Fabio Geda nel segno di don Bosco – La rivoluzione dell’allegria

Lo scrittore torinese Fabio Geda si racconta nell’intervista del Corriere, a cura di Anna Gandolfi, per presentare il libro che uscirà il 31 gennaio, il cui protagonista è Don Bosco: “Il demonio ha paura della gente allegra”.

Latino, inglese, biologia. «No, la terza no: tra le materie da portare a settembre non doveva proprio esserci». Un errore, ammesso anche dalla preside: «Voti trascritti male». La proposta è riconvocare i prof. «Invece i miei genitori dissero che ripassare biologia durante l’estate, comunque, non mi avrebbe fatto male». L’ineluttabile è una pagella appena consegnata. Fabio ha 17 anni e il suo umore è nero. «Dovevo lavare via il disappunto». L’oratorio salesiano dell’istituto Agnelli, vicino a casa e alla fabbrica di Mirafiori, è il posto giusto. Il pallone c’è, poi succede qualcosa. «Ciao, stai bene?»: la voce a bordo campo è quella di un sacerdote. Il ragazzino si blocca: «Sì, bene». Poco convincente. Silenzio. Si guardano negli occhi. L’uomo sorride: «Se stai bene tu, sto bene anche io». E se ne va. Sono passati trent’anni. Fabio ora si rivolge a noi: «Non lo conoscevo, ma quelle parole sono state un tatuaggio emotivo. E adesso vi spiego perché».

L’adolescente arrabbiato è Fabio Geda. Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare (in libreria dal 31 gennaio per Solferino) è la sua storia. Una storia autobiografica, che ci porta dentro e fuori dalla cronaca, nelle pieghe di una lezione sociale scritta quasi due secoli fa e che si rivela più attuale di molte lezioni che attuali vorrebbero essere. Geda racconta spesso i giovani: qui parte da sé, dagli studi in marketing finiti nel cassetto, dalla scelta del 1998 di lavorare con i minori e da quella, maturata undici anni dopo, di dedicarsi ai romanzi. Ma i due mondi — dell’impegno in comunità e di narratore — s’intrecciano, facendo di queste pagine un inno all’educare. Il solco è quello della rivoluzione di un sacerdote umile diventato santo: don Giovanni Bosco (1815-1888).

Se stai bene tu, sto bene anche io.

«Ogni volta che rifletto sul concetto di comunità educante, quel salesiano e quelle parole emergono dal passato come la più adeguata delle rappresentazioni. Persone che sfiorano geometrie complesse di persone che non conoscono, che trovano il coraggio di fermarsi a guardarle negli occhi dichiarando che in qualche modo il loro stare bene o male è connesso al proprio».

Don Bosco fonda la congregazione dei salesiani nel 1859. Il legame dello scrittore con loro è radicato: al San Luigi, oratorio nel quartiere dell’immigrazione tra il Po e la stazione di Porta Nuova, «ho chiuso il Ventesimo secolo inventandomi un mestiere per cui non avevo studiato». L’educatore. A Torino, con Torino. Città dove don Bosco lavora dal 1841 e che per l’autore del libro non è mai solo cornice.

Il futuro santo nasce povero ma è un leader naturale, a Chieri crea con gli amici «la Società dell’allegria» per raccontare storie e diffondere idee che contribuiscano a mantenere il buonumore. Quando si sposta in città trova frotte di migranti. Adulti, bambini randagi «che nell’Ottocento — riflette Geda — arrivavano dalle campagne, ieri dalla Sicilia e dalla Basilicata, oggi dall’Eritrea e dalla Nigeria. Molte storie si somigliano e stupisce come la società da esse continui a imparare poco. Invece di fare la guerra alla povertà facciamo la guerra ai poveri. Non riusciamo a integrare il loro dolore nel nostro vivere, forse non vogliamo». E il pensiero va ai barconi nel Mediterraneo.

Don Bosco fonda riviste, apre scuole. Il buon educatore per lui non è un arbitro sul trespolo ma l’allenatore che vive la partita, «cioè — ammette l’autore — proprio quello che volevo fare io». Quindi, la bordata: «Io la chiedo e la difendo una società che non abbia paura della diversità, che non arretri di fronte alla complessità». La sfida è anche dentro casa. «Non molto tempo fa, in una scuola del Veneto, sono partito con un pistolotto su quanto noi adulti abbiamo fiducia nelle nuove generazioni». Alza la mano un’alunna: «Forse dovreste averla anche in voi stessi». Colpito e affondato. «Dire che abbiamo fiducia nei giovani — è la tesi di Geda — non significa scaricare su di loro la responsabilità del cambiamento. Gli adolescenti di oggi sono i figli della prima generazione italiana a non aver mai neppure tentato una rivoluzione: la cosa migliore è ammettere, davanti ai ragazzi, che non abbiamo risposte ma vogliamo cercarle con loro». Navigando a vista fra troppe possibilità e ansia, in ciò che per gli psichiatri Miguel Benasayag e Gérard Schmit è «l’epoca delle passioni tristi». Don Bosco affermò: «Il demonio ha paura della gente allegra». Per Fabio il demonio è un fatto: «La resa alla retorica dell’odio e del nemico. Noi adulti — aggiunge — dobbiamo tenere alto il morale delle nuove generazioni instillando in loro un’equilibrata fiducia nel futuro». Senza scorciatoie: per realizzare i sogni serve impegno. «Diciamo ai ragazzi: se state bene voi, stiamo bene anche noi».
Una volta, parlando di come nascono i suoi libri, l’educatore-scrittore ha spiegato:

«Alcune storie, senza essere appuntate, continuano a ritornare. Queste storie chiedono di essere raccontate».

Come la sua. Come quella di don Bosco.

Gli incontri

L’autore Fabio Geda sarà a Verona il 4 febbraio (20.30, Auditorium Zanotto, Istituto Salesiano San Zeno, via Don Minzoni 50) e il 5 (17.30, Sede Centrale Banco Bpm, Piazza Nogara 2); il 6 sarà a Torino (20.30, Aula Magna del Cfp Cnos-Fap Valdocco, via Maria Ausiliatrice 36).

Nasce la generazione Laudato si

Ecco il testo integrale del Manifesto dei Giovani della Gmg 2019 per la cura della casa comune “Conversione ecologica in azione”. Articolo proveniente da Avvenire (www.avvenire.it/).

Noi, giovani cattolici della Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, intendiamo elevare i nostri cuori e le nostre menti in lode, gioia e gratitudine a Dio per il bellissimo dono della nostra amata “sorella Madre Terra”, secondo la felice espressione usata da San Francesco. Come Papa Francesco ci ha ricordato, allo stesso tempo siamo dolorosamente consapevoli che c’è “un grande deterioramento della nostra casa comune” (Laudato Si’, 61). Convinti che “possiamo cooperare come strumenti di Dio per la cura della creazione” (LS 14), chiediamo a tutti, e a noi stessi per primi, un’azione urgente per proteggere il nostro pianeta e le persone più povere e vulnerabili.

1) L’ingiustizia verso i poveri di oggi e le generazioni future

Il nostro futuro e il futuro di chi verrà dopo di noi sono in grave pericolo. L’umanità da tempo ha intrapreso un percorso irresponsabile di distruzione ambientale che rende già precario il presente e pregiudica il futuro. In primo luogo, a causa della crisi climatica stiamo già assistendo ad impatti devastanti in tutti i continenti, con l’aumento della temperatura media di 1°C. Il pianeta rischia poi di superare la soglia catastrofica di 1,5°C di riscaldamento globale, se l’accordo di Parigi non verrà attuato da tutti e in modo tempestivo. In secondo luogo, la crisi della biodiversità ci ha già condotti nel mezzo della sesta estinzione di massa, con specie animali e vegetali che scompaiono in modo irreversibile. A tale proposito, ci ricordano i vescovi latino-americani1 e il documento preparatorio del Sinodo sull’Amazzonia2 che le popolazioni indigene hanno un ruolo decisivo nel proteggere le proprie terre ancestrali dalle attività di sfruttamento indiscriminato. Inoltre, altre crisi correlate non meno importanti, come la crisi idrica, rendono ancora più allarmante lo stato della nostra casa comune.

Nella Laudato Si’ si sottolinea che “le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia.”(LS 161). Inoltre, come hanno riconosciuto i vescovi di tutti i continenti [l’attuale] “generazione non sta facendo abbastanza per lasciare un pianeta sano. Essere così miopi è commettere un’ingiustizia inaccettabile”.3

Siamo consapevoli che la crisi ecologica non è solo un’ingiustizia intergenerazionale, ma anche un’ingiustizia intragenerazionale nei confronti delle persone povere e più vulnerabili. Come ha scritto Papa Francesco, “Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera” (LS 48). Così accade che la crisi migratoria è strettamente correlata alla distruzione ambientale: “Molti di quanti possono a malapena permetterselo sono già costretti ad abbandonare le loro case e a migrare in altri luoghi, senza sapere come verranno accolti.” Il tempo stringe e molti leader non hanno ancora intrapreso con convinzione quelle trasformazioni necessarie per proteggere la nostra preziosa casa comune e tutti i suoi abitanti.

2) Un’autentica e urgente conversione ecologica

Riconosciamo che la crisi ecologica è sintomo di una crisi più profonda nel cuore umano, che ci ricorda la chiamata profetica di San Giovanni Paolo II a “stimolare e sostenere la ‘conversione ecologica’ che ha reso l’umanità più sensibile nei confronti della catastrofe verso la quale si stava incamminando.”5 Preghiamo che questo pellegrinaggio a Panama diventi un’importante pietra miliare nella conversione ecologica di tutti i partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù, poiché, per noi cristiani, “Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana” (LS 217).

Consapevoli della nostra parte di responsabilità nell’attuale crisi ecologica, sentiamo un profondo bisogno di pentimento. Secondo le parole di Papa Francesco, “una sana relazione con il creato è una dimensione della conversione integrale della persona, che comporta il riconoscimento dei nostri errori, peccati, vizi o negligenze e conduce al pentirsi di cuore, a cambiare dal di dentro”  (LS 218).

La Chiesa ha un ruolo fondamentale nel promuovere questa conversione ecologica al suo interno e in tutte le realtà sociali, economiche, politiche, istituzionali. Siamo incoraggiati dal modo in cui la Laudato Si’ è fonte di un’efficace opera per sollecitare tutti a prendersi cura del Creato, con innumerevoli iniziative in tutto il mondo che stanno guidando l’azione di trasformazione per un’ecologia integrale. Ma l’urgenza è tale che deve essere fatto molto di più da tutti e con maggiore immediatezza.

3) Il ruolo dei giovani cattolici

Come hanno riconosciuto i Padri sinodali, tra i giovani “c’è una forte e diffusa sensibilità per i temi ecologici e della sostenibilità, che l’enciclica Laudato Si’ ha saputo catalizzare”6. In modo particolare, questa sensibilità si traduce in un appello a tutte le classi dirigenti ad agire, perché “I giovani esigono da noi un cambiamento “(LS 13). Infatti, c’è un vivace movimento di giovani che sta crescendo in tutto il mondo e chiede con forza alla generazione al potere di prendere sul serio il cambiamento climatico e la crisi ecologica. Giovani attivisti stanno intraprendendo azioni senza precedenti, che vanno dal “climate strike” degli studenti alle azioni legali contro i governi per non aver fatto abbastanza per contrastare il cambiamento climatico.

In questo contesto, anche noi giovani cattolici ci stiamo facendo avanti come mai verificatosi prima. Prendiamo sul serio l’appello della Laudato Si’ che invita a prendere “decisioni drastiche per invertire la tendenza al riscaldamento globale ” (LS 175) e uniamo la nostra voce a quella profetica di tanti altri giovani impegnati per l’ambiente. Come ben espresso dai Padri sinodali, “I giovani  desiderano mettere a frutto i propri talenti, competenze e creatività e sono disponibili ad assumersi responsabilità”, facendo tesoro dell’esperienza degli anziani e della ricca tradizione culturale e spirituale della nostra Chiesa.

4) I nostri impegni

Siamo consapevoli che noi, giovani cattolici, non stiamo facendo abbastanza. Nonostante gli impegni assunti nelle precedenti conferenze sulla salvaguardia del creato, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù 2013 e 2016, non ci stiamo ancora mobilitando abbastanza per la nostra casa comune. Concretamente:

  • Ci impegniamo a vivere la Laudato Si’ nella concretezza della nostra esistenza quotidiana, sviluppando una “spiritualità ecologica” (LS 216) e adottando stili di vita sostenibili. Il cambiamento è possibile anche tramite piccole azioni quotidiane come “evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via” (LS211).
  • Ci impegniamo a studiare e comprendere meglio la questione ecologica, con l’obiettivo di promuovere e attuare quei cambiamenti che sono necessari a tutti i livelli: nelle nostre famiglie, scuole, università, ambienti di lavoro, circoli sportivi, attraverso i media e la cultura, ecc..
  • Ci impegniamo a sollecitare con coraggio i Vescovi ed i responsabili della Chiesa a prendere maggiormente sul serio la crisi ecologica. Guidati dall’appello di Papa Francesco per noi giovani cattolici ad essere provocatori, fare “lío” (che in spagnolo significa “fare chiasso” e “mobilitarsi”), saremo dei “disturbatori scomodi” ma creativi e positivi nelle nostre diocesi, parrocchie e comunità, per aiutare la Chiesa a uscire dall’indifferenza e da posizioni di comodo.
  • Ci impegniamo a sostenere la Chiesa offrendo il nostro tempo e i nostri talenti per animare le nostre comunità ad avere una migliore cura del creato; a collaborare, anche ad un livello più ampio, per interpellare in modo profetico e spingere all’azione i leader politici, dato che la Chiesa “deve affermare questa responsabilità nella sfera pubblica [per] proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso” (Caritas in veritate,51).
  • Ci impegniamo ad essere solidali e a collaborare, senza perdere la nostra identità e visione integrale dei problemi, con tutti coloro che, come il movimento ambientalista e altre realtà, stanno operando per difendere e custodire la nostra casacomune.

Per cambiare veramente, sarà importante operare assieme. L’unione fa la forza. È questo lo spirito con cui è nata la “Generazione Laudato Si”, una nuova rete di giovani cattolici per coordinare gli sforzi, imparare gli uni dagli altri e massimizzare il contributo di tutti7.

5) Le nostre richieste

Chiediamo ai Vescovi e ai responsabili della Chiesa di accelerare l’attuazione della Laudato Si’:

  • Incoraggiando la conversione ecologica in corso attraverso programmi educativi e di formazioneatuttiilivelli,accompagnatidainiziativespecialipercoltivareladimensione ecologica della nostra fede, anche attraverso la celebrazione annuale del Tempo del Creato8. Occorre quindi superare un interesse spesso marginale ed episodico per passare ad un impegno sistematico e organico.
  • Promuovendo una conversione degli stili di vita indirizzata alla semplicità e alla sostenibilità, attraverso l’impegno a passare nelle strutture ecclesiali al 100% di energia rinnovabile e raggiungere l’obiettivo di emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2030 oprima.
  • Adottando linee guida sugli investimenti etici che allontanino i capitali dai combustibili fossili (“divestment”), considerato che, se si svuole rispettare il limite dell’accordo di Parigi, dobbiamo “mantenere nel sottosuolo la maggior parte del carburante fossile”9; come indicato nel documento finale del Sinodo sui Giovani(153).
  • Assumendo le indicazioni del Sinodo sui giovani e i lavori di preparazione del prossimo Sinodo sull’Amazzonia, occorre sostenere i giovani nella realizzazione di programmi di cura della casa comune e, in particolare, di favorire progetti di difesa di quel “polmone del pianeta” (LS 38) che è la foresta amazzonica con i suoi abitantiindigeni.

Chiediamo inoltre ai leader politici e alle istituzioni competenti di affrontare con decisione e in modo urgente le principali questioni evidenziate anche dagli scienziati:

  • puntando al raggiungimento del 100% di energia rinnovabile, per “porre fine all’era dei combustibili fossili”10in linea con l’obiettivo dell’accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C;
  • attuando il Global Compact in ordine alle migrazioni, per affrontare il tema dei rifugiati ambientali affinché “nessuno sia lasciatoindietro”;
  • adoperandosi per proteggere almeno il 30% degli ecosistemi del pianeta entro il 2030, con attenzione speciale alle comunità indigene che vivono in queste regioni ad elevata biodiversità, in applicazione della Convenzione ONU sulla DiversitàBiologica;
  • impegnandosi attivamente per un accesso universale ed equo all’acqua potabile entro il2030, come previsto dall’obiettivo 6 degli SDGs (Sustainable Develompment Goals dell’Agenda 2030ONU;
  • adottando un modello di economia ‘circolare’, per superare il “mito moderno del progresso materiale illimitato” (LS 78) e il paradigma della “crescita illimitata” (LS 106).

Invitiamo tutti i giovani del mondo ad unirsi, oltre le differenze, per prenderci cura della casa comune.

Che San Francesco e i Santi Patroni della GMG 2019, ci benedicano e ci guidino in questo affascinante impegno.

Le sfide della scuola salesiana, oggi

José Miguel Núñez, sdb

Papa Benedetto XVI ha fatto un riferimento insistente, durante il suo Pontificato, all’emergenza educativa che vive l’Europa e ci ha impegnati ad andare “fino alle radici profonde di questa emergenza, per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida”. Il Papa emerito ha segnalato due cause “profonde” della crisi: da una parte, “un falso concetto di autonomia dell’uomo” e, d’altra parte, lo scetticismo ed il relativismo. La scuola cristiana nel Vecchio Continente è chiamata ad affrontare queste sfide ed a farlo ricuperando la identità che le è propria per dialogare con la cultura e far risuonare la Buona Notizia di Gesù Cristo nel nostro mondo, questo grande cortile dei gentili, che oggi continua più che mai discutendo di Dio.

La scuola cattolica non può diluirsi nel mare di alternative educative che hanno diritto di cittadinanza nella nostra società occidentale. Nessuna proposta educativa è neutra quando si tratta di comunicare valori e non solo di istruire. E nemmeno lo è la proposta della scuola cattolica che si gioca il suo essere e non essere, precisamente, nella sua identità, in quello di alternativo che può offrire alle famiglie che affidano l’educazione dei loro figli alle nostre istituzioni cercando –questo è sicuro – qualità educativa, però cercando anche (a volte senza saperlo esplicitare) uno stile educativo ed una proposta che aiuti a crescere persone mature, creative e con capacità di trasformare la realtà. La nostra proposta ha la sua ispirazione ed il suo fondamento nel Vangelo liberatore di Gesù Cristo, buona notizia per la vita e per la speranza delle persone. Il nostro quadro di valori si struttura attorno alla rivelazione di Dio e la antropologia che ne deriva. La scuola cattolica deve oggi riconquistare spazi di libertà per esprimere senza mezzi termini la propria proposta nelle nostre società plurali, libere e democratiche.

 

La scuola: un impegno della congregazione

  • Eredi di una lunga tradizione

L’educazione in tempi difficili:

  • Tempi di cambi profondi nella società del secolo XIX in cui Don Bosco porta avanti la sua opera; nasceva una nuova società basata sulla rivoluzione industriale, si passava da una società contadina ad una società urbana, da una società monarchica a quella repubblicana, si stava costruendo l’unità di Italia con tutti i problemi che ciò comportava.
  • Una società in cambiamento, con un forte sviluppo economico che stava generando una nuova classe sociale, la borghesia, a spese di una mano d’opera economica, facilmente reperibile, affamata …
  • Bambini senza scolarizzazione, analfabeti, molti di essi abbandonati od orfani, giovani esclusi dalla realtà sociale, la cui unica preoccupazione era, naturalmente, sopravvivere. Molti di essi, gente da galera.
  • Non doveva essere facile l’educazione. Non lo fu nei primi tempi di Valdocco e nemmeno lo fu quando, consolidata l’opera, il profilo dei destinatari della casa salesiana si “normalizzò”.
  • Ma Don Bosco capì che l’educazione era la principale leva per il cambio possibile in una società in evoluzione. Non speculò, non fece semplicemente assistenza sociale, ma diede impulso a un nuovo modo di intendere la proposta educativa autenticamente rivoluzionaria per il suo tempo. In cosa consisteva la sua originalità? Queste le sue parole:

“Due sono i sistemi in ogni tempo usati nella educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo. Il sistema Repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, e poi sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove sia necessario, il meritato castigo. Su questo sistema le parole e l’aspetto del Superiore debbono sempre essere severe, e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti.

Il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o di minacciare. Questo sistema è facile, meno faticoso e giova specialmente nella milizia e in generale tra le persone adulte ed assennate, che devono da se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi e alle altre prescrizioni.

Diverso e, direi, opposto è il sistema Preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare di modo che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l’amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tenere lontano gli stessi leggeri castighi”. (Don Bosco, Il Sistema Preventivo, 1877).

  • Una realtà viva

“La presenza salesiana nel campo dell’educazione formale e in particolare nella scuola è una delle più consistenti, significative e diffuse. Nel 2007 la Congregazione era responsabile di 1.208 Istituti scolastici di diversi livelli, con un po’ più di un milione di allievi, soprattutto nella fascia dei preadolescenti, anche se in quest’ultimo sessennio sono notevolmente cresciuti gli allievi delle scuole superiori, e in particolare di quelle di livello universitario. I Salesiani che lavorano nel campo scolastico sono 2286 a tempo pieno e 1364 a tempo parziale, con la collaborazione di una schiera assai grande di laici, quasi 60.000.

La scuola salesiana è una presenza cristiana significativa nel mondo dell’educazione e della cultura; aiuta i giovani a prepararsi dignitosamente per la vita e contribuisce a formare la mentalità ed a trasformare la società secondo i valori umani e cristiani; per questo è uno strumento fondamentale per l’evangelizzazione. In parecchie nazioni dell’Asia o dell’Africa la scuola è sovente l’unica forma di presenza di Chiesa consentita e in essa la comunità cristiana offre una testimonianza di servizio disinteressato ai settori più poveri della società, un ambiente umano permeato dai valori evangelici, come testimonianza silenziosa di Gesù Cristo e anche, per le famiglie cristiane del posto,  come una preziosa opportunità di educare cristianamente i propri figli.

In questi anni la Congregazione ha fatto un notevole sforzo per rinnovare la sua presenza in questo campo” (ACG 407).

  • Una scommessa rinnovata

Presenti nel mondo della scuola, noi salesiani abbiamo raccolto la sfida che ci ha lanciato Benedetto XVI nel Capitolo Generale 26: “Salesiani, affrontate l’emergenza educativa che viviamo in Europa”. Di fronte a questa “emergenza educativa”, Don Bosco ci ispira: educare è accompagnare per sviluppare tutte le potenzialità che come persone possediamo, inseriti nella nostra storia, illuminati dalla storia di Dio, aperti alla trascendenza, coinvolti nella realtà. E questo è ciò che pretendiamo fare in quella piattaforma privilegiata che è la scuola. In Europa i Salesiani curano 252 centri scolastici e 153 centri di formazione professionale nei quali si educano 182.000 allievi in 23 nazioni. La sfida, non c’è dubbio, è enorme. Ispirati dalla proposta liberatrice di Gesù di Nazareth, vogliamo continuare a sviluppare una proposta educativa-evangelizzatrice ben differenziata in una realtà sociale, libera e democratica, come è quella europea. Attraverso di essa, pretendiamo accompagnare persone nel loro processo di maturazione e di sviluppo integrale per incorporare nella società uomini e donne preparati, creativi e capaci di trasformazione. Come voleva Don Bosco, “buoni cristiani ed onesti cittadini”.

La scuola cristiana: una risposta Pastorale

La ragion d’essere di una scuola salesiana è la specificità della sua offerta educativa, chiaramente espressa nel suo proprio progetto educativo ed abilmente fatta conoscere alle famiglie interessate ad offrire ai propri figli una educazione di qualità. A volte abbiamo dato per scontato che l’intorno sociale nel quale le scuole salesiane realizzano il loro lavoro non abbia bisogno di ricevere informazioni su quello che facciamo e sulla finalità che giustifica ciò che facciamo. Ecco quindi una triste realtà: i dirigenti di molte scuole hanno ritenuto che il lavoro di elaborare, applicare, valutare ogni anno i loro progetti educativi non avesse alcuna importanza. Credevano che fosse una pura formalità” (Francesc Riu). Non è una formalità!

  • Identità ed alternativa
  • Una concezione organica della proposta educativo-pastorale

“In particolare, è importante assumere la visione unitaria e organica di una pastorale, centrata sulla persona del giovane e non tanto sulle opere o servizi, superando un settorialismo ancora presente nella pratica di tutti i giorni. Si deve anche irrobustire la dimensione comunitaria dell’azione pastorale che si manifesta soprattutto nell’impegno di costruire l’opera salesiana come una comunità educativo-pastorale, nella quale le persone occupano il centro, prevalgono i rapporti interpersonali, gli elementi di comunione e di collaborazione sulle preoccupazioni gestionali e organizzative. Un altro aspetto sul quale hanno insistito gli ultimi Capitoli è la mentalità progettuale, cioè, considerare l’azione pastorale come un cammino che si va sviluppando gradualmente secondo obiettivi precisi e verificabili, e non tanto come la somma di molteplici interventi e azioni poco collegate tra loro” (ACG 407).

  • La Scuola è – in se stessa – una risposta pastorale

“Si sottolinea l’urgenza attuale dell’impegno evangelizzatore nelle nostre scuole. Ci inseriamo nel panorama dei CFP e delle scuole cattoliche con il patrimonio pedagogico ereditato da San Giovanni Bosco e accresciuto dalla tradizione successiva (cfr. CG21, n.130).

Questa impresa si presenta particolarmente urgente e complessa proprio per i profondi cambiamenti di natura sociale, educativa e culturale in atto nelle nostre società. Occorre che ogni istituzione educativa offra una proposta educativa pastorale, rimanendo aperta ai valori condivisi nei contesti, che promuova l’apertura e l’approfondimento dell’esperienza religiosa e trascendente, e ripensa il “messaggio evangelico”, accettando il confronto vitale con il mondo dei linguaggi e con gli interrogativi della cultura. Perciò:

  • imposta l’intera attività alla luce della concezione cristiana della realtà, di cui Cristo è il centro (cfr. La scuola cattolica, 33);
  • orienta i contenuti culturali e la metodologia educativa secondo una visione di umanità, di mondo, di storia ispirati al Vangelo (cfr. La scuola cattolica, 34);
  • promuove la condivisione dei valori educativo pastorali espressi soprattutto nel PEPS (cfr. La scuola cattolica, 66);  
  • favorisce l’identità cattolica attraverso la testimonianza degli educatori e la costituzione di una comunità di credenti animatrice del processo di evangelizzazione (cfr. La scuola cattolica, 53)” (Quadro di Riferimento della Pastorale Giovanile Salesiana, pag.194).
  • Le conseguenze che derivano dall’ “educare onesti cittadini e buoni cristiani”
  • Educhiamo ed evangelizziamo la cultura

Il modello teologico dell’Incarnazione del Verbo: come il Verbo assume la cultura e da dentro di essa “attraversa” gli elementi di peccato e di morte che si annidano nella medesima cultura, facendo sorgere una “vita nuova” nella risurrezione… allo stesso modo, l’azione evangelizzatrice penetra la cultura, si identifica con essa e fa “morire” gli elementi di oscurità e di peccato per far sorgere una cultura nuova: persone nuove, cittadini attivi, coinvolti, orizzonte culturale di vita per tutti…

  • Andare a fondo nella relazione educazione ed evangelizzazione

È per noi una necessità. Forse troviamo qui il punto nodale che più ci preoccupa: come fare una educazione evangelizzatrice? Qual è la relazione intrinseca tra educazione ed evangelizzazione?

“L’evangelizzazione viene misurata sul terreno umano che incontra. Assume e rigenera la vita quotidiana dei giovani e la loro esigenza di senso e pienezza a quanto accade nel loro mondo. L’evangelizzazione richiede il supporto culturale dell’educazione, poiché orienta alla maturazione in umanità, illumina, propone, interpella la libertà. L’educazione è fondamentale per la costruzione della persona e interessa tutti coloro ai quali sta a cuore il bene dell’uomo. L’evangelizzazione, da parte sua, tutta orientata verso l’uomo vivente, trova efficacia negli approcci pedagogici. Il messaggio cristiano si colloca così in ottica educativa, si offre nella logica di un progetto che favorisca una crescita vera ed integrale. L’evangelizzazione sembra attraversata dalle istanze dell’educazione, ove può risuonare il Vangelo di Gesù Cristo, come condizione perché esso sia accolto nella sua verità”
(
Quadro cit., pag. 61-62).

Come realizzare questo nella scuola? Come vivere senza dissociazioni il nostro essere educatori-evangelizzatori?

  • Evangelizzare la cultura

Il criterio dell’Incarnazione. Il Verbo di Dio, nell’incarnazione, assume con tutte le conseguenze la natura umana. Solo assumendo la storia, dal di dentro di essa, Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione vince definitivamente il peccato e fa sorgere una realtà nuova. L’uomo e l’intera creazione sono liberati dal male, dal peccato, dall’oscurità e dalla morte trasformando definitivamente la storia e facendo di esse una storia di salvezza.

L’avvenimento di Cristo, Figlio di Dio, Salvatore, ci offre un criterio teologico per la nostra prassi pastorale. Già lo aveva annunciato in forma magistrale uno dei migliori teologi del secondo secolo, Ireneo di Lione (130 – 200) quando affermava, nella sua refutazione della Gnosi, che il Verbo incarnato redime l’uomo assumendo realmente la natura umana. Il principio teologico che ne deriva può essere enunciato affermando che quello che non si assume, non può essere redento.

Questo criterio teologico-pastorale ci porta a considerare che una corretta prassi evangelizzatrice dovrà essere inculturata, cioè dovrà assumere la cultura per poter annunciare Gesù Cristo dal di dentro di essa, con l’universo di comprensione, con le categorie e con il linguaggio comprensibili per il destinatario dell’annuncio. In questo senso, la Chiesa delle origini si converte nel modello missionario per noi. L’annuncio del Vangelo ha sempre cercato di inserirsi nella cultura dei destinatari del messaggio e di rendere comprensibile il messaggio della Rivelazione a giudei, greci o romani. Così ha cercato di fare la Chiesa in ogni tempo. Per questo, il Consiglio Vaticano II, riferendosi alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo contemporaneo, afferma: “L’adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli”.

Ebbene, l’assunzione della cultura non deve essere acritica, ritenendo come buoni tutti gli elementi che la configurano e determinano. Inculturare il messaggio non vuol dire un adeguamento culturale. Effettivamente, in ogni cultura ci sono anche elementi di morte, di oscurità e di peccato. Alla luce del principio teologico dell’Incarnazione del Verbo, è necessario affrontare tutto ciò che va contro l’uomo, la sua libertà, la sua capacità di amare, di essere immagine di Dio. Per questo il Vangelo è stato sempre contro-culturale. La proposta di Gesù, dal di dentro della realtà umana, va controcorrente a molti valori (o anti-valori) imperanti, fa crollare visioni equivoche o ambigue della persona e del mondo, mette in discussione maniere di vivere che non salvaguardano i diritti e la dignità delle persone, al di sopra di strutture o leggi ingiuste, per quanto possano apparire come accettate ed assunte sociologicamente.

Credo che il principio dell’incarnazione abbia un enorme valore per la nostra pastorale giovanile, se questa vuole davvero stimolare il dialogo della fede e della cultura. Ci mette di fronte le sfide di conoscere il mondo giovanile, di penetrare il suo universo, di collocarci interiormente come adulti che condividono ed assumono tutto ciò che di buono la stessa cultura giovanile contiene senza giudizi e condanne. Ma anche ci chiede audacia per proporre alternative critiche di fronte a modi di vivere che non liberano il cuore, che mettono un freno allo sviluppo delle potenzialità delle persone, che esibiscono criteri egoistici o che promuovono una cultura della banalità esistenziale scartando le grandi questioni che ogni essere umano deve affrontare per vivere con senso.

Ho l’impressione che la nostra pastorale giovanile è stata, in certe occasioni, troppo accomodante e poco alternativa. Facciamo un grande sforzo per vincere la causa dei giovani, amiamo quello che essi amano, inculturiamo il messaggio con i linguaggi adeguati (anche il nuovo spazio digitale), ma ci costa fatica proporre quanto di contro-culturale possiede il Vangelo e le sue conseguenze nella forma di vivere di chi davvero voglia seguire Gesù. L’invito e l’impegno sono contundenti: “Il Regno di Dio è qui, convertitevi e credete nel vangelo” (Mc 1,15). O, che è la stessa cosa, trasformare la vita, capovolgere le idee ed i criteri con cui ho condotto la mia vita fino ad ora per entrare nella logica evangelica, tante volte a contropelo di ciò che sembrerebbe normale. La conversione implica una autentica decostruzione culturale per poter far emergere una personalità credente, matura ed equilibrata, anche con la capacità di trasformare la realtà. La mia esperienza di lavoro pastorale in questi anni mi dice che non stiamo ottenendo facilmente che i giovani che partecipano alla nostra proposta giungano ad assumere vitalmente ciò che di radicale ed alternativo possiede il Vangelo. Continua a predominare una certa impalcatura mentale che in non poche occasioni è dissociata dalle opzioni più vitali.

D’altra parte, questo “assumere” la cultura e morire ai suoi elementi di morte, porta con sé una conseguenza importante: far sorgere la novità di Cristo che trasforma la vita delle persone e rinnova il mondo secondo il cuore di Dio. La Buona Notizia di Dio è innovativa, tocca il cuore delle persone, coinvolge in un nuovo modo di vivere l’esistenza e, in essa, le relazioni con gli altri. Il criterio dell’incarnazione illumina la prassi pastorale con i giovani un modo che questa apra dei canali per una trasformazione reale e solidaria della realtà, facendo leva non solo sulla persona ma anche sugli elementi strutturali, sociali e politici. A questo riguardo, la lotta contro le strutture ingiuste, il compromesso sociopolitico o il volontariato solidale saranno alcune delle “strategie-chiave” nell’accompagnamento dei giovani verso la tappa adulta di una fede in costante dialogo con la realtà culturale, testimoniale e credibile.

  • L’educatore – evangelizzatore

Non c’è dubbio che “nelle intenzioni operative di Don Bosco c’è, senza discussioni, il primato dello “spirituale”. Ogni figlio di Dio doveva (e deve) essere accompagnato vero l’incontro con il Signore”. Come lui stesso scrive nel prologo del Il Giovane Provveduto, solo un anno dopo che l’oratorio trovasse una sede stabile a Valdocco (1846): “Miei cari giovani, io vi amo tutti di cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai (…) Alzate gli occhi, o figliuoli miei, e guardate in alto…”. Non era solo un “manuale di preghiere”, ma una autentica proposta educativa che i primi destinatari dell’Oratorio avevano iniziato a vivere ed a sperimentare. Per Don Bosco si trattava di proporre ai giovani un nuovo stile di vita che li aiutasse a vivere nella virtù ed a servire il Signore con allegria. L’esperienza religiosa che proponeva loro era semplice e “di tutti i giorni”. Alla portata di tutti, era in relazione con il “sistema” e con il modo di vita che i ragazzi trovavano a Valdocco: l’importante non era il punto di partenza, ma il punto di arrivo, cioè fin dove Don Bosco poteva accompagnarli, qualunque fosse il bagaglio con cui ciascuno contava per iniziare il cammino.

In questo senso, è importante ricordare le tre biografie che Don Bosco scrisse tra il 1859 ed il 1864, nella tappa di maturità dell’Oratorio di Valdocco. Secondo il parere di uno studioso come Aldo Giraudo, “sono tra i documenti pedagogici e spirituali più importanti di Don Bosco ed una efficace illustrazione narrativa delle convinzioni e della pratica formativa del Santo (…) Questi scritti ci offrono gli elementi essenziali per comprendere il cuore del messaggio educativo di Don Bosco: la religiosità come centro unificatore e vitale del cammino formativo”.

Detto in altre parole, la “religione” nel sistema preventivo è uno degli elementi ineludibili ed imprescindibili. Significa “fare spazio alla Grazia che salva, coltivare il desiderio di Dio, favorire l’incontro con il Cristo Signore in quanto offre un senso pieno alla vita ed una risposta alla sete di felicità, inserirsi progressivamente nella missione della Chiesa”.

Naturalmente i tempi in cui viviamo sono molto differenti da quelli che si vivevano agli inizi a Valdocco, però alla luce dell’esperienza carismatica del sistemo preventivo possiamo dire che l’educatore con stile salesiano che educa con il cuore di Don Bosco è un credente, un testimone della fede che comunica la allegria del Vangelo liberatore di Gesù Cristo. Per questo affermiamo oggi che condividere carisma e missione porta salesiani e laici ad approfondire ogni volta di più il sistema preventivo di Don Bosco di fronte a tutte le sfide che la cultura attuale e le nuove povertà ci propongono, “per esplicitare le funzioni in ordine al superamento del malessere e della emarginazione giovanili; educazione etica, promozione della dignità della persona, compromesso socio-politico, esercizio della cittadinanza attiva, difesa dei diritti dei minori, lotta contro l’ingiustizia e costruzione della pace. Riconoscendo che nei giovani poveri si trovano apertura e disponibilità al Vangelo, annunciamo loro con coraggio Gesù Cristo e proponiamo loro cammini di fede”.

L’opzione della fede è una proposta in libertà. Naturalmente non tutti i bambini, gli adolescenti ed i giovani dei nostri progetti (o di qualunque delle nostre presenze) vivranno l’esperienza religiosa allo stesso modo. Alcuni non la vivranno nemmeno. Ma è importante la nostra identità. Essere quello che siamo. Essere quello che siamo chiamati ad essere. Ciò che è veramente decisivo oggi non è tanto il risultato della nostra azione quanto l’identità della proposta. Sapere da dove veniamo, chi siamo e verso dove vogliamo camminare. Se le nostre presenze o progetti fossero solo servizi sociali qualificati non avrebbero ragion d’essere ed avremmo adulterato il progetto di Don Bosco. Al contrario, nelle nostre case i giovani sono accolti senza discriminazioni e si offre loro un servizio educativo-pastorale curato e di qualità, li si accompagna con lo stile di Don Bosco, si offre loro una proposta integrale che li aiuti a sviluppare tutte le dimensioni della persona, Tra esse, l’apertura all’esperienza religiosa ed il cammino di fede per chi sia disponibile.

L’educatore con spirito salesiano è un testimone del Dio vivente. Un credente convinto, anche in mezzo alle difficoltà inerenti allo sviluppo del proprio progetto di vita. Disposto a fare un cammino ed a continuare a scoprire e maturare la fede in una comunità di riferimento. Nel rispetto del sentiero che ciascuno percorre esistenzialmente, è una persona aperta alla formazione permanente e disponibile a lasciarsi accompagnare da altri testimoni che camminano insieme a lui e che condividono spirito e missione.

  • Qualità educativa e pastorale
  • Qualificare la proposta, le équipe ed i mezzi   

“In questo campo della formazione pastorale si deve curare molto di più la sistematicità delle proposte, la loro ricaduta nella vita quotidiana delle opere, il coordinamento e la condivisione delle iniziative e dei programmi, un’impostazione secondo il modello della Pastorale Giovanile Salesiana che favorisca una visione più unitaria e integrale della pastorale; si deve curare, inoltre, il lavoro in équipe e in rete, e lo sviluppo di metodologie adeguate per affrontare positivamente la complessità della pastorale e superare il settorialismo”.
(AGC 407).

La scuola salesiana: sistema preventivo in atto

Una rinnovata sensibilità per dare più qualità educativa ed evangelizzatrice alla proposta educativo-pastorale che offriamo nelle nostre opere, attraverso un ripensamento del Sistema Preventivo per adeguarlo alle nuove sfide che presenta il mondo dell’educazione, alle nuove esigenze del lavoro con i giovani a rischio, all’urgenza di rinnovamento dell’evangelizzazione e dell’educazione alla fede (ACG 407).

  • Prima di tutto, le persone

La centralità della persona, la fiducia e la prossimità

  • Nel centro dell’azione educativa c’è il ragazzo. Non ci sono schemi preconcetti né uguali per tutti. Alcune intuizioni educative e la convinzione che in ogni ragazzo ci sono possibilità che bisogna risvegliare: c’è sempre un punto di accesso al bene. L’arte dell’educatore consiste nel saper trovare questo accesso, nel cogliere la misura del passo del ragazzo dal punto e dalla situazione in cui lui si trova: Michele Magone, Francesco Besucco e Domenico Savio. Oggi lo chiameremmo “Adattazione curriculare”. Non c’è nulla di più antieducativo del discriminatorio “caffè per tutti”.
  • L’educazione basata sulla “relazione” educativa: oggi la chiameremmo personalizzazione. Una relazione “dialogica” che si basa sull’affetto. Una relazione educativa che mantiene i “ruoli”. Non è una relazione di colleghi, ma una relazione asimmetrica: di adulto e di giovane. Ma una relazione che si adatta al passo, flessibile, vicina, affettuosa… ma che sempre è un punto di riferimento e che indica un “più lontano”.
  • Ragione, religione ed amorevolezza oltre gli stereotipi
  • “La familiarità genera l’amore, e l’amore, la confidenza…” (Lettera da Roma 1884). Il punto di partenza è la “familiarità”, l’ambiente positivo, la vicinanza, il dare il primo passo, lo spianare il cammino … “Non basta amare, è necessario che si rendano conto che sono amati…” (idem). Quando qualcuno si sente amato, si sblocca, è disposto all’apertura … si può intervenire educativamente.
  • Fiducia nell’educatore e fiducia in se stesso e nelle proprie possibilità: conto su di te …
  • Tutti gli studi attuali sulla “resilienza” confermano che la capacità di cambiamento di un giovane con difficoltà è legata all’incontro con un adulto che ha saputo offrigli uno sguardo di fiducia senza tenere conto del suo passato.
  • Come instaurare questa fiducia? Don Bosco, ben lontano da ricorrere e tecniche educative, solo risponderà: “con l’affetto”. Don Bosco riabilita la componente “affettiva” nella relazione educativa: senza affetto non c’è fiducia, senza fiducia non c’è educazione.
  • La “religione” nella proposta vitale di Don Bosco: come uomo del suo tempo, era convinto che la “religione” migliorasse le persone. Per questo la sua proposta era molto chiara: l’apertura a Dio, la “pratica religiosa”, il comportamento del “buon cristiano” erano assolutamente imprescindibili nel suo modo di concepire l’educazione.

Tradurre oggi il sistema preventivo:

  • Può dare qualche contributo il sistema preventivo di Don Bosco a questa società in cui viviamo ed ai problemi educativi che emergono?
  • Le situazioni socio-economiche e culturali delle nostre nazioni sono molto differenti a quelle di Torino nel secolo XIX. Eppure hanno una caratteristica comune: tutte e due sono società in crisi. Anche la nostra società è una società in cambiamento. Viviamo in un periodo di crisi, segnato da importanti cambi sul piano economico, tecnologico e culturale. Viviamo in una società che molti chiamano post-industriale, post-moderna, post-cristiana … e ciascuno di questi “post” indica un malessere, una stanchezza, la necessità di un cambiamento …
  • Come in ogni epoca di crisi sociale, la questione della trasmissione di “riferimenti” viene suscitata in modo cruciale, ed i problemi della gioventù si manifestano in modo clamoroso, specialmente quelli legati ai fenomeni migratori.

Vicinanza e dialogo en un mondo di solitudini:

  • Difficoltà nella famiglia: separazioni, divorzi, famiglie destrutturate …
  • Ragazzi soli, senza chi si occupi di loro, apparentemente hanno di tutto …
  • Fare il primo passo, immergersi nel loro mondo, comprendere, decifrare …
  • Non imporsi con la forza, ma cercando il “ragionevole” delle cose, cercando di dialogare, cercando di “negoziare”, patteggiare …

Cerca di farti amare più che di farti temere:

  • È la frase di Don Bosco a Don Rua quando lo fece Direttore a Mirabello. Don Rua, un uomo retto, amante dell’ordine e della disciplina… ma imparò dal cuore di Don Bosco.
  • L’autorità dell’educatore non sta nel suo “potere” né nel suo “sapere”. Sta nella sua credibilità e nella capacità di dimostrare affetto…
  • Quando un eduacatore conquista il cuore di un ragazzo, diventa capace di “intervenire” educativamente anche in forma decisa.
  • L’“amorevolezza” è una forma di vivere, un modo di concepire la vita che tocca le relazioni, il modo di situarsi di fronte alle persone. Si esprime nella bontà, nell’accoglienza, nella capacità di empatia, nella capacità di farsi amare… rispettando i ruoli.

Onesti cittadini e buoni cristiani:

  • Don Bosco “si fidò” dei ragazzi e fu capace di responsabilizzarli.
  • Puntò in alto: fece loro una proposta di spiritualità credibile e attuale che li aiutava a crescere e a dare pienezza alla loro vita.

A modo di conclusione

Come risponderebbe Don Bosco alla sfida che la realtà socioeducativa propone alle scuole salesiane dell’Europa?

  1. La costante preoccupazione per la formazione di “onesti cittadini e buoni cristiani” muoverebbe Don Bosco ad adottare le decisioni pertinenti per approfittare di questa nuova opportunità di migliorare la qualità educativa di tutte le sue scuole. Tutto questo senza rinunciare a nessuno dei suoi principi ed attingendo alle nuove possibilità di dotare i loro allievi delle competenze necessarie per la loro inserzione nella società.
  2. Con questi criteri, la risposta di Don Bosco alla nuova sfida educativa non sarebbe altra che programmare ed impulsare la necessaria riqualificazione dei quadri direttivi e del corpo docente delle diverse tappe educative. Programmando questo processo, Don Bosco non penserebbe tanto alle eventuali esigenze derivate dalla legge come piuttosto alla necessità di offrire ai giovani l’educazione che garantisca loro il doveroso esercizio della cittadinanza e, allo stesso tempo, renda agevole il loro incontro con il messaggio del Vangelo di Gesù.
  3. Questo vuol dire che Don Bosco non solo doterebbe le sue scuole delle risorse necessarie perché si compiano rigorosamente le norme stabilite dalle Autorità educative ed assicurino il necessario prestigio sociale, ma farebbe tutto ciò che fosse alla sua portata per fare in modo che i suoi progetti educativi garantiscano la piena realizzazione della sua missione educativa ed evangelizzatrice.
  4. La configurazione attuale delle Ispettorie ed i diversi modelli di direzione e di gestione che si sono generalizzati in molte scuole salesiane obbligano le delegazioni ispettoriali delle scuole ad assumere l’iniziativa nell’impulso del necessario rinnovamento di ciascuna di esse, soprattutto nell’ambito della riqualificazione delle équipe direttive e del corpo docente.
  5. Le scuole salesiane potranno realizzare questo compito nell’ambito dell’autonomia che la legge riconosce loro, ma l’esercizio di questa autonomia richiederà che le loro équipe direttive ricevano l’aiuto adeguato, dal momento che si esigerà loro una qualificazione specifica per il compito che ora viene affidato alle loro mani. Le nostre scuole dovranno avere alla loro portata gli strumenti necessari per fronteggiare questa sfida ed anche si dovrà pensare ad un opportuno disegno di proposte di formazione per tutto il corpo docente.

Panama 2019 – #WeAreDonBosco

Si riporta qui a seguire un articolo proveniente dalla redazione di AnsAgenzia Info Salesiana – riguardo alle prime notizie provenienti da Panama, dalla Giornata Mondiale della Gioventù 2019.

(ANS – Città di Panama) – “Noi Siamo Don Bosco”: è questo il motto, declinato nelle varie lingue, che le Procure Missionarie Salesiane di tutto il mondo rilanciano in occasione della GMG di Panama2019 e in vista della festa del Santo della Gioventù, il prossimo 31 gennaio. Le migliaia di pellegrini degli ambienti salesiani raccolti in questi giorni a Panama sono pertanto invitati a testimoniare la propria salesianità diffondendo il messaggio: #WeAreDonBosco.

Diversi sono i motivi che hanno portato a quest’iniziativa. Innanzitutto, la particolarità di questo gennaio, già di per sé “mese salesiano”, ma che quest’anno è anche quello della GMG, che si svolge nella città dove i salesiani sono presenti da oltre 100 anni, in un Paese che ama Don Bosco visceralmente.

Poi c’è il desiderio di collaborazione e unità tra le diverse Procure Missionarie Salesiane, che si vuole esprimere anche attraverso messaggi e progetti di comunicazione comuni, consapevoli che il loro impegno non può prescindere dalla figura di Don Bosco, dal suo strenuo ancoraggio alla Chiesa cattolica, dalla sua proposta rivolta agli “ultimi” delle società e del mondo.

E poi c’è la realtà dei giovani del Movimento Giovanile Salesiano (MGS) alla GMG. Ogni GMG, infatti, vede in prima fila l’MGS, che quando si tratta di spiritualità giovanile, gioia, solidarietà e condivisione, “gioca sempre in casa” e costituisce pertanto un modello di rete mondiale fra i giovani credenti.

Alle GMG è facile incontrare in quelle occasioni gruppi provenienti da tutto il mondo, ed è facile notare la specificità salesiana dello stile e del contenuto del raduno: l’accoglienza che precede e che accompagna i pellegrini, il percorso formativo e spirituale che affianca gli appuntamenti ufficiali della “Giornata”, la gioia di chi vive esperienze simili che si attuano a distanza di continente, gli inni a Don Bosco nelle diverse lingue e nei diversi stili musicali, i numeri cospicui dei gruppi… Col procedere delle edizioni della GMG, diventa più palpabile l’estensione planetaria della Famiglia Salesiana: di volta in volta si aggiunge qualche Paese, qualche battipista esplora l’incontro e matura competenze per la proposta educativa nei suoi ambienti, piccole delegazioni vanno ad attingere entusiasmo e innescano relazioni; giovani suore e giovani religiosi vengono proiettati sullo scenario della responsabilità universale della Chiesa…

La proposta ai giovani ora è semplice: chi è a Panama condivida fotografie e post utilizzando gli hashtag #WeAreDonBoscoe #IAmSalesian, oltre agli altri suggeriti dalla GMG. Si potenzierà così il collegamento ideale fra tutti coloro che hanno confidenza con il mondo salesiano, e si permetterà di sentirsi partecipe anche a chi non è potuto andare a Panama.

Con “Noi Siamo Don Bosco” si vuole diffondere il messaggio che Don Bosco è vivo ancora oggi: nei 30mila religiosi e religiose che servono i giovani più bisognosi seguendo il suo modello e il suo stile; nei 3 milioni di persone che sono passate attraverso i programmi formativi salesiani; nelle 5.500 scuole salesiane nel mondo, nelle 330 case d’accoglienza per giovani in difficoltà, nei 1.100 centri di formazione professionale…

Ulteriori informazioni sono disponibili su www.missionidonbosco.org e su salesianmissions.org – sito, quest’ultimo, da cui è possibile scaricare, in inglese e spagnolo, una preghiera specifica per i giovani della GMG per richiedere l’intercessione di Don Bosco.

Fossano – Proposte di Formazione Professionale per giovani tra i 14 e 24 anni

Si pubblica un articolo proveniente da “La Piazza Grande – Fossano” riguardo ai Centri di Formazione Professionale ed in particolare quelli di origine salesiana:

Ormai da anni, precisamente dal 2003, la Formazione Professionale – particolarmente quella salesiana – ha strutturato percorsi formativi dotati di una metodologia organica, in grado di coniugare cultura del lavoro e cittadinanza . Esiste cioè un modello di Istruzione & Formazione Professionale che si è affermato perché prevede la personalizzazione del percorso (il cui elemento connotante è la valorizzazione delle potenzialità dei giovani, indipendentemente dai livelli di ingresso) nonché una didattica attiva declinata per competenze attraverso l’importanza attribuita ai laboratori, alle esperienze pratiche ed allo stage in impresa; da qui una relazione educativo-formativa che rende un Centro di Formazione Professionale una comunità nella quale formarsi è piacevole oltre che utile.

La didattica laboratoriale non è un modo per rendere attraenti contenuti inerti, non è costituita da sequenze operative di tipo addestrativo, né è un’attività avulsa dal piano formativo; è – invece- una metodologia per formare persone competenti tramite situazioni di apprendimento reali in cui gli Allievi sono chiamati a coinvolgersi attivamente svolgendo compiti e risolvendo problemi, così da scoprire e padroneggiare i saperi teorici sottostanti. Tali situazioni sono collocate entro un piano formativo che procede dalla pratica all’astrazione puntando sulla realizzazione di prodotti, ma che non deve condurre all’eccesso opposto rispetto a alla lezione teorica frontale, ossia non deve limitarsi alla sola operatività.

Quindi, il sapere che si acquisisce non è separato e non è separabile dalla pratica, ovvero dall’agire applicato a problemi reali; si apprende solo nell’azione, non osservando o mandando a memoria le nozioni oppure ripetendo meri gesti operativi; piuttosto, progressivamente, si acquisiscono saperi sempre più “fini” via via passando da una posizione di supporto ad una di apporto di idee, soluzioni, procedure, accorgimenti così che “si impara lavorando” ed -al tempo stesso- “si lavora imparando”. Occorre sostituire lo studente, colui che studia, con l’allievo, colui che impara dal maestro.

La chiave del rinnovamento didattico sta nel fare della scuola un laboratorio per la scoperta del sapere, così da restituire alla cultura la sua vitalità. L’Italia ha una splendida tradizione di «scuola professionale» o «scuola del lavoro». Ciò dagli albori dell’industrializzazione, specie attraverso le scuole professionali realizzate da don Bosco e dai Salesiani. Gli attuali Centri di Formazione Professionale del CNOS-FAP proseguono questa tradizione ovviamente contestualizzandola al presente, al cui centro resta l’idea del laboratorio come ambiente in cui i giovani possano scoprire il sapere, un luogo “prossimo” alla fonte della conoscenza compiuta. Perché si assiste all’intensificazione del “tono” d’azione nelle strutture educative che si premurano di sollecitare la partecipazione attiva dei propri allievi entro “cantieri d’opera” in situazione, rivolti esplicitamente, tramite l’appercezione viva della cultura, a dare risposte significative e valide alle problematiche, esigenze ed opportunità presenti nel contesto reale. Ciò accade con varie forme: l’alternanza scuola-lavoro, la fabbrica-laboratorio (FabLab), i laboratori riguardanti vari ambiti del sapere gestiti tramite unità di apprendimento interdisciplinari, gli scambi ed i concorsi, workshop ed eventi, fino anche a modalità di valutazione “competenti” tramite prove esperte e capolavori.

Don Enrico Peretti – Il Futuro del lavoro è la responsabilità condivisa tra tutti gli attori della comunità civile

Si pubblica un articolo proveniente da Parts Aftermarket Congress (un evento a cura della divisione Automotive di DBInformation) che riporta l’intervento di don Enrico Peretti, Direttore Generale CNOS FAP, che ha come filo conduttore il tema della Formazione. Buona lettura!

Al Parts Aftermarket Congress si è parlato anche di formazione. Una testata come Parts ritiene infatti suo dovere non solo diffondere la cultura del settore ma anche promuovere e supportare la formazione di chi entra a farne parte. Queste sono state le motivazioni che hanno portato due anni fa alla creazione del progetto Quality Pro, che vede la nostra rivista al fianco dei Centri Salesiani CNOS FAP in tutta Italia e che ha coinvolto importanti brand invitandoli a trasferire competenze e conoscenze tecnologiche nelle aule scolastiche.

Per parlare più approfonditamente del valore della formazione è stato chiamato Don Enrico Peretti, Direttore Generale CNOS FAP.

“In tutti gli interventi che mi hanno preceduto c’è un filo logico che ci porta ad affermare che la collaborazione è la nuova competizione. Credo su questo tema si debba aprire una finestra veramente importante, in particolare qui in Italia, dove la formazione purtroppo non gode ancora del rilievo che le è necessario. Spesso ci troviamo di fronte a situazioni che non ci lasciano molto sereni e vediamo continuamente rimettere in discussione i sistemi formativi; talvolta la scuola sembra tornare indietro quando è andata avanti, si pensi soltanto all’alternanza scuola-lavoro, che sicuramente andrà ripensata, corretta, ma non tolta. I Salesiani sono la congregazione fondata da Don Bosco, siamo presenti in 137 Paesi nel mondo e la nostra esperienza più comune è quella della formazione professionale, in particolare nel mondo del manifatturiero. Anche ai nostri giorni vediamo diverse analogie con i tempi di Don Bosco in cui era in atto la rivoluzione industriale: non abbiamo più i poveri ragazzi abbandonati in giro per le città, ma in questo momento in Italia ci sono oltre 280.000 Neet, ragazzi cioè che non sono impegnati né nello studio né nel lavoro o nella formazione, ma al contempo sappiamo di avere almeno 800.000 posizioni lavorative non coperte. Questo ci dice che forse è il sistema che deve ripensarsi, perché è vero che ci sono delle difficoltà ma è anche vero che ci sono dei cambi di mentalità che dobbiamo operare. Il mondo del lavoro ci chiama infatti ad essere attenti e capaci di incontrare tutte quante le proposte in maniera intelligente e con spirito di profondo adattamento”.

Secondo Don Peretti occorre quindi un salto di qualità alla formazione professionale, e le stesse aziende devono essere coprotagoniste: la collaborazione è infatti la nuova competizione, per fare del mondo della scuola e della formazione uno spazio adeguato alle esigenze.

“Tutto il mondo produttivo, tutto il territorio, tutte le pubbliche amministrazioni e le famiglie devono cominciare a pensare concretamente al futuro dei propri ragazzi preparandoli ad un inserimento costruttivo e maturo nel mondo del lavoro, altrimenti continueremo ad assistere a problemi che da educativi diventano sociali – ha sottolineato Peretti – dobbiamo renderci conto, per esempio, che è uno slogan sbagliato dire che la tecnologia e l’innovazione tecnologica producono la distruzione del lavoro, quando invece producono il cambiamento e opportunità lavorative: fino a 60 anni fa il 40% delle persone era impegnato nell’agricoltura, oggi siamo forse al 5%, ma non sono diminuite la capacità e l’offerta di lavoro. Occorre quindi capire quali sono le opportunità e dove deve orientarsi la formazione, tenendo conto che la formazione non è solo un compito del Ministero della Pubblica Istruzione e del Lavoro bensì di tutti i soggetti attivi nella società. Noi siamo impegnati su tutti i tavoli e siamo contenti quando assieme a noi c’è tutto il mondo produttivo, perché da sempre cerchiamo la collaborazione con l’azienda”.

In Italia ogni anno sono 2.250.000 i ragazzi formati dai Salesiani che intersecano il mondo della produzione. Appare dunque fondamentale che questo mondo non sia più sentito solo come lo spazio dello stage, ma che cominci esso stesso a collaborare per definire i progetti formativi.

“Dobbiamo fare in modo che il gap che c’è in questo momento tra l’apprendimento di base e il lavoro sia colmato dalla collaborazione delle aziende soprattutto nei contenuti, nell’accompagnamento, nella disponibilità di risorse e nella formazione dei formatori. Siamo convinti che soltanto in questo modo si possano superare le difficoltà che vediamo in questo momento nel mondo del lavoro, perché riteniamo che l’educazione è tale solo nella misura in cui abilita le persone a inserirsi nel mondo del lavoro e della produzione e a costruire la propria vita, la propria famiglia e la propria autonomia, essendo il lavoro anche un importante tema antropologico. Su questo credo sia necessario un salto di qualità. In Germania il 60% dei giovani interseca il mondo della formazione professionale nel proprio percorso di formazione, mentre in Italia sono meno del 40%.

Un progetto sicuramente interessante – continua Peretti – sarebbe quello di creare un ITS (Istituto Tecnico Superiore) insieme alle aziende del nostro settore, in modo che le nostre competenze di formazione e le competenze tecnologiche delle aziende vengano messe a frutto. Dobbiamo fare questi salti di qualità e per certi versi dobbiamo anche forzare la resistenza del mondo educativo italiano che è troppo ingessato, troppo fermo ad una formazione che parla ancora di conoscenze e non è capace di parlare di competenze reali di inserimento nel mondo del lavoro. Purtroppo, in Italia solo i decisori politici mettono mano al mondo della formazione: dobbiamo quindi chiedere il diritto, in quanto soggetti attivi della cittadinanza, di lavorare effettivamente alla produzione di nuove figure. Dobbiamo anche riflettere sul fatto che non esiste più una vita centrata sul posto di lavoro garantito per sempre, ma occorre essere capaci di preparare le persone ad adattarsi e a cambiare. Chi meglio della formazione professionale può offrire questo strumento? Noi offriamo al mondo della produzione che ci sta accanto uno spazio in cui rendere adeguate le persone alle esigenze del nuovo lavoro, fornendo gli strumenti per reinserirsi al meglio. Questo è quello che facciamo con i nostri ragazzi, e vediamo che chi considera la formazione professionale come prima scelta raggiunge competenze e risultati inaspettati. I corsi trino-quadriennali di qualifica e diploma di formazione professionale e i percorsi di ITS (Istituto Tecnico Superiore) li portano al livello delle competenze delle lauree”.

Il Direttore CNOS FAP ha concluso il suo intervento ricordando che siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa, e che quindi è più che mai necessario essere in grado di proporre dei poli di eccellenza che aiutino veramente il mondo produttivo ad avere persone preparate a lavorare nelle aziende.

“Il futuro del lavoro, che è anche il futuro di una società, è la responsabilità condivisa tra tutti gli attori della comunità civile – che sono le famiglie, il territorio, la scuola, la pubblica amministrazione, le aziende – di costruire una filiera verticale della formazione professionale che partendo dai ragazzi che escono dalla scuola media li accompagni e li segua nel lavoro. Le aziende e il mondo produttivo devono dunque diventare protagonisti nella formazione di queste persone”.

Nel mese di Don Bosco: ecco le proposte Elledici!

In preparazione alla festa di don Bosco ecco alcune proposte della Editrice Elledici legate alla Famiglia Salesiana:

Evangelii Gaudium con Don Bosco

Santi, perché no?

I consigli e i proverbi di Mamma Margherita

Don Guido Errico - Coautore Evangeli Gaudium con Don Bosco

L’invito alla GMG di Panama da parte di Don Angel!

Con la GMG di Panama ormai alle porte, ecco le parole di don Angel Fernández in un videomessaggio:

Carissimi giovani, andrò a Panama. Non vedo l’ora di vedervi alla Giornata Mondiale della Gioventù. La presenza del nostro Movimento Giovanile Salesiano deve essere molto speciale”

Ha detto il Rettor Maggiore, Don Angel Fernández – Rector Mayor – in un videomessaggio a tutti i partecipanti alla GMG 2019.
La GMG, più di un semplice evento internazionale di giovani cattolici di tutto il mondo con il Papa, è per i Salesiani una proposta di gruppo che unisce e fa crescere nella fede, nella condivisione, nella solidarietà e soprattutto nell’amicizia con Gesù!

Un invito speciale alla GMG!

“Carissimi giovani, andrò a Panama. Non vedo l’ora di vedervi alla Giornata Mondiale della Gioventù. La presenza del nostro Movimento Giovanile Salesiano deve essere molto speciale” ha detto il Rettor Maggiore, Don ANGEL Fernández-Rector MAYOR in un videomessaggio a tutti i partecipanti alla GMG 2019.La GMG, più di un semplice evento internazionale di giovani cattolici di tutto il mondo con il Papa, è per i Salesiani una proposta di gruppo che unisce e fa crescere nella fede, nella condivisione, nella solidarietà e soprattutto nell’amicizia con Gesù!

Publiée par Agenzia Info Salesiana – Ans sur Vendredi 18 janvier 2019

Papa Francesco – I salesiani portino gioia

Ecco un articolo proveniente da BlastingNews riguardo al commento di Papa Francesco sui figli di don Bosco:

“Ai ragazzi si deve portare questa notizia bella”.

Così scrive, in sintesi, Papa Francesco, nella prefazione al volume “Evangelii Gaudium con don Bosco”. Ci sono belle e vere notizie diverse da quelle “che passano ogni giorno sui giornali e la rete”, che possono essere veicolate dai “testimoni” di Gesù Risorto. Cosi hanno fatto don Bosco e tante altre figure della congregazione salesiana che, per primi, “si sono lasciati raggiungere dalla misericordia di Dio”.

Le parole del pontefice sono state commentate a Telepace News dal vescovo Enrico dal Covolo, il quale ha dichiarato di aver parlato personalmente con il Santo Padre di San Giovanni Bosco e soprattutto della “santità nella Famiglia Salesiana”.

La santità dei salesiani è nella gioia

Dalle parole di Bergoglio contenute nel volume sull’Evangelii Gaudium curato dal salesiano Antonio Carriero, traspare una grande stima per il carisma di questa congregazione religiosa.

L’opera contiene 25 contributi firmati da “grandi esperti” in diverse discipline, che mettono in rilievo il pensiero di Papa Francesco  per far fronte a situazioni di disagio culturale e sociale nel mondo giovanile.

Tutto ciò, naturalmente, in chiave salesiana, tenendo presente ciò che ha insegnato San Giovanni Bosco in tema di educazione e prevenzione del disagio giovanile.

“Voi salesiani siete fortunati”, scrive il pontefice rivolgendosi ai figli di don Bosco. Questo perché il santo piemontese sapeva essere sempre “gioioso”, affrontando la vita quotidiana nel migliore dei modi. Il Santo Padre fa riferimento a quel sano “ottimismo” con cui possono essere affrontate tutte le difficoltà. Del resto, la santità di don Bosco consisteva anche e soprattutto nel suo temperamento gioioso. La richiesta del Papa ai membri della congregazione è di essere portatori sani della gioia del Vangelo, proprio quella di cui è stato testimone il presbitero astigiano, e che conduce alla santità.

Il vescovo Enrico dal Covolo: ‘Papa Francesco parla di santità della porta accanto’

Il vescovo salesiano Enrico dal Covolo, intervistato da Telepace News, ha commentato la prefazione di Bergoglio al volume, dicendo che quanto affermato dal pontefice nella prefazione del libro coincide per molti aspetti con il modello di santità rappresentato da don Bosco. Quest’ultimo, infatti, era solito dire sempre ai suoi ragazzi: “Desidero vedervi felici”. Secondo l’Assessore al Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il Papa vorrebbe dai salesiani e da tutti i cristiani un’incarnazione nell’esistenza di quella “santità della porta accanto”. Ed è proprio questo “che rende belle e felici le persone”, come spiega ampiamente il Santo Padre stesso nell’esortazione “Gaudete et exsultate”.

Nel testo “Evangelii Gaudium con don Bosco” il pontefice ricorda la storia della nascita della famiglia salesiana. Nella Torino dell’Ottocento, quando nascevano le grandi fabbriche, cominciavano ad emergere con forza i grandi disagi sociali.

In questo contesto particolare si inserì l’azione di San Giovanni Bosco e di tanti altri santi da lui ispirati che seppero far fronte alle nascenti emergenze. Egli raccolse tanti “ragazzi soli, abbandonati, in balia dei padroni del lavoro, privi di ogni scrupolo”, accogliendoli in scuole e comunità nelle quali offriva loro la formazione adeguata.

Papa Francesco rivela di essere cresciuto in una di queste scuole, aggiungendo che chi lo ha accompagnato nella sua giovinezza lo ha “aiutato ad andare avanti nella gioia e nella preghiera”. Da qui la sua benevolenza nei confronti dei salesiani, di cui dice: “Mi hanno aiutato a crescere senza paura, senza ossessioni”.

Don Antonio Mazzi – Davanti a quel ragazzo di 14 anni mi sono sentito analfabeta

Si pubblica qui a seguire un articolo proveniente da FamigliaCristiana.it, riguardo al commento di don Antonio Mazzi – fondatore di Exodus (clicca qui per saperne di più) sullo scatto che ritrae le immagini di due giovani che fumano eroina sulla metro di Milano. Buona lettura!

Fanno il giro sul web le immagini agghiaccianti di due ragazzi che fumano eroina sulla metro gialla appena saliti alla fermata Rogoredo, alla periferia di Milano. Ragazzi che provenivano dal cosiddetto “Bosco della droga” perché di questo si tratta. Un punto di ritrovo del Nord Est di tutti coloro che consumano eroina. Don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus,
che effetto le fa?

«Per noi non esiste l’ effetto del 13 o del 17 gennaio, è un fenomeno che conosciamo molto bene e si esprime in varie maniere. È esploso e dobbiamo smettere di parlare solo di Rogoredo ma tornare alla vita quotidiana sennò ripetiamo l’ errore di Parco Lambro quando la droga da lì poi è andata in Stazione Centrale, per le strade, nelle piazze e nei sottopassi. Questa foto ci impressiona perché sono ragazzi mentre allora erano adulti, gente distrutta e disfatta. Questi sono giovani che hanno tutto a casa, non i disperati di 30 anni fa».

Lei è stato tra i primi a fare un salto a Rogoredo

«Quello che mi ha impressionato due mesi è che ho incontrato un ragazzo di 14 anni che andava a cercare lo spacciatore per prendere l’ eroina a tre euro e farsi tutta la cerimonia. Voleva bucarsi, sentire quell’emozione che non gli danno le droghe chimiche di cui si è stufato. “Ed è inutile che ci insegnate che si muore” mi ha detto “lo sappiamo perfettamente e sono fatti nostri”. Aveva bisogno dell’ emozione forte. Mi ha spiazzato che un quattordicenne mi tirasse fuori il vecchio rituale della siringa e del sangue perché deve provare lo sballo, visto che le droghe nuove ti mandano fuori di testa ma manca l’ emozione forte. Questo mi diceva: “io vado, compro l’ eroina, ho già la siringa, vado in un angolo e godo. Questo è il problema».

Che responsabilità abbiamo noi adulti?

«Di aver fatto dimenticare il passato ai nostri ragazzi, non gli dobbiamo insegnare come morivano una volta ma dare radici. Dove abbiamo buttato la cultura del passato? Gli adulti di oggi non hanno trasmesso la storia di ieri. Abbiamo dei ragazzi di 14 anni che non sanno niente di quello che è successo 15 anni fa. Questi sono ragazzi che nascono artificialmente. Invece noi siamo le radici dei nostri ragazzi, non quelle marce, ma quelle della storia anche positiva. Abbiamo tradito i nostri figli e non gli abbiamo dato le radici. Questo ragazzi di 14 anni veniva lì perché voleva emozioni. Punto».

Che risposte abbiamo noi adulti?

«Ieri la parte drammatica del Parco Lambro era drammatica perché drammatica era la vita; oggi il dramma di Rogoredo è che questi ragazzi vanno a cercare il dramma perché la vita è stupida. Quella era la droga che usciva dal dolore, dalla solitudine, dall’ ingiustizia questa che esce dal capriccio o dal non sapere cos’ è successo ieri. Oggi è l’ eroina, domani potrebbe essere il suicidio. Mancano le motivazioni delle emozioni in giovani che non hanno radici, diventano grandi artificialmente attraverso la Tv, la scuola che non è scuola e compagnie che non sono di amici ma di persone con cui passare il tempo. Davanti a quel ragazzo di 14 anni mi sono sentito analfabeta. Spiazzato. Non abbiamo un progetto né strumenti. Perché non gli diamo motivazioni».  

ASCOLTA L’INTERVISTA INTEGRALE A DON MAZZI