MSNA: Scuola e avviamento al lavoro ‘legale’, i passi fondamentali per trovare dignità

Si segnala l’approfondimento realizzato dalla giornalista Marina LOMUNNO, nell’edizione di Domenica 15 Aprile de “La Voce e Il Tempo“, circa il convegno «Quale affidamento per i minori stranieri non accompagnati» promosso dall’Anfaa, associazione nazionale famiglie affidatarie, tenutosi sabato 7 aprile 2018 alla Fabbrica delle E del Gruppo Abele.

 

ANFAA-GARANTE INFANZIA – CONVEGNO: IL PIEMONTE PRIMA REGIONE PER RICHIESTE DI TUTORI VOLONTARI DI RAGAZZI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI – A TORINO DAL 2017 14 FAMIGLIE AFFIDATARIE DI MSNA

Minori soli: 600 tutori pronti a prenderli per mano

Ci sono storie di accoglienza di chi, straniero, fugge da una sorte avversa, che fanno onore a Torino da sempre città di immigrazione. E riaccendono la speranza oscurata ogni giorno da tanti fatti di cronaca di dignità calpestate come sta
avvenendo al vicino confine fra Italia e Francia. Mentre al santuario della Consolata si celebravano, sabato 7 aprile,
i funerali della povera Beuty (servizio a pagina 3), presso la Fabbrica delle E del Gruppo Abele un altro volto della solidarietà della città dei santi sociali veniva presentato al folto pubblico intervenuto al convegno «Quale affidamento per i minori stranieri non accompagnati» promosso dall’Anfaa, associazione nazionale famiglie affidatarie, dalla Garante dell’infanzia e adolescenza del Piemonte, Rita Turino, in collaborazione con la Casa dell’affidamento del Comune di Torino. Scopo della mattinata, aperto a tutta la cittadinanza, mettere insieme tutti gli attori istituzionali del territorio e del volontariato per fare il punto e promuovere l’affidamento dei minori stranieri non accompagnati (Msna) come prevede la recente legge n.47 del 2017 e fare il punto sui tutori volontari degli Msna.

E proprio di qui si è partiti perché Torino e il Piemonte, ad un anno dall’entrata in vigore della legge sui Msna, che prevede anche l’istituzione presso il Tribunale dei minorenni della Regione di un albo di tutori volontari che si prendano cura degli adolescenti migranti soli, è al primo posto in Italia con 600 richieste di aspiranti tutori. Inoltre, ha aggiunto da Frida Tonizzo dell’Anfaa, anima del convegno, sono 14 gli affidamenti famigliari di Msna avviati a Torino dal 1 gennaio 2017 ad oggi. «Si tratta» ha precisato Piera Patt della Casa dell’Affidamento  «di 13 maschi e di una ragazza incinta, vittima della tratta, in età compresa tra i 12 e i 18 anni al momento dell’avvio dell’affido».

I ragazzi, tutti provenienti da una precedente accoglienza in comunità, provengono da Egitto, Marocco, Zambia, Albania». Secondo i dati forniti da Marina Merana, dirigente del servizio minori del Comune di Torino nel 2016 erano 541 i Msna (di cui 41 femmine, età media 15-16 anni).

«Questa inattesa disponibilità ‘di genitorialità sociale’» ha detto Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per il Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta «è un bel segnale di una società che si apre all’accoglienza per dare spessore ai diritti dei più deboli, in questo caso minori stranieri, senza dimenticare i minori italiani in difficoltà: sono tutti ragazzi in crescita, tutti hanno bisogno di affettività in grado di restituire dignità e civiltà. Sono ragazzi che hanno sulle spalle uno zaino carico di pietre: la rete delle istituzioni preposte che vigila sul servizio di tutori e famiglie affidatarie dà una mano a questi giovani ad alleggerire il peso del loro fardello».

Il Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, organo a cui compete, secondo la nuova legge, l’istituzione dell’elenco e la formazione obbligatoria degli aspiranti tutori di Msna, ricorda che al momento già 100 persone hanno concluso il primo corso di formazione obbligatoria (30 ore) e, dato l’elevato e insperato numero di richieste, nel corso del 2018 ne verranno attivati altri due. «In questi mesi» prosegue Rita Turino «sto proseguendo i colloqui degli aspiranti tutori, devo ancora selezionare 300 persone di ogni provenienza sociale: insegnanti in pensione e in attività, studenti di giurisprudenza, avvocati, medici, impiegati pubblici, single o genitori con figli naturali o adottivi, molti di provenienza associativa o con esperienze di volontariato. Per diventare tutore volontario si deve aver compiuto 25 anni ed essere in possesso di diploma superiore
o laurea». Ora, come dispone la legge, l’elenco dei 100 tutori «diplomati» è stato messo a disposizione del Tribunale dei Minorenni che, come ha precisato Dante Cibinel, giudice del Tribunale per i minorenni ha nominato per 10 tutori che verranno abbinati ad altrettanti ragazzi stranieri non accompagnati. «Compito del tutore» ha proseguito il giudice «è di prendersi cura e rappresentare legalmente il ragazzo o la ragazza, contribuire alla valutazione di dove sia meglio collocarlo per accompagnarlo alla maggiore età tenendo conto che prioritario, rispetto al collocamento in strutture e comunità, è l’affidamento famigliare anche temporaneo per esempio nei fine settimana». In Italia nel 2016 come ha illustrato Federica Altieri, assistente sociale della Pastorale Migranti della diocesi di Torino nel 2016 «sono sbarcati in Italia 25.846 Msna, scesi a 15.779 nel 2017: del 20% di questi si sono perse le tracce e attualmente i posti messi a disposizione dal governo tramite lo Sprar (il Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) per i Msna al momento è di 3.500. Ecco perché l’intervento dei Servizi sociali, delle diocesi del volontariato sono indispensabili per aiutare i ragazzi a inserirsi nel tessuto sociale senza finire nelle mani dell’illegalità». Conferma don Stefano Mondin, delegato della pastorale giovanile dei salesiani, in prima linea a Torino nell’accoglienza in comunità di Msna e nell’accompagnamento all’autonomia in progetti di housing dei giovani che raggiungono la maggiore età. «I minori migranti non accompagnati e gli adolescenti italiani che accogliamo perché in difficoltà sono accomunati da storie di privazione e di mancanza di affetto. Gli stranieri hanno un problema in più: la differenza culturale e l’esigenza di restituire alla propria famiglia di origine che si è spesso indebitata per farli espatriare le somme investite per il viaggio. Per questo non è semplice accoglierli e far capire loro che la scuola e l’avviamento al lavoro ‘legale’ sono fondamentali per trovare dignità e per sostenere la famiglia rimasta nei paesi d’origine. L’investimento sull’educazione è la nostra sfida ma con la consapevolezza che non tutto può funzionare senza la collaborazione di tutti».

Cara scuola non ti lascio «Provaci ancora, Sam»

Si segnala e pubblica, ringraziando la testata ed il giornalista Paolo Foschini, un articolo apparso su “Corriere della Sera – Buone Notizie” del 10/04/2018 che racconta il progetto “Provaci ancora Sam”.

Si chiama così il progetto in corso a Torino contro la dispersione che a livello nazionale è ancora superiore al 13 per cento Il recupero di David, Simra e Mattia dimostra che la risposta è la «rete integrata» tra insegnanti, operatori sociali, Terzo settore.

David Oseye arriva in Italia dalla Nigeria quando è ancora piccolo con la mamma, una sorella e un fratellino. Il padre è rimasto là. Non è una infanzia facile. Bocciato due volte in prima media per i suoi atteggiamenti provocatori, entra finalmente in un progetto di tutela che si occupa di lui. Morale: nel 2015 ha preso la licenza media, poi ha fatto il biennio di qualifica professionale al Ciofs Mazzarello come operatore ai servizi di vendita, l’estate scorsa ha studiato per l’esame di passaggio al quarto anno dell’Istituto statale Bosso Monti: che ora sta frequentando con buon profitto.

Simra Noreen nasce e fa le elementari in Pakistan, in dicembre compirà 18 anni. Padre, madre, un fratello più grande, un altro fratello e una sorella più piccoli. Con loro arriva in Italia nel 2012, parte con le medie e la faccenda è durissima. La lingua, la cultura familiare che dire rigida è poco, eppure anche su quest’ultimo fronte le cose un po’ alla volta migliorano grazie al lavoro di integrazione con l’oratorio salesiano della Crocetta: però due bocciature arrivano lo stesso. Finché pure lei nel 2015 entra nel progetto di Tutela Integrata, e Simra ci si butta a capofitto. Morale: finisce la terza media, si inserisce al Centro professionale di trasformazione agroalimentare Virginia Agnelli, ottiene una borsa di studio e un percorso di accompagnamento da Fondazione per la Scuola e Rotary. Sta facendo il secondo anno, nel 2019 si diplomerà.

Anche Mattia Orlando ha avuto una storia (molto) difficile. Però anche lui nel 2015 riesce a finire le medie. E poi anche la scuola del Cnos Valdocco come operatore elettrico, ora fa il quarto anno all’istituto professionale Rebaudengo. Ma soprattutto non ha mai smesso di coltivare la sua passione per la ginnastica artistica, che lo ha portato tra i primi in Piemonte, né di occuparsi di suo fratello più piccolo. Sono queste alcune delle storie legate a «Provaci ancora, Sam!», un progetto integrato e interistituzionale volto a promuovere il successo scolastico e a contrastare la dispersione: un fenomeno che pur essendo in fase di miglioramento (tra 2006 e 2016 la percentuale nazionale di chi a 18 anni risulta avere solo la licenza media è passata dal 20,8 al 13,8 per cento) non ha ancora raggiunto l’obiettivo del 10 per cento fissato dall’Europa e soprattutto mostra ancora un grande divario tra nord e sud, dove la percentuale è comunque assai più alta. Per dare un altro riferimento: dei 556.598 tra ragazze e ragazzi che nel 2016 hanno finito le medie 34.286 sono usciti dal sistema scolastico.

Contro tutto questo l’idea di «Provaci ancora, Sam!» è stata quella di mettere insieme le forze dei Servizi educativi e sociali di Torino, Ufficio scolastico del Piemonte, Compagnia di San Paolo, Ufficio Pio e Fondazione per la Scuola più una rete organizzazioni locali, per sperimentare un nuovo modello di prevenzione. La chiave è in teoria semplice e consiste nell’utilizzare il «tessuto connettivo» di associazioni non a scopo di lucro, oratori, parrocchie e altre realtà simili affinché possano lavorare insieme con le scuole per dare a ciascun ragazzo quel che gli manca: a volte ripetizioni, a volte anche solo un luogo per studiare, a volte aiuto per problemi più gravi. Rafforzamento dell’autostima e delle proprie motivazioni, come principio generale. Ma anche potenziamento delle «competenze di cittadinanza», del concetto di «comunità educante», della collaborazione tra scuola, educatori, volontari. da una parte sul fronte delle elementari (in orario scolastico) e medie, dall’altra su quello delle superiori e delle scuole professionali. In entrambi i casi con il fine di completare il percorso. E farne un punto di partenza solido per la propria vita.

Nel “Buongiorno Regione Piemonte” si parla del 150º della Basilica Maria Ausiliatrice

Si segnala che nell’edizione del TG Piemonte, nell’ambito della rubrica RAI “Buongiorno Regione Piemonte”, andata in onda Mercoledì 4 Aprile 2018, dal minuto 16:55, si può trovare l’approfondimento, a cura di Caterina Cannavà, dedicato ai festeggiamenti del 150º Anniversario della Basilica Maria Ausiliatrice, che non solo è teso a celebrare l’edificio del Santuario, ma coltiva primariamente l’obiettivo di “rinnovare la fede nel cuore degli uomini“, come sottolinea, nel corso dell’intervista, don Cristian Besso, rettore della Basilica. Buona Visione!

 

Con “M’interesso di te” al centro i Minori stranieri soli di San Salvario

In edicola, a partire da Sabato 31 Marzo, nella nuova edizione de La Voce e il Tempo, settimanale della diocesi di Torino, si trova il seguente approfondimento – a cura di Stefano DI LULLO – sull’oratorio San Luigi e il progetto denominato “M’interesso di te” – finanziato dalla  Federazione Scs/Cnos, Salesiani per il Sociale, grazie al fondo di beneficienza di Intesa Sanpaolo – che si rivolge, mediante una rete dedicata di educatori e operatori, a quei ragazzi che “non sono mai entrati nelle comunità di accoglienza dedicate, in quanto non vengono intercettati alla frontiera e nei luoghi di sbarco, o che le hanno abbandonate perché troppo ‘strette’ per loro. Di fatto, pur essendo presi in carico dai servizi sociali, si trovano per strada dove vengono adescati nelle reti della criminalità e dello sfruttamento“, come sostiene don Stefano Mondin, direttore della Pastorale giovanile dei Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta. Un progetto teso ad intercettare questi ragazzi sulla strada prima di tutto per accoglierli, ascoltarli e intraprendere con loro un percorso di fiducia che li sostenga e li accompagni.

 

TORINO – ALL’ORATORIO SAN LUIGI HA PRESO IL VIA IL PROGETTO NAZIONALE A SOSTEGNO DEI RAGAZZI MIGRANTI NON ACCOLTI NELLE COMUNITÀ

Minori stranieri soli, a San Salvario
con i Salesiani non più «invisibili»

A Torino si intensifica l’impegno dei Salesiani verso i minori stranieri più fragili, i tanti «invisibili» che vagano per le strade delle città senza alcuna protezione, con il rischio di cadere nei circuiti criminali o di sfruttamento sessuale.

Dopo aver avviato diverse Comunità di accoglienza per minori stranieri non accompagnati (Msna) i Salesiani ora hanno attivato «M’interesso di te», un progetto nazionale partito in forma sperimentale a Torino, Napoli e Catania, finanziato dalla  Federazione Scs/Cnos, Salesiani per il Sociale, grazie al fondo di beneficienza di Intesa Sanpaolo, rivolto ai quei ragazzi migranti soli usciti da qualsiasi servizio di accompagnamento.

In Italia sono oltre 5 mila, a Torino diverse decine, e rappresentano un quato dei minori accolti nelle strutture di accoglienza.

«Si tratta di ragazzi», sottolinea don Stefano Mondin, direttore della Pastorale giovanile dei Salesiani di Piemonte e Valle d’Aosta, «che non sono mai entrati nelle comunità di accoglienza dedicate, in quanto non vengono intercettati alla frontiera e nei luoghi di sbarco, o che le hanno abbandonate perchè troppo ‘strette’ per loro. Di fatto, pur essendo presi in carico dai servizi sociali, si trovano per strada dove vengono adescati nelle reti della criminalità e  dello sfruttamento. Molti di essi vivono in precarie condizioni igieniche in alloggi di fortuna».

Ed ecco un progetto che attraverso educatori e operatori dedicati cerca di intercettare questi ragazzi sulla strada prima di tutto per accoglierli, ascoltarli e intraprendere con loro un percorso di fiducia che li sostenga e li accompagni.

A Torino il piano viene gestito dall’oratorio salesiano San Luigi a San Salvario dove è già presente una Comunità per Msna che ad oggi accoglie 15 ragazzi. Tutto parte da «Spazio Anch’io», la postazione dei Salesiani al Parco del Valentino dove gli educatori tutti i pomeriggi stanno accanto ai ragazzi che si incontrano sulla strada accompagnandoli a riprendere in mano la propria vita. È lì che avviene il primo approccio.

«Il nostro compito», osserva don Mauro Mergola, salesiano, parroco di Ss. Pietro e Paolo e direttore dell’oratorio San Luigi, «è far percepire ai ragazzi che c’è qualcuno che si interessa di loro, che non c’è solo chi se ne approfitta, ma una comunità che  accompagna. Il nostro obiettivo non è dunque quello di portare i minori immediatamente nelle comunità d’accoglienza, ma tempi». Presso l’oratorio Ss. Pietro e Paolo è allestita un’accoglienza diurna dove i ragazzi tutti i giorni possono trovare riparo, un luogo accogliente dove fare due chiacchiere con gli educatori, mangiare qualcosa, fare una doccia, lavarsi i vestiti.

Da lì partono dunque le proposte di partecipazione ai corsi di lingua italiana all’oratorio San Luigi e ai percorsi formativi e di avviamento professionale che il centro giovanile offre.

«Il progetto», conclude don Mergola, «si inserisce tra l’attività di ‘Spazio Anch’io’, informale, l’oratorio sulla strada, e quello strutturato della Comunità di accoglienza per Msna».

L’alchimia della pizza vola ai campionati mondiali

Si riporta la notizia pubblicata dal Corriere di Savigliano relativo alla partecipazione di Andrei Stasiuk, ex-allievo del Cnos-Fap di Saluzzo,

Andrei ai mondiali dei Pizzaioli

Ha una vera e propria passione per la pizza, al punto che quando ne parla si emoziona. E non è napoletano, ma di origini rumene… Si chiama Andrei Stasiuk, ha 24 anni e ha frequentato al Cnos-Fap il corso di Arte bianca, dove è nato l’amore per gli impasti di acqua, farina e lievito. Andrei è appassionato di arte e la pasticceria, alla quale si è avvicinato partecipando anche ad un concorso a Venezia (con un ottimo risultato) è, per lui, arte. Appena terminata scuola ha iniziato a lavorare a Saluzzo come pizzaiolo e nel 2017 ha partecipato al 4° Campionato Nazionale di pizzeria a Nocera Inferiore, classificandosi tra i primi 30 (su 550 partecipanti). «Ho scelto di fare il pizzaiolo – dice – perché la pizza è “viva”, la pizza unisce, è all’apparenza semplice ma richiede la giusta alchimia di tecnica e cuore! Poi amo vedere subito il risultato, quando lievita nel forno e quando parte nel piatto verso chi la gusterà! Ora, da febbraio, ho finalmente trovato un’azienda (lavora alla “Pizzeria Mediterraneo” di Savigliano, ndr) che, grazie al titolare Dario Maurino, mi supporta e mi ha messo a disposizione prodotti di alta qualità, oltre a fiducia e stima. Al forno mi aiuta Giada Barale, un team che mi permette di sperimentare e di continuare a crescere…». La prossima settimana Andrei sarà a Parma, alla 27ª edizione del Campionato Mondiale della Pizza, dove porterà la sua Verace Napoletana. «Voglio mettermi in gioco, per portare avanti la tradizione. Userò una mozzarella di bufala speciale, preparata apposta da Salvatore Falco dell’Antico Castello di Morozzo. L’altro mio ingrediente “segreto” è… la passione!»

Siriani in fuga dalla guerra: Fossano accoglie una 2ª famiglia

Nell’edizione del 21/03/2018 del settimanale “La Fedeltà” è apparso il seguente articolo, firmato da Luigina Ambrogio, circa l’accoglienza di due famiglie siriane nel fossanese, nel progetto è stato coinvolto anche il Cnos-Fap di Fossano.

Siriani in fuga dalla guerra: Fossano accoglie una 2a famiglia
Lanciato l’appello per il sostegno al progetto interparrocchiale che rientra nell’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio

FOSSANO. Nei giorni scorsi nelle parrocchie della città è stato lanciato un appello per l’accoglienza di una seconda famiglia siriana in fuga dalla guerra. Il progetto si inquadra nell’iniziativa della comunità di Sant’Egidio che, grazie ai suoi corridoi umanitari, ha potuto portare in Italia tante famiglie di profughi siriani in totale legalità e sicurezza. Una prima famiglia, giunta a Fossano circa un anno fa, è ospitata nei locali della parrocchia di San Bernardo; il progetto è sostenuto dalle sei parrocchie della città in collaborazione con la Caritas.

In occasione del nuovo appello e in vista della mostra interattiva “In fuga dalla Siria” abbiamo fatto una chiacchierata con Barbara Stella (che fa parte della Commissione interparrocchiale che gestisce il progetto) per fare il punto su questa iniziativa di accoglienza.

Com’è nata l’idea di questo progetto?

Il progetto è nato in seguito all’invito di Papa Francesco affinché ogni famiglia adottasse una famiglia di profughi. Don Derio, allora vicario generale e Nino Mana, direttore della Caritas, verso la fine del 2016 concordarono con i parroci di Fossano di iniziare ad accogliere almeno una famiglia come diocesi. La parrocchia di San Bernardo mise a disposizione l’alloggio adiacente alla chiesa, vuoto da anni. A quel punto contattammo la comunità di Sant’Egidio per offrire la disponibilità ad accogliere.

Come funzionano i “corridoi umanitari” proposti dalla comunità di Sant’Egidio?

La comunità di Sant’Egidio ha concluso un accordo con lo Stato italiano in base al quale lo Stato permette loro di portare in territorio italiano un determinato numero di profughi in totale legalità e sicurezza a patto che tutto questo avvenga senza spese
a carico dello Stato. Il primo accordo si è concluso nel 2017 e ha previsto l’accoglienza di 1.000 profughi siriani in due anni; qualche giorno fa se ne è riaperto un altro. L’organizzazione del viaggio e il viaggio stesso (con aereo di linea dal Libano a Roma) sono a carico della Sant’Egidio; l’accoglienza e la sistemazione fino al raggiungimento dell’autonomia economica sono a carico delle comunità locali (parrocchie o associazioni) che decidono di collaborare a questo progetto. Senza questa disponibilità all’accoglienza i profughi non partono.

Come si è concretizzato il vostro progetto di accoglienza?

Ognuna delle sei parrocchie della città versa una quota mensile raccolta fra le famiglie disposte ad autotassarsi. La Caritas ha contribuito ai lavori che sono stati necessari per rendere confortevole l’appartamento di San Bernardo. Inoltre mette a disposizione i vari servizi che ha attivato sul territorio: la spesa una volta al mese, la scuola di italiano, l’abbigliamento… La famiglia composta da quattro adulti riceve in questa prima fase un contributo settimanale per il vitto e le esigenze personali; le utenze domestiche sono pagate dal progetto. Per primo è arrivato E. giovane barbiere, raggiunto in seguito dalla sorella M. con la mamma e la nonna.

Qual è la loro storia?

Arrivano da Aleppo dove prima della guerra, quindi fino a sei anni fa circa, conducevano una vita normale, in una grande città simile alle nostre, in cui convivevano senza problemi musulmani e diverse minoranze religiose. La famiglia che vive a Fossano è cristiana-ortodossa. E. esercitava l’attività di barbiere in un negozio di sua proprietà, M. era impiegata nell’ambito amministrativo in un’importante azienda di telecomunicazioni siriana.

Siete riusciti facilmente ad entrare in relazione?

Sì. Il primo ad arrivare è stato E.; dopo due mesi sono arrivati la sorella, la mamma e la nonna. Fin dall’inizio E. ha cercato di raccontarci la vita ad Aleppo ormai diventata impossibile: il rischio ogni volta che si usciva di casa, il disagio di vivere per anni senza acqua corrente, energia elettrica, gas, il costo della vita aumentato
anche di 15 volte.

Quale obiettivo vi date rispetto a questa famiglia?

L’obiettivo ovviamente è aiutarli ad integrarsi nella nostra società e a raggiungere l’indipendenza economica. Per l’autonomia è indispensabile un lavoro.

Ci sono prospettive?

Il primo passaggio è l’apprendimento della nostra lingua. Un problema che all’inizio abbiamo sottovalutato; chi parla l’arabo fatica molto ad apprendere l’italiano. Stanno frequentando la scuola di italiano presso i Salesiani di Fossano che a giugno, dopo un esame, rilascerà una certificazione riconosciuta nel mondo del lavoro. Hanno anche frequentato, fin da subito, il corso di italiano della Caritas. Inoltre, per potenziare l’apprendimento, M., E. e la mamma sono seguiti da due insegnanti volontarie. Ci siamo mossi per tentare di attivare un primo inserimento lavorativo per E., cercando tra i parrucchieri di Fossano qualcuno disponibile ad assumerlo attraverso una borsa lavoro pagata dalla Caritas; purtroppo la ricerca non ha dato esito. Siamo poi riusciti a  organizzare la borsa lavoro con i Salesiani: adesso E. è impegnato a titolo di uditore/assistente per tre giorni alla settimana presso il corso di Tecnico dell’acconciatura del Cnos fap di Fossano. Si tratta di un passaggio molto utile sia per un primo inserimento nella realtà professionale italiana (con le relative procedure e normative e l’acquisizione della terminologia tecnica specifica); sia ai fini della futura richiesta di riconoscimento della sua qualifica professionale in Italia (una procedura molto lunga) che per metterlo in relazione con la rete di acconciatori presente sul territorio.

La sorella ha altrettante difficoltà nella ricerca di un lavoro?

M. incontra meno difficoltà nell’apprendimento dell’italiano. È laureata in Economia e commercio; da una nostra verifica presso l’Università di Torino la documentazione in suo possesso è valida e sufficiente per richiedere l’equipollenza con la nostra laurea. In attesa, si spera, di ottenere questa certificazione, M. ha inviato il suo curriculum ad alcune aziende.
Speriamo che la sua buona conoscenza della lingua inglese e dell’arabo le possano offrire maggiori possibilità di accesso ad un lavoro adeguato alle sue competenze. In seconda istanza ci si orienterà nella ricerca di un altro tipo di lavoro.

Si è creata integrazione con le comunità parrocchiali?

Abbiamo previsto momenti di condivisione e di incontro per offrire loro possibilità di relazioni e di amicizia; partecipano con noi a feste, pranzi o campi estivi parrocchiali. Siamo convinti che l’integrazione passi attraverso il vivere queste esperienze e la quotidianità, frequentare persone italiane nelle loro case: solo in questo modo possono conoscere la nostra cultura, il nostro modo di vivere e di rapportarci.

Si trovano bene a Fossano?

Sì, si sono sentiti accolti e ce lo dicono. Stanno affrontando questo nuovo inizio con grande forza d’animo: hanno dovuto abbandonare tutto e ricominciare tutto da capo, con la nostalgia e l’angoscia per i loro parenti rimasti ad Aleppo. Noi ci rendiamo conto che vengono guardati un po’ con sospetto da chi non conosce la situazione. Qualcuno ci chiede perché debbano “vivere sulle nostre spalle”. Ci teniamo a spiegare il progetto perché se ne comprendano gli obiettivi. E ora avete lanciato l’appello per una seconda famiglia.
Qualche settimana fa una responsabile della comunità di Sant’Egidio ci ha contattati per chiederci la disponibilità ad una seconda accoglienza. Si tratta di una famiglia strettamente imparentata con quella già presente a Fossano e per la quale i nostri amici sono fortemente preoccupati: è una famiglia composta da padre, madre e tre figli adolescenti; il più grande presto dovrebbe entrare nell’esercito… L’espatrio attraverso i corridoi umanitari è l’unico modo per sottrarlo a questa esperienza.

Cosa avete deciso?

Come Commissione interparrocchiale abbiamo deciso di accettare la richiesta della comunità di Sant’Egidio. Non possiamo sottrarci alla possibilità di offrirgli una speranza concreta di mettersi in salvo. Per poter avviare questa seconda accoglienza abbiamo bisogno di raccogliere altre adesioni. Ci rendiamo conto della difficoltà ad avere due progetti in sovrapposizione ma questa difficoltà ci sembra ampiamente compensata dal fatto che avremmo due famiglie che si potranno sostenere a vicenda sia nell’immediato che nel futuro.

Cosa chiedete a chi intende sostenere l’accoglienza di questa seconda famiglia?

Sono diverse le modalità di sostegno al progetto; nella parrocchia dello Spirito Santo le famiglie concorrono con 10 euro al mese, da far pervenire attraverso un bonifico sul conto corrente della parrocchia. Ci stiamo rivolgendo anche a gruppi, coppie e ad altre associazioni proponendo lo stesso impegno.

Pinerolo: un addio in due tappe

Si segnala, qui di seguito, l’articolo a cura di Vincenzo Parisi pubblicato dal mensile “Vita diocesana Pinerolese” circa la presenza salesiana nel pinerolese:

Nel prossimo mese di settembre 2018, come già noto da tempo, lasceranno definitivamente il noviziato di Monte Oliveto. E, nel mese di agosto 2019 (notizia resa ufficiale pochi giorni fa) anche la parrocchia Spirito Santo, con l’annesso fiorente oratorio e centro giovanile “Pier Giorgio Frassati”. Stiamo parlando della congregazione dei figli di don Bosco, i Salesiani, e della loro presenza pastorale nel territorio della città di Pinerolo. Spiega don Mario Fissore, viceparroco e responsabile dell’oratorio, a nome della comunità religiosa pinerolese: «A seguito della decisione di trasferire il noviziato di Monte Oliveto al Colle don Bosco, si è avviato nei mesi scorsi il discernimento a riguardo della presenza salesiana nella parrocchia Spirito Santo. Lo scorso 19 febbraio don Enrico Stasi, superiore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta, ha incontrato il consiglio pastorale della parrocchia e ha comunicato, non senza rammarico, la decisione di assicurare la presenza salesiana in parrocchia solo fino ad agosto 2019, la parrocchia sarà poi restituita alla cura del clero diocesano. Tale decisione è stata motivata innanzitutto dal fatto che il trasferimento del noviziato comporterà il venir meno della comunità religiosa a cui parroco e viceparroco appartengono». Nell’anno corrente don Livio Recluta continuerà il suo servizio come parroco fino alla festa di Pentecoste, dopo di che l’amministrazione della parrocchia sarà affidata a don Mario Fissore, allo scopo anche di valutare le prospettive future in merito al vivace oratorio parrocchiale. L’opera di Monte Oliveto fu ultimata nel 1915. E l’inaugurazione ufficiale (come Istituto Don Bosco “pro orfani di guerra”) è datata oltre un anno più tardi, precisamente il 22 ottobre 1916. L’edificio deve le sue fondamenta ai padri Gesuiti, i quali nel 1728 decisero di costruire una casa (per ospitare i loro corsi di Esercizi Spirituali) proprio sulla sommità di quel colle che, a partire dal lontano XIII secolo, era conosciuto da tutti come “Monte Oliveto” o “Monte Rotondo”, come allora si chiamava il poggio che costituisce l’estrema pendice di Costagrande. Sulla sommità del colle vi erano degli ulivi e perciò il luogo era chiamato “L’Oliveto” da tempi assai antichi, come proverebbe una pergamena del 1280 firmata da un certo “Martinus de Monte Oliveto”. Durante la loro gestione, i Gesuiti destinarono la casa a sede di villeggiatura per gli alunni del proprio Collegio ed a centro di Esercizi Spirituali per il clero ed il laicato pinerolese. Dopo numerose vicende e passaggi di proprietà, entrarono in campo i Salesiani, ricordando il detto del loro fondatore, pronunciato durante un suo soggiorno a Pinerolo. La proprietà di Monte Oliveto era stata posta in vendita a buone condizioni economiche. La congregazione di don Bosco non si lasciò sfuggire l’affare. Di fronte al dramma della Prima Guerra Mondiale, i Salesiani adibirono la struttura di Monte Oliveto ad istituto per ospitare orfani di guerra. Alcuni anni dopo il termine della Grande Guerra però, la necessità di soccorrere orfani non era più così pressante: la congregazione di don Bosco poté quindi tornare a pensare all’originario scopo della casa: sede del noviziato dell’Ispettoria Subalpina. L’erezione canonica è datata 28 luglio 1930 ed il 5 agosto dello stesso anno l’allora Rettor Maggiore, don Filippo Rinaldi, promulgò il Decreto proveniente dalla Santa Sede. Con il passare degli anni, la congregazione decise di unificare il noviziato nel Piemonte. Poi esso passò ad accogliere i novizi del resto dell’Italia settentrionale e centrale. Nel corso degli anni Novanta, il bacino geografico di riferimento varcò i confini nazionali: Ucraina, Slovacchia, Austria, Germania, Slovenia… Nel 1933 fu costruita la cappella del Sacro Cuore, all’esterno del palazzo di abitazione. La parrocchia Spirito Santo è stata eretta canonicamente il 20 marzo 1972 dall’allora vescovo di Pinerolo, monsignor Santo Quadri. Il primo parroco è stato Silvio Bertrand, a cui è succeduto Rino Girotti. Nel 1993 la Diocesi stipulò una convenzione che affidava ai Salesiani la parrocchia e nominava parroco Pier Giorgio Palazzin, attualmente missionario in Argentina. A lui è succeduto Giacomo Crotti e poi Augusto Motta. Dal settembre 2010 all’agosto 2015 è stato parroco Andrea Ciapparella, sostituito nel settembre del 2015 da don Livio Recluta.

(Articolo a cura di Vincenzo Parisi,
tratto da “Vita diocesana Pinerolese”)

Il cardinale Tarcisio Bertone presenta il suo libro di memorie

Si riporta la notizia relativa alla presentazione del libro “I miei Papi” del Cardinal Tarcisio Bertone, edita Elledici ringranziando “La Stampa”,  e il giornalista Domenico Agasso, autore dell’articolo pubblicato.

“Ci ha pensato a lungo, prima di rinunciare al pontificato. La sua non è stata una decisione affrettata o addirittura forzata. Papa Benedetto XVI ne aveva fatto cenno una prima volta il 30 aprile 2012, dunque oltre nove mesi prima dello storico 11 febbraio 2013, giorno della comunicazione al mondo. La confidenza la fece al suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. È lo stesso Porporato a rivelarlo nel libro «I miei Papi» (Elledici), in uscita nelle librerie in questi giorni e presentato oggi a Torino. Il volume, introdotto dalla prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi, contiene ricordi ed episodi dell’83enne alto Prelato salesiano di Romano Canavese – che è stato anche Arcivescovo di Genova e Camerlengo – sui sette pontefici della sua vita: Pio XII, san Giovanni XXIII, il futuro santo Paolo VI, Giovanni Paolo I, san Giovanni Paolo II e Francesco, oltre ovviamente all’amico Joseph Ratzinger. Il ragazzo Tarcisio ha «incontrato» Pio XII grazie all’abitudine del padre di leggere L’Osservatore Romano. La sera dell’11 ottobre 1962, quella dell’apertura del Concilio Vaticano II e del celebre «discorso della luna» di Papa Roncalli in San Pietro, Bertone era studente in Roma. Ecco un aneddoto di quegli anni: è nota nella storia di don Bosco la presenza di un cane misterioso, il «cane grigio» che interveniva per proteggerlo dalle aggressioni; e Bertone racconta la vicenda del misterioso «cane grigio» che segue l’urna di san Giovanni Bosco di passaggio nella Capitale.

C’è poi la questione del «segreto di Fatima non svelato» da Bertone: c’è chi dice che «esisteva un “plico Capovilla” che “rivelava” la presenza di un altro testo della terza parte del Segreto, o di una parte nascosta» dal Porporato «chissà per quali inconfessabili obiettivi». Il Prelato riporta che lo stesso monsignor Loris Capovilla lo scagionò scrivendo «una lettera per chiarire che non c’era nessuna contraddizione nella mia esposizione». Bertone ha addirittura sventato un’ordinazione sacerdotale fasulla, scovando un falso candidato prete che si era infiltrato in San Pietro in una celebrazione presieduta da Papa Wojtyla. 
È noto che Bertone si sia sempre interessato di calcio, e che sia tifoso juventino. Giovanni Paolo II lo sapeva «ed era naturale che ne parlassimo, soprattutto quando c’era una sfida tra Polonia e Italia». Insieme hanno seguito in particolare i mondiali di Italia ’90, quelli delle «notti magiche». E quando Bertone andava in udienza o a pranzo dal Pontefice polacco «lui mi chiedeva che cosa aveva fatto la Juventus». Il calcio fa parte anche del suo rapporto con Ratzinger: «Non di rado le mie udienze con lui, svolgendosi il lunedì pomeriggio, sono iniziate con commenti ai risultati delle partite domenicali». Bertone svela poi che Papa Ratzinger aveva ipotizzato di chiamare il cardinale Bergoglio per un incarico in Curia: «Ciò non avvenne per l’importante ruolo e l’autorevolezza che egli aveva sia in Argentina che tra l’episcopato latinoamericano».  L’ultimo capitolo è dedicato proprio a Francesco e ai sette mesi che Bertone ha trascorso al suo fianco come «primo ministro». Il Prelato fa cenno alla controversa vicenda dell’appartamento ristrutturato in Vaticano per accoglierlo dopo che aveva lasciato la tradizionale residenza del segretario di Stato. Scrive che la scelta di unire i due appartamenti pre-esistenti così da avere spazio per ufficio, cappella e alloggi per le suore, era stata presa in accordo con Bergoglio. “

 

Dal caso Milingo a Fatima, il cardinale Tarcisio Bertone si racconta
Nel libro “I miei Papi” il Cardinal Bertone, segretario di Stato vaticano emerito, ripercorre i rapporti con sette Pontefici, da Pio XII a Francesco e particolarmente sull’amicizia con Benedetto XVI. Si ringrazia Marco Bonatti, autore dell’articolo, e giornalista de “L’Avvenire”.
“Fin dall’inizio la porpora ha accompagnato l’avventura dei Salesiani: Giovanni Cagliero, inviato da don Bosco in Patagonia, fu cardinale dal 1915 al 1926; e dopo di lui ne vennero altri, dal polacco Hlond al cinese Zen oggi vescovo emerito di Hong Kong. Non può stupire, dunque, che un cardinale salesiano raccolga i ricordi e le esperienze di una vita per raccontare i suoi Papi; nel suo caso, 7: da Pio XII a Francesco passando er Roncalli, Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger. Tarcisio Bertone, 84 anni, ha presentato ieri il suo libro nel cuore di Valdocco, in quella “sala Sangalli” che ricorda uno dei Salesiani più importanti e amati degli ultimi decenni, rettore della basilica e “mente” delle comunicazioni sociali della diocesi di Torino coi cardinali Ballestrero, Saldarini e Poletto. A presentare il volume il direttore dell’editrice Elledici, Valerio Bocci, e il giornalista del sito Vatican insider , Domenico Agasso jr. Il libro del cardinale Bertone, intitolato appunto I miei Papi , non si sottrae alle notizie di cronaca – o alle fake news – circolate negli ultimi anni, come quelle relative alla metratura del suo appartamento in Vaticano (sulla cui ristrutturazione, ha detto il porporato, il Papa era informato). Ma il volume tocca soprattutto il lavoro svolto dal cardinale in questi decenni e i ruoli svolti. Bertone ha infatti ricoperto l’incarico di segretario di Stato vaticano, è stato camerlengo di Santa Romana Chiesa; arcivescovo a Vercelli e Genova, professore e rettore dell’Università Salesiana; e ha portato a termine missioni delicate, dal caso Milingo alla gestione del “terzo segreto di Fatima”: fu lui a dialogare con suor Lucia e a mettere a punto il confronto tra le carte lasciate dalla religiosa e i suoi ricordi prima di morire. «Non ci sono altri segreti da rivelare – ha ricordato ieri – perché quel che era scritto è stato detto tutto». Nella prefazione il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, riepiloga i ricordi e illumina sulla personalità di Bertone, non dimenticandone la passione sportiva. Ma è l’amicizia – profonda, duratura – con Giovanni Paolo II e con Joseph Ratzinger che il porporato ha voluto sottolineare ieri a Valdocco. Un’amicizia che va oltre la stima e le fedeltà nelle “missioni di lavoro”. Bertone ha rievocato le vicende più difficili che hanno portato alle dimissioni di Benedetto XVI, ricordando che il Papa aveva cominciato a parlarne già un anno prima, nell’aprile 2012, motivandole con le condizioni della sua salute; e di come lui, con gli altri collaboratori più stretti, abbia cercato di “ritardare” questo momento, pur rispettando pienamente la volontà del Pontefice. «Per altro – ha detto ancora Bertone -già Giovanni Paolo II aveva pensato seriamente alla rinuncia, e così Paolo VI. E molto prima Pio XII si era preparato a questa eventualità, immaginando di poter essere rapito o impedito nel suo ministero da Adolf Hitler, quando l’esercito tedesco occupò Roma». Infine Francesco. Il cardinale è stato per sette mesi suo segretario di Stato e ha conservato col Papa “venuto dalla fine del mondo” un rapporto cordiale di amicizia anche dopo aver lasciato i suoi incarichi. “

Giorgio Brevi: il salesiano che conquistò i suoi ragazzi con la chitarra e le partite di pallone

Il Corriere della Sera nella sezione di Torino ha pubblicato in data Martedì 13 Marzo 2018, per la penna di Elisa Sola, l’articolo che racconta la scomparsa di Giorgio Brevi, salesiano coadiutore, attraverso i ricordi delle persone che lo hanno conosciuto con in braccio la sua chitarra e un sorriso sempre rassicurante.

Il salesiano che conquistò i suoi ragazzi con la chitarra e le partite di pallone

Professore dal sorriso dolcissimo, non rinunciava mai a una partita di calcetto o di ping-pong con i suoi ragazzi. Si sono  celebrati lunedì, nell’affollatissima basilica della Maria Ausiliatrice, i funerali di Giorgio Brevi, salesiano. Originario di Biella, aveva 53 anni, di cui 34 di vita religiosa. Don Brevi è stato stroncato da una malattia. L’annuncio della morte è stato dato da don Livio Demarie, coordinatore dei salesiani: «La sera dell’otto marzo, dopo grandi sofferenze, vissute con coraggio e serenità in unione a quelle di Cristo, è tornato alla Casa del Padre il nostro giovane confratello salesiano Giorgio».

Dal Cnos – Fap, Centro nazionale opere salesiane di Torino, descrivono Brevi come un uomo che «dedicò la vita ai giovani seguendo l’esempio di Don Bosco». «Lo accoglierà in Paradiso», scrive Luca Olivero. Rita Dianati aggiunge: «Lo ricordo sempre con il sorriso». Ex allievi, amici e insegnanti, tutti quelli che lo hanno conosciuto hanno voluto ricordarlo.

«Che tristezza nel pensarti lontano dai cortili di Valdocco», è il pensiero di Denis Russo, ex alunno che ricorda Brevi come «un’anima delicata, un uomo semplice, votato all’ascolto». «Quante chiacchierate genuine con quella tua posa composta – aggiunge – non si aveva mai la sensazione di non essere ascoltati. Grazie, perché gli anni di Valdocco sono stati i più belli anche grazie a te».
E proprio gli ex scolari di don Giorgio hanno decorato la sua camera mortuaria con poster colorati tappezzati di foto di scampagnate, partite di pallone, campi estivi e lezioni. «Perché noi vogliamo ricordarti così», la scritta a caratteri cubitali che campeggia sul cartellone.
Un amico gli ha dedicato queste parole: «I ricordi che mi legano a te Giorgio sono tanti, e iniziano a San Benigno. La sala musica, gli spettacoli organizzati, le notti in camerata a farti impazzire e, a tal proposito, qualche sera fa ridevo da solo nel ricordare quei periodi. Ricordo anche le lezioni e la pazienza che avevi nell’insegnare. Ti ringrazio, perché oggi quello che sono lo devo anche a te. Fai buon viaggio Giorgio, e non dimenticare mai la tua chitarra».

Il Cardinal Gualtiero Bassetti in visita a Valdocco in occasione del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice.

Si propongono gli approfondimenti di racconto delle redazioni de “La Voce E il Tempo”, “Avvenire” e il TGR – Piemonte in occasione della visita del presidente della Cei “a casa di Don Bosco”.

Articolo a cura di Marina Lomunno

 

Sono stati i ragazzi e le ragazze del primo oratorio fondato da Don Bosco a Valdocco ad accogliere nel pomeriggio di venerdì scorso il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, invitato nella casa madre dei salesiani per coronare le celebrazioni del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. Il cardinale appena giunto nel cortile della Basilica è stato salutato con un battimani e subito si è seduto su una gradinata in mezzo ai giovani improvvisando una catechesi. «Don Bosco vi ha insegnato la lingua della Pentecoste, ha parlato la lingua dell’amore e tutti l’hanno capito. Preghiamo perché in tutti gli ora- tori del mondo si parli questa lingua». I ragazzi hanno consegnano al cardinale la felpa e la maglietta dell’oratorio Valdocco. «Le indosserò e penserò a voi, speriamo mi vadano bene», ha scherzato. A seguire la Messa con la famiglia salesiana nella Basilica voluta da Don Bosco. «Un albero grande è nato dal cortile di Valdocco e da questa Basilica – ha sottolineato il presidente della Cei nell’omelia. I figli e le figlie di Don Bosco sono accanto ai giovani di tutti e cinque i continenti, in 130 Paesi del mondo. Anche oggi, come nella Torino dell’Ottocento, ci sono moltitudini di giovani poveri o abbandonati a se stessi nel loro mondo cybernetico, fuori della realtà. Ecco perché il Papa ha indetto un Sinodo sui giovani: tutta la Chiesa è chiamata ad avvicinarsi a questo mondo».

In serata la Basilica si è nuovamente gremita per ascoltare la Lectio del cardinale, accolto dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, dall’emerito, il cardinale Severino Poletto, dall’ispettore dei salesiani per il Piemonte e la Valle d’Aosta, don Enrico Stasi, e dal rettore della Basilica, don Cristian Besso.

Nella meditazione sul tema “La Chiesa in Italia e il cammino proposto da papa Francesco”, il presidente della Cei ha messo a confronto Don Bosco e papa Francesco che «hanno avviato processi, più che occupare spazi, dando nuovo impulso alla Chiesa evangelizzatrice». «Don Bosco – ha sottolineato Bassetti – diceva che con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso. Papa Francesco ha detto che essere artigiani della carità è come investire nel Paradiso e che i poveri sono il nostro passaporto per il Paradiso. Due personalità differenti, espressione di due epoche storiche, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi».

Al seguente link, è possibile accedere al servizio giornalistico realizzato da Caterina Cannavà.

 

Ecco l’articolo de La Voce e Il Tempo che, oltre ad una dettagliata descrizione dell’intera visita, pubblica integralmente la Lectio magistralis del cardinale Bassetti:

Bassetti, Don Bosco e Papa Francesco innamorati dei poveri

Torino – Il presidente della Cei, nell’ambito della visita a Valdocco nel 150° anniversario della consacrazione della basilica salesiana, il 9 marzo ha tenuto una lectio magistralis su «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Papa Francesco».

«Don  Bosco  diceva che ‘con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso’. Papa Francesco ha detto che “essere artigiani della carità è come investire nel paradiso” e che i poveri sono il nostro “passaporto per il paradiso”. Giovanni Bosco e il Papa: due personalità differenti, espressione di due epoche storiche lontane, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi». Così il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha iniziato la sua Lectio magistralis… continua a leggere 

 

A margine della visita a Valdocco, la giornalista M. Lomunno ha rivolto al presidente della CEI, alcune domande, ecco l’intervista che verrà pubblicata sulla versione cartacea nell’edizione di Domenica 18 Marzo 2018:

Il cardinale Bassetti a Torino: «Ricucire l’Italia»

Si intitolava «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Francesco» la Lectio magistralische il card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei ha pronunciato nella serata di venerdì 9 marzo, a Torino, in occasione del 150° delle celebrazioni della consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. La presenza del Presidente dei Vescovi italiani ha sottolineato la riconoscenza della Chiesa italiana per don Bosco e per i suoi figli che ne continuano l’opera.  A margine dell’incontro abbiamo intervistato il cardinale sull’attualità dei santi sociali torinesi.

Eminenza, la sua Presenza a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice, è stata l’occasione per visitare i luoghi salesiani: Valdocco è crocevia della santità sociale torinese. Qual è secondo lei l’attualità dei nostri santi sociali in un momento difficile per la nostra città che, come nell’Ottocento dove una grande fetta della popolazione viveva nell’indigenza, il 40% dei giovani è disoccupato e le periferie urbane soffrono le ricadute della crisi economica?

I santi sociali torinesi sono straordinariamente attuali. E lo sono per almeno due motivi: prima di tutto perché ci ricordano con forza che la Chiesa è da sempre presente nelle zone di indigenza e di povertà. Non è un’invenzione della modernità: cioè di una stagione che sembrerebbe diluire il cristianesimo nella solidarietà. Non si tratta assolutamente di questo: ma, al contrario, si tratta di rendere autentico il mistero dell’incarnazione e la croce gloriosa di Cristo. Laddove c’è una persona in difficoltà, da sempre, la Chiesa si china a curare e a fasciare le ferite, perché in quelle ferite sgorga il sangue di Gesù sulla Croce.

In secondo luogo, perché i santi sociali torinesi concretizzano le parole dell’apostolo Giovanni quando dice che noi siamo chiamati ad amare non solo «a parole» «ma con i fatti e nella verità». Queste parole che hanno anche fatto da incipit al messaggio di Papa Francesco per la Prima giornata mondiale dei poveri sono molto importanti perché ci chiamano ad agire nella storia con azioni concrete. Come si può ben capire, anche in questo richiamo alla questione sociale, c’è un filo diretto e continuo nel magistero della Chiesa. Un magistero che si rinnova sempre, ma che, al tempo stesso, è fedele alla tradizione. I santi sociali torinesi sono per noi dei modelli di vita a cui dobbiamo ispirarci, non per ripetere pedissequamente il passato, ma per costruire il futuro.

Durante la sua Lectio magistralis nella Basilica di Maria Ausiliatrice lei ha introdotto la sua riflessione indicando come due personalità così diverse, don Bosco e Papa Francesco, siano accomunate dalla scelta preferenziale dei poveri e dei giovani. Ha poi citato una frase di Papa Francesco per sintetizzare il suo pontificato: «Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi». Un programma che ha molte similitudini con i santi sociali come Giovanni Bosco i cui frutti dei processi da loro avviati nell’Ottocento sono ancora il motore trainante della nostra diocesi e non solo…     

Questo richiamo ai processi evocato da Papa Francesco è di fondamentale importanza. Non solo perché rimanda ad una fermissima fede nell’azione di Dio che ci sovrasta sempre, ma perché prende di petto un problema cruciale in ogni epoca storica: il rapporto degli uomini con il potere. Francesco con quella frase ci rammenta che la salvezza non viene dalla potenza degli uomini, ma solamente dal Padre, che è l’unico vero Signore della Storia. Se noi riconosciamo con sincerità questa verità e ci lasciamo guidare dall’ispirazione divina possiamo entrare in questa dimensione di totale affidamento e in definitiva possiamo cambiare il nostro stile di vita. Una vita troppo spesso soffocata dalle nostre ansie da prestazioni e dalle nostre ambizioni di successo e di dominio. In due parole, una vita che troppe volte è caratterizzata dalla mondanità e dal clericalismo. Due «piaghe» su cui Francesco si è soffermato molte volte e sempre con parole chiarissime. Dobbiamo convincerci, una volta per tutte, che nessun uomo è indispensabile e che i progetti pastorali se fatti senza questo spirito di abbandono nelle mani di Dio, inaridiscono e producono solo strutture burocratiche di dubbia utilità.

Don Bosco ha dedicato tutta la sua vita a dare speranza ai giovani, soprattutto quelli più «discoli e pericolanti». Tra i problemi dell’Italia c’è quello dei neet, giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano né lavorano. Torino e il Piemonte purtroppo hanno anche questo primato, tanto che nostri Vescovi hanno lanciato recentemente un appello alle istituzioni per mettersi in rete e affrontare questo nodo fondamentale per dare futuro al Paese, studiando progetti per «stanare» i neet che stanno diventando un allarme sociale. Cosa è successo in questi anni se migliaia di giovani rifiutano di progettare il proprio futuro e come se ne può uscire?

Questo fenomeno a mio avviso ha una spiegazione duplice. Da un lato rappresenta il trionfo del nichilismo del mondo odierno. Un vuoto di valori e prospettive che nell’immediato fa vivere il ragazzo solo per se stesso e poi, nel giro di breve tempo, finisce per fargli perdere la speranza e la visione del futuro. Dall’altro lato, invece, certifica uno dei più grandi drammi della società italiana: una società bloccata, vecchia, immobile, fatta di oligarchie e pastoie culturali che bloccano ogni prospettiva di crescita. Molti giovani si perdono in questa palude sociale dove tutto sembra stagnante, opaco, poco attraente e senza futuro. Penso però che al di là delle difficoltà che indubbiamente esistono, noi adulti abbiamo il compito, anzi, la missione di prendere per mano questi ragazzi e di dirgli: «I care». La tua persona mi interessa. Ho a cuore la tua vita e la tua dignità. E poi aggiungere: «tu vali». Tu vali così come sei. Con i tuoi limiti e le tue virtù. Tu sei una perla preziosa agli occhi di Dio che ti ama infinitamente. E inoltre sei un talento prezioso per la comunità, per il Paese e per la Chiesa. Ecco una parola che a mio avviso va riscoperta: «talento». Ogni giovane è un talento da valorizzare e non abbandonare mai.

Lei è Arcivescovo di Perugia Città della Pieve: un suo predecessore fu il cardinale Pecci, quel Leone XIII che ha posto le basi della moderna dottrina sociale della Chiesa e il suo motto episcopale è «In charitate fundati», «fondati nella carità» che, richiamando la Lettera agli Efesini di san Paolo, anticipa e conferma la scelta dei poveri a cui da cinque anni ci indica Papa Francesco. Uno stile di episcopato ben preciso che sicuramente permeerà la sua Presidenza dei Vescovi italiani. Quali sono le urgenze che la Chiesa italiana indica al nuovo Governo dopo le elezioni del 4 marzo scorso per affrontare la crisi sociale che sta attraversando il nostro Paese?

Lo abbiamo sempre detto: i poveri, le famiglie e il lavoro. In definitiva, far ripartire l’Italia tutta intera, senza egoismi sociali e culturali. Per usare un’espressione che ho utilizzato spesso è necessario «ricucire l’Italia». Occorre rammendare un Paese in difficoltà e troppo spesso in crisi d’identità. È necessario dunque fornire una speranza e una strada certa all’Italia senza, però, soffiare sul fuoco delle divisioni e soprattutto senza cercare nemici immaginari o capri espiatori nei diversi o negli stranieri. Dobbiamo tutti quanti, ognuno secondo le sue capacità o disponibilità, assumerci delle responsabilità con un unico obiettivo: dare una mano allo sviluppo umano di questo Paese, alla luce della sua storia ricca e complessa. E anche, perché no, alla luce della dottrina sociale della Chiesa che è un patrimonio prezioso a cui attingere e a disposizione di tutti.

(Articolo tratto da La Voce e  Il Tempo,
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