“M’Interesso di te”: il progetto di Salesiani per il Sociale APS sull’Osservatore Romano

Pubblichiamo un articolo uscito sull’Osservatore Romano dove si parla del progetto “M’Interesso di te” di Salesiani per il Sociale APS. Il progetto, realizzato nelle città di Torino, Napoli e Catania, e sviluppato su due edizioni, vuole arginare il fenomeno dell’esclusione sociale e dei minori stranieri non accompagnati e dei neomaggiorenni, migliorare la loro integrazione sociale, favorire i processi di sempre maggiore autonomia personale e lavorativa, attraverso interventi peculiari e di aggancio, recupero e reinserimento fondati sulla “ripresa in carico” e l’accoglienza, la formazione e l’orientamento, l’accesso ai servizi educativi, sanitari e sociali locali.

Per ridare un’identità ai minori invisibili

#CANTIERE GIOVANI • Il progetto «M’interesso di te» di Salesiani per il sociale

Appena giunti in quella che avrebbe dovuto essere la terra promessa, tutto quanto li identifica è l’acronimo Msna: i minori stranieri non accompagnati sbarcano soli in un Paese di cui spesso non sanno il nome, soli, benché in mezzo a centinaia di persone. Persone di cui non riconoscono i volti. Disorientati in un ambiente loro estraneo, quando non ostile, ed esclusi dai circuiti dell’accoglienza, sono inevitabilmente più esposti a situazioni di rischio, finendo non di rado preda della criminalità organizzata.

«Le loro storie, poco visibili e a cui non si presta la dovuta attenzione, si inseriscono nel fenomeno emergente dei ragazzi di strada, minorenni di 16-17 anni, senza fissa dimora e figure di riferimento, quasi sempre vittime delle tante forme di sfruttamento» spiega don Roberto Dal Molin, presidente di Salesiani per il sociale, i quali, per il terzo anno consecutivo, con il supporto del Fondo di beneficenza di Intesa Sanpaolo, riprendono il progetto «M’interesso di te», teso ad accompagnare tanti giovani a un percorso di vita dignitoso e costruttivo, proprio nel delicatissimo passaggio alla maggiore età, quando vengono meno anche quelle minime tutele previste dall’attuale legislazione.

«Ci è sembrato doveroso farci carico della loro integrazione, perché, essendo privi di risorse personali, relazionali e sociali, a seguito dell’interruzione dei programmi di inserimento riservati ai più piccoli, sarebbero stati ulteriormente abbandonati a sé stessi» conclude don Roberto, sottolineando che gli interventi avviati a Torino, Napoli, Catania, San Gregorio di Catania e Roma «coinvolgono anche le amministrazioni locali, proponendosi come modello di progettualità condivisa estendibile ad altre città». Riscattare questi giovanissimi da traumi fisici e psichici, dovuti alle violenze subite nei Paesi di origine e di transito, affrancarli dalla precarietà di un’esistenza fatta di rifugi di fortuna e condizioni igienico-sanitarie insalubri richiede la collaborazione di una rete di assistenza territoriale. «Essendo agli occhi della società degli invisibili, non hanno diritto ad assistenza sanitaria e cure mediche, così, molti di loro finiscono nel cono d’ombra del silenzio e dell’emarginazione, e, soprattutto, finiscono ridotti in schiavitù dal mercato della prostituzione organizzata, vittime di una vera e propria tratta» denuncia don Roberto.

Obiettivo del progetto è, infatti, proprio contrastare esclusione sociale e sfruttamento, attraverso recupero, presa in carico, formazione, inserimento sociale e diverse misure atte a togliere i ragazzi dalla strada e dare loro una speranza di rinascita. «Solo quest’anno partecipano al progetto 600 giovani, ma intendiamo accoglierne quanti più riusciamo: i nostri operatori quattro volte a settimana si muovono sulla strada per identificare i minori in difficoltà. In due anni di attività hanno accumulato una buona conoscenza del territorio e sanno dove intercettare i ragazzi» racconta don Roberto, sottolineando l’importanza dell’esperienza sul campo per instaurare un contatto diretto con i più piccoli, conquistare la loro fiducia, conoscerne origini, storia e motivazioni alla base della loro fuga, comprendendo le loro paure e i pericoli che hanno corso e continuano a correre.

Dopo il primo contatto, utile a stabilire condizioni di salute, status giuridico ed eventuali procedimenti penali a carico, viene attivata la rete dei servizi formali e informali a seconda delle singole esigenze. I centri di accoglienza diurna di bassa soglia svolgono una funzione di filtro e di primo supporto: i ragazzi ospitati, qui trovano un pasto caldo, un letto e un tetto, ma anche canali per avviare le procedure di regolarizzazione di documenti personali e permessi di soggiorno. «Abbiamo pensato ad attività di laboratorio e socializzazione, che aiutassero a creare un clima confortevole e accogliente, che favorissero la comunicazione, la fiducia nell’altro e l’apertura al prossimo, che trasmettessero la dimensione dell’appartenenza — spiega il presidente dei Salesiani — per questo sono centrati sulla creatività e sull’auto-narrazione come strumenti di crescita».

A questi sono, tuttavia, affiancati corsi per il potenziamento delle competenze linguistiche: la comprensione della lingua è, infatti, condizione irrinunciabile all’inserimento sociale dei nuovi arrivati, oltre che necessaria all’acquisizione della licenza media. Ai neomaggiorenni viene anche offerta un’accoglienza abitativa temporanea (dai 6 ai 12 mesi), valutata in forma sperimentale anche in prospettiva, per alcuni di loro, dell’affido familiare: già in questa prima fase, infatti, una rete di famiglie affianca i ragazzi nel compiere i primi passi in un mondo ancora sconosciuto, quello della scuola e delle strutture di sostegno, nel vivere nuove relazioni con i coetanei, nell’approccio a tradizioni e usi diversi.

L’aspetto più importante, dal punto di vista formativo, è il raggiungimento dell’autonomia: attività, tempo ed energie sono, in larga parte, finalizzate a tale obiettivo, motivando alla scoperta del proprio potenziale, all’acquisizione di competenze trasversali, alla ricerca di una professione dignitosa. «Riteniamo fondamentale spronarli a esplorare richieste e dinamiche del mondo del lavoro, a individuare spazi in cui possano investire il loro talento in una progettualità in linea con attitudini, passioni e aspettative personali» spiega Giovanna Palatino, responsabile del Fondo beneficenza Intesa Sanpaolo, riferendosi alla scelta dell’inserimento di corsi professionali e di tirocini aziendali, a completamento dei percorsi scolastici formali, per ogni ragazzo. «Ci ha colpito il progetto dei Salesiani, perché si occupa degli ultimi tra gli ultimi, e, poiché le Linee guida biennali del Fondo hanno come focus il sostegno ai migranti, per favorirne l’inclusione sociale ed economica, abbiamo voluto dare una mano a questi ragazzi, soli e senza riferimenti, in fuga dai loro paesi alla ricerca di un futuro migliore» ricorda Palatino.

Sono gli stessi giovani e giovanissimi che vediamo gravitare attorno alle stazioni e nelle periferie delle nostre città, finendo, spesso, preda della criminalità. Esclusi dai circuiti ufficiali, finiscono tra gli invisibili. Sottrarli a questa morsa, richiede, oltre ad un primo intervento emergenziale, un percorso personalizzato di alfabetizzazione e inserimento: «Si tratta di una questione di umanità, ma anche di una battaglia di civiltà che vale la pena combatterla, avendo di fronte lo sguardo e il sorriso dei tanti bambini e ragazzi che stiamo seguendo». Nei primi due anni di progetto (2018-2019), infatti, sono stati supportati complessivamente circa 1.400 minori, sono state organizzate oltre 500 uscite di educazione di strada e, a oggi, si contano oltre 1.700 accessi all’accoglienza di bassa soglia; sono stati tenuti 400 corsi di prima alfabetizzazione e 900 interventi psico-socio-educativi. Numeri che parlano di un grande progetto che, non a caso, ha incontrato il plauso delle università responsabili del suo monitoraggio: l’ultimo report lo segnala come “piano di alta rilevanza”, in quanto promotore di un modello di presa in carico della persona a tutto tondo e rispettoso delle esigenze della singola persona. Sapere che tutto sta avendo un seguito, grazie all’iniziativa e all’impegno di tanti educatori, volontari e amministratori, è di forte auspicio per il loro e nostro futuro.

di Silvia Camisasca

(26 ottobre 2020)

Servizio Civile con i Salesiani. Essere onesto cittadino, tra educazione integrale e cittadinanza attiva

Il periodico Vita dedica sulla propria pagina web un articolo in merito al Servizio Civile con i Salesiani. Si riporta di seguito il testo pubblicato il 14 ottobre scorso a cura di Rosanna Todisco.

Il Servizio Civile è un laboratorio prezioso di form/azione alla cittadinanza attiva che assicura un attivo coinvolgimento nel processo degli apprendenti; ma educare alla cittadinanza consapevole e democratica implica un processo pluridimensionale che riguarda la globalità della persona umana

La crisi per la pandemia che ancora stiamo vivendo ci richiama a confrontarci con la nostra capacità di essere “onesti cittadini” alla maniera di don Bosco, il santo dei giovani e ai cui principi il Servizio Civile con i Salesiani si ispira. Fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria – ma anche ambientale e sociale – il Servizio Civile Universale, su cui Vita ha lanciato un importante appello, ha dato prova di come esso possa costituire una risorsa e una riserva di capitale umano inestimabile a sostegno del funzionamento delle istituzioni e del benessere del territorio. Essere “onesto cittadino” è un modo per concorrere al bene comune della società e oggi più che mai, il bene comune che ha bisogno di responsabilità individuale e collettiva.

Il Servizio Civile è un laboratorio prezioso di form/azione alla cittadinanza attiva che assicura un attivo coinvolgimento nel processo degli apprendenti; ma educare alla cittadinanza consapevole e democratica implica un processo pluridimensionale che riguarda la globalità della persona umana.

In questa accezione, il Servizio Civile diventa spazio e luogo di progettualità e di condivisione, nel quale si promuovono il valore della dignità umana, il rispetto per l’altro e per la sua alterità, la cura del nostro Pianeta, l’attenzione al patrimonio artistico e culturale.

Il tema dell’educazione alla cittadinanza, tesa a realizzare una cultura della legalità e del senso di appartenenza, abbraccia una visione “integrale” dell’educazione, e richiama quell’ approccio pedagogico che don Bosco definiva “preventivo”, cioè finalizzato alla valorizzazione delle potenzialità dei giovani: un’educazione che permetta la realizzazione di sé come persona con apertura alla comunità.

Perché comunità non è solo stare fisicamente gli uni accanto agli altri ma comunione, partecipazione, risonanza di senso. Eppure, la stessa idea di comunità è assoggettata ad un ulteriore significato. La condizione umana, oggi, è quella di una unitas multiplex, per citare Edgard Morin, e non è possibile trascurare l’importanza di una educazione ad una cittadinanza globale, universale. La tensione educativa mira a costruire e a diffondere competenze che emergono da diversi approcci relativi a diritti umani, relazioni interculturali, educazione allo sviluppo. Perché il Servizio Civile è sì tempo fissato in un’esperienza di condivisione di sé con gli altri, ma è anche tempo presente a contatto con la storia e con lo sguardo rivolto al futuro.

Educare alla cittadinanza oggi si traduce in un vero e proprio stile di vita rivolto ai problemi della realtà, nel rispetto delle differenze di tutti e dell’identità di ciascuno, in particolare a quello della convivenza sociale secondo i principi contenuti nella Costituzione.

La missione salesiana si realizza nel mondo con e per i giovani quali destinatari dell’azione educativa. Il Servizio Civile con i Salesiani concede ai giovani di fare esperienza di solidarietà, in Italia e all’Estero, quale dimensione costitutiva della persona; esperienza che si realizza nell’impegno educativo a servizio dei più fragili e degli ultimi. Con i giovani si vuole essere al servizio di altri giovani, soprattutto quelli a rischio di esclusione, non solo per cause economiche ma anche sociali, culturali e relazionali.

Scegliere il Servizio Civile permette ai giovani di prestare un’attività di grande valenza sociale e anche di acquisire competenze tramite un percorso formativo in grado di accrescere la loro autonomia, di aumentare la capacità di assumersi responsabilità e di acquisire abilità tecnico-professionali. Il successo di questo percorso dipende anche dalla capacità degli adulti di motivare i giovani anche attraverso una proposta educativa e formativa di valore.

Investire adeguate risorse economiche sul Servizio Civile rispetto all’effettiva domanda, formare i giovani ad essere “onesti cittadini” nell’hic et nunc della realtà storico-sociale in cui viviamo, è ragionevolmente un’impresa ad alto moltiplicatore sociale, economico e politico che può assumere una rinnovata centralità nella costruzione di pace, di solidarietà e di contrasto alla marginalizzazione.

A cura di Salesiani per il Sociale aps

Salesiani per il Sociale aps coordina e promuove interventi, servizi e progetti di Servizio Civile Universale in Italia e all’Estero. Quest’anno sono stati 1.117 i giovani impegnati nei progetti di Servizio Civile con Salesiani per il Sociale. Sono stati attivati 90 progetti (84 in Italia e 6 all’Estero). Sono 222 le sedi coinvolte, dislocate su 18 regioni italiane. 40 i giovani impegnati all’Estero: Spagna, Francia, Angola, Palestina, Ghana, Etiopia. Sono stati 290 gli OLP e 145 i formatori generali, adulti preparati a livello educativo e professionale, che hanno accompagnato l’esperienza e supportato i giovani operatori volontari nel raggiungimento degli obiettivi del progetto.

Salesiani Crocetta: «di nuovo insieme in oratorio»

Si riporta la notizia proveniente da La Voce e il Tempo, a cura di Federico BIGGIO, riguardo alla ripartenza delle attività in oratorio dei Salesiani della Crocetta.

RIPARTENZA – TUTTI I GIORNI, DOPO LA SCUOLA: PRANZO, STUDIO E ATTIVITÀ LUDICHE
Salesiani Crocetta, «Di nuovo insieme in oratorio»

Dopo che la Regione Piemonte ha approvato a settembre gli indirizzi operativi per la gestione in sicurezza delle attività oratoriane, l’oratorio salesiano della Crocetta di Torino (via Giuseppe Piazzi 33) ha deciso di lanciare l’iniziativa «Di nuovo insieme in oratorio».

Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 13 alle 18.30, tutti i bambini e ragazzi, dalla prima elementare alla seconda superiore, possono usufruire di un servizio di doposcuola ideato, gestito e organizzato da salesiani, educatori, volontari e animatori. I bambini delle elementari possono accedere allo «spazio compiti» dalle 16.30 alle 18.30, mentre per i ragazzi delle medie e superiori l’oratorio apre già a partire dalle 13 per pranzare al sacco e condividere insieme la pausa pranzo; successivamente i ragazzi possono dedicarsi ai compiti.

Dal mese di novembre, inoltre, sarà attivato anche un «atelier educativo», una proposta per imparare a crescere e a studiare: durante lo spazio compiti verrà proposto un incontro formativo settimanale focalizzato sullo sviluppo di metodi di studio efficaci e di meta-competenze trasversali da parte di una psicologa, che si occuperà anche della formazione degli animatori volontari:

«l’idea», spiega don Giovanni Campanella, direttore dell’oratorio, «è quella di fornire strumenti utili, che rimangano per tutta la vita, a tutti quei giovani che a volte sono ‘poveri’ di strumenti: tuttavia non si tratta di una relazione frontale ma di uno scambio basato sulla relazione educativa». Per tutti, dopo aver adempiuto i doveri scolastici, sarà possibile rimanere in oratorio per partecipare a diversi laboratori e attività ricreative, sportive e ludiche (nel rispetto delle norme anti-Covid): «per il momento l’oratorio riapre solo per queste attività strutturate, proprio per venire in contro alle esigenze sanitarie», continua don Campanella, «in attesa che si possa riaprire il cortile a chi vuole anche solo passare per un saluto, facendo triage e certificando lo stato di salute».

È possibile iscriversi alle iniziative descritte in oratorio, per informazioni scrivere una e-mail a oratorio@crocetta.org o al direttore don Giovanni Campanella, cell. 338.8748765 .

Federico BIGGIO

85 anni fa nasceva l’Oratorio salesiano di Cuneo

Il quotidiano online d’informazione di Cuneo e provincia LaGuida.it dedica un articolo agli 85 anni dalla nascita dell’oratorio salesiano di Cuneo. Si riporta di seguito l’articolo oggi pubblicato, a cura di Massimiliano Cavallo, giornalista e Salesiano Cooperatore.

85 anni fa nasceva l’Oratorio salesiano di Cuneo
Il 13 ottobre 1935 veniva aperto il nuovo oratorio di Torre Bonada ma l’inaugurazione ufficiale cittadina fu il 20 ottobre

Cuneo – 85 anni fa come oggi, ma era una domenica, il 13 ottobre 1935 nasceva e apriva l’Oratorio Don Bosco di Cuneo, in mezzo ai campi di Torre Bonada, nella zona dove la città si stava pian piano sviluppando. Un’inaugurazione che divenne ufficiale e cittadina solo la domenica dopo, il 20 ottobre con una festa che i giornali dell’epoca ricordano come “mai vista” prima a Cuneo.

Domenica 13 ottobre 1935 l’oratorio quotidiano per la gioventù poteva iniziare: veniva inaugurata con la messa delle ore 7 da monsignor Giacomo Rosso, vescovo di Cuneo, la nuova costruzione, con la benedizione della nuova Cappella, la consacrazione dell’altare e la messa davanti a moltissima gente. Nel sepolcreto dell’altare sono le reliquie dei martiri San Benigno, Santa Perpetua e San Ciriaco. Da quel giorno inizia una settimana di festeggiamenti le “Sagre cuneesi a Don Bosco Santo” che continueranno fino al 20 ottobre per l’inaugurazione ufficiale alla presenza del quarto successore di don Bosco, il rettor maggiore don Ricaldone. I giornali dell’epoca raccontano le cronache della giornata con titoli a più colonne e parlano “di un corteo di 20 mila persone che passavano tra due altre fila di 30 mila persone. Una cosa mai vista a Cuneo”.

Salesiani Novara: “I salesiani insegnano: ragione, religione e amore”

L’edizione sud del settimanale diocesano di Novara L’AZIONE dedica un articolo all’Istituto San Lorenzo dei Salesiani di Novara. Di seguito l’articolo pubblicato oggi, 9 ottobre 2020, a cura di Michela Chioso.

I salesiani insegnano:
ragione, religione e amore

Dal 1894 propongono una scuola che educhi alla vita

Una scuola che educa alla vita. È questo il fine che l’Istituto salesiano San Lorenzo persegue dagli inizi del secolo scorso. Cuore pulsante dell’Opera Salesiana di Novara – attiva in città dal 1893 – si propone di orientare i giovani nel loro progetto di vita attraverso conoscenze da acquisire ma anche valori da assumere e verità da scoprire. Circa 600 i ragazzi che attualmente frequentano l’istituto paritario al Baluardo Lamarmora: 358 alla secondaria di I grado e circa 240 al liceo scientifico. Quest’ultimo, lo ricordiamo, dal 2011 comprende anche l’indirizzo Scienze Applicate, profilo che fornisce agli studenti competenze avanzate in ambito scientifico e tecnologico.

«Educare alla vita – fine ultimo di ogni scuola ma in modo particolare della scuola di don Bosco – vuol dire formare coscienze libere e persone capaci di camminare con la schiena diritta – dice don Giorgio Degiorgi, da sei anni alla guida del San Lorenzo –. Don Bosco non era un teorico dell’educazione, era un prete che veniva dal mondo contadino e aveva il grande dono di non estraniarsi dalla realtà. Il suo sistema pedagogico posava su tre pilastri: ragione, religione e amorevolezza. Ed è da questa prospettiva che noi, ancora oggi, cerchiamo di mostrare ai ragazzi la strada per imparare l’arte di vivere ed essere felici creando un ambiente in cui si sentano ben voluti, le regole non siano imposte e la religione diventi l’incontro con il Dio della gioia».

Un contesto dove il binomio “cultura-vita” tiene conto di tutte le dimensioni della personalità, non ultima la fede.

«La questione – prosegue don Giorgio – non è tanto che un giovane possa perderla, quanto piuttosto che questa fede non raggiunga l’adultità. Se non c’è una crescita nella fede quest’ultima rimane relegata all’infanzia e a un certo punto si pensa che Dio sia “cosa da bambini”, non il Signore che ti può cambiare l’esistenza».

Da qui la necessità di promuovere una scuola – ispirata dai valori evangelici – che metta i giovani al centro, che li renda protagonisti della loro formazione e del futuro del Paese, ma anche capaci di affrontare le sfide che li assediano:

«La prima vivere il tempo libero nella logica della gratuità: parlando con i ragazzi più grandi trovo in loro la fatica di programmare ogni istante della settimana. Non lasciare spazio alla gioia, alla festa nel senso cristiano del termine, a lungo andare fa perdere il senso del dono. La seconda, abituarsi alla fatica. Troppo spesso evitiamo loro ogni sforzo per raggiungere una meta. Questo non significa lasciarli soli nelle difficoltà bensì insegnare che le cose raggiunte senza impegno, di solito, sono quelle che durano poco».

Il San Lorenzo presenta dunque una “fisionomia” propria, una matrice educativa specifica, concepita da don Bosco e via via tramandata dagli educatori, attualmente una cinquantina – direttore e coordinatori inclusi – di cui 26 alle medie (3 religiosi, 23 laici) e 20 al liceo (1 religioso, 19 laici). La riapertura della scuola, così come racconta Marco Nagari, coordinatore delle attività educative e didattiche della scuola media, li ha messi di fronte alla necessità di ripensare il loro lavoro, di inventarsi un nuovo modo di approcciare i ragazzi scandito dalla regola del distanziamento e dall’uso della mascherina.

«Oggi la scuola sta vivendo un periodo particolarmente complesso e le frustrazioni sono all’ordine del giorno. In questa contingenza così particolare, tuttavia, è possibile raccogliere qualche gratificazione nello sguardo dei ragazzi».

Occhi che si nutrono della luce di altri occhi, occhi che traboccano di vita, colmi di ottimismo e curiosità.

«La scuola è vita – conclude Marco Maria Schiorlin, coordinatore delle attività educative e didattiche del liceo scientifico –. Vita che negli ultimi mesi è profondamente cambiata ma che ci ha fatto riscoprire la bellezza dei gesti semplici, dei segni d’affetto, della quotidianità. Le novità, le sfide e le incertezze sono tante: unica sicurezza la grande passione educativa che gli insegnanti mettono nella loro missione per dare senso e valore alla scuola».

Una scuola in bilico fra passato e futuro, stabilità e cambiamento, tradizione e innovazione. Ma, nel caso dell’istituto San Lorenzo, con un obiettivo costante e di grande integrità: portare i giovani a essere “onesti cittadini e buoni cristiani”.

Michela Chioso

La scuola ai tempi del Covid: la testimonianza del CFP di Fossano

Pubblichiamo un articolo de “La Fedeltà” dove si riporta l’organizzazione del CFP di Fossano per la gestione degli alunni in base alle disposizioni anti Covid-19.

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FOSSANO. Le disposizioni anti-contagio in vigore, con cui il Governo riferisce di voler prevenire una seconda ondata di Coronavirus, hanno modificato profondamente la vita  quotidiana. E questa rivoluzione si osserva con evidenza nelle scuole, dov’è necessario  “gestire”, all’interno di spazi generalmente non enormi, una quantità elevata di persone. “Scuole” abbiamo scritto, ma sarebbe più corretto scrivere “Scuole e pertinenze”: il presidente  della Regione Piemonte Alberto Cirio ha firmato un’ordinanza con cui ha introdotto l’obbligo,  dallo scorso lunedì, di indossare la mascherina anche all’aperto, “in tutte le aree pertinenziali  delle scuole di ogni ordine e grado o antistanti ad esse, ad esempio parcheggi, giardini,  piazzali e marciapiedi davanti agli ingressi e alle uscite degli istituti, nonché in tutti i luoghi di  attesa, salita e discesa del trasporto pubblico scolastico”.

Il provvedimento di Cirio è  intervenuto su una situazione che sollevava inevitabilmente delle perplessità. Mentre  all’interno delle scuole si applicano norme molto rigide – e ciò richiede un impegno non trascurabile di insegnanti e personale Ata -, all’esterno si osservavano spesso capannelli di genitori e studenti, in attesa dell’entrata o subito dopo l’uscita, che non si curavano di distanziamenti e mascherine: peraltro scenari simili, di giovani ammassati senza dispositivi di protezione individuale, si sono osservati per tutta l’estate (“senza che ciò abbia provocato un’ecatombe”, fanno notare quanti denunciano presunti eccessi nelle misure di contenimento). Se per il controllo della movida il Governo sarebbe pronto a servirsi anche dell’Esercito, per quanto riguarda gli spazi esterni alla scuola c’è ora, in Piemonte, l’ordinanza del governatore albese.

Sulla vita nelle scuole al tempo del Covid, “la Fedeltà” ha raccolto una testimonianza locale. È quella del Cnos-Fap, che ci spiega come riesce a gestire la situazione. Al Cnos-Fap di Fossano l’alto numero di studenti che frequentano l’Istituto non ha spaventato il Cnos-Fap di Fossano. Al Centro di formazione professionale salesiana di via Verdi, guidato dal direttore don Bartolo Pirra, “si riesce a gestire la situazione com’era stato pianificato” , spiega la coordinatrice Cristina Calvo. Al mattino, l’accesso degli studenti alla struttura non avviene attraverso la portineria, dove lo spazio a disposizione – inevitabilmente limitato – farebbe emergere il rischio di assembramenti, ma attraverso il cancello, da cui si prosegue nel cortile. Qui ogni classe ha uno spazio ad essa dedicato, nel quale gli studenti attendono con la mascherina il proprio insegnante; quest’ultimo verifica che ragazze e ragazzi abbiano l’autocertificazione sulla misurazione della temperatura corporea (in caso contrario, sono a disposizione dei termoscanner) e visiona le giustificazioni per eventuali assenze ( “I controlli sono più rigidi: in caso di dubbio, si contattano le famiglie” ). In seguito, seguendo “percorsi diversi, pianificati”, si raggiungono aule e laboratori. Aule e laboratori che, essendo ampi, garantiscono il distanziamento sociale anche per classi numerose; l’insegnante, a sua volta, può rimuovere visiera e mascherina soltanto quando tiene lezione alla cattedra. Nel corso della mattinata sono previsti tre intervalli, ciascuno per un gruppo diverso di classi: con questa scelta il Cnos-Fap fa sì che ad ogni intervallo accedano in cortile non più di sette classi. Come in passato, chi ha il rientro pomeridiano mangia in struttura: i pasti vengono consumati nelle aule e nei laboratori, o in cortile quando il meteo lo consente. Qualche assembramento si formava all’esterno, lungo i portici di via Verdi dove si radunavano gli studenti in vista dell’ingresso. Ma ora, dice ancora Calvo, “un salesiano fa entrare nel cortile gli studenti”.

 

CNOS-FAP Serravalle Scrivia: il progetto “Uniti si cresce”

“Uniti si cresce” è il nome del progetto elaborato dalla Neuropsichiatria Infantile dell’Asl unitamente al Servizio di Psicologia dell’Età Evolutiva come intervento di prevenzione della dispersione scolastica nei soggetti con Bes del Centro di Formazione Professionale di Serravalle Scrivia. Di seguito l’articolo oggi pubblicato su Radio PNR.

Il progetto è stato presentato e proposto alla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, che per il terzo anno consecutivo ha accettato di finanziare questo intervento, che ha lo scopo di accompagnare gli studenti Bes dell’istituto Cnos Fap di Serravalle Scrivia, nel trovare un metodo di studio idoneo e che consenta loro di realizzare il proprio progetto formativo.

La psicoterapeuta Valeria Cantù, designata quale esperto dalla società cooperativa sociale “Interactive” a cui è stato affidato l’incarico, si renderà disponibile, attraverso colloqui gratuiti presso l’Asl, nel sostenere gli alunni nei loro momenti di incertezza e dubbio, sia rispetto al percorso scolastico scelto, sia rispetto a tematiche di carattere personale che potrebbero inficiare il buon esito degli apprendimenti…

La Direttrice del Museo Casa Don Bosco: “Sarà una casa dove trovare fede, spiritualità, arte, cultura”

Dal 2 al 4 ottobre, a Valdocco, ci sarà l’inaugurazione del Museo “Casa Don Bosco”: pubblichiamo l’intervista di ANS alla direttrice del museo, Stefania De Vita.

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(ANS – Torino) – Stefania De Vita è la direttrice del Museo “Casa Don Bosco” di Valdocco, a Torino, che sarà inaugurato il 4 ottobre prossimo. La incontriamo a pochi giorni dal ciclo di eventi che segneranno questa importante apertura. Tra le chiamate telefoniche che le arrivano da ogni angolo d’Italia e gli annunci di presenze istituzionali che le porta il responsabile dell’accoglienza di Valdocco, si configura un appuntamento di assoluto riguardo, che segna una tappa di rilievo storico per la Congregazione Salesiana.

Lei stessa si è resa conto, strada facendo, della grande ricaduta sui salesiani di tutto il mondo e sul territorio torinese di questa nuova “opera” costituita da cimeli preziosi ed emozionanti. Ora spetta a tutta la Famiglia Salesiana vivere il momento del taglio del nastro che il Rettor Maggiore verrà a compiere non solo come massimo responsabile dei Figli di Don Bosco ma come co-protagonista dell’invenzione e della realizzazione del Museo.

La direttrice ci racconta infatti come sia maturata l’idea e quali siano stati i passi avvenuti negli ultimi tre anni. “Per me la vicenda è nata dalla richiesta di collaborazione volontaria alla risistemazione del Museo mariano, progressivamente arricchitosi di elementi, negli spazi sotterranei della Basilica di Maria Ausiliatrice”. La richiesta proveniva dall’allora Rettore, don Cristian Besso, in accordo con il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime: la necessità di elencare e di catalogare le migliaia di oggetti presenti. “Migliaia e migliaia di pezzi, dalle icone a un affresco del ‘300, dai testi scritti perfino alle caramelle avvolte in una immaginetta, collocati con affetto, ma senza un criterio museale” ci spiega. Raccolto e restaurato ciò che emergeva anche da angoli meno frequentati, il lavoro diretto da De Vita e in gran parte realizzato da lei stessa è consistito nell’identificare, fotografare, imballare ogni oggetto secondo i canoni specifici, collocandolo poi in un magazzino-archivio in attesa di definirne la destinazione.

Il passaggio dal Museo mariano alle Camerette di Don Bosco, distanti poche decine di metri, è stato breve dal punto di vista fisico, ma il salto qualitativo è stato elevato. “Ho provato un coinvolgimento emotivo fortissimo – confida De Vita – quando mi è toccato rimanere da sola a tu per tu con gli oggetti, aprire le vetrine e di prendere con le mie mani ciò è era passato per le mani di Don Bosco”. Cita ad esempio il portamonete, testimone di un movimento continuo di entrata e di uscita del denaro proveniente dai benefattori e destinato ad assicurare vitto e alloggio ai ragazzi dell’oratorio e a mettere mattone su mattone le strutture di Valdocco, la basilica su tutto. “Un coinvolgimento forte” sottolinea con le parole e con l’espressione del volto.

Assidue le riunioni per mettere insieme i punti fermi con Don Á.F. Artime e la speciale commissione da lui istituita. Intanto Stefania De Vita ha mantenuto il suo impegno di insegnante fuori Torino (nelle cittadine di Cuorgné e di Chieri) e più ancora di neo-sposa e di madre: ad agosto del 2019 è nato Alberto, che fino a un mese prima aveva a suo modo condiviso gli sforzi anche fisici di organizzare i materiali e gli spazi.

“Al primo incontro con il Rettor Maggiore mi sono resa conto della portata dell’incarico” ricorda ancora adesso con emozione. Con lei all’inizio c’è stata Maria Teresa Cascione, dell’Archivio Centrale Salesiano, poi si è trovata unica donna a ragionare e a decidere con questo gruppo scelto della Congregazione: “Sempre alla pari, in una relazione che posso definire orizzontale”. Mai percepita una qualsiasi forma di subalternità, né come donna né come laica. Con tutto ciò, dove ha trovato il coraggio necessario per assumere quella responsabilità? “Ho pensato alla figura di Mamma Margherita, anche lei in mezzo a tanti uomini, e fra questi molti sacerdoti, eppure attiva e autorevole senza sensi di inferiorità, al di là di essere la madre di Giovanni Bosco”.

Lavorare immersa in un progetto destinato ad attrarre l’attenzione da tutto il mondo, l’ha fatta sentire responsabilizzata al massimo. “Valdocco è una casa gigante, ma nulla passa inosservato. Sono stata fermata molte volte dai confratelli che domandavano come procedevano i lavori, molti volevano conoscermi. Ispirandomi appunto alla mamma di Don Bosco sono andata avanti senza farmi spaventare dall’impresa, sentendomi autorizzata da lei a proseguire, nel suo spirito, ad accompagnare l’attività dei salesiani”.

A un certo punto ha avuto la sensazione di essere stata chiamata a questo compito “da Qualcuno più in alto”, e così interpreta il suo ruolo. Lei che non ha fatto il percorso “dentro” al mondo salesiano, ma l’ha incontrato a 30 anni a Roma grazie all’attività svolte presso l’opera del “Sacro Cuore” a via Marsala. “Un’ora di lezione alla settimana a ragazze e ragazzi immigrati, per entrare in relazione empatica con la Bellezza” racconta, “nozioni di storia dell’arte per educarsi al senso del bello, motore di umanità”. A fianco dello studio della lingua italiana, dell’informatica e del codice della strada per prendere la patente di guida. “La bellezza è un diritto di tutti”, afferma. Laureata alla Sapienza di Roma in Storia dell’arte e poi alla Benincasa di Napoli in Museologia, le hanno indicato don Giovanni D’Andrea, SDB, per mettere alla prova le sue conoscenze e la capacità di divulgarle in un tirocinio che possiamo considerare certamente inconsueto. Ma è stato questo ad aprirle le porte sulla vasta realtà salesiana: con due catechiste ha animato un gruppo di adolescenti coinvolto in un percorso di educazione alla relazione, e da qui l’attenzione educativa è emersa fino a portarla ad accettare un servizio volontario in una casa-famiglia, programma di quattro mesi in Sicilia per un laboratorio sui suoi temi. Era il 2015, l’anno del Bicentenario di Don Bosco.

Con il suo titolo di guida turistica venne chiamata ad accompagnare i gruppi del Movimento Giovanile Salesiano in visita ai luoghi d’arte della regione dopo il pellegrinaggio ai luoghi di Don Bosco… Uno di quei gruppi era dei Torinesi, fra i quali un giovanotto che sarebbe diventato suo marito. A distanza di un anno, la venuta a Torino. L’incrocio di Stefania De Vita con Valdocco ha una regia tessuta fra il progetto coniugale e la disponibilità al servizio con i salesiani.

“Ho avuto l’incontro con la figura del santo dei giovani da adulta e l’ho percepita come esempio per trasmettere amore ai più piccoli. E mi son detta: ‘Guarda Don Bosco come si prende cura dei ragazzi. Fallo anche tu!’ Ed eccomi qui. Il Museo sarà una casa nella quale accoglieremo i giovani a partire dalle attività, dai laboratori: troveranno insieme qui fede, spiritualità, arte, cultura”.

Antonio R. Labanca

Al 38° Torino Film Festival il Teatro Monterosa e il Cinema Teatro Agnelli

Il Torino Film Festival presenta la sua 38a edizione. Come un vero e proprio festival diffuso, il Festival arriverà in molti punti della città, ampliando il suo impatto su tutto il territorio e raggiungendo zone mai prima d’ora coinvolte dalla manifestazione.

Il 38° TFF ha voluto così creare un percorso che tocca 12 punti, 12 luoghi che, disegnando la mappa del Festival, evocano le 12 punte della Stella della Mole, il dodecaedro protagonista della nuova identità visiva della manifestazione.

Tra i luoghi prescelti, le sale di Comunità Acec come il Teatro Monterosa, Cinema Teatro Agnelli, Cineteatro Baretti: tre sale dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema Piemonte e Valle D’Aosta nelle quali avranno luogo le proiezioni in replica di sei film firmati da registe donne e di alcuni film della selezione TFF.doc. Con questa iniziativa si intende coinvolgere più ampiamente il territorio della città portando il Festival anche ad alcune zone finora escluse dalla presenza della manifestazione.

Conferenza Stampa – Il TFF cambia passo

I viaggi del cuore – All’ascolto della lezione di Don Bosco, gigante della Santità

Pubblichiamo un articolo di Famiglia Cristiana di don Davide Benzato che conduce la trasmissione “I viaggi del cuore” ogni domenica mattina alle 9 su Rete4 e che sarà dedicata a Don Bosco.

La puntata de “I viaggi del cuore” dedicata a Don Bosco, e in particolare alla Basilica di Maria Ausiliatrice di domenica 27 su Rete 4.

Guide della puntata, il Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice, don Guido Errico, il suo predecessore, don Cristian Besso, e il presidente di Missioni Don Bosco, Giampietro Pettenon i quali accompagneranno gli spettatori dei “Viaggi del cuore” di Rete 4 a conoscere i luoghi dove si è formata e ha mosso i primi passi la storia dei salesiani.

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C’è una frase di Chiara Amirante che mi viene in mente pensando a don Bosco: «L’amore non è cieco, l’amore ci vede molto bene. Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’amore». San Giovanni Bosco diceva: «Camminate coi piedi per terra e col cuore abitate in cielo». Questo santo è difficilmente catalogabile perché non si può ridurre all’aspetto sociale. Pur essendo stato uno dei santi che vi ha maggiormente inciso a livello mondiale, non si può negare che sia stato un mistico, con sogni rivelatori e profezie che ancora oggi parlano in modo forte a chi abbia il gusto di leggerli. È stato un santo che ha influito concretamente nella storia d’Italia e della Chiesa, amico di Papi a cui non temeva di parlare con franchezza e conoscente della Casa Savoia, a cui consegnò profezie drammatiche all’epoca della legge Rattazzi, che comportò la soppressione degli ordini religiosi.

Un santo che ha avuto un’infanzia durissima, una vocazione anomala per i tempi, sentendo di dover essere vino nuovo in otri nuovi, preso per pazzo da molti, rischiando il ricovero coatto, disposto a passare giorni e notti coi ragazzi inventandosele tutte, a partire dai giochi di prestigio, per tirarli via dalla strada. Un santo che non ha tenuto nulla per sé, vivendo povero con i poveri e aiutando chiunque senza pensare ai propri interessi, dando le basi di un metodo preventivo e formativo che ha fatto la storia, tutt’oggi valido e diffuso nel mondo.

San Giovanni Bosco, canonizzato il primo aprile 1934 da papa Pio XI, fondatore delle Congregazioni dei Salesiani e delle figlie di Maria Ausiliatrice, è un santo che difficilmente si può descrivere con poche parole. Con “I Viaggi del Cuore” cercheremo di conoscere meglio questo gigante della Chiesa, visitando il centro salesiano di Valdocco, a Torino, dove la sua opera ebbe inizio. Oggi ci lasciamo ispirare da tre delle sue frasi che si ricordano: «In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene», «La Santità consiste nello stare sempre allegri», «Amate ciò che amano i giovani a fine che essi amino ciò che amate voi».