Un uomo sereno, in pace con Dio e con tutti, compresi i rapitori, e in grado anche di scherzare sull’esperienza vissuta. È questa l’immagine che hanno potuto vedere in don Tom Uzhunnalil i giornalisti e gli operatori della comunicazione di tutto il mondo che sabato 16 settembre, si sono radunati presso la casa “Salesianum” di Roma per sentire direttamente da lui il racconto toccante del sequestro e della liberazione. Vissuti entrambi con grande fede in Dio.
di Gian Francesco Romano
Il missionario indiano è arrivato al primo mattino presso il centro salesiano. Don Tom è stato accolto dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, dal suo Vicario, da alcuni membri del Consiglio Generale e da numerose personalità civili e religiose. La dott.ssa Reenat Sandhu, Ambasciatrice dell’India in Italia, ha reso un omaggio floreale a don Tom. Quindi ha avuto inizio la conferenza stampa, moderata da don Moreno Filipetto, e introdotta dal Rettor Maggiore, con don Ivo Coelho, Consigliere Generale per la Formazione, in qualità di traduttore.
“Grazie, in questi 18 mesi non ci siamo mai sentiti da soli”, ha esordito Don Á.F. Artime, che nel suo breve intervento introduttivo ha anche ribadito quanto aveva già espresso nella sua lettera alla Famiglia Salesiana riguardo alle modalità della liberazione attraverso: “Non possiamo dire quello che non sappiamo”.
Quindi è iniziato il lungo intervento di don Tom: il suo primo pensiero è per le Missionarie della Carità uccise. “Ringrazio Dio e sono contento di vedere qua le Missionarie della Carità. Faccio loro le mie condoglianze” afferma, prima di doversi fermare per qualche istante per la commozione.
Don Tom poi ritorna a quel 4 marzo del 2016, il giorno dell’attacco e del rapimento. “Non ho pianto, non ho avuto paura, ho solo pregato Dio per le suore, per i custodi e le altre vittime. Dio è stato molto misericordioso con me”, racconta.
Specifica che nell’attacco i rapitori hanno portato via anche il tabernacolo, per cui per un po’ di tempo ha avuto con sé anche le specie eucaristiche. Più volte ribadisce di non essere mai stato maltrattato e di questo ringrazia “le preghiere e i sacrifici del mondo intero”. A parte la privazione della libertà, ha potuto dormire bene, gli veniva dato il cibo necessario e ne è stata curata anche la salute, attraverso i medicinali e una volta anche attraverso una visita medica.
“Il primo video è stato girato il giorno seguente al rapimento” ed era funzionale a vedere se e chi tra familiari, governi e autorità si sarebbe mosso per ottenere la sua liberazione. Don Tom esclude che i suoi rapitori fossero interessati alla sua fede, dato che non hanno mai provato a fare del proselitismo verso di lui.
Quasi si scusa di aver fatto accenno al Papa e alle autorità indiane nei video che era costretto a girare. Eppure racconta che pure quando sembrava che venisse maltrattato, era “una finzione per suscitare interesse”.
Con le sue parole si apre via via sempre di più, raccontando particolari che rivelano nel dettaglio come ha vissuto quei 18 mesi di sequestro: i diversi spostamenti avvenuti, la difficoltà a tenere il conto dei giorni, il molto tempo quotidiano dedicato alla preghiera: “Ho pregato per molte persone”, per il Papa, le Missionarie della Carità, la Chiesa… “E anche per i miei rapitori”.
Della sua liberazione sa solo che i sequestratori avevano intenzione di realizzarla già il giorno prima, ma la controparte non si è presentata all’appuntamento e così è slittata di un giorno. Alla fine è stato consegnato ad un’autista che lo ha condotto a tutta velocità in Oman.
“Ho potuto fare una corsa per il deserto” ironizza, così come fa anche dopo: “Non ero mai stato da Papa Francesco e probabilmente senza quest’avventura non avrei mai potuto farlo”. In verità di quell’incontro conserva ricordi molto emozionanti, come quando il Papa gli ha baciato le mani “anche se io non mi sono sentito degno”.
Al termine della conferenza stampa don Tom ha avuto modo di incontrare un piccolo gruppo di Missionarie della Carità venute appositamente per salutarlo. L’incontro è rapido, don Tom non trova le parole. Si parla più attraverso gli sguardi. Il pensiero è per le religiose uccise e per l’unica sopravvissuta, suor Sally: tutte loro, come lui, erano in Yemen solo per servire i più bisognosi e per offrire conforto alle poche centinaia di cattolici presenti nel paese.
Don Tom resterà ancora per qualche giorno in Vaticano per espletare gli ultimi controlli medici, quindi farà ritorno in India, alla sua Ispettoria d’origine, con sede a Bangalore.
Guarda la Conferenza Internazionale di Padre Tom:
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