“Quale Chiesa dai giovani?” Le risposte dal Festival Internazionale della Creatività di Roma

Si pubblica, qui di seguito, l’articolo a cura di Stefania Careddu su “Avvenire” di Sabato 10 Marzo 2018 che delinea i tratti salienti e le nuove idee progettuali per il Sinodo dei giovani emerse dall’edizione europea, appena conclusasi, del Festival internazionale della Creatività nel management pastorale, che si è svolto nella Pontificia Università Lateranense, il 9 e il 10 marzo. Cuore pulsante della manifestazione il “Creative pastoral lab”, un laboratorio partecipativo nato con l’obiettivo di riformulare nuovi modelli di Chiesa attraverso lo sguardo delle nuove generazioni. “Quale Chiesa dai giovani”? era il tema di un evento, il cui filo conduttore è stato proprio il contributo di rinnovamento che il talento dei giovani può dare alla Chiesa. I partecipanti, oltre 150 da tante diocesi italiane con presenze anche dall’estero (Romania, Polonia e Austria, ndr), sono stati i veri protagonisti della kermesse, perché le nuove idee progettuali sono nate dal loro lavoro di gruppo.

Originalità e audacia per ringiovanire il volto della Chiesa

L’ascolto dei ragazzi e l’esigenza di un nuovo «paradigma» al centro del Festival della creatività. Parlano dal Covolo, Fabene, Saba, Chavez, Carpi
La Chiesa deve «ringiovanire il proprio volto» e per farlo ha bisogno dei giovani e della loro originalità. Si tratta di «mettere in discussione i modi di fare abituali e, a partire dall’ascolto, discernere con audacia e creatività le strade su cui il Signore la chiama», ha detto senza esitazione il vescovo Fabio Fabenesottosegretario del Sinodo, per il quale «il primo passo di una pastorale creativa non può che essere da parte degli adulti rispettare la novità e la diversità delle nuove generazioni, prendendole sul serio e senza giudicarle a priori». Intervenendo alla prima giornata del Festival internazionale della creatività sul tema “Quale Chiesa dai giovani”, organizzato a Roma dalla Scuola internazionale di management pastorale della Lateranense, insieme all’ateneo, a Creativ e alla Villanova University (Pennsylvania), Fabene ha chiarito che «non si può sperare in un’autentica riforma della Chiesa senza interpellare voci nuove e se necessario critiche, come sono quelle dei giovani». Sono loro, ha detto facendo riferimento anche al coinvolgimento nelle fasi del prossimo Sinodo, che «possono aiutarci a capire meglio cosa il Vangelo insegna, come si può vivere la fede nel nostro tempo e come la Chiesa può e deve rinnovarsi per adempiere sempre meglio la propria vocazione e la propria missione». È arrivato il momento di «abbandonare modi di fare ormai inefficaci, attività che hanno fatto bene ma che hanno fatto il loro tempo e sono arrivate al terminal», ha tagliato corto don Pascual Chavez, rettore maggiore emerito dei salesiani, che ha esortato ad «andare incontro ai ragazzi, lì dove si trovano, incoraggiandoli a non rinchiudere la loro vita in una cassaforte».
Occorre promuovere «una pedagogia dell’accoglienza, che comporta un’apertura all’inconosciuto e all’estraneo» e «una pedagogia della compagnia, che sia capace di accettare tutta la realtà e di inserirsi in un percorso», ha suggerito l’arcivescovo di Sassari, Gian Franco Saba, ricordando che questo «implica lo sforzo di non rinchiudersi nell’astrattismo e di recepire invece il plurale». Del resto, la formazione che «è l’architrave del cambiamento», non ha a che fare «con il riempire il sacco di qualcuno, ma – ha chiarito Saba – con l’opera del “plasmare” che punta a forgiare le potenzialità che già sono all’interno del soggetto».
«L’obiettivo della formazione è costituire uno stato profondo, una polarità dell’anima che orienti la vita», ha osservato da parte sua l’arcivescovo Enrico dal Covolo, rettore della Lateranense, evidenziando che «la via per uscire dalla crisi e dall’emergenza educativa è rappresentata dall’università la cui missione non è tanto quella professionalizzante quanto quella di creare menti e cuori aperti, che possano poi inserirsi in maniera feconda nelle varie occupazioni, vocazioni e situazioni in cui il giovane verrà a trovarsi». Soprattutto, ha rilevato il presule, in un momento di disorientamento, in «cui è crollata miserevolmente la scala dei valori», e di «disaffezione politica». La sfida è quella di «generare modelli di pastorale che sappiano ripensare le forme di annuncio e permettere alla Chiesa di avere uno sguardo giovane», ha concluso Giulio Carpi, direttore della Scuola di Management Pastorale, per il quale serve dunque «un cambiamento di paradigma».

I MIEI PAPI del Cardinal Tarcisio Bertone: Mercoledì 14 marzo 2018 a Valdocco, ore 17

Gli incontri, i ricordi, i segreti di un testimone del nostro tempo

“I MIEI PAPI” di Tarcisio Bertone – Editrice Elledici –

Mercoledì 14 marzo 2018 ore 17:00 Aula Sangalli – Valdocco

Il Cardinale Tarcisio Bertone ha vissuto i momenti salienti della storia contemporanea del Vaticano ed è oggi testimone del cuore della cattolicità.

Questo volume raccoglie un percorso che comprende sette incontri con i sette grandi Pontefici (Pio XII, Giovanni XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) che hanno costruito, negli ultimi settant’anni, la Chiesa che oggi viviamo.

Il volume si avvale della Prefazione del Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
Numerosi sono i richiami ai rapporti tra i Papi e il mondo salesiano.

Il libro – come scrive nella introduzione il Cardinale Ravasi – «è proprio una storia di incontri, un “percorso concreto”, come lo definisce il suo stesso autore che qui testimonia “il suo desiderio di incontrare i Papi”. L’itinerario che propone comprende una collana settenaria di incontri che partono da lontano e progressivamente si avvicinano fino al punto di trasformare l’incontro in un abbraccio».

L’avvincente lettura di questo libro di memorie, ricco di testimonianze inedite, permetterà di conoscere meglio la figura di questo Cardinale, ex Segretario di Stato del Vaticano, a contatto con i “suoi” Papi.

Il libro verrà presentato Mercoledì 14 marzo 2018, alle ore 17, presso la Sala Sangalli Valdocco, Via Maria Ausiliatrice, 32 a Torino, alla presenza dell’autore.
Sua Eminenza risponderà alle domande del giornalista Domenico Agasso jr. de La Stampa – Vatican Insider.

 

“È possibile rigenerare le vocazioni religiose anche con i social media?”

Si pubblica l’articolo di approfondimento di Missioni OMI – Rivista Mensile di Attualità Missionaria , a cura di suor Naike Monique Borgo, orsolina scm, in merito ai nuovi orizzonti ai quali la Pastorale Vocazionale può affacciarsi a cavallo di questa epoca social. 

Una riflessione sull’opportunità di
investire in una pastorale vocazionale attraverso i social

Nel giugno 2016 ho discusso una tesi in Strategie di Comunicazione all’Università di Padova intitolata “È possibile rigenerare le vocazioni religiose anche con i social media?”. La mia congregazione ha deciso di provare ad aprire strade nuove per la nostra missione chiedendomi prima di studiare e poi di occuparmi di comunicazione. Da tre anni collaboro per l’ambito comunicativo con alcuni uffici della diocesi di Vicenza, dove vivo. Vi starete forse chiedendo come ho impostato la tesi e, probabilmente, qualcuno starà pensando che i social media non sono affatto la soluzione al calo delle vocazioni religiose … sono però nuove frontiere periferiche, anche per la pastorale.

Vocazione religiosa: di cosa parliamo?

Il mio lavoro è stato uno studio limitato all’Italia. Discutendo in un’università molto laica, come è quella di Padova, ho dovuto spiegare cosa intendessi per vocazioni religiose, osando abbinarvi diverse competenze acquisite negli anni di studio. Se in questo contesto sappiamo bene cos’è la vocazione alla vita religiosa, non è altrettanto scontato pensare alla vocazione religiosa come “una vocazione alla felicità nel governo delle relazioni”, ovvero il riconoscimento di un bisogno alla felicità che si fa ricerca ed incontra Dio in una specifica chiamata. Oltre a tale bisogno, va anche individuata una specifica competenza richiesta ai religiosi: conoscere bene se stessi in quanto strumento prevalente nelle loro relazioni, perché la vita che scelgono è una vita di relazioni a tutti i livelli. Il “governo” delle relazioni non è inteso come potere, quanto piuttosto come la capacità di sapersi relazionare con i diversi pubblici che si incontrano e quindi come stile di servizio. Sembra banale, ma non possiamo dare per assodata la capacità di distinguere contesti, luoghi, persone e questo può talvolta creare imbarazzi reciproci: nel contesto sociale attuale italiano si usano sempre meno le formule di cortesia, per esempio, e la cultura pop (popolare) rischia di portarci ad un appiattimento generale, che noi nuove generazioni di religiosi respiriamo abbondantemente prima di entrare in congregazione. Distinguere luoghi e contesti permette anche di gestire non solo le relazioni, ma gli eventuali interventi, il modo di comportarsi, lo stesso modo di vestire e parlare… Regole che in qualche modo si rischia di perdere e che per un religioso che sceglie di “investire” tutta la propria vita nelle relazioni, al centro delle quali c’è quella con il Signore Gesù, sono fondamentali. Quindi, non “governo” come abuso o potere relazionale, quanto come capacità relazionale piena.

Le vocazioni religiose nell’Italia di oggi

Ho quindi indagato la situazione dei religiosi in Italia. Molti sono i dati che ho potuto recuperare grazie all’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. In Italia, le vocazioni religiose sono in forte diminuzione: nel 2002 c’erano 108mila religiose, mentre nel 2014 solo 82mila. I sacerdoti religiosi nel 2002 erano 18500, mentre nel 2012 15600; negli stessi anni i religiosi non sacerdoti erano rispettivamente 3700 e 3300. Questi dati vanno però contestualizzati all’interno di un significativo cambiamento della società italiana: aumentano le culture straniere presenti in Italia, le lingue e anche le religioni. La proposta della chiesa cattolica non è più esclusiva come fino a qualche decennio fa. Nello stesso tempo, però, bisogna sottolineare che il bisogno di spiritualità continua a persistere anche nei giovani, così come rivela uno studio promosso dall’Università Cattolica di Milano (Bichi R., Bignardi P. (a cura di), Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 2015): “Più di un intervistato ha sottolineato come il bello del credere risieda, in definitiva, nella stessa esperienza del credere. Cioè, nell’aver fede e nel trovarvi un fondamento per la propria speranza. Un’esperienza, come a volte essi stessi dicono, che “fa bene”. Anche quando l’oggetto della fede non dovesse essere individuato nella prospettiva cristiana”.

La chiesa e la comunicazione

I documenti della chiesa cattolica che si occupano di comunicazione sono stati oggetto di un altro intenso capitolo, nel quale ho messo in luce come da sempre la comunicazione sia stata centrale per la fede cristiana. La nostra è infatti una fede che ha come caratteristica la diffusione del Kérigma, ma viviamo in un contesto sociale i cui codici linguistici non rispondono più “all’ecclesialese” e i nostri messaggi rischiano di essere per “addetti ai lavori”. Anche per questo sono nate oltre cinquant’anni fa le Giornate mon- diali per le comunicazioni sociali, nei cui messaggi viene richiamata la preziosità dei mezzi di comunicazione, nonostante i timori ed i dubbi che, come ogni novità, hanno portato. Del resto, chi di noi ha dimestichezza con i mezzi di comunicazione, comprende facilmente come la comunicazione mediata abbia alcune caratteristiche che la comunicazione diretta non ha. Pensiamo alla sintesi di Twitter, alla possibilità di condivisione di contenuti che i social media e gli istant messaging come WhatsApp e Telegram permettono.

Come gestiamo la comunicazione?

La parte più rilevante della mia ricerca è consistita nell’indagine delle strategie di pastorale giovanile e vocazionale di alcune famiglie religiose. Inizialmente volevo trovare istituti da comparare con il mio, ma il lavoro si è notevolmente ampliato portandomi a considerare sia istituti maschili che femminili, di vita attiva e di vita claustrale, per un totale di venticinque casi… aggiungendo alcune perle da oltre oceano: una comunità di monache passioniste americane che “infrangono” la clausura gestendo una radio ed un’eremita inglese che utilizza l’e-commerce per pubblicizzare e vendere i propri prodotti. Casi particolari che mi hanno comunque fatto pensare alle buone pratiche già diffuse online. In generale, non c’è ancora una pastorale giovanile e vocazionale integrata e organizzata con l’online, ma buoni tentativi. In Italia il caso che ho trovato più strutturato è quello di una congregazione numerosa che ha nel proprio Ufficio comunicazioni un team composto da laici e religiosi. A loro erano affidati tutti i canali ufficiali: un sito internet costruito su piattaforma wordpress ed i canali social, oltre che la quotidiana rassegna stampa, il convegno mondiale annuale con gli altri addetti dei vari uffici comunicazioni a livello mondiale. Questa congregazione all’estero ha sviluppato App per accompagnare la preghiera personale, per aiutare la riflessione e – per quanto possibile – verifica anche i profili personali dei religiosi. Altra esperienza interessante è di un istituto che ha scelto di mappare completamente i media istituzionali e stava riflettendo su una sorta di vademecum interno per dare linee guida di comportamento deontologico ai membri dell’istituto. Oltre alle famiglie religiose, ho intervistato anche una decina di opinion leaders, considerati tali perché lo sono diventati navigando in rete oppure per specifiche competenze professionali. Ho quindi concluso presentando il progetto per la mia congregazione che avevo ideato e gestito fino al momento della tesi.

Alcuni spunti di riflessione

 

Complessivamente, quello che è emerso è che come religiosi dobbiamo essere presenti nei social media per portare una voce diversa e quindi dobbiamo avere gli strumenti che ci permettono di stare in modo diverso in queste realtà che integrano la nostra quotidianità. Come sostiene suor Pina Riccieri infatti, i social media ci mostrano per quello che siamo realmente, facendo emergere anche quello che di noi quotidianamente cerchiamo di frenare. Di fatto, per i formatori, i social media sono utili a comprendere altri aspetti dei formandi: peculiarità, dinamiche, attitudini. Diventano una sorta di generazione. Il primo punto è dunque una ‘specifica formazione’, mentre il secondo è il cosa proporre e qui entra il termine scelto per il titolo della tesi “rigenerare” che ho intenso nel senso di dare un nuovo slancio, un respiro più profondo alle vocazioni religiose già esistenti. I social media impongono la creazione di contenuti specifici, soprattutto di storytelling sulla vita religiosa, ma anche di utilizzare modalità diverse… La creatività può aiutare i religiosi a far riaccendere in loro il fuoco talvolta sopito della vocazione religiosa. Il terzo elemento è la ‘consapevolezza’ che i social non sono un luogo di discernimento puro, ma possono essere considerati una piazza nella quale molti possono intercettarci e anche lì s’impone – a mio avviso e per la mia breve esperienza – una pastorale giovanile e vocazionale integrata, nel senso di online e offline. Durante la tesi ho incrociato online molte donne che non conoscevano il mio istituto e che si sono appassionate alla nostra missione chiedendo informazioni, seguendoci sui social, venendo alle nostre iniziative. Alcuni istituti che ho conosciuto hanno anche vocazioni arrivate dai social e adeguatamente vagliate negli anni. Dobbiamo esserci, con competenze specifiche, ma soprattutto lasciando guardare le nostre vite che ancora sono dipinte come angeliche e, nel contempo, tutelandoci con la giusta dose di privacy, ma se siamo per tutti, i social ci connettono ancora di più e ci aiutano a vivere la nostra consacrazione. Servono però tanta sapienza evangelica e coraggio per vivere queste nuove periferie esistenziali e pastorali.

 

Con Maria verso Panama 2019

Il cammino di preparazione verso la Giornata mondiale della gioventù di Panama 2019

C’è già grande fermento per l’edizione numero trentaquattro della Giornata mondiale della gioventù (GMG), il grande raduno internazionale dei giovani voluto forrtemente da Giovanni Paolo II a partire dal 1985. A fare da Paese ospitante è il turno di Panama, che vedrà le sue strade riempirsi di giovani da tutto il mondo dal 22 al 27 gennaio 2019. È la più piccola nazione ad aver mai ospitato questo evento, e si prevede una grande partecipazione internazionale nonostante le date poco favorevoli. Gli ultimi tre grandi eventi (Spagna 2011, Brasile 2013 e Polonia 2016) hanno infatti visto un incremento notevole della presenza di giovani rispetto alle edizioni precedenti, superando i tre milioni di persone. Quasi certamente saranno coinvolti anche i Paesi adiacenti per dare supporto alla logistica e all’organizzazione.

Maria compagna del cammino

Nel discorso fatto ai volontari della GMG di Cracovia nel 2016, papa Francesco aveva indicato Maria come modello per vivere l’attesa del successivo raduno di Panama. Per ciascuno dei tre anni di preparazione all’evento, infatti, è stato scelto un motto evangelico legato alla Madonna, come ha sottolineato lo stesso papa Francesco:

“Il nuovo tratto del nostro itinerario si ricollega al precedente, che era centrato sulle Beatitudini, ma ci spinge ad andare avanti. Mi sta a cuore infatti che voi giovani possiate camminare non solo facendo memoria del passato, ma avendo anche coraggio nel presente e speranza per il futuro. Questi atteggiamenti, sempre vivi nella giovane Donna di Nazareth, sono espressi chiaramente nei temi scelti per le tre prossime GMG. Quest’anno (2017) rifletteremo sulla fede di Maria quando nel Magnificat disse: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Il tema del prossimo anno (2018) – «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30) – ci farà meditare sulla carità piena di coraggio con cui la Vergine accolse l’annuncio dell’angelo. La GMG 2019 sarà ispirata alle parole «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola» (Lc1,38), risposta di Maria all’angelo, carica di speranza”.

È la prima volta che la figura di Maria viene scelta come fulcro centrale dei grandi raduni delle Giornate mondiali della gioventù. L’11 febbraio scorso nel giorno della festa della Madonna di Lourdes, il vescovo di Panama, José Domingo Ulloa Mendieta, è stato in visita alla Santa casa di Loreto per affidare a Maria la preparazione della GMG.

Il logo dell’evento

A disegnare il logo scelto dagli organizzatori come simbolo dell’evento è stata una giovane studentessa di architettura, la ventenne Amar Calvo, dell’Università di Panama. Nel suo intento c’è l’idea di rappresentare la tenerezza e l’abbandono di Maria nel suo “Fiat”. Diversi gli elementi che lo compongono: la forma della M di Maria e del cuore che rappresenta il suo amore di madre; la strada, ad indicare che lei è il sentiero per l’incontro con Gesù; la stilizzazione dell’immagine di Maria come segno di tenerezza; il profilo dell’istmo di Panama per ricordare il luogo; i cinque puntini bianchi che formano la corona di Maria simboleggiano i cinque continenti; e infine la croce, che è il simbolo delle GMG dalla loro nascita nel 1985. Anche i colori hanno il loro significato: il rosso indica l’amore e la passione di Cristo e ricorda il rosso della bandiera di Panama, così come anche il blu, che è anche il colore della Vergine Maria e fa riferimento anche all’Oceano Pacifico, mentre il celeste, oltre ad indicare Maria è anche il colore del Mare dei Caraibi.

Il patroni della GMG

Come ognuno degli eventi precedenti, anche la Giornata mondiale della gioventù di Panama avrà dei santi patroni ed intercessori. San Giovanni Paolo II è, ormai stabilmente, il patrono di ogni evento. Accanto a lui san Giovanni Bosco, al quale i cristiani di Panama sono particolarmente devoti. E con loro santi e sante latinoamericani: la beata Maria Romero Meneses del Nicaragua, l’azteco san Juan Diego Cuauhtlatoatzin, i peruviani san Martino de Porres e santa Rosa da Lima, il salvadoregno beato Oscar Arnulfo Romero e il giovane messicano san José Sánchez del Rio.

Informazioni utili

Il principale sito di riferimento della Giornata mondiale della Gioventù di Panama è www.panama2019.pa, dove trovare tutte le informazioni, i temi, i materiali, e che sarà aggiornato con l’avvicinarsi dell’evento con i programmi e le informazioni per le iscrizioni.

Per gli italiani il Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile metterà presto a disposizione il sito che conterrà anche informazioni sui sussidi e su altre iniziative specifiche.

Da segnalare anche la pagina ufficiale del Vaticano, dove è possibile trovare i documenti, le foto e i video di tutte le precedenti GMG.

GMG in un minuto

Si intitola così una rubrica periodica pubblicata sul canale ufficiale della GMG 2019 su Youtube. Ogni puntata fornisce informazioni sulla Giornata mondiale della gioventù 2019. Informazioni sul Paese dell’America centrale, sui luoghi dove si svolgeranno gli eventi principali della GMG, sull’inno, sul logo e tanto altro. Basta cercare ‘Jornada Mundial de la Juventud Panamá 2019’ nel motore di ricerca di Youtube per accedere ai contenuti. Ogni puntata è disponibile in cinque lingue: spagnolo, inglese, francese, italiano e portoghese.

Jornada Mundial de la Juventud Panamá 2019

 

Francesco: giovani potete migliorare il mondo!

 

Cari giovani, con il ricordo pieno di vita del nostro incontro alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2016 a Cracovia, ci siamo messi in cammino verso la prossima meta che, se Dio vorrà, sarà Panama nel 2019. Per me sono molto importanti questi momenti di incontro e dialogo con voi, e ho voluto che questo itinerario si facesse in sintonia con la preparazione del prossimo Sinodo dei Vescovi, che è dedicato a voi giovani. In questo cammino ci accompagna nostra Madre, la Vergine Maria, e ci anima con la sua fede, la stessa fede che lei esprime nel suo canto di lode. Maria dice: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Lei sa rendere grazie a Dio, che ha guardato la sua piccolezza, e riconosce le grandi cose che Egli realizza nella sua vita; e si mette in viaggio per incontrare sua cugina Elisabetta, anziana e bisognosa della sua vicinanza. Non resta chiusa a casa, perché non è una giovane-divano che cerca di starsene comoda e al sicuro senza che nessuno le dia fastidio. È mossa dalla fede, perché la fede è il cuore di tutta la storia di nostra Madre. Cari giovani, anche Dio vi guarda e vi chiama, e quando lo fa vede tutto l’amore che siete capaci di offrire. Come la giovane di Nazareth, potete migliorare il mondo, per lasciare un’impronta che segni la storia, quella vostra e di molti altri. La Chiesa e la società hanno bisogno di  noi. Con il vostro approccio, con il coraggio che avete, con i vostri sogni e ideali, cadono i muri dell’immobilismo e si aprono strade che ci portano a un mondo migliore, più giusto, meno crudele e più umano. Durante questo cammino, vi incoraggio a coltivare una relazione di familiarità e amicizia con la Vergine santa. È nostra Madre. Parlatele come a una Madre. Con lei, rendete grazie per il dono prezioso della fede che avete ricevuto dai vostri antenati, e affidate a lei tutta la vostra vita. Come una buona Madre vi ascolta, vi abbraccia, vi vuole bene, cammina con voi. Vi assicuro che se lo farete non ve ne pentirete. Buon pellegrinaggio verso la Giornata mondiale della gioventù del 2019.

Che Dio vi benedica.

papa Francesco, 21 marzo 2017

Si segnala, inoltre, il Video del Papa pubblicato a Marzo 2018 su “Formazione al discernimento spirituale“:

Si segnala l’articolo integrale, qui di seguito, realizzato da Missioni OMI – Rivista Mensile di Attualità Missionaria a cura di Angelica Ciccone.

Damasco, le bombe sui civili: la lettera di Don Mounir

L’international Press Agency “Pressenza” ha pubblicato in questi giorni il comunicato stampa a cura di Missioni don Bosco che riporta le parole del Direttore dei salesiani Don Bosco Damasco – Siria, Don Mounir Hanachi, con la sua accorata richiesta ai mezzi d’informazione per “rompere il silenzio assoluto che avvolge la tragedia che sta vivendo il popolo siriano, per non parlare della manipolazione dell’informazione da parte di tanti mass media in occidente”.

 

Cari amici,

vi scrivo in questi giorni in cui la capitale della Siria vive momenti difficili. È sempre stato così, in questi sette anni di guerra in Siria, ma in questi giorni si soffre ancora di più. Vengono lanciati tanti missili e colpi di mortaio sulla capitale dal Ghouta, zona della periferia di Damasco piena di Jihadisti dell’Isis e tanti altri gruppi islamici fondamentalisti che cercano di fare della Siria il loro califfato. Tanti missili stanno causando tanti morti civili e bambini, tante scuole hanno chiuso le porte.  É stato ordinato il coprifuoco in tutta Damasco. Tanta è la paura dalla gente e dei bambini.

Anche noi dell’oratorio salesiano abbiamo sospeso tutte le attività. I ragazzi solitamente arrivano con i pullman all’oratorio, per cui può essere pericoloso fargli attraversare la città. Abbiamo detto a tutti loro di stare in casa fino ad un miglioramento della situazione. Che al momento non arriva.

Spero la mia voce possa giungere a tutti voi, voglio rompere il silenzio assoluto che avvolge la tragedia che sta vivendo il popolo siriano, per non parlare della manipolazione dell’informazione da parte di tanti mass media in occidente.

Mi affido tutti voi, amici. In questo tempo di Quaresima, tempo di preghiera e ritorno a Dio Padre. Che il sole della risurrezione tocchi i cuori dei potenti e torni la pace in questa terra martoriata.

Noi continuiamo a sostenere le famiglie in difficoltà.

Con affetto,
Don Mounir Hanachi
Direttore dei salesiani Don Bosco Damasco – Siria

 

Comunicato a cura dell’Ufficio Stampa Missioni don Bosco

25 anni di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS e nuove sfide per la riforma del Terzo Settore

Anche quest’anno Don Giovanni D’Andrea, presidente di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS, ha convocato l’Assemblea Ordinaria dei Soci che si terrà a Roma presso la sede di Via Marsala 42, il prossimo 16 marzo 2018.

Il saluto iniziale quest’anno è affidato a Don Stefano Martoglio, superiore regionale dei Salesiani d’Italia e Medioriente.

Durante la prima parte della mattinata apriranno i lavori Don Domenico Ricca, già presidente di Salesiani per il Sociale, insieme al direttore generale della federazione, Andrea Sebastiani. Seguirà la relazione del presidente sulle attività svolte nel 2017.

Nella seconda parte della giornata i partecipanti, divisi in gruppi, affronteranno il tema della Riforma del Terzo Settore con un focus sui cambiamenti previsti dal nuovo Codice e dai singoli decreti.

 

 

 

7/03: Incontro del TESC con Titti Postiglione al Teatro Crocetta

Mercoledì 7 Marzo
ore 9.00-13.00
TEATRO Crocetta – via Piazzi 25, Torino

Il TESC – Tavolo enti Servizio Civile del Piemonte organizza un incontro con Titti Postiglione mercoledì 7 marzo 2018 presso il Teatro Crocetta di Torino rivolto a tutti i volontari del Servizio Civile Nazionale del Piemonte e Valle d’Aosta degli Enti aderenti. Si stima una presenza di oltre 450 giovani.

L’incontro del mattino, facente parte della formazione generale modulo “Protezione Civile” per i volontari in Servizio sarà tenuto dalla Dott.ssa Titti Postiglione, attualmente coordinatore presso il Servizio Comunicazione del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, e fino alla scorsa estate alla guida dell’Ufficio Emergenze della Protezione Civile: dal 2002, infatti, è in forze alla Protezione Civile italiana, poi passata a gestire situazioni di grande crisi legate soprattutto ai terremoti come quello dell’Aquila del 2009, quello in Emilia del 2012 e del Centro Italia del 2016.

Programma

Ore 9 Registrazione partecipanti

Ore 9.30-10.30 Intervento introduttivo al tema “Protezione Civile”

Ore 10.45-13 Intervento dott.sa Titti Postiglione

Un’interessante occasione, quella messa a disposizione dal TESC, per conoscere una donna determinata, spigliata e sicura di sé con una vita in prima linea – con un dottorato di ricerca in geofisica e vulcanologia all’Università Federico II di Napoli – che è riuscita non solo a mettere in moto la macchina dei soccorsi per le vittime dei terremoti, ma anche a comunicare in maniera chiara le informazioni vitali che, in quei casi drammatici, necessitano di assoluta risolutezza.

Nel pomeriggio dalle 14 alle 18 segue l’incontro formativo sul modulo “Rappresentanza nel Servizio Civile”. Intervengono: Licio Palazzini (Presidente Cnesc e componente Consulta Nazionale), Umberto Forno (Presidente TESC Piemonte), i rappresentanti dei Volontari della Regione Piemonte.

TESC è un coordinamento di Enti di servizio civile e intende consolidare e sviluppare la rete di risorse e competenze costituita dagli enti del pubblico e del privato sociale del territorio regionale che si riconoscono nei valori di riferimento dello statuto dell’associazione, al fine di qualificare e valorizzare le possibilità educative, sociali e civili, potenzialmente contenute nell’esperienza di servizio civile.

«Cicatrici di guerra. Matrici di pace», convegno sulla Colombia a Valdocco

«Cicatrici di guerra. Matrici di pace»
Giovedì 15 marzo 2018
ore 18 – Valdocco (Sala Sangalli)

Cinquantadue anni di conflitto hanno lasciato sul terreno oltre 260 mila morti, 45mila desaparecidos e 6,9 milioni di sfollati: è il bilancio della guerra civile tra Governo colombiano e le Fuerzas armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), conclusasi il 24 novembre 2016 con un accordo di pace ratificato a Bogotà il giorno 30 dello stesso mese. Del processo di pacificazione in corso si darà conto attraverso un particolare angolo visuale al convegno «Cicatrici di guerra. Matrici di pace» giovedì 15 marzo alle ore 18, a Valdocco, in via Maria Ausiliatrice 32 a Torino – Sala Sangalli (parcheggio auto: ingresso da piazza Sassari), organizzato da Missioni Don Bosco.

Interverranno don Rafael Bejarano, direttore di “Ciudad Don Bosco”, centro salesiano di recupero e di riabilitazione nella città di Medellin, Jazmín, ex- ragazza soldato delle Farc accompagnata da Jovana Ruíz, incaricata dell’inserimento lavorativo e dei tirocini, Bruno Desidera, giornalista di AgenSIR specializzato sulla Colombia e Alessia Andena, referente del progetto di Medellin per Missioni Don Bosco.

Presiederà l’incontro Giampietro Pettenon, Presidente di Missioni Don Bosco; modererà Elisabetta Gatto, antropologa di Missioni Don Bosco.

L’incontro è aperto al pubblico senza necessità di prenotazione, con la possibilità di avvalersi del servizio di baby sitting offerto dall’organizzazione.

Poiché si tratta dell’unica manifestazione pubblica della delegazione in Italia, il convegno sarà trasmesso in diretta streaming nel sito www.missionidonbosco.org.

Per prepararsi all’incontro si può vedere il documentario “Alto el fuego”, letteralmente “Cessate il fuoco”, è un documentario sul progetto di riabilitazione e reinserimento sociale dei bambini soldato delle Farc portato avanti dai salesiani della Colombia:

 

Parla padre Mounir di Damasco. «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime. È l’esatto contrario. »

Si pubblica la testimonianza, rilasciata alla alla testata Tempi.it, di Padre Mounir Hanachi , sacerdote salesiano nato ad Aleppo, da qualche anno parroco a Damasco e direttore del centro salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco, un oratorio che ospita oltre 1200 giovani dalla seconda elementare all’università, “per concedere loro qualche ora al giorno di serenità, di servizi essenziali come l’acqua e l’elettricità che in casa non hanno. Ecco perché ci siamo chiamati Oasi di pace”, come afferma Padre Mounir. L’oratorio è stato momentaneamente chiuso per ragioni di sicurezza.

 

Siria. «Su Ghouta voi europei raccontate una verità parziale. Quelli sono terroristi»

Parla padre Mounir di Damasco. «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili»

«Lo so cosa scrivono i media da voi in Italia e in tutto l’Occidente sulla guerra che si sta combattendo a Ghouta. Raccontano solo una faccia della medaglia, nessuno si preoccupa del nostro dramma». Si confida così a tempi.it padre Mounir, 34 anni, originario di Aleppo ma residente a Damasco, dove si occupa di un oratorio con oltre 1.200 giovani. Il salesiano fa riferimento ai durissimi scontri di questi giorni tra l’esercito del governo di Bashar al-Assad e le formazioni terroristiche che difendono Ghouta orientale, nella periferia della capitale. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani, organizzazione vicina agli estremisti, negli ultimi giorni sarebbero morte quasi 300 persone nel sobborgo.

«Nessuno però parla dei civili, tanti bambini, uccisi qui dai colpi di mortaio, anzi, dai missili che vengono sparati da Ghouta», continua il sacerdote. Molte scuole nei quartieri di Damasco più colpiti dall’artiglieria ribelle sono state chiuse per sicurezza, al pari di molti negozi. I colpi di mortaio, infatti, cadevano spesso vicini agli istituti e nelle ore di uscita dei ragazzi. Da settimane anche i salesiani hanno dovuto chiudere il loro centro: «Era troppo pericoloso. Noi abbiamo degli autobus che girano per la città e raccolgono i ragazzi per portarli al centro, dove giochiamo, studiamo, facciamo catechismo ma ora per prudenza li lasciamo a casa, perché per strada potrebbero essere colpiti dai missili».

Il bombardamento di Ghouta si è intensificato nell’ultima settimana, perché il governo prepara l’assalto finale per riprendere il quartiere. «Tutto il giorno si sentono gli aerei dell’esercito che sorvolano la capitale. Spero che l’attacco cominci presto e che la zona venga finalmente liberata, come è stata liberata Aleppo», continua padre Mounir, ricordando che «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime, come raccontate voi. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili. Quanti sono i bambini morti qui di cui nessuno parla? Questi non sono l’opposizione, sono terroristi, vengono da ogni parte del mondo, e l’esercito siriano ha il diritto di difendere la dignità dei siriani e il paese».

Il prossimo mese la Siria entrerà nel suo ottavo anno di guerra e padre Mounir non si fida più delle trattative di pace condotte dalla comunità internazionale: «Non stanno risolvendo niente, parlano ma non fanno nulla». Il sacerdote è stato ordinato cinque anni fa a Torino, ma ha scelto di lasciare l’Italia e tornare a Damasco per «servire il mio popolo in difficoltà». In questi giorni, però, le sue attività sono limitate al minimo perché «il governo ha consigliato a tutti di non muoversi di casa, se non per attività strettamente necessarie, perché molte zone della capitale sono sotto tiro. Nonostante questo cerchiamo di stare vicini ai nostri ragazzi e alle nostre famiglie».

Pare Mounir ha vissuto in Italia, ma ora non riesce più a leggere i giornali nostrani: «Ho visto come date le informazioni: sempre parziali, sempre nascondendo una parte della verità, addirittura truccando le foto», continua. «Voi di Tempi siete tra i pochi che avete il coraggio di raccontare tutta la verità. Io lo so che il governo siriano non è costituito da santi né da angeli, c’è la corruzione come in tanti altri paesi. Però dovete capire che la maggioranza della popolazione siriana, che soffre come e più degli altri, si fida di questo governo, nonostante i suoi sbagli. Voi europei invece appoggiate i terroristi che colpiscono la gente innocente. Questo è inaccettabile e qualcuno deve dirlo».

(fonte: Tempi.it)

Si segnala, qui di seguito, anche il video di Missioni don Bosco che, 4 anni fa, ha realizzato un’intervista con Padre Hanachi Mounir, raccontando la sua esperienza in Siria, terra di missione travagliata da una guerra che non accenna a fermarsi.

 

Inoltre, si pubblica qui di seguito l’articolo apparso su ANS relativo alla dichiarazione di G. Pettenon sulla chiusura dell’oratorio di don Mounir a Damasco:

“Come dimenticare…?”
Il ricordo indelebile della martoriata Siria nelle parole del sig. Pettenon

Mi si è gelato il sangue nelle vene”. In questo modo il Presidente di “Missioni Don Bosco”, sig. Giampietro Pettenon, SDB, commenta la notizia della sospensione delle attività presso l’oratorio salesiano di Damasco, ben sapendo che, per arrivare ad una simile decisione, la realtà nella capitale siriana deve essere arrivata a livelli di gravità inauditi. Il sig. Pettenon aveva visitato la Siria con una troupe di Missioni Don Bosco nello scorso autunno e per questo ha scritto questa commovente lettera, che qui riportiamo:

 

Cari amici,

ieri leggendo le notizie delle agenzie di stampa mi si è gelato il sangue nelle vene, notando che veniva comunicata l’interruzione dell’attività dei Salesiani a Damasco, a causa della situazione drammatica che sta vivendo la capitale siriana in questi giorni di intensi combattimenti. Solo quattro mesi fa eravamo a Damasco, loro ospiti. Rivedo i volti dei giovani che abbiamo conosciuto, dei Salesiani della comunità locale, degli adulti che gravitano attorno all’oratorio per i servizi di cucina, pulizia, manutenzione. Ad ottobre erano tutti pieni di speranza per la fragile tregua che c’era in quel periodo e tutti si auguravano che il peggio fosse passato. Purtroppo così non è stato.

Se il direttore – don Munir – e i confratelli dell’oratorio hanno deciso di chiudere la struttura per evitare ulteriori rischi per la vita dei giovani che lo frequentano, significa che la situazione è davvero drammatica. Come dimenticare le lacrime che sgorgavano abbondanti quando ci raccontavano della paura avuta durante i precedenti bombardamenti? Come dimenticare i nomi dei loro familiari che ci venivano da loro descritti prima che una granata o un colpo di mortaio ne facesse scempio? Come dimenticare la grandissima dignità e la fede autentica di queste persone, vittime innocenti, che non si fermavano a piangere sui drammi vissuti, ma erano pronti a raccontarti i sogni e le speranza per il futuro? Come dimenticare?

In pochi giorni sono tornati al terrore dei vetri infranti per lo scoppio di ordigni, alla mancanza di corrente elettrica per buona parte della giornata, alla carenza di cibo perché andare a fare la spesa è un rischio, e poi, dove comprare qualcosa? I mercati e i negozi faticano ad approvvigionare le derrate da vendere perché i trasporti sono quasi del tutto interrotti; le strade sono i luoghi più pericolosi…. Senza contare la forte pressione psicologica che la paura alimenta in tutti, compresi i Salesiani che non aprono le porte dei cortili ai ragazzi, ma continuano ad accogliere padri e madri di famiglia che vengono a bussare discretamente alla porta per chiedere un aiuto per poter mangiare qualcosa…

(Articolo tratto da ANS – Agenzia Info Salesiana)

«Perché soffrono i bambini? Non c’è una risposta umana». Ecco le risposte di Papa Francesco alle domande di un gruppo di orfani

Diffusi i contenuti del dialogo del 4 gennaio tra il Papa e un gruppo di orfani romeni aiutati dalla Ong “FDP protagonisti nell’educazione”. «Perché soffrono i bambini? Non c’è una risposta umana». «Neanche di Giuda possiamo dire che non sia andato in Cielo»

Di seguito, la trascrizione delle risposte del Papa alle domande dei ragazzi:

Udienza ai ragazzi romeni aiutati dalla ONG
“FDP protagonisti nell’educazione”

Papa Francesco: Cari ragazzi, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per questo incontro, e per la confidenza con cui mi avete rivolto le vostre domande, in cui si sente la realtà della vostra vita. Ho qui le vostre domande, che avevo già letto. Ma prima di rispondervi vorrei ringraziare con voi il Signore perché siete qui, perché Lui, con la collaborazione di tanti amici, vi ha aiutato ad andare avanti e a crescere. E insieme ricordiamo tanti bambini e ragazzi che sono andati in cielo: preghiamo per loro; e preghiamo per quelli che vivono in situazioni di grande difficoltà, in Romania e in altri Paesi del mondo. Affidiamo a Dio e alla Vergine Madre tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che soffrono per le malattie, le guerre e le schiavitù di oggi.

E ora vorrei rispondere alle vostre domande. Lo farò come posso, perché mai si può rispondere del tutto a una domanda che viene dal cuore. In queste domande la parola che voi usate di più è “perché?”: ci sono molti “perché?”. Ad alcuni di questi “perché?” posso dare una risposta, ad altri no, solo Dio può darla. Nella vita ci sono tanti “perché?” ai quali non possiamo rispondere. Possiamo soltanto guardare, sentire, soffrire e piangere.

Prima domanda:

Perché la vita è così difficile e
tra noi amici litighiamo spesso?

E ci imbrogliamo? Voi preti ci dite di andare in Chiesa,
ma immediatamente quando usciamo sbagliamo
e commettiamo peccati.
Allora perché sono entrato in Chiesa?
Se io considero che Dio è nel mio animo,
perché è importante andare in Chiesa?

Papa Francesco: I tuoi “perché?” hanno una risposta: è il peccato, l’egoismo umano: per questo – come dici tu – “litighiamo spesso”, “ci facciamo del male, ci imbrogliamo”. Tu stesso lo hai riconosciuto, che anche se andiamo in Chiesa, poi sbagliamo ancora, rimaniamo sempre peccatori. E allora giustamente tu ti domandi: a cosa serve andare in chiesa? Serve a metterci davanti a Dio cosi come siamo, senza “truccarci”, cosi come siamo davanti a Dio, senza trucco. A dire: “Eccomi, signore, sono peccatore e ti chiedo perdono. Abbi pietà di me”. Se io vado in chiesa per far finta di essere una buona persona questo non serve. Se vado in chiesa perché mi piace sentire la musica o anche perché mi sento bene non serve. Serve se all’inizio, quando io entro in chiesa, posso dire: “Eccomi Signore. Tu mi ami e io sono peccatore. Abbi pietà di noi. Gesù ci dice che se facciamo così, torniamo a casa perdonati. Accarezzati da Lui, più amati da Lui sentendo questa carezza, questo amore. Così piano piano Dio trasforma il nostro cuore con la sua misericordia, e trasforma anche la nostra vita. Non restiamo sempre uguali, ma veniamo “lavorati”. Dio ci lavora il cuore, è Lui, e noi siamo lavorati come l’argilla nelle mani del vasaio; e l’amore di Dio prende il posto del nostro egoismo. Ecco perché credo che è importante andare in chiesa: non solo guardare Dio, lasciarsi guardare da Lui. Questo penso. Grazie.

Seconda domanda:

Perché ci sono dei genitori che amano i bambini sani
e invece quelli malati o con problemi no?

Papa Francesco: La tua domanda riguarda i genitori, il loro atteggiamento davanti ai bambini sani e a quelli malati. Ti direi questo: di fronte alle fragilità degli altri, come le malattie, ci sono alcuni adulti che sono più deboli, non hanno la forza sufficiente per sopportare le fragilità. E questo perché loro stessi son fragili. Se io ho una grossa pietra, non posso appoggiarla sopra una scatola di cartone, perché la pietra schiaccia il cartone. Ci sono genitori che sono fragili. Non abbiate paura di dire questo, di pensare questo. Ci sono genitori che sono fragili, perché sono sempre uomini e donne con i loro limiti, i loro peccati e le fragilità che si portano dentro, e magari non hanno avuto la fortuna di essere aiutati quando loro erano piccoli. E così con quelle fragilità vanno avanti nella vita perché non sono stati aiutati, non hanno avuto l’opportunità che abbiamo avuto noi di trovare una persona amica che ci prenda per mano e ci insegni a crescere e a farci forti per vincere quella fragilità. E’ difficile ricevere aiuto dai genitori fragili e a volte siamo noi che dobbiamo aiutarli. Invece di rimproverare la vita perché mi ha dato genitori fragili e io non sono tanto fragile, perché non cambiare la cosa e dire grazie a Dio, grazie alla vita perché io posso aiutare la fragilità del genitore così che la pietra non schiacci la scatola di cartone. Sei d’accordo? Grazie.

Terza domanda:

L’anno scorso è morto uno dei nostri amici che sono rimasti in orfanotrofio.
È morto nella Settimana santa, il Giovedì santo.
Un prete ortodosso ci ha detto che è morto peccatore
e per questo non andrà in Paradiso. Io non credo che sia così.

Papa Francesco: Forse quel prete non sapeva quello che diceva, forse quel giorno quel prete non stava bene, aveva qualcosa nel cuore che l’ha fatto rispondere cosi. Nessuno di noi può dire che una persona non è andata in cielo. Ti dico una cosa che forse ti stupisce: neppure di Giuda possiamo dirlo. Tu hai ricordato il vostro amico che è morto. E hai ricordato che è morto il Giovedì santo. Mi sembra molto strano quello che hai sentito dire da quel sacerdote, bisognerebbe capire meglio, forse non è stato capito bene… Comunque io ti dico che Dio vuole portarci tutti in paradiso, nessuno escluso, e che nella Settimana santa noi celebriamo proprio questo: la Passione di Gesù, che come Buon Pastore ha dato la sua vita per noi, che siamo le sue pecorelle. E se una pecorella è smarrita, Lui la va a cercare finché non la ritrova. E’ così. Dio non se ne sta seduto, Lui va, come ci fa vedere il Vangelo: Lui è sempre in cammino per trovare quella pecorella, e non si spaventa quando ci trova, anche se siamo in uno stato di grande fragilità, se siamo sporchi di peccati, se siamo abbandonati da tutto e dalla vita, Lui ci abbraccia e ci bacia. Poteva non venire ma è venuto per noi il Buon Pastore. E se una pecorella è smarrita, quando la trova se la mette sulle spalle e pieno di gioia la riporta a casa. Io posso dirti una cosa: sono sicuro, conoscendo Gesù, sono sicuro che questo è ciò che in quella Settimana santa il Signore ha fatto con il vostro amico.

Quarta domanda:

Perché noi abbiamo avuto questa sorte?
Perché? Che senso ha?

Papa Francesco: Sai, ci sono “perché?” che non hanno risposta. Per esempio: perché soffrono i bambini? Chi può rispondere a questo? Nessuno. Il tuo “perché?” è uno di quelli che non hanno una risposta umana, ma solo divina. Non so dirti perché tu hai avuto “questa sorte”. Non sappiamo il “perché” nel senso del motivo. Cosa ho fatto di male per avere questa sorte? Non lo sappiamo. Ma sappiamo il “perché” nel senso del fine che Dio vuole dare alla tua sorte, e il fine è la guarigione – il Signore guarisce sempre – la guarigione e la vita. Lo dice Gesù nel Vangelo quando incontra un uomo cieco dalla nascita. E questo si domandava sicuramente: “Ma perché io sono nato cieco?”. I discepoli chiedono a Gesù: “Perché è così? Per colpa sua o dei suoi genitori?”. E Gesù risponde: “No, non è colpa sua né dei suoi genitori, ma è così perché si manifestino il lui le opere di Dio” (cfr Gv 9,1-3). Vuol dire che Dio, davanti a tante situazioni brutte in cui noi possiamo trovarci fin da piccoli, vuole guarirle, risanarle, vuole portare vita dove c’è morte. Questo fa Gesù, e questo fanno anche i cristiani che sono veramente uniti a Gesù. Voi lo avete sperimentato. Il “perché” è un incontro che guarisce dal dolore, dalla malattia, dalla sofferenza, e dà l’abbraccio della guarigione.  Ma è un “perché” per il dopo, all’inizio non si può sapere. Io non so il “perché”, non posso neppure pensarlo; so che quei “perché?” non hanno risposta. Ma se voi avete sperimentato l’incontro con il Signore, con Gesù che guarisce, che guarisce con un abbraccio, con le carezze, con l’amore, allora, dopo tutto il male che potete aver vissuto, alla fine avete trovato questo. Ecco “perché”.

Quinta domanda:

Succede che mi sento sola
e non so che senso abbia la mia vita.
La mia bambina è in affido e
alcune persone mi giudicano che
non sono una buona mamma.
Invece io credo che mia figlia stia bene e
che ho deciso correttamente anche
perché ci vediamo spesso.

Papa Francesco: Sono d’accordo con te che l’affido può essere un aiuto in certe situazioni difficili. L’importante è che tutto sia fatto con amore, con cura per le persone, con grande rispetto. Capisco che spesso ti senti sola. Ti consiglio di non chiuderti, di cercare la compagnia della comunità cristiana: Gesù è venuto a formare una nuova famiglia, la sua famiglia, dove nessuno è solo e siamo tutti fratelli e sorelle, figli del nostro Padre del cielo e della Madre che Gesù ci ha dato, la Vergine Maria. E nella famiglia della Chiesa possiamo ritrovarci tutti, guarendo le nostre ferite e superando i vuoti d’amore che spesso ci sono nelle nostre famiglie umane. Tu stessa hai detto che credi che tua figlia stia bene nella Casa-famiglia anche perché tu sai che lì ci tengono alla bambina e anche a te. E poi hai detto: “Ci vediamo spesso”. A volte la comunità dei fratelli e delle sorelle cristiani ci aiuta così. Affidarsi l’uno all’altro. Non solo i bambini.  Quando uno sente qualcosa al cuore si affida all’amica, all’amico e fa uscire dal cuore quel dolore. Affidarsi fraternamente gli uni agli altri, questo è bellissimo e questo lo ha insegnato Gesù. Grazie.

Sesta domanda:

Quando avevo due mesi di vita
mia mamma mi ha abbandonato in un orfanotrofio.
A 21 anni ho cercato mia madre e
sono rimasto con lei 2 settimane ma
non si comportava bene con me e quindi
me ne sono andato. Mio papà è morto. Che
colpa ho io se lei non mi vuole? Perché lei non mi accetta?

Papa Francesco: Questa domanda l’ho capita bene perché l’hai detta in italiano. Voglio essere sincero con te. Quando ho letto la tua domanda, prima di dare le istruzioni per fare il discorso, ho pianto. Ti sono stato vicino con un paio di lacrime. Perché non so, mi hai dato tanto; gli altri pure, ma tu mi hai preso forse con le difese basse. Quando si parla della mamma sempre c’è qualcosa… e in quel momento mi hai fatto piangere. Il tuo “perché?” assomiglia alla seconda domanda, sui genitori. Non è questione di colpa, è questione di grandi fragilità degli adulti, dovute nel vostro caso a tanta miseria, a tante ingiustizie sociali che schiacciano i piccoli e i poveri, e anche a tanta povertà spirituale. Sì, la povertà spirituale indurisce i cuori e provoca quello che sembra impossibile, che una madre abbandoni il proprio figlio: questo è il frutto della miseria materiale e spirituale, frutto di un sistema sociale sbagliato, disumano, che indurisce i cuori, che fa sbagliare, fa sì che noi non troviamo la strada giusta. Ma sai, questo richiederà tempo: tu hai cercato una cosa più profonda del suo cuore. Tua mamma ti ama ma non sa come farlo, non sa come esprimerlo. Non può perché la vita è dura, è ingiusta. E quell’amore che è chiuso in lei non sa come dirlo e come accarezzarti. Ti prometto di pregare perché un giorno possa farti vedere quell’amore. Non essere scettico, abbi speranza.

Simona Carobene (responsabile dell’iniziativa):
A me ha colpito tantissimo il messaggio in occasione della giornata dei poveri.
Mi ha fatto sobbalzare perché mi sono chiesta “io come guardo i miei ragazzi?”
Alle volte mi accorgo che sono presa dal fare 
e dimentico
perché Gesù ci ha messi insieme.
Occorre che io faccia ancora un cammino di conversione,
e questo cammino è continuo e non può mai essere dato per scontato.
Per questo continuo a seguire i miei ragazzi, perché sono “i miei santi”.
E rimango incollata a Santa Madre Chiesa attraverso il carisma di don Giussani
che è la modalità concreta che mi ha fatto amare Gesù.
Allo stesso tempo però il richiamo del Suo messaggio era molto concreto.
Si parlava di condivisione vera. Ho iniziato a chiedermi se forse
non sia arrivato il momento di fare ancora un passo in più nella mia vita,
di accoglienza e condivisione. È un desiderio del cuore che mi sta nascendo
e che vorrei verificare nel prossimo periodo.
Quali sono i segni da guardare per capire quale è il disegno per me?
Cosa vuol dire vivere la vocazione della povertà fino in fondo?

Papa Francesco: Simona, grazie della tua testimonianza. Sì, la nostra vita è sempre un cammino, un cammino dietro al Signore Gesù, che con amore paziente e fedele non finisce mai di educarci, di farci crescere secondo il suo disegno. E a volte ci fa delle
sorprese, per rompere i nostri schemi. Il tuo desiderio di crescere nella condivisione e nella povertà evangelica viene dallo Spirito Santo: questo non si può comprare, affittare, soltanto lo Spirito è capace di far questo e Lui ti aiuterà ad andare avanti in questa strada nella quale tu e gli amici avete fatto tanto bene. Avete aiutato il Signore a compiere le sue opere per questi ragazzi.

Grazie ancora a tutti voi. Incontrarvi mi ha fatto tanto bene. Vi porto nelle mie preghiere. E mi raccomando, anche voi pregate per me perché ne ho bisogno. Grazie!