni 100 e due votazioni con lode, la rivista locale “La pancalera“, diffusa sul territorio fra provincia di Torino, e di Cuneo, zona in cui si colloca la Scuola Agraria Salesiana di Lombriasco, pubblica nel mensile di luglio un articolo sulla realtà dell’agricoltura nazionale e i giovani. Un tema caro alla scuola salesiana di Lombriasco sviluppato dal contributo dello scrivente “Dommi” a nome della scuola stessa.

***

Giovani: futuro e presente dell’agricoltura anche nel nostro territorio, mi pare di poter dire leggendo alcuni dati che riporto a livello più ampio, ma riferibili anche alla nostra realtà locale. 

Quello dell’agricoltore non è più solo un mestiere del passato o un lavoro portato avanti unicamente dalle vecchie generazioni. All’inizio del 2020, presentando i risultati di un’analisi effettuata su dati Infocamere, Coldiretti annunciava uno storico ritorno alla terra dei giovani con 56mila under 35 alla guida di imprese agricole (+12 per cento negli ultimi cinque anni), un primato nell’Unione europea.

Il settore agricolo vanta più del dieci per cento dei giovani che fanno impresa e creano lavoro in Italia con sette imprese under 35 su dieci che, oltre alla coltivazione, hanno sviluppato attività di trasformazione dei prodotti e vendita diretta, fattoria didattica, agricoltura sociale per l’inserimento di persone svantaggiate, cura del paesaggio e produzione di energie rinnovabili. Sempre secondo l’analisi Coldiretti inoltre, la professionalità, l’innovazione e la passione dei giovani in agricoltura porta le loro aziende ad avere una superficie superiore di oltre il 54 per cento rispetto alla media, un fatturato più elevato del 75 per cento e il 50 per cento di occupati per azienda in più.

Davanti a questi dati c’è da essere orientati alla speranza per il settore agroalimentare ed in effetti anche la percezione immediata di chi lavora nella scuola per la formazione nel settore è quella di un rinnovato interesse. Nelle aule dell’istituto salesiano di Lombriasco non troviamo più solo figli di agricoltori, ma anche altre ragazze e ragazzi desiderosi di entrare nel mondo dell’agroalimentare con le sue varie sfaccettature.  Resta pur vero che solo il 11% di tutte le aziende agricole dell’Unione europea (UE) è gestito da agricoltori al di sotto dei 40 anni – e convincere un maggior numero di giovani ad avviare un’attività agricola rappresenta una vera sfida.E che di fronte all’invecchiamento della popolazione agricola l’UE sta intensificando gli sforzi per incoraggiare i giovani a diventare agricoltori. I giovani agricoltori ricevono aiuto per far decollare la loro attività con sovvenzioni all’avvio, sussidi al reddito e altre forme di sostegno come la formazione supplementare. Sostenere la prossima generazione di agricoltori europei non solo migliora la competitività futura dell’agricoltura europea, ma contribuisce anche a garantire l’approvvigionamento alimentare dell’Europa per gli anni a venire.

Insomma la formazione dei tecnici e degli imprenditori del settore agricolo per i prossimi anni è fondamentale perché senza la preparazione tecnica mancherebbe una solida base che garantisca possibilità effettive in un settore dove non ci si improvvisa e dove le difficoltà possono essere varie. Serve capacità di innovazione per essere concorrenziali sul campo e capaci di trovare una sostenibilità per la propria passione, importante ,ma non sufficiente.

Questa mentalità vincente va fatta crescere e coltivata quotidianamente nella formazione dei ragazzi anche a scuola dove spesso non si vede l’utilità di una cultura più ampia e solida nell’ambito del cammino scolastico, non trovandovi la spendibilità immediata e concreta. Leggo su una rivista il titolo che parla di un’agricoltura che è giovane, ma tra me penso che questo sarà vero e duraturo nella misura in cui sapremo formare i giovani nell’ambito delle nostre scuole con serietà, impegno, sguardo all’innovazione in un mondo globalizzato

Dommi

 

E non ci sono solo gli under 35 che portano avanti l’azienda agricola di famiglia, ma anche i giovani agricoltori di prima generazione che, con un altro tipo di formazione (metà sono laureati) o una provenienza da altri settori, hanno scommesso sulla campagna, vista sempre più come un’opportunità occupazionale e di crescita professionale.

Sono numerosi poi i giovani che decidono di coltivare con il metodo biologico e di associarsi a servizi innovativi che permettono un contatto diretto con i consumatori.