Giornata Mondiale contro la Tratta – Quaranta milioni di schiavi

In occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta che si celebra ormai da 4 anni nella giornata di oggi, 8 febbraio, proponiamo un articolo proveniente da “Il Corriere della Sera”.

Regalano il proprio corpo, lavorano senza salario per ripagare debiti che non verranno mai saldati, puliscono case per riconquistare il passaporto. Gli schiavi del terzo millennio sono milioni. Quaranta, secondo alcune stime.

L’ufficio dell’Onu contro droga e crimine (Unodc) ha da poco divulgato un rapporto allarmante:

«Il numero delle vittime della tratta è in aumento mentre gruppi armati e terroristi stanno trafficando donne e bambini per generare fondi e reclutare nuovi membri», si legge.

Lo sfruttamento sessuale continua ad essere la causa principale, ovvero il 59 per cento dei casi denunciati, seguito dal lavoro forzato (34 per cento). C’è un netto aumento del numero di bambini-schiavi,il 30per cento del totale: i maschi sono perlopiù destinati al lavoro forzato (50 per cento), ma anche a prostituzione, accattonaggio,reclutamento militare o piccole attività criminali; le ragazzine sono al 72 per cento condannate al mercato del sesso.

L’8 febbraio è la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta, nata per volontà di papa Francesco, cui Mani Tese dedica il convegno Nuovi muri, nuovi schiavi. Ogni nazione è coinvolta da questo fenomeno sommerso sia come Paese di origine, transito o destinazione delle vittime.

«In Europa – spiega Antonio Maria Costa, ex vicesegretario generaleOnu direttore di Unodc – oltre il 70 per cento dei casi riguarda lo sfruttamento sessuale. In Asia si tratta invece perlopiù di lavoro forzato in condizioni di servitù nei nuovi centri industriali, dove si producono merci a poco prezzo o contraffatte che poi sono vendute in Occidente, grazie a multinazionali e consumatori poco attenti a ciò che accade all’origine, ossia in Paesi come Pakistan, Vietnam, Cina. In Africa e in parte dell’America Latina è più diffusa la servitù agricola, che spesso coinvolge bambini fra i 9 e i 14 anni. Giovanissimi che nelle zone di conflitto diventano anche preda del reclutamento militare forzato».

In ogni parte del pianeta i più vulnerabili alle nuove schiavitù sono i migranti. Gli strumenti normativi a disposizione dei governi non mancano:

«Tutti gli Stati hanno aderito alla Convenzione Onu di Palermo contro la criminalità e al suo protocollo addizionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di perso», ricorda il professore Marco Quiroz Vitale, sociologo del diritto all’Università di Milano.

In Europa circa 20mila persone all’anno entrano nei sistemi di protezione e assistenza. In attesa della nuova strategia nazionale antitratta, in Italia il dipartimento Pari Opportunità ha stanziato quasi 24 milioni per un nuovo Bando antitratta che coinvolge le Ong su tutto il territorio. I dati del 2018, che il Corriere ha avuto in esclusiva, parlano di 1914 assistiti nell’ambito dei progetti finanziati dal dipartimento, di cui 820 nuove emersioni.

Per quasi il 90 per cento sono donne, in gran parte nigeriane, l’11,23 per cento è formato da minori. Nell’88 per cento dei casi si tratta di sfruttamento sessuale ma, dicono al dipartimento, sta emergendo anche quello lavorativo di giovani asiatici maschi e continua a preoccupare il fenomeno del caporalato. I casi sospetti possono essere segnalati al numero verde 800290290.

L’illegalità italiana

Dal 2014 la Caritas opera in quei luoghi d’illegalità, dal Nord al Sud Italia attraverso i suoi presidi:

«Lo sfruttamento – spiega Virginia Sabbatini, autrice del secondo rapporto del Presidio Caritas Italiana – è comune fra i lavoratori agricoli stagionali ma colpisce anche altri settori, come l’edilizia, il settore domestico o le strutture ricettive. Spesso il fenomeno nasce da reti d’intermediazione che all’ inizio operano come un efficiente sistema di inserimento lavorativo per i migranti e di sostegno per gli imprenditori nella fase del raccolto, in mancanza di un reclutamento trasparente della mano d’opera, ma che con il tempo si trasformano in reti di sfruttamento».

Si paga per tutto, rileva il rapporto: per il trasporto, per l’alloggio e perfino per lavorare, la tariffa di «ingresso» va dai 200 ai 500 euro. L’opinione pubblica non sa, o non vuole vedere.

«C’è una fortissima distorsione fra realtà e percezione: si pensa che 1 persona su 4 in Italia sia straniera, quando è appena 1 su 10. Da qui nasce l’atteggiamento ostile», dice il professor Marco Valbruzzi, politologo all’Università di Bologna. La buona notizia? «La cultura dei diritti umani – risponde Vitale – si può costruire collettivamente. È un processo: siamo tutti insegnanti e tutti allievi dei diritti umani».

 

I ragazzi della comunità Harambée su Tv2000

Si segnala il Comunicato Stampa di “Salesiani per il sociale” riguardo ad alcuni ragazzi, assieme ed un’educatrice, della comunità Harambèe che sono stati ospiti della trasmissione televisiva “L’ora solare” in onda su Tv2000 in occasione della festa di Don Bosco:

I ragazzi della comunità Harambée su Tv2000
“A 18 anni non ci hanno lasciati soli e ci aiutano a trovare lavoro”.

(Roma, 07 febbraio 2019) – In occasione della festa di Don Bosco, alcuni ragazzi e un’educatrice della comunità Harambée sono stati ospiti della trasmissione televisiva “L’ora solare” in onda su Tv2000. Un’occasione per presentare i progetti educativi svolti nella struttura di Casale Monferrato (AL) e sostenuti da Salesiani per il SocialeFederazione SCS/CNOS.

La comunità Harambée nasce a Casale Monferrato nel 1996 con l’obiettivo di accogliere giovani in stato di bisogno. Al suo interno oggi è presente una casa famiglia per ragazzi allontanati dai propri genitori, un centro per minori stranieri non accompagnati e un gruppo appartamento per ragazzi maggiorenni. In quest’ultima struttura vengono ospitati giovani che compiuti i 18 anni, sperimentano percorsi di autonomia, i così detti “care leavers”.

«Una volta diventati grandi, questi ragazzi, per legge, devono uscire dalla comunità e questo crea un grande disagio per loro» spiega Milena Tacconelli, educatrice di Harambée. «Così abbiamo proposto ai servizi sociali un proseguimento dell’accompagnamento attraverso le esperienze di autonomia che chiamiamo “Over 18”. Abbiamo pensato che vivere in condivisione potesse creare condizioni di mutuo-aiuto tra loro stessi. Il punto di forza è la ricerca attiva del lavoro che permetterà loro di diventare autonomi».

Salesiani per il Sociale in questi anni è stata vicina a questi ragazzi sostenendoli nel loro percorso formativo e nel diventare adulti.

«Appena uscito dal gruppo appartamento – racconta uno dei ragazzi accolti – la comunità ha continuato a starmi vicino, gli educatori mi hanno aiutato a inviare i curriculum e sono riuscito a svolgere una settimana di prova in un’azienda. Con grande sorpresa mi hanno detto di restare e dopo qualche mese ho ottenuto un contratto a tempo indeterminato».

Apprendere un mestiere, accedere ad un tirocinio per trovare un’occupazione, imparare a vivere da soli provvedendo ai propri bisogni o anche saper costruire delle relazioni durature nel tempo: sono questi alcuni degli obiettivi che da anni porta avanti l’equipe di lavoro della struttura.

«La comunità e i progetti che fanno loro mi hanno cambiato» racconta un’altra ragazza. «In questa casa ci troviamo bene e grazie all’aiuto di Milena ho ottenuto una borsa di lavoro di sei mesi in una fabbrica di caramella, terminati i quali ho conquistato anch’io un contratto stabile».

«L’insegnamento di Don Bosco – conclude Milena – è che i ragazzi non vanno solo accolti ma che è necessario anche accompagnarli!».

Per approfondire o sostenere il progetto della comunità Harambée:

Qui il servizio andato in onda su Tv2000 lo scorso 30.01.2019:

 

Mostra fotografica di Riccardo Lorenzi – Ragazzi (in)visibili, il diritto di sognare

Si segnala il comunicato stampa a cura di Missioni Don Bosco, riguardo l’inaugurazione della mostra fotografica che avrà luogo venerdi 8 febbraio, ore 10,00, all’IISS Des Ambrois di Oulx (Torino):

 

Comunicato stampa 7 febbraio 2018

Dal 9 al 23 febbraio 2019 all’IISS Des Ambrois di Oulx (Torino) mostra fotografica di Riccardo Lorenzi:

Ragazzi (in)visibili,
il diritto di sognare

Inaugurazione venerdì 8 febbraio ore 10.
La mostra, promossa da Missioni don Bosco e
dalla Animazione 
Missionaria Salesiana del Piemonte,
intende affrontare il tema dell’impatto della povertà sulla società internazionale

e sul singolo individuo, indipendentemente dalla collocazione
e dall’appartenenza religiosa e socioculturale.

Dalla scheda di presentazione:

La seconda mostra promossa da Animazione Missionaria e Missioni Don Bosco affronta il tema dell’impatto della povertà sulla società internazionale e sul singolo individuo, indipendentemente dalla collocazione geografica, dal-l’appartenenza religiosa e socioculturale. La tematica è stata sviluppata attraverso l’illustrazione dell’impegno rivolto ai giovani poveri dei Salesiani in Piemonte e nel Mondo.

Diverse sono le manifestazioni di povertà, come la fame, l’assenza di cure sanitarie, di pace, di istruzione e lavoro. Esse determinano la privazione di un futuro, la negazione a priori dei sogni di ciascuno.

Attenzione particolare è stata data all’art.12 della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Esso prevede infatti il diritto dei bambini di essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni. 

Tutti i bambini hanno il diritto di esprimere i propri sogni.

Altro concetto analizzato dalla mostra è stato l’invisibilità. Non necessariamente conseguenza della povertà, essa passa attraverso la mancanza di attenzioni, di amore, di uno sguardo che si posa sull’individuo, restituendogli la gioia di “essere guardato”, di essere visibile!

Chi sono quindi i ragazzi invisibili?
A questa domanda hanno risposto gli scatti del fotografo Riccardo Lorenzi esposti in mostra e che hanno immortalato i ragazzi ospitati presso il Centro di Accoglienza Minori Stranieri non accompagnati presso l’Oratorio Salesiano San Luigi di Torino, la Comunità di Accoglienza Minori Stranieri dell’Istituto Salesiano San Paolo di Torino e la Casa di Accoglienza per Minori dell’Oratorio Salesiano di Casale Monferrato.

I visitatori sono stati inoltre condotti a sperimentare le difficoltà di far valere i propri diritti, e a scoprire come i Salesiani affrontano questa situazione, con il video “Shégués. I figli della strada di Lubumbashi”, promosso da Missioni Don Bosco. Shégués significa vagabondi, il nomignolo affibbiato ai bambini e ai ragazzi che vivono in strada a Lubumbashi (Repubblica Democratica del Congo).

Il percorso interattivo, dedicato in particolare ai ragazzi della terza media e delle scuole superiori, è strutturato in tre fasi consecutive per la durata di un’ora e mezzo e si avvale di supporti tecnologici audiovisivi per un maggior coinvolgimento del visitatore.

Siamo a disposizione per fornirvi ulteriori materiali di documentazione.

Grazie per la cortese attenzione, e buona giornata.

Antonio Labanca
Ufficio Stampa

Missioni Don Bosco
Telefono: +390113990157
Email: antonio.labanca@missionidonbosco.org
Web: www.missionidonbosco.org

Un nuovo gruppo nella Famiglia Salesiana: l’“Instituto Religioso das Irmàs Medianeiras da Paz”

Si riporta l’articolo pubblicato da AnsAgenzia iNfo Salesiana riguardo al nuovo decreto da parte del Rettor Maggiore, Don Angel Fernandez Artime, riguardo all’ingresso ufficiale dell’“Instituto Religioso das Irmàs Medianeiras da Paz” nella Famiglia Salesiana, il 32° gruppo:

(ANS – Roma) – Lunedì 4 febbraio il Rettor Maggiore, Don Angel Fernandez Artime, ha decretato ufficialmente l’ingresso dell’“Instituto Religioso das Irmàs Medianeiras da Paz” (Istituto Religioso delle Suore Mediatrici della Pace – IRIMEP) nella Famiglia Salesiana, di cui tale istituto diviene pertanto il 32° gruppo riconosciuto.

Il decreto firmato dal Rettor Maggiore riporta che tale decisione è arrivata a seguito della richiesta di suor Lucia Barbosa de Oliveira, Coordinatrice Generale dell’IRIMEP, e dopo il parere positivo espresso dal suo Consiglio, dei vescovi interessati e dell’Ispettore di Brasile-Recife, oltre che considerando la storia dell’Istituto, la fondazione ad opera di un salesiano e il rapporto spirituale e apostolico sempre mantenuto con i salesiani.

L’ingresso nella Famiglia Salesiana è stato un processo durato diversi anni. L’istituto venne fondato nel 1968 da mons. Antonio Campelo, salesiano e arcivescovo di Petrolina (Stato di Pernambuco, Brasile); alla morte di questi, nel 1984, le “Suore Mediatrici della Pace”, religiose appartenenti agli Istituti di Vita Consacrata di Diritto Diocesano, chiedono formalmente di entrare a far parte della Famiglia Salesiana.

È poi nel 1986 che Don Egidio Viganó, allora Rettor Maggiore, rispondendo ad una lettera delle medesime suore, scrisse: “Mi rallegro della vostra presenza nella Chiesa e mi congratulo con voi per i progressi che avete fatto, (nell’attesa) che questa fase dell’esperienza si concluda con i migliori risultati”.

Come si legge chiaramente nelle Costituzioni Salesiane:

“Da Don Bosco deriva un vasto movimento di persone che, in modi diversi, lavorano per la salvezza dei giovani”.

E questo istituto “condivide la missione di Don Bosco di lavorare per i poveri, gli abbandonati, le persone in pericolo e in zone dove la povertà è estrema”, ha riportato don Joan Lluis Playá, che ha visitato alcune delle opere sociali che le “Mediatrici della Pace” stanno sviluppando in Brasile.

Don Eusebio Muñoz, Delegato del Rettor Maggiore per la Famiglia Salesiana, ha espresso la sua grande gioia nel sapere che

“la Famiglia Salesiana continua a crescere, non solo numericamente, ma soprattutto a livello carismatico, perché dove c’è un membro che lavora come Don Bosco, questi lavora per la salvezza dei giovani più poveri”.

Dell’istituto fanno parte attualmente 70 religiose, coadiuvate da circa 300 collaboratori che condividono con le suore la missione pastorale e socio-educativa.

“Sono nate con la preoccupazione di raggiungere le località più remote della Chiesa, dove la povertà è davvero estrema – ha aggiunto don Playá –. Ho visitato, sotto la direzione del Rettor Maggiore, i luoghi in cui esse svolgono il loro apostolato e sono evidentemente ‘salesiani’, essendo delle missioni in mezzo ai giovani svantaggiati”.

Pubblicazione Cagliero 11 mese di Febbraio

Si rende nota la pubblicazione del bollettino mensile di Animazione Missionaria Salesiana “Cagliero 11” del mese di febbraio. All’interno saranno presenti delle testimonianze di alcuni missionari ed un’intenzione di preghiera.

Buona lettura!

 

 

 

Una famiglia vera, dove ognuno fa la sua parte

Ecco l’intervista, a cura de “La Voce” – settimanale della diocesi di Alessandria – a Manuela Cibin, insegnante, che ha parlato di che cosa volesse dire essere una Cooperatrice Salesiana:

Cosa vuol dire essere cooperatrice salesiana?

«Vuol dire essere laici che vivono l’idea e la spiritualità salesiana. Questo carisma lo portiamo nel mondo in cui viviamo: c’è chi si occupa d’oratorio, chi di scuola, chi di bambini. Personalmente vuol dire riconoscermi in un’identità prima di tutto cristiana, poi in secondo luogo salesiana. Tengo a sottolineare che tutti i salesiani cooperatori sono Chiesa e si riconoscono come cristiani cattolici».

Da quanto tempo è cooperatrice?

«Io lo sono da quattro anni. Anche se dai 15 anni sono cresciuta nelle scuole salesiane. Tutti coloro che vogliono diventare cooperatori possono partecipare a una serie di incontri, nei quali si cerca di capire se è lì che vogliono servire la Chiesa. Grazie a questi incontri di preghiera, accompagnati dalla visita di luoghi salesiani, io e mio marito abbiamo subito voluto intraprendere questo percorso».

Cosa s’intende con promesse e cosa vuol dire rinnovarle?

«La promessa inizia così: “O Padre, Ti adoro perché sei buono e ami tutti”. In questa promessa, come prima cosa ringraziamo di essere cristiani e di servire la Chiesa nella famiglia salesiana, e come seconda cosa promettiamo di portare nel mondo questo carisma, cercando di salvare le anime. Don Bosco, infatti, diceva: “Salvare anime… anime e non altro”. La promessa vale per sempre, rinnovandola vogliamo quindi festeggiare e ricordare la bellezza di questa famiglia. Soprattutto, facendolo in Cattedrale, sottolineiamo ancora di più la presenza di questa famiglia nel mondo della Chiesa e invitiamo tutti a farne parte».

Come influisce l’essere cooperatrice salesiana in famiglia?

«Abbiamo sempre cercato di crescere i nostri figli secondo la pedagogia salesiana caratterizzata dai tre pilasti di don Bosco: ragione, religione e amorevolezza. L’abbiamo prima messa in pratica nella famiglia, poi nei nostri rispettivi lavori».

E fuori dalla famiglia?

«Fuori sono un’insegnante della scuola primaria e sono stata anche catechista. Ho cominciato a lavorare come insegnante in una casa delle suore salesiane, loro mi hanno formata. Da loro ho imparato e respirato questa aria particolare. E ancora adesso, che lavoro in una scuola pubblica, mi sono portata dietro i loro insegnamenti».

Sabato avete letto la strenna…

«Sì, la strenna che il rettor maggiore manda tutti gli anni e che noi abbiamo letto e commentato insieme. Questo messaggio viene mandato a tutta la famiglia salesiana. Ci tengo a parlare di famiglia perché non siamo mai noi soli. Siamo sempre in contatto con gli altri due rami salesiani che sono salesiani di don Bosco e Fma ( Figlie di Maria ausiliatrice, ndr ). Una famiglia vera dove ognuno fa la sua parte».

 

Fabio Geda nel segno di don Bosco – La rivoluzione dell’allegria

Lo scrittore torinese Fabio Geda si racconta nell’intervista del Corriere, a cura di Anna Gandolfi, per presentare il libro che uscirà il 31 gennaio, il cui protagonista è Don Bosco: “Il demonio ha paura della gente allegra”.

Latino, inglese, biologia. «No, la terza no: tra le materie da portare a settembre non doveva proprio esserci». Un errore, ammesso anche dalla preside: «Voti trascritti male». La proposta è riconvocare i prof. «Invece i miei genitori dissero che ripassare biologia durante l’estate, comunque, non mi avrebbe fatto male». L’ineluttabile è una pagella appena consegnata. Fabio ha 17 anni e il suo umore è nero. «Dovevo lavare via il disappunto». L’oratorio salesiano dell’istituto Agnelli, vicino a casa e alla fabbrica di Mirafiori, è il posto giusto. Il pallone c’è, poi succede qualcosa. «Ciao, stai bene?»: la voce a bordo campo è quella di un sacerdote. Il ragazzino si blocca: «Sì, bene». Poco convincente. Silenzio. Si guardano negli occhi. L’uomo sorride: «Se stai bene tu, sto bene anche io». E se ne va. Sono passati trent’anni. Fabio ora si rivolge a noi: «Non lo conoscevo, ma quelle parole sono state un tatuaggio emotivo. E adesso vi spiego perché».

L’adolescente arrabbiato è Fabio Geda. Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare (in libreria dal 31 gennaio per Solferino) è la sua storia. Una storia autobiografica, che ci porta dentro e fuori dalla cronaca, nelle pieghe di una lezione sociale scritta quasi due secoli fa e che si rivela più attuale di molte lezioni che attuali vorrebbero essere. Geda racconta spesso i giovani: qui parte da sé, dagli studi in marketing finiti nel cassetto, dalla scelta del 1998 di lavorare con i minori e da quella, maturata undici anni dopo, di dedicarsi ai romanzi. Ma i due mondi — dell’impegno in comunità e di narratore — s’intrecciano, facendo di queste pagine un inno all’educare. Il solco è quello della rivoluzione di un sacerdote umile diventato santo: don Giovanni Bosco (1815-1888).

Se stai bene tu, sto bene anche io.

«Ogni volta che rifletto sul concetto di comunità educante, quel salesiano e quelle parole emergono dal passato come la più adeguata delle rappresentazioni. Persone che sfiorano geometrie complesse di persone che non conoscono, che trovano il coraggio di fermarsi a guardarle negli occhi dichiarando che in qualche modo il loro stare bene o male è connesso al proprio».

Don Bosco fonda la congregazione dei salesiani nel 1859. Il legame dello scrittore con loro è radicato: al San Luigi, oratorio nel quartiere dell’immigrazione tra il Po e la stazione di Porta Nuova, «ho chiuso il Ventesimo secolo inventandomi un mestiere per cui non avevo studiato». L’educatore. A Torino, con Torino. Città dove don Bosco lavora dal 1841 e che per l’autore del libro non è mai solo cornice.

Il futuro santo nasce povero ma è un leader naturale, a Chieri crea con gli amici «la Società dell’allegria» per raccontare storie e diffondere idee che contribuiscano a mantenere il buonumore. Quando si sposta in città trova frotte di migranti. Adulti, bambini randagi «che nell’Ottocento — riflette Geda — arrivavano dalle campagne, ieri dalla Sicilia e dalla Basilicata, oggi dall’Eritrea e dalla Nigeria. Molte storie si somigliano e stupisce come la società da esse continui a imparare poco. Invece di fare la guerra alla povertà facciamo la guerra ai poveri. Non riusciamo a integrare il loro dolore nel nostro vivere, forse non vogliamo». E il pensiero va ai barconi nel Mediterraneo.

Don Bosco fonda riviste, apre scuole. Il buon educatore per lui non è un arbitro sul trespolo ma l’allenatore che vive la partita, «cioè — ammette l’autore — proprio quello che volevo fare io». Quindi, la bordata: «Io la chiedo e la difendo una società che non abbia paura della diversità, che non arretri di fronte alla complessità». La sfida è anche dentro casa. «Non molto tempo fa, in una scuola del Veneto, sono partito con un pistolotto su quanto noi adulti abbiamo fiducia nelle nuove generazioni». Alza la mano un’alunna: «Forse dovreste averla anche in voi stessi». Colpito e affondato. «Dire che abbiamo fiducia nei giovani — è la tesi di Geda — non significa scaricare su di loro la responsabilità del cambiamento. Gli adolescenti di oggi sono i figli della prima generazione italiana a non aver mai neppure tentato una rivoluzione: la cosa migliore è ammettere, davanti ai ragazzi, che non abbiamo risposte ma vogliamo cercarle con loro». Navigando a vista fra troppe possibilità e ansia, in ciò che per gli psichiatri Miguel Benasayag e Gérard Schmit è «l’epoca delle passioni tristi». Don Bosco affermò: «Il demonio ha paura della gente allegra». Per Fabio il demonio è un fatto: «La resa alla retorica dell’odio e del nemico. Noi adulti — aggiunge — dobbiamo tenere alto il morale delle nuove generazioni instillando in loro un’equilibrata fiducia nel futuro». Senza scorciatoie: per realizzare i sogni serve impegno. «Diciamo ai ragazzi: se state bene voi, stiamo bene anche noi».
Una volta, parlando di come nascono i suoi libri, l’educatore-scrittore ha spiegato:

«Alcune storie, senza essere appuntate, continuano a ritornare. Queste storie chiedono di essere raccontate».

Come la sua. Come quella di don Bosco.

Gli incontri

L’autore Fabio Geda sarà a Verona il 4 febbraio (20.30, Auditorium Zanotto, Istituto Salesiano San Zeno, via Don Minzoni 50) e il 5 (17.30, Sede Centrale Banco Bpm, Piazza Nogara 2); il 6 sarà a Torino (20.30, Aula Magna del Cfp Cnos-Fap Valdocco, via Maria Ausiliatrice 36).

Nasce la generazione Laudato si

Ecco il testo integrale del Manifesto dei Giovani della Gmg 2019 per la cura della casa comune “Conversione ecologica in azione”. Articolo proveniente da Avvenire (www.avvenire.it/).

Noi, giovani cattolici della Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, intendiamo elevare i nostri cuori e le nostre menti in lode, gioia e gratitudine a Dio per il bellissimo dono della nostra amata “sorella Madre Terra”, secondo la felice espressione usata da San Francesco. Come Papa Francesco ci ha ricordato, allo stesso tempo siamo dolorosamente consapevoli che c’è “un grande deterioramento della nostra casa comune” (Laudato Si’, 61). Convinti che “possiamo cooperare come strumenti di Dio per la cura della creazione” (LS 14), chiediamo a tutti, e a noi stessi per primi, un’azione urgente per proteggere il nostro pianeta e le persone più povere e vulnerabili.

1) L’ingiustizia verso i poveri di oggi e le generazioni future

Il nostro futuro e il futuro di chi verrà dopo di noi sono in grave pericolo. L’umanità da tempo ha intrapreso un percorso irresponsabile di distruzione ambientale che rende già precario il presente e pregiudica il futuro. In primo luogo, a causa della crisi climatica stiamo già assistendo ad impatti devastanti in tutti i continenti, con l’aumento della temperatura media di 1°C. Il pianeta rischia poi di superare la soglia catastrofica di 1,5°C di riscaldamento globale, se l’accordo di Parigi non verrà attuato da tutti e in modo tempestivo. In secondo luogo, la crisi della biodiversità ci ha già condotti nel mezzo della sesta estinzione di massa, con specie animali e vegetali che scompaiono in modo irreversibile. A tale proposito, ci ricordano i vescovi latino-americani1 e il documento preparatorio del Sinodo sull’Amazzonia2 che le popolazioni indigene hanno un ruolo decisivo nel proteggere le proprie terre ancestrali dalle attività di sfruttamento indiscriminato. Inoltre, altre crisi correlate non meno importanti, come la crisi idrica, rendono ancora più allarmante lo stato della nostra casa comune.

Nella Laudato Si’ si sottolinea che “le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia.”(LS 161). Inoltre, come hanno riconosciuto i vescovi di tutti i continenti [l’attuale] “generazione non sta facendo abbastanza per lasciare un pianeta sano. Essere così miopi è commettere un’ingiustizia inaccettabile”.3

Siamo consapevoli che la crisi ecologica non è solo un’ingiustizia intergenerazionale, ma anche un’ingiustizia intragenerazionale nei confronti delle persone povere e più vulnerabili. Come ha scritto Papa Francesco, “Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera” (LS 48). Così accade che la crisi migratoria è strettamente correlata alla distruzione ambientale: “Molti di quanti possono a malapena permetterselo sono già costretti ad abbandonare le loro case e a migrare in altri luoghi, senza sapere come verranno accolti.” Il tempo stringe e molti leader non hanno ancora intrapreso con convinzione quelle trasformazioni necessarie per proteggere la nostra preziosa casa comune e tutti i suoi abitanti.

2) Un’autentica e urgente conversione ecologica

Riconosciamo che la crisi ecologica è sintomo di una crisi più profonda nel cuore umano, che ci ricorda la chiamata profetica di San Giovanni Paolo II a “stimolare e sostenere la ‘conversione ecologica’ che ha reso l’umanità più sensibile nei confronti della catastrofe verso la quale si stava incamminando.”5 Preghiamo che questo pellegrinaggio a Panama diventi un’importante pietra miliare nella conversione ecologica di tutti i partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù, poiché, per noi cristiani, “Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana” (LS 217).

Consapevoli della nostra parte di responsabilità nell’attuale crisi ecologica, sentiamo un profondo bisogno di pentimento. Secondo le parole di Papa Francesco, “una sana relazione con il creato è una dimensione della conversione integrale della persona, che comporta il riconoscimento dei nostri errori, peccati, vizi o negligenze e conduce al pentirsi di cuore, a cambiare dal di dentro”  (LS 218).

La Chiesa ha un ruolo fondamentale nel promuovere questa conversione ecologica al suo interno e in tutte le realtà sociali, economiche, politiche, istituzionali. Siamo incoraggiati dal modo in cui la Laudato Si’ è fonte di un’efficace opera per sollecitare tutti a prendersi cura del Creato, con innumerevoli iniziative in tutto il mondo che stanno guidando l’azione di trasformazione per un’ecologia integrale. Ma l’urgenza è tale che deve essere fatto molto di più da tutti e con maggiore immediatezza.

3) Il ruolo dei giovani cattolici

Come hanno riconosciuto i Padri sinodali, tra i giovani “c’è una forte e diffusa sensibilità per i temi ecologici e della sostenibilità, che l’enciclica Laudato Si’ ha saputo catalizzare”6. In modo particolare, questa sensibilità si traduce in un appello a tutte le classi dirigenti ad agire, perché “I giovani esigono da noi un cambiamento “(LS 13). Infatti, c’è un vivace movimento di giovani che sta crescendo in tutto il mondo e chiede con forza alla generazione al potere di prendere sul serio il cambiamento climatico e la crisi ecologica. Giovani attivisti stanno intraprendendo azioni senza precedenti, che vanno dal “climate strike” degli studenti alle azioni legali contro i governi per non aver fatto abbastanza per contrastare il cambiamento climatico.

In questo contesto, anche noi giovani cattolici ci stiamo facendo avanti come mai verificatosi prima. Prendiamo sul serio l’appello della Laudato Si’ che invita a prendere “decisioni drastiche per invertire la tendenza al riscaldamento globale ” (LS 175) e uniamo la nostra voce a quella profetica di tanti altri giovani impegnati per l’ambiente. Come ben espresso dai Padri sinodali, “I giovani  desiderano mettere a frutto i propri talenti, competenze e creatività e sono disponibili ad assumersi responsabilità”, facendo tesoro dell’esperienza degli anziani e della ricca tradizione culturale e spirituale della nostra Chiesa.

4) I nostri impegni

Siamo consapevoli che noi, giovani cattolici, non stiamo facendo abbastanza. Nonostante gli impegni assunti nelle precedenti conferenze sulla salvaguardia del creato, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù 2013 e 2016, non ci stiamo ancora mobilitando abbastanza per la nostra casa comune. Concretamente:

  • Ci impegniamo a vivere la Laudato Si’ nella concretezza della nostra esistenza quotidiana, sviluppando una “spiritualità ecologica” (LS 216) e adottando stili di vita sostenibili. Il cambiamento è possibile anche tramite piccole azioni quotidiane come “evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via” (LS211).
  • Ci impegniamo a studiare e comprendere meglio la questione ecologica, con l’obiettivo di promuovere e attuare quei cambiamenti che sono necessari a tutti i livelli: nelle nostre famiglie, scuole, università, ambienti di lavoro, circoli sportivi, attraverso i media e la cultura, ecc..
  • Ci impegniamo a sollecitare con coraggio i Vescovi ed i responsabili della Chiesa a prendere maggiormente sul serio la crisi ecologica. Guidati dall’appello di Papa Francesco per noi giovani cattolici ad essere provocatori, fare “lío” (che in spagnolo significa “fare chiasso” e “mobilitarsi”), saremo dei “disturbatori scomodi” ma creativi e positivi nelle nostre diocesi, parrocchie e comunità, per aiutare la Chiesa a uscire dall’indifferenza e da posizioni di comodo.
  • Ci impegniamo a sostenere la Chiesa offrendo il nostro tempo e i nostri talenti per animare le nostre comunità ad avere una migliore cura del creato; a collaborare, anche ad un livello più ampio, per interpellare in modo profetico e spingere all’azione i leader politici, dato che la Chiesa “deve affermare questa responsabilità nella sfera pubblica [per] proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso” (Caritas in veritate,51).
  • Ci impegniamo ad essere solidali e a collaborare, senza perdere la nostra identità e visione integrale dei problemi, con tutti coloro che, come il movimento ambientalista e altre realtà, stanno operando per difendere e custodire la nostra casacomune.

Per cambiare veramente, sarà importante operare assieme. L’unione fa la forza. È questo lo spirito con cui è nata la “Generazione Laudato Si”, una nuova rete di giovani cattolici per coordinare gli sforzi, imparare gli uni dagli altri e massimizzare il contributo di tutti7.

5) Le nostre richieste

Chiediamo ai Vescovi e ai responsabili della Chiesa di accelerare l’attuazione della Laudato Si’:

  • Incoraggiando la conversione ecologica in corso attraverso programmi educativi e di formazioneatuttiilivelli,accompagnatidainiziativespecialipercoltivareladimensione ecologica della nostra fede, anche attraverso la celebrazione annuale del Tempo del Creato8. Occorre quindi superare un interesse spesso marginale ed episodico per passare ad un impegno sistematico e organico.
  • Promuovendo una conversione degli stili di vita indirizzata alla semplicità e alla sostenibilità, attraverso l’impegno a passare nelle strutture ecclesiali al 100% di energia rinnovabile e raggiungere l’obiettivo di emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2030 oprima.
  • Adottando linee guida sugli investimenti etici che allontanino i capitali dai combustibili fossili (“divestment”), considerato che, se si svuole rispettare il limite dell’accordo di Parigi, dobbiamo “mantenere nel sottosuolo la maggior parte del carburante fossile”9; come indicato nel documento finale del Sinodo sui Giovani(153).
  • Assumendo le indicazioni del Sinodo sui giovani e i lavori di preparazione del prossimo Sinodo sull’Amazzonia, occorre sostenere i giovani nella realizzazione di programmi di cura della casa comune e, in particolare, di favorire progetti di difesa di quel “polmone del pianeta” (LS 38) che è la foresta amazzonica con i suoi abitantiindigeni.

Chiediamo inoltre ai leader politici e alle istituzioni competenti di affrontare con decisione e in modo urgente le principali questioni evidenziate anche dagli scienziati:

  • puntando al raggiungimento del 100% di energia rinnovabile, per “porre fine all’era dei combustibili fossili”10in linea con l’obiettivo dell’accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C;
  • attuando il Global Compact in ordine alle migrazioni, per affrontare il tema dei rifugiati ambientali affinché “nessuno sia lasciatoindietro”;
  • adoperandosi per proteggere almeno il 30% degli ecosistemi del pianeta entro il 2030, con attenzione speciale alle comunità indigene che vivono in queste regioni ad elevata biodiversità, in applicazione della Convenzione ONU sulla DiversitàBiologica;
  • impegnandosi attivamente per un accesso universale ed equo all’acqua potabile entro il2030, come previsto dall’obiettivo 6 degli SDGs (Sustainable Develompment Goals dell’Agenda 2030ONU;
  • adottando un modello di economia ‘circolare’, per superare il “mito moderno del progresso materiale illimitato” (LS 78) e il paradigma della “crescita illimitata” (LS 106).

Invitiamo tutti i giovani del mondo ad unirsi, oltre le differenze, per prenderci cura della casa comune.

Che San Francesco e i Santi Patroni della GMG 2019, ci benedicano e ci guidino in questo affascinante impegno.

Le sfide della scuola salesiana, oggi

José Miguel Núñez, sdb

Papa Benedetto XVI ha fatto un riferimento insistente, durante il suo Pontificato, all’emergenza educativa che vive l’Europa e ci ha impegnati ad andare “fino alle radici profonde di questa emergenza, per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida”. Il Papa emerito ha segnalato due cause “profonde” della crisi: da una parte, “un falso concetto di autonomia dell’uomo” e, d’altra parte, lo scetticismo ed il relativismo. La scuola cristiana nel Vecchio Continente è chiamata ad affrontare queste sfide ed a farlo ricuperando la identità che le è propria per dialogare con la cultura e far risuonare la Buona Notizia di Gesù Cristo nel nostro mondo, questo grande cortile dei gentili, che oggi continua più che mai discutendo di Dio.

La scuola cattolica non può diluirsi nel mare di alternative educative che hanno diritto di cittadinanza nella nostra società occidentale. Nessuna proposta educativa è neutra quando si tratta di comunicare valori e non solo di istruire. E nemmeno lo è la proposta della scuola cattolica che si gioca il suo essere e non essere, precisamente, nella sua identità, in quello di alternativo che può offrire alle famiglie che affidano l’educazione dei loro figli alle nostre istituzioni cercando –questo è sicuro – qualità educativa, però cercando anche (a volte senza saperlo esplicitare) uno stile educativo ed una proposta che aiuti a crescere persone mature, creative e con capacità di trasformare la realtà. La nostra proposta ha la sua ispirazione ed il suo fondamento nel Vangelo liberatore di Gesù Cristo, buona notizia per la vita e per la speranza delle persone. Il nostro quadro di valori si struttura attorno alla rivelazione di Dio e la antropologia che ne deriva. La scuola cattolica deve oggi riconquistare spazi di libertà per esprimere senza mezzi termini la propria proposta nelle nostre società plurali, libere e democratiche.

 

La scuola: un impegno della congregazione

  • Eredi di una lunga tradizione

L’educazione in tempi difficili:

  • Tempi di cambi profondi nella società del secolo XIX in cui Don Bosco porta avanti la sua opera; nasceva una nuova società basata sulla rivoluzione industriale, si passava da una società contadina ad una società urbana, da una società monarchica a quella repubblicana, si stava costruendo l’unità di Italia con tutti i problemi che ciò comportava.
  • Una società in cambiamento, con un forte sviluppo economico che stava generando una nuova classe sociale, la borghesia, a spese di una mano d’opera economica, facilmente reperibile, affamata …
  • Bambini senza scolarizzazione, analfabeti, molti di essi abbandonati od orfani, giovani esclusi dalla realtà sociale, la cui unica preoccupazione era, naturalmente, sopravvivere. Molti di essi, gente da galera.
  • Non doveva essere facile l’educazione. Non lo fu nei primi tempi di Valdocco e nemmeno lo fu quando, consolidata l’opera, il profilo dei destinatari della casa salesiana si “normalizzò”.
  • Ma Don Bosco capì che l’educazione era la principale leva per il cambio possibile in una società in evoluzione. Non speculò, non fece semplicemente assistenza sociale, ma diede impulso a un nuovo modo di intendere la proposta educativa autenticamente rivoluzionaria per il suo tempo. In cosa consisteva la sua originalità? Queste le sue parole:

“Due sono i sistemi in ogni tempo usati nella educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo. Il sistema Repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, e poi sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove sia necessario, il meritato castigo. Su questo sistema le parole e l’aspetto del Superiore debbono sempre essere severe, e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti.

Il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o di minacciare. Questo sistema è facile, meno faticoso e giova specialmente nella milizia e in generale tra le persone adulte ed assennate, che devono da se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi e alle altre prescrizioni.

Diverso e, direi, opposto è il sistema Preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare di modo che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l’amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tenere lontano gli stessi leggeri castighi”. (Don Bosco, Il Sistema Preventivo, 1877).

  • Una realtà viva

“La presenza salesiana nel campo dell’educazione formale e in particolare nella scuola è una delle più consistenti, significative e diffuse. Nel 2007 la Congregazione era responsabile di 1.208 Istituti scolastici di diversi livelli, con un po’ più di un milione di allievi, soprattutto nella fascia dei preadolescenti, anche se in quest’ultimo sessennio sono notevolmente cresciuti gli allievi delle scuole superiori, e in particolare di quelle di livello universitario. I Salesiani che lavorano nel campo scolastico sono 2286 a tempo pieno e 1364 a tempo parziale, con la collaborazione di una schiera assai grande di laici, quasi 60.000.

La scuola salesiana è una presenza cristiana significativa nel mondo dell’educazione e della cultura; aiuta i giovani a prepararsi dignitosamente per la vita e contribuisce a formare la mentalità ed a trasformare la società secondo i valori umani e cristiani; per questo è uno strumento fondamentale per l’evangelizzazione. In parecchie nazioni dell’Asia o dell’Africa la scuola è sovente l’unica forma di presenza di Chiesa consentita e in essa la comunità cristiana offre una testimonianza di servizio disinteressato ai settori più poveri della società, un ambiente umano permeato dai valori evangelici, come testimonianza silenziosa di Gesù Cristo e anche, per le famiglie cristiane del posto,  come una preziosa opportunità di educare cristianamente i propri figli.

In questi anni la Congregazione ha fatto un notevole sforzo per rinnovare la sua presenza in questo campo” (ACG 407).

  • Una scommessa rinnovata

Presenti nel mondo della scuola, noi salesiani abbiamo raccolto la sfida che ci ha lanciato Benedetto XVI nel Capitolo Generale 26: “Salesiani, affrontate l’emergenza educativa che viviamo in Europa”. Di fronte a questa “emergenza educativa”, Don Bosco ci ispira: educare è accompagnare per sviluppare tutte le potenzialità che come persone possediamo, inseriti nella nostra storia, illuminati dalla storia di Dio, aperti alla trascendenza, coinvolti nella realtà. E questo è ciò che pretendiamo fare in quella piattaforma privilegiata che è la scuola. In Europa i Salesiani curano 252 centri scolastici e 153 centri di formazione professionale nei quali si educano 182.000 allievi in 23 nazioni. La sfida, non c’è dubbio, è enorme. Ispirati dalla proposta liberatrice di Gesù di Nazareth, vogliamo continuare a sviluppare una proposta educativa-evangelizzatrice ben differenziata in una realtà sociale, libera e democratica, come è quella europea. Attraverso di essa, pretendiamo accompagnare persone nel loro processo di maturazione e di sviluppo integrale per incorporare nella società uomini e donne preparati, creativi e capaci di trasformazione. Come voleva Don Bosco, “buoni cristiani ed onesti cittadini”.

La scuola cristiana: una risposta Pastorale

La ragion d’essere di una scuola salesiana è la specificità della sua offerta educativa, chiaramente espressa nel suo proprio progetto educativo ed abilmente fatta conoscere alle famiglie interessate ad offrire ai propri figli una educazione di qualità. A volte abbiamo dato per scontato che l’intorno sociale nel quale le scuole salesiane realizzano il loro lavoro non abbia bisogno di ricevere informazioni su quello che facciamo e sulla finalità che giustifica ciò che facciamo. Ecco quindi una triste realtà: i dirigenti di molte scuole hanno ritenuto che il lavoro di elaborare, applicare, valutare ogni anno i loro progetti educativi non avesse alcuna importanza. Credevano che fosse una pura formalità” (Francesc Riu). Non è una formalità!

  • Identità ed alternativa
  • Una concezione organica della proposta educativo-pastorale

“In particolare, è importante assumere la visione unitaria e organica di una pastorale, centrata sulla persona del giovane e non tanto sulle opere o servizi, superando un settorialismo ancora presente nella pratica di tutti i giorni. Si deve anche irrobustire la dimensione comunitaria dell’azione pastorale che si manifesta soprattutto nell’impegno di costruire l’opera salesiana come una comunità educativo-pastorale, nella quale le persone occupano il centro, prevalgono i rapporti interpersonali, gli elementi di comunione e di collaborazione sulle preoccupazioni gestionali e organizzative. Un altro aspetto sul quale hanno insistito gli ultimi Capitoli è la mentalità progettuale, cioè, considerare l’azione pastorale come un cammino che si va sviluppando gradualmente secondo obiettivi precisi e verificabili, e non tanto come la somma di molteplici interventi e azioni poco collegate tra loro” (ACG 407).

  • La Scuola è – in se stessa – una risposta pastorale

“Si sottolinea l’urgenza attuale dell’impegno evangelizzatore nelle nostre scuole. Ci inseriamo nel panorama dei CFP e delle scuole cattoliche con il patrimonio pedagogico ereditato da San Giovanni Bosco e accresciuto dalla tradizione successiva (cfr. CG21, n.130).

Questa impresa si presenta particolarmente urgente e complessa proprio per i profondi cambiamenti di natura sociale, educativa e culturale in atto nelle nostre società. Occorre che ogni istituzione educativa offra una proposta educativa pastorale, rimanendo aperta ai valori condivisi nei contesti, che promuova l’apertura e l’approfondimento dell’esperienza religiosa e trascendente, e ripensa il “messaggio evangelico”, accettando il confronto vitale con il mondo dei linguaggi e con gli interrogativi della cultura. Perciò:

  • imposta l’intera attività alla luce della concezione cristiana della realtà, di cui Cristo è il centro (cfr. La scuola cattolica, 33);
  • orienta i contenuti culturali e la metodologia educativa secondo una visione di umanità, di mondo, di storia ispirati al Vangelo (cfr. La scuola cattolica, 34);
  • promuove la condivisione dei valori educativo pastorali espressi soprattutto nel PEPS (cfr. La scuola cattolica, 66);  
  • favorisce l’identità cattolica attraverso la testimonianza degli educatori e la costituzione di una comunità di credenti animatrice del processo di evangelizzazione (cfr. La scuola cattolica, 53)” (Quadro di Riferimento della Pastorale Giovanile Salesiana, pag.194).
  • Le conseguenze che derivano dall’ “educare onesti cittadini e buoni cristiani”
  • Educhiamo ed evangelizziamo la cultura

Il modello teologico dell’Incarnazione del Verbo: come il Verbo assume la cultura e da dentro di essa “attraversa” gli elementi di peccato e di morte che si annidano nella medesima cultura, facendo sorgere una “vita nuova” nella risurrezione… allo stesso modo, l’azione evangelizzatrice penetra la cultura, si identifica con essa e fa “morire” gli elementi di oscurità e di peccato per far sorgere una cultura nuova: persone nuove, cittadini attivi, coinvolti, orizzonte culturale di vita per tutti…

  • Andare a fondo nella relazione educazione ed evangelizzazione

È per noi una necessità. Forse troviamo qui il punto nodale che più ci preoccupa: come fare una educazione evangelizzatrice? Qual è la relazione intrinseca tra educazione ed evangelizzazione?

“L’evangelizzazione viene misurata sul terreno umano che incontra. Assume e rigenera la vita quotidiana dei giovani e la loro esigenza di senso e pienezza a quanto accade nel loro mondo. L’evangelizzazione richiede il supporto culturale dell’educazione, poiché orienta alla maturazione in umanità, illumina, propone, interpella la libertà. L’educazione è fondamentale per la costruzione della persona e interessa tutti coloro ai quali sta a cuore il bene dell’uomo. L’evangelizzazione, da parte sua, tutta orientata verso l’uomo vivente, trova efficacia negli approcci pedagogici. Il messaggio cristiano si colloca così in ottica educativa, si offre nella logica di un progetto che favorisca una crescita vera ed integrale. L’evangelizzazione sembra attraversata dalle istanze dell’educazione, ove può risuonare il Vangelo di Gesù Cristo, come condizione perché esso sia accolto nella sua verità”
(
Quadro cit., pag. 61-62).

Come realizzare questo nella scuola? Come vivere senza dissociazioni il nostro essere educatori-evangelizzatori?

  • Evangelizzare la cultura

Il criterio dell’Incarnazione. Il Verbo di Dio, nell’incarnazione, assume con tutte le conseguenze la natura umana. Solo assumendo la storia, dal di dentro di essa, Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione vince definitivamente il peccato e fa sorgere una realtà nuova. L’uomo e l’intera creazione sono liberati dal male, dal peccato, dall’oscurità e dalla morte trasformando definitivamente la storia e facendo di esse una storia di salvezza.

L’avvenimento di Cristo, Figlio di Dio, Salvatore, ci offre un criterio teologico per la nostra prassi pastorale. Già lo aveva annunciato in forma magistrale uno dei migliori teologi del secondo secolo, Ireneo di Lione (130 – 200) quando affermava, nella sua refutazione della Gnosi, che il Verbo incarnato redime l’uomo assumendo realmente la natura umana. Il principio teologico che ne deriva può essere enunciato affermando che quello che non si assume, non può essere redento.

Questo criterio teologico-pastorale ci porta a considerare che una corretta prassi evangelizzatrice dovrà essere inculturata, cioè dovrà assumere la cultura per poter annunciare Gesù Cristo dal di dentro di essa, con l’universo di comprensione, con le categorie e con il linguaggio comprensibili per il destinatario dell’annuncio. In questo senso, la Chiesa delle origini si converte nel modello missionario per noi. L’annuncio del Vangelo ha sempre cercato di inserirsi nella cultura dei destinatari del messaggio e di rendere comprensibile il messaggio della Rivelazione a giudei, greci o romani. Così ha cercato di fare la Chiesa in ogni tempo. Per questo, il Consiglio Vaticano II, riferendosi alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo contemporaneo, afferma: “L’adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli”.

Ebbene, l’assunzione della cultura non deve essere acritica, ritenendo come buoni tutti gli elementi che la configurano e determinano. Inculturare il messaggio non vuol dire un adeguamento culturale. Effettivamente, in ogni cultura ci sono anche elementi di morte, di oscurità e di peccato. Alla luce del principio teologico dell’Incarnazione del Verbo, è necessario affrontare tutto ciò che va contro l’uomo, la sua libertà, la sua capacità di amare, di essere immagine di Dio. Per questo il Vangelo è stato sempre contro-culturale. La proposta di Gesù, dal di dentro della realtà umana, va controcorrente a molti valori (o anti-valori) imperanti, fa crollare visioni equivoche o ambigue della persona e del mondo, mette in discussione maniere di vivere che non salvaguardano i diritti e la dignità delle persone, al di sopra di strutture o leggi ingiuste, per quanto possano apparire come accettate ed assunte sociologicamente.

Credo che il principio dell’incarnazione abbia un enorme valore per la nostra pastorale giovanile, se questa vuole davvero stimolare il dialogo della fede e della cultura. Ci mette di fronte le sfide di conoscere il mondo giovanile, di penetrare il suo universo, di collocarci interiormente come adulti che condividono ed assumono tutto ciò che di buono la stessa cultura giovanile contiene senza giudizi e condanne. Ma anche ci chiede audacia per proporre alternative critiche di fronte a modi di vivere che non liberano il cuore, che mettono un freno allo sviluppo delle potenzialità delle persone, che esibiscono criteri egoistici o che promuovono una cultura della banalità esistenziale scartando le grandi questioni che ogni essere umano deve affrontare per vivere con senso.

Ho l’impressione che la nostra pastorale giovanile è stata, in certe occasioni, troppo accomodante e poco alternativa. Facciamo un grande sforzo per vincere la causa dei giovani, amiamo quello che essi amano, inculturiamo il messaggio con i linguaggi adeguati (anche il nuovo spazio digitale), ma ci costa fatica proporre quanto di contro-culturale possiede il Vangelo e le sue conseguenze nella forma di vivere di chi davvero voglia seguire Gesù. L’invito e l’impegno sono contundenti: “Il Regno di Dio è qui, convertitevi e credete nel vangelo” (Mc 1,15). O, che è la stessa cosa, trasformare la vita, capovolgere le idee ed i criteri con cui ho condotto la mia vita fino ad ora per entrare nella logica evangelica, tante volte a contropelo di ciò che sembrerebbe normale. La conversione implica una autentica decostruzione culturale per poter far emergere una personalità credente, matura ed equilibrata, anche con la capacità di trasformare la realtà. La mia esperienza di lavoro pastorale in questi anni mi dice che non stiamo ottenendo facilmente che i giovani che partecipano alla nostra proposta giungano ad assumere vitalmente ciò che di radicale ed alternativo possiede il Vangelo. Continua a predominare una certa impalcatura mentale che in non poche occasioni è dissociata dalle opzioni più vitali.

D’altra parte, questo “assumere” la cultura e morire ai suoi elementi di morte, porta con sé una conseguenza importante: far sorgere la novità di Cristo che trasforma la vita delle persone e rinnova il mondo secondo il cuore di Dio. La Buona Notizia di Dio è innovativa, tocca il cuore delle persone, coinvolge in un nuovo modo di vivere l’esistenza e, in essa, le relazioni con gli altri. Il criterio dell’incarnazione illumina la prassi pastorale con i giovani un modo che questa apra dei canali per una trasformazione reale e solidaria della realtà, facendo leva non solo sulla persona ma anche sugli elementi strutturali, sociali e politici. A questo riguardo, la lotta contro le strutture ingiuste, il compromesso sociopolitico o il volontariato solidale saranno alcune delle “strategie-chiave” nell’accompagnamento dei giovani verso la tappa adulta di una fede in costante dialogo con la realtà culturale, testimoniale e credibile.

  • L’educatore – evangelizzatore

Non c’è dubbio che “nelle intenzioni operative di Don Bosco c’è, senza discussioni, il primato dello “spirituale”. Ogni figlio di Dio doveva (e deve) essere accompagnato vero l’incontro con il Signore”. Come lui stesso scrive nel prologo del Il Giovane Provveduto, solo un anno dopo che l’oratorio trovasse una sede stabile a Valdocco (1846): “Miei cari giovani, io vi amo tutti di cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai (…) Alzate gli occhi, o figliuoli miei, e guardate in alto…”. Non era solo un “manuale di preghiere”, ma una autentica proposta educativa che i primi destinatari dell’Oratorio avevano iniziato a vivere ed a sperimentare. Per Don Bosco si trattava di proporre ai giovani un nuovo stile di vita che li aiutasse a vivere nella virtù ed a servire il Signore con allegria. L’esperienza religiosa che proponeva loro era semplice e “di tutti i giorni”. Alla portata di tutti, era in relazione con il “sistema” e con il modo di vita che i ragazzi trovavano a Valdocco: l’importante non era il punto di partenza, ma il punto di arrivo, cioè fin dove Don Bosco poteva accompagnarli, qualunque fosse il bagaglio con cui ciascuno contava per iniziare il cammino.

In questo senso, è importante ricordare le tre biografie che Don Bosco scrisse tra il 1859 ed il 1864, nella tappa di maturità dell’Oratorio di Valdocco. Secondo il parere di uno studioso come Aldo Giraudo, “sono tra i documenti pedagogici e spirituali più importanti di Don Bosco ed una efficace illustrazione narrativa delle convinzioni e della pratica formativa del Santo (…) Questi scritti ci offrono gli elementi essenziali per comprendere il cuore del messaggio educativo di Don Bosco: la religiosità come centro unificatore e vitale del cammino formativo”.

Detto in altre parole, la “religione” nel sistema preventivo è uno degli elementi ineludibili ed imprescindibili. Significa “fare spazio alla Grazia che salva, coltivare il desiderio di Dio, favorire l’incontro con il Cristo Signore in quanto offre un senso pieno alla vita ed una risposta alla sete di felicità, inserirsi progressivamente nella missione della Chiesa”.

Naturalmente i tempi in cui viviamo sono molto differenti da quelli che si vivevano agli inizi a Valdocco, però alla luce dell’esperienza carismatica del sistemo preventivo possiamo dire che l’educatore con stile salesiano che educa con il cuore di Don Bosco è un credente, un testimone della fede che comunica la allegria del Vangelo liberatore di Gesù Cristo. Per questo affermiamo oggi che condividere carisma e missione porta salesiani e laici ad approfondire ogni volta di più il sistema preventivo di Don Bosco di fronte a tutte le sfide che la cultura attuale e le nuove povertà ci propongono, “per esplicitare le funzioni in ordine al superamento del malessere e della emarginazione giovanili; educazione etica, promozione della dignità della persona, compromesso socio-politico, esercizio della cittadinanza attiva, difesa dei diritti dei minori, lotta contro l’ingiustizia e costruzione della pace. Riconoscendo che nei giovani poveri si trovano apertura e disponibilità al Vangelo, annunciamo loro con coraggio Gesù Cristo e proponiamo loro cammini di fede”.

L’opzione della fede è una proposta in libertà. Naturalmente non tutti i bambini, gli adolescenti ed i giovani dei nostri progetti (o di qualunque delle nostre presenze) vivranno l’esperienza religiosa allo stesso modo. Alcuni non la vivranno nemmeno. Ma è importante la nostra identità. Essere quello che siamo. Essere quello che siamo chiamati ad essere. Ciò che è veramente decisivo oggi non è tanto il risultato della nostra azione quanto l’identità della proposta. Sapere da dove veniamo, chi siamo e verso dove vogliamo camminare. Se le nostre presenze o progetti fossero solo servizi sociali qualificati non avrebbero ragion d’essere ed avremmo adulterato il progetto di Don Bosco. Al contrario, nelle nostre case i giovani sono accolti senza discriminazioni e si offre loro un servizio educativo-pastorale curato e di qualità, li si accompagna con lo stile di Don Bosco, si offre loro una proposta integrale che li aiuti a sviluppare tutte le dimensioni della persona, Tra esse, l’apertura all’esperienza religiosa ed il cammino di fede per chi sia disponibile.

L’educatore con spirito salesiano è un testimone del Dio vivente. Un credente convinto, anche in mezzo alle difficoltà inerenti allo sviluppo del proprio progetto di vita. Disposto a fare un cammino ed a continuare a scoprire e maturare la fede in una comunità di riferimento. Nel rispetto del sentiero che ciascuno percorre esistenzialmente, è una persona aperta alla formazione permanente e disponibile a lasciarsi accompagnare da altri testimoni che camminano insieme a lui e che condividono spirito e missione.

  • Qualità educativa e pastorale
  • Qualificare la proposta, le équipe ed i mezzi   

“In questo campo della formazione pastorale si deve curare molto di più la sistematicità delle proposte, la loro ricaduta nella vita quotidiana delle opere, il coordinamento e la condivisione delle iniziative e dei programmi, un’impostazione secondo il modello della Pastorale Giovanile Salesiana che favorisca una visione più unitaria e integrale della pastorale; si deve curare, inoltre, il lavoro in équipe e in rete, e lo sviluppo di metodologie adeguate per affrontare positivamente la complessità della pastorale e superare il settorialismo”.
(AGC 407).

La scuola salesiana: sistema preventivo in atto

Una rinnovata sensibilità per dare più qualità educativa ed evangelizzatrice alla proposta educativo-pastorale che offriamo nelle nostre opere, attraverso un ripensamento del Sistema Preventivo per adeguarlo alle nuove sfide che presenta il mondo dell’educazione, alle nuove esigenze del lavoro con i giovani a rischio, all’urgenza di rinnovamento dell’evangelizzazione e dell’educazione alla fede (ACG 407).

  • Prima di tutto, le persone

La centralità della persona, la fiducia e la prossimità

  • Nel centro dell’azione educativa c’è il ragazzo. Non ci sono schemi preconcetti né uguali per tutti. Alcune intuizioni educative e la convinzione che in ogni ragazzo ci sono possibilità che bisogna risvegliare: c’è sempre un punto di accesso al bene. L’arte dell’educatore consiste nel saper trovare questo accesso, nel cogliere la misura del passo del ragazzo dal punto e dalla situazione in cui lui si trova: Michele Magone, Francesco Besucco e Domenico Savio. Oggi lo chiameremmo “Adattazione curriculare”. Non c’è nulla di più antieducativo del discriminatorio “caffè per tutti”.
  • L’educazione basata sulla “relazione” educativa: oggi la chiameremmo personalizzazione. Una relazione “dialogica” che si basa sull’affetto. Una relazione educativa che mantiene i “ruoli”. Non è una relazione di colleghi, ma una relazione asimmetrica: di adulto e di giovane. Ma una relazione che si adatta al passo, flessibile, vicina, affettuosa… ma che sempre è un punto di riferimento e che indica un “più lontano”.
  • Ragione, religione ed amorevolezza oltre gli stereotipi
  • “La familiarità genera l’amore, e l’amore, la confidenza…” (Lettera da Roma 1884). Il punto di partenza è la “familiarità”, l’ambiente positivo, la vicinanza, il dare il primo passo, lo spianare il cammino … “Non basta amare, è necessario che si rendano conto che sono amati…” (idem). Quando qualcuno si sente amato, si sblocca, è disposto all’apertura … si può intervenire educativamente.
  • Fiducia nell’educatore e fiducia in se stesso e nelle proprie possibilità: conto su di te …
  • Tutti gli studi attuali sulla “resilienza” confermano che la capacità di cambiamento di un giovane con difficoltà è legata all’incontro con un adulto che ha saputo offrigli uno sguardo di fiducia senza tenere conto del suo passato.
  • Come instaurare questa fiducia? Don Bosco, ben lontano da ricorrere e tecniche educative, solo risponderà: “con l’affetto”. Don Bosco riabilita la componente “affettiva” nella relazione educativa: senza affetto non c’è fiducia, senza fiducia non c’è educazione.
  • La “religione” nella proposta vitale di Don Bosco: come uomo del suo tempo, era convinto che la “religione” migliorasse le persone. Per questo la sua proposta era molto chiara: l’apertura a Dio, la “pratica religiosa”, il comportamento del “buon cristiano” erano assolutamente imprescindibili nel suo modo di concepire l’educazione.

Tradurre oggi il sistema preventivo:

  • Può dare qualche contributo il sistema preventivo di Don Bosco a questa società in cui viviamo ed ai problemi educativi che emergono?
  • Le situazioni socio-economiche e culturali delle nostre nazioni sono molto differenti a quelle di Torino nel secolo XIX. Eppure hanno una caratteristica comune: tutte e due sono società in crisi. Anche la nostra società è una società in cambiamento. Viviamo in un periodo di crisi, segnato da importanti cambi sul piano economico, tecnologico e culturale. Viviamo in una società che molti chiamano post-industriale, post-moderna, post-cristiana … e ciascuno di questi “post” indica un malessere, una stanchezza, la necessità di un cambiamento …
  • Come in ogni epoca di crisi sociale, la questione della trasmissione di “riferimenti” viene suscitata in modo cruciale, ed i problemi della gioventù si manifestano in modo clamoroso, specialmente quelli legati ai fenomeni migratori.

Vicinanza e dialogo en un mondo di solitudini:

  • Difficoltà nella famiglia: separazioni, divorzi, famiglie destrutturate …
  • Ragazzi soli, senza chi si occupi di loro, apparentemente hanno di tutto …
  • Fare il primo passo, immergersi nel loro mondo, comprendere, decifrare …
  • Non imporsi con la forza, ma cercando il “ragionevole” delle cose, cercando di dialogare, cercando di “negoziare”, patteggiare …

Cerca di farti amare più che di farti temere:

  • È la frase di Don Bosco a Don Rua quando lo fece Direttore a Mirabello. Don Rua, un uomo retto, amante dell’ordine e della disciplina… ma imparò dal cuore di Don Bosco.
  • L’autorità dell’educatore non sta nel suo “potere” né nel suo “sapere”. Sta nella sua credibilità e nella capacità di dimostrare affetto…
  • Quando un eduacatore conquista il cuore di un ragazzo, diventa capace di “intervenire” educativamente anche in forma decisa.
  • L’“amorevolezza” è una forma di vivere, un modo di concepire la vita che tocca le relazioni, il modo di situarsi di fronte alle persone. Si esprime nella bontà, nell’accoglienza, nella capacità di empatia, nella capacità di farsi amare… rispettando i ruoli.

Onesti cittadini e buoni cristiani:

  • Don Bosco “si fidò” dei ragazzi e fu capace di responsabilizzarli.
  • Puntò in alto: fece loro una proposta di spiritualità credibile e attuale che li aiutava a crescere e a dare pienezza alla loro vita.

A modo di conclusione

Come risponderebbe Don Bosco alla sfida che la realtà socioeducativa propone alle scuole salesiane dell’Europa?

  1. La costante preoccupazione per la formazione di “onesti cittadini e buoni cristiani” muoverebbe Don Bosco ad adottare le decisioni pertinenti per approfittare di questa nuova opportunità di migliorare la qualità educativa di tutte le sue scuole. Tutto questo senza rinunciare a nessuno dei suoi principi ed attingendo alle nuove possibilità di dotare i loro allievi delle competenze necessarie per la loro inserzione nella società.
  2. Con questi criteri, la risposta di Don Bosco alla nuova sfida educativa non sarebbe altra che programmare ed impulsare la necessaria riqualificazione dei quadri direttivi e del corpo docente delle diverse tappe educative. Programmando questo processo, Don Bosco non penserebbe tanto alle eventuali esigenze derivate dalla legge come piuttosto alla necessità di offrire ai giovani l’educazione che garantisca loro il doveroso esercizio della cittadinanza e, allo stesso tempo, renda agevole il loro incontro con il messaggio del Vangelo di Gesù.
  3. Questo vuol dire che Don Bosco non solo doterebbe le sue scuole delle risorse necessarie perché si compiano rigorosamente le norme stabilite dalle Autorità educative ed assicurino il necessario prestigio sociale, ma farebbe tutto ciò che fosse alla sua portata per fare in modo che i suoi progetti educativi garantiscano la piena realizzazione della sua missione educativa ed evangelizzatrice.
  4. La configurazione attuale delle Ispettorie ed i diversi modelli di direzione e di gestione che si sono generalizzati in molte scuole salesiane obbligano le delegazioni ispettoriali delle scuole ad assumere l’iniziativa nell’impulso del necessario rinnovamento di ciascuna di esse, soprattutto nell’ambito della riqualificazione delle équipe direttive e del corpo docente.
  5. Le scuole salesiane potranno realizzare questo compito nell’ambito dell’autonomia che la legge riconosce loro, ma l’esercizio di questa autonomia richiederà che le loro équipe direttive ricevano l’aiuto adeguato, dal momento che si esigerà loro una qualificazione specifica per il compito che ora viene affidato alle loro mani. Le nostre scuole dovranno avere alla loro portata gli strumenti necessari per fronteggiare questa sfida ed anche si dovrà pensare ad un opportuno disegno di proposte di formazione per tutto il corpo docente.

Panama 2019 – #WeAreDonBosco

Si riporta qui a seguire un articolo proveniente dalla redazione di AnsAgenzia Info Salesiana – riguardo alle prime notizie provenienti da Panama, dalla Giornata Mondiale della Gioventù 2019.

(ANS – Città di Panama) – “Noi Siamo Don Bosco”: è questo il motto, declinato nelle varie lingue, che le Procure Missionarie Salesiane di tutto il mondo rilanciano in occasione della GMG di Panama2019 e in vista della festa del Santo della Gioventù, il prossimo 31 gennaio. Le migliaia di pellegrini degli ambienti salesiani raccolti in questi giorni a Panama sono pertanto invitati a testimoniare la propria salesianità diffondendo il messaggio: #WeAreDonBosco.

Diversi sono i motivi che hanno portato a quest’iniziativa. Innanzitutto, la particolarità di questo gennaio, già di per sé “mese salesiano”, ma che quest’anno è anche quello della GMG, che si svolge nella città dove i salesiani sono presenti da oltre 100 anni, in un Paese che ama Don Bosco visceralmente.

Poi c’è il desiderio di collaborazione e unità tra le diverse Procure Missionarie Salesiane, che si vuole esprimere anche attraverso messaggi e progetti di comunicazione comuni, consapevoli che il loro impegno non può prescindere dalla figura di Don Bosco, dal suo strenuo ancoraggio alla Chiesa cattolica, dalla sua proposta rivolta agli “ultimi” delle società e del mondo.

E poi c’è la realtà dei giovani del Movimento Giovanile Salesiano (MGS) alla GMG. Ogni GMG, infatti, vede in prima fila l’MGS, che quando si tratta di spiritualità giovanile, gioia, solidarietà e condivisione, “gioca sempre in casa” e costituisce pertanto un modello di rete mondiale fra i giovani credenti.

Alle GMG è facile incontrare in quelle occasioni gruppi provenienti da tutto il mondo, ed è facile notare la specificità salesiana dello stile e del contenuto del raduno: l’accoglienza che precede e che accompagna i pellegrini, il percorso formativo e spirituale che affianca gli appuntamenti ufficiali della “Giornata”, la gioia di chi vive esperienze simili che si attuano a distanza di continente, gli inni a Don Bosco nelle diverse lingue e nei diversi stili musicali, i numeri cospicui dei gruppi… Col procedere delle edizioni della GMG, diventa più palpabile l’estensione planetaria della Famiglia Salesiana: di volta in volta si aggiunge qualche Paese, qualche battipista esplora l’incontro e matura competenze per la proposta educativa nei suoi ambienti, piccole delegazioni vanno ad attingere entusiasmo e innescano relazioni; giovani suore e giovani religiosi vengono proiettati sullo scenario della responsabilità universale della Chiesa…

La proposta ai giovani ora è semplice: chi è a Panama condivida fotografie e post utilizzando gli hashtag #WeAreDonBoscoe #IAmSalesian, oltre agli altri suggeriti dalla GMG. Si potenzierà così il collegamento ideale fra tutti coloro che hanno confidenza con il mondo salesiano, e si permetterà di sentirsi partecipe anche a chi non è potuto andare a Panama.

Con “Noi Siamo Don Bosco” si vuole diffondere il messaggio che Don Bosco è vivo ancora oggi: nei 30mila religiosi e religiose che servono i giovani più bisognosi seguendo il suo modello e il suo stile; nei 3 milioni di persone che sono passate attraverso i programmi formativi salesiani; nelle 5.500 scuole salesiane nel mondo, nelle 330 case d’accoglienza per giovani in difficoltà, nei 1.100 centri di formazione professionale…

Ulteriori informazioni sono disponibili su www.missionidonbosco.org e su salesianmissions.org – sito, quest’ultimo, da cui è possibile scaricare, in inglese e spagnolo, una preghiera specifica per i giovani della GMG per richiedere l’intercessione di Don Bosco.