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La città dell’Ottocento, la Chiesa, i giovani: la ricchezza onirica di Don Bosco

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Roma) – Pensare a Don Bosco e staccarlo da suoi sogni significa sottrargli un aspetto fondamentale della sua complessa e ricca personalità. Del resto, Egli stesso nelle Memorie dell’Oratorio ha raccontato molti suoi sogni dove esperienza onirica, psico-sensazioni esterne, ispirazioni spirituali quando non profetiche fanno un tutt’uno e ne definiscono l’entità.

Nei sogni di Don Bosco c’è la Torino dell’Ottocento, città con ancora una popolazione inferiore ai centomila abitanti ma ricca di fermenti industriali e politici; c’è la Chiesa con le vicende di un Papato esaltato e perseguitato; c’è la scenografia di un paesaggio urbano ancora frammisto con quello rurale e contadino. Ci sono i giovani finalmente protagonisti a dispetto di una società che per tanto tempo li aveva ignorato. E poi c’è l’incontro con il Signore Gesù, la gran Madre e Guida Ausiliatrice, la pratica dei sacramenti come le grandi processioni; le lotte con il diavolo e le sue astuzie per sconfiggerlo. C’è lo sviluppo della sua opera, della quale Don Bosco fu lieto perché a servizio di quei giovani che egli voleva tutti in Paradiso e anche felici in terra. Ci sono sogni apertamente chiaroveggenti oserei dire al pari con i sogni biblici tanto intrisi di presenza soprannaturale.

Don Bosco visse lo sviluppo della sua opera e ne visse, soffrendo, anche i suoi limiti e difetti. Papa Montini, san Paolo VI, che conobbe bene i salesiani sia per averne promosso opere sia per essere stato amico di grandi religiosi salesiani era solito dire che lo sviluppo dei salesiani nel mondo gli ricordava la parabola del seme evangelico così come considerò Don Bosco fra i grandi santi Fondatori della storia della Chiesa di tutti i tempi. Del resto, ancor oggi succede che qualcuno bussa in una scuola salesiana e chiede di parlare con don Bosco pensandolo vivo.

Sparsi in oltre 130 Paesi con attività le più varie finalizzate alla educazione giovanile i Salesiani rappresentano secondo dati Unesco la più grande associazione privata del mondo operante in questo settore. E certamente se si guardano i numeri è proprio così: oltre 14mila religiosi più 32 Gruppi aderenti alla Famiglia Salesiana composte di altrettanti gruppi di Religiose, Religiosi, Laiche e Laici consacrati e non, non sono la realizzazione dei sogni di Don Bosco?

Indubbiamente ci sono anche le difficoltà, vocazionali specialmente nel vecchio continente europeo e questo pesa in un momento in cui il 48 per cento dei salesiani è ancora in formazione. Ecco perché bisogna ritornare a Don Bosco sognatore, alla essenzialità della sua ascetica fatta di lavoro, preghiera, adempimento dei propri doveri con una relazionalità fatta di ragione, religione e amorevolezza.

Il sogno dei 9 anni cui il X successore di Don Bosco il rettor maggiore, Cardinale Don Ángel Fernández Artime ha voluto dedicare la Strenna 2024 vuol dire proprio questo. «Don Bosco – ha scritto il Cardinale alla Famiglia Salesiana – ci ha mostrato nel corso della sua vita che solo le relazioni autentiche trasformano e salvano. Papa Francesco ci dice la stessa cosa: “Non basta dunque avere delle strutture se in esse non si sviluppano relazioni autentiche; è la qualità di tali relazioni, infatti, che evangelizza”».

«Per questo – continua ancora il Rettor Maggiore – esprimo il desiderio che ogni casa della nostra Famiglia Salesiana nel mondo sia o diventi uno spazio veramente educativo, uno spazio di relazioni rispettose, uno spazio che aiuti a crescere in modo sano. In questo possiamo e dobbiamo fare la differenza, perché le relazioni autentiche sono all’origine del nostro carisma, all’origine dell’incontro con Bartolomeo Garelli, all’origine della vocazione stessa di Don Bosco».

Don Giuseppe Costa,
Co-portavoce della Congregazione Salesiana

“Don Bosco e la Sindone”: un podcast per approfondire un legame davvero speciale

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Torino) – La profonda fede in Gesù Cristo di San Giovanni Bosco si manifestò durante la sua vita anche attraverso una devozione discreta e costante, ma intensa, verso la Sindone, testimone silenziosa della Passione e Risurrezione del Salvatore del mondo. Per approfondire il legame di Don Bosco con il Sacro Lino, nell’ambito della sua consueta rassegna di podcast legati alla letteratura sindonica, il Centro Internazionale di Studi sulla Sindone (CISS) ha dedicato un episodio proprio al Padre e Maestro dei Giovani.

Il podcast, pubblicato il giorno della ricorrenza di San Giovanni Bosco, lo scorso 31 gennaio, è a cura dello storico Federico Valle, membro del CISS, ed esplora la venerazione che il santo torinese nutriva verso quella reliquia che proprio a Torino è conservata: una venerazione rivolta al condurre i ragazzi del suo oratorio alla comprensione e alla contemplazione della Passione di Cristo, con il fine catechetico di portarli ad un proficuo incontro con Lui.

Da vero figlio della Chiesa di Torino, Don Bosco aveva un affetto sincero verso la Sindone, che considerava un dono prezioso di Dio. Egli, infatti, prese parte ad entrambe le ostensioni della Sindone che ebbero luogo durante la sua vita, quella del 1842 e quella del 1868.

Nel II volume delle sue Memorie Biografiche, parlando della prima delle due ostensioni, è infatti riportato: “Mentre con questi fatti straordinari sempre più si diffondeva la divozione a Maria Immacolata, un altro religioso avvenimento rinfocolava in Piemonte l’amore a Gesù ed alla sua SS. Passione. In Torino, per le nozze del principe ereditario Vittorio Emanuele con Maria Adelaide di Lorena. Arciduchessa d’Austria, il 21 aprile esponevasi dalle logge del Palazzo Madama, allo sguardo e alla venerazione dei popoli la sacratissima Sindone. L’immensa piazza e le vie erano riboccanti di gente di ogni condizione, di ogni età, e di ogni paese, che a mostrare la propria fede recavansi con giubilo a venerare la S. Reliquia ed a contemplare in essa la faccia divina e le piaghe delle mani, dei piedi e del costato del nostro Divin Salvatore. D. Bosco pure vi accorse e con lui tutti i giovani dell’Oratorio. Egli che era tenerissimo verso i dolori del Salvatore e della divina sua Madre di questo commovente spettacolo si valse per destare nei suoi giovanetti odio implacabile al peccato ed un amore ardentissimo a Gesù Redentore, ciò che faceva sempre in tutta la sua vita ogni volta che avea occasione di parlare della Passione del Signore e dei dolori della sua SS. Madre”.

Mentre con riguardo alla seconda ostensione, è scritto al volume IX delle Memorie Biografiche: “L’Arcivescovo aveva ottenuta, non senza difficoltà, che si mostrasse ai popoli la SS. Sindone con l’antica pompa, invitandovi i Vescovi subalpini, e che si desse campo ai fedeli di accorrere a venerarla, lasciandola per tre giorni esposta nella Metropolitana. Anche i giovani dell’Oratorio vi furono condotti”.

Sebbene in questa seconda occasione la cronaca sia più stringata, non va dimenticato la differenza cronologica tra le due ostensioni, che comportavano una grande differenza anche nella vitalità e nei numeri delle presenze all’Oratorio di Don Bosco. Per questo, secondo lo storico Valle, non è difficile immaginare che dietro la breve frase “Anche i giovani dell’Oratorio vi furono condotti” vi fossero circa un migliaio di ragazzi e giovani condotti in un breve pellegrinaggio da Valdocco a venerare il Sacro Lino.

Il legame tra Don Bosco e la Sindone è stato poi rinsaldato grazie ai diversi salesiani che negli anni hanno approfondito, sulle orme del loro fondatore, la devozione e gli studi inerenti alla Sindone – a partire da don Giulio Barberis e proseguendo poi con il Venerabile don Vincenzo Cimatti, don Gaetano Compri e tanti altri… – ed è stata suggellata definitivamente con l’ostensione pubblica speciale della Sindone del 2015, motivata proprio dall’anno Bicentenario della nascita di Don Bosco, uno dei più illustri figli della Chiesa torinese.

Il podcast “Don Bosco e la sindone” è disponibile in italiano su Spotify e YouTube.

La Stampa, intervista al Papa: “Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava”

In una intervista rilasciata a Domenico Agasso de La Stampa, il Papa ha parlato anche di Don Bosco.

Il 31 gennaio è la festa di don Giovanni Bosco, «il Santo dei giovani»: che cosa insegna ancora oggi?

«Pare che una volta don Bosco abbia detto: “Se volete avere e aiutare dei giovani buttate un pallone sulla strada”. Il fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stato capace di chiamare, coinvolgere ed entusiasmare i ragazzini senza futuro, e dare loro un futuro. Come? Con gli oratori. Lì i giovani giocavano, pregavano e imparavano. Per migliaia di piccoli abbandonati, disperati, destinati a un’esistenza di stenti e di esclusione, don Bosco ha tracciato la via di un avvenire di dignità e speranza. Ha fornito loro gli strumenti intellettuali e spirituali per superare gli ostacoli e valorizzare la propria vita. E ci è riuscito nonostante attacchi feroci: non dimentichiamoci che il Santo di Valdocco ha vissuto nell’epoca del Piemonte massonico e mangiapreti, e in quell’ambiente ostile è stato capace di trasformare in meglio l’atteggiamento sociale del territorio nei confronti dei giovani. Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava».

L’intervista poi ha trattato i temi di attualità, la guerra, la pace e i giovani:

Santità, il mondo è nel pieno della «guerra mondiale a pezzi» da cui Lei aveva messo in guardia anni fa…
«Mai mi stancherò di ribadire il mio appello, rivolto in particolare a chi ha responsabilità politiche: fermare subito le bombe e i missili, mettere fine agli atteggiamenti ostili. In ogni luogo. La guerra è sempre e solo una sconfitta. Per tutti. Gli unici che guadagnano sono i fabbricanti e i trafficanti di armi. È urgente un cessate il fuoco globale: non ci stiamo accorgendo, o facciamo finta di non vedere, che siamo sull’orlo dell’abisso». Esiste una «guerra giusta»? «Bisogna distinguere e stare molto attenti ai termini. Se ti entrano in casa dei ladri per derubarti e ti aggrediscono, tu ti difendi. Ma non mi piace chiamare “guerra giusta” questa reazione, perché è una definizione che può essere strumentalizzata. È giusto e legittimo difendersi, questo sì. Ma per favore parliamo di legittima difesa, in modo da evitare di giustificare le guerre, che sono sempre sbagliate».

Come descrive la situazione in Israele e Palestina?

«Adesso il conflitto si sta drammaticamente allargando. C’era l’accordo di Oslo, tanto chiaro, con la soluzione dei due Stati. Finché non si applica quell’intesa, la pace vera resta lontana». Che cosa teme più di tutto? «L’escalation militare. Il conflitto può peggiorare ulteriormente le tensioni e le violenze che già segnano il pianeta. Però allo stesso tempo in questo momento coltivo un po’ di
speranza, perché si stanno svolgendo riunioni riservate per tentare di arrivare a un accordo. Una tregua sarebbe già un buon risultato». Come sta agendo la Santa Sede in questa fase degli scontri in Medio Oriente? «Una figura cruciale è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. È un grande. Si muove bene. Sta provando con determinazione a mediare. I cristiani e la gente di Gaza – non intendo Hamas – hanno diritto alla pace. Io tutti i giorni videochiamo la parrocchia di Gaza. Ci vediamo nello schermo di Zoom, parlo alla gente. Lì in parrocchia sono 600 persone. Stanno continuando la loro vita guardando ogni giorno la morte in faccia. E poi, l’altra priorità è sempre la liberazione degli ostaggi israeliani».

E come procede la diplomazia vaticana sul fronte del conflitto in Ucraina?

«Ho dato l’incarico di questa missione complicata e delicata al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana: è bravo ed esperto, sta attuando una costante e paziente opera diplomatica per mettere da parte le conflittualità e costruire un’atmosfera di riconciliazione. È andato a Kiev e a Mosca, e poi a Washington e a Pechino. La Santa Sede sta cercando di mediare per lo scambio di prigionieri e il rientro di civili ucraini. In particolare stiamo lavorando con la signora Maria Llova-Belova, la commissaria russa ai diritti dell’infanzia, per il rimpatrio dei bambini ucraini portati con la forza in Russia. Qualcuno è già tornato nella sua famiglia».

Quali sono i pilastri su cui costruire la pace nel mondo?

«Dialogo. Dialogo. Dialogo. E poi, la ricerca dello spirito di solidarietà e fraternità umana. Non possiamo più ucciderci tra fratelli e sorelle! Non ha senso!».

Lei invita sempre alla preghiera: quanto conta e può incidere mentre il mondo brucia?

«La preghiera non è astratta! È una lotta con il Signore affinché ci dia qualcosa. La preghiera è concreta. E forte, e incisiva. La preghiera conta! Perché prepara il cammino verso una pacificazione, bussa alla porta del cuore di Dio affinché illumini e conduca gli esseri umani verso la pace. La pace è un dono che Dio può darci anche quando sembra che la guerra stia prevalendo  inesorabilmente. Per questo insisto in ogni occasione: bisogna pregare per la pace».

Lei a Lisbona, la scorsa estate, di fronte a milioni di giovani ha gridato con forza che la Chiesa è per «todos, todos todos»: rendere la Chiesa aperta a tutti è la grande sfida del suo pontificato?

«È la chiave di lettura di Gesù. Cristo chiama tutti dentro. Tutti. C’è proprio una parabola: quella del banchetto nuziale al quale nessuno si presenta, e allora il re manda i servi “ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Il Figlio di Dio vuole far capire che non desidera un gruppo selezionato, un’élite. Poi qualcuno magari entra “di contrabbando”, ma a quel punto è Dio a occuparsene, a indicare il percorso. Quando mi interrogano: “Ma possono entrare pure queste persone che sono in tale inopportuna situazione morale?”, io assicuro: “Tutti, l’ha detto il Signore”. Domande come questa mi arrivano soprattutto negli ultimi tempi, dopo alcune mie decisioni…».

In particolare la benedizione delle «coppie irregolari e dello stesso sesso»…

«Mi chiedono come mai. Io rispondo: il Vangelo è per santificare tutti. Certo, a patto che ci sia la buona volontà. E occorre dare istruzioni precise sulla vita cristiana (sottolineo che non si benedice  l’unione, ma le persone). Ma peccatori siamo tutti: perché dunque stilare una lista di peccatori che possono entrare nella Chiesa e una lista di peccatori che non possono stare nella Chiesa? Questo non è Vangelo».

Durante la seguitissima intervista televisiva a Fabio Fazio nella trasmissione Che Tempo Che Fa ha parlato del prezzo della solitudine che deve pagare dopo un passo come questo: come sta vivendo la levata di scudi di chi insorge?

«Chi protesta con veemenza appartiene a piccoli gruppi ideologici. Un caso a parte sono gli africani: per loro l’omosessualità è qualcosa di “brutto” dal punto di vista culturale, non la tollerano. Ma in generale, confido che gradualmente tutti si rasserenino sullo spirito della dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la Dottrina della Fede: vuole includere, non dividere. Invita ad accogliere e poi affidare le persone, e affidarsi, a Dio».

Soffre per la solitudine?

«La solitudine è variabile come la primavera: in quella stagione puoi trascorrere una giornata bellissima, con il sole, il cielo azzurro e una brezza piacevole; 24 ore dopo magari il clima ti incupisce. Tutti viviamo solitudini. Chi dice “io non so che cos’è la solitudine” è una persona acui manca qualcosa. Quando mi sento solo innanzitutto prego. E quando percepisco tensioni attorno a me, provo con calma a instaurare dialoghi e confronti. Ma vado comunque sempre avanti, giorno dopo giorno».

Teme uno scisma?

«No. Sempre nella Chiesa ci sono stati gruppetti che manifestavano riflessioni di colore scismatico… bisogna lasciarli fare e passare… e guardare avanti».

Siamo all’alba di una nuova era segnata dall’Intelligenza artificiale: quali sono le sue speranze e le sue preoccupazioni?

«Qualsiasi novità scientifica e tecnologica deve avere carattere umano, e permettere agli esseri umani di rimanere pienamente umani. Se si perde il carattere umano si perde l’umanità. Nel Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali ho scritto: “In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano”. L’Intelligenza artificiale è un bel passo in avanti che potrà risolvere molti problemi, ma potenzialmente, se gestita senza etica, potrà anche provocare tanto male all’uomo. L’obiettivo da porsi è che l’Intelligenza artificiale sia sempre in armonia con la dignità della persona. Se non ci sarà quest’armonia, sarà un suicidio».

Dio troverà ancora posto in mezzo ai robot?

«Dio c’è sempre. Lui si arrangia. È sempre vicino a noi, pronto ad aiutarci, anche quando non ce ne accorgiamo. Anche quando non lo cerchiamo. Anche quando non lo vogliamo. E se vede che le
derive sono sfrenate, si fa sentire. Nei suoi modi, che superano tutto e tutti».

Come va la sua salute?

«Qualche acciacco c’è, ma adesso va meglio, sto bene».

Le dà fastidio sentire parlare delle sue possibili dimissioni a ogni colpo di tosse?

«No, perché la rinuncia è una possibilità per ogni pontefice. Ma adesso non ci penso. Non mi inquieta. Se e quando non ce la farò più, inizierò eventualmente a ragionarci. E a pregarci su».

Quali potrebbero essere i suoi viaggi del 2024?

«Uno in Belgio. Un altro a Timor Est, Papua Nuova Guinea e Indonesia, ad agosto. Poi c’è l’ipotesi Argentina, che però tengo per adesso “tra parentesi”: l’organizzazione della visita non è ancora cominciata. Per quanto riguarda l’Italia, andrò a Verona a maggio, e a Trieste a luglio».

Il neo presidente argentino Javier Milei l’ha attaccata più volte e con irruenza in questi mesi: si è sentito offeso?

«No. Le parole in campagna elettorale vanno e vengono».

Lo incontrerà?

«Sì. L’11 febbraio verrà alla canonizzazione di “Mama Antula”, fondatrice della Casa per Esercizi spirituali di Buenos Aires. Prima delle canonizzazioni è consuetudine il saluto con le autorità in sacrestia. E poi so che ha chiesto appuntamento per un colloquio con me: ho accettato, e dunque ci vedremo. E sono pronto a iniziare un dialogo – parola e ascolto – con lui. Come con tutti».

Perché ha istituito la Giornata mondiale dei Bambini?

«Perché mancava. Ne percepivo il bisogno. A novembre abbiamo realizzato quell’incontro con migliaia di bimbi e ragazzini giunti da tutto il pianeta nell'”Aula Paolo VI”: è andato molto bene. Il 25 e 26 maggio a Roma ci sarà la prima Giornata ufficiale. Lo scopo è suscitare meditazioni e azioni per rispondere ai quesiti: “Che tipo di mondo desideriamo lasciare ai bambini che stanno crescendo? Con quali prospettive?”. Se li ascoltiamo e li osserviamo, i bambini sono maestri di vita per noi adulti e anziani, perché sono puri, genuini e spontanei. Ogni loro comportamento, anche quello più complicato e apparentemente indecifrabile, è una lezione. Se ci impegniamo per il loro bene, faremo del bene a noi stessi. E all’umanità intera».

Qual è il suo sogno per la Chiesa che verrà?

«Seguire la bella definizione della “Dei Verbum”, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II: “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans”, ascoltare religiosamente la Parola di Dio e proclamarla con ferma fiducia, e con forza. Sogno una Chiesa che sappia essere vicina alla gente nella concretezza e nelle sfumature e nelle asperità della vita quotidiana. Io continuo a pensare ciò che ho detto nelle Congregazioni generali, le riunioni dei cardinali che precedono il Conclave: “La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”».

Che cosa ricorda delle giornate storiche del marzo di undici anni fa?

«Dopo il mio intervento è scattato un applauso, inedito in tale contesto. Ma io assolutamente non avevo intuito ciò che molti mi avrebbero poi rivelato: quel discorso è stata la mia “condanna” (sorride, nda). Quando stavo uscendo dall'”Aula del Sinodo” c’era un cardinale di lingua inglese che mi ha visto e ha esclamato: “Bello quello che hai detto! Bello. Bello. Ci vuole un Papa come te!”. Ma io non mi ero accorto della campagna che stava nascendo per eleggermi. Fino al pranzo del 13 marzo, qui a Casa Santa Marta, alcune ore prima della votazione decisiva. Mentre stavamo mangiando, mi hanno posto due o tre interrogativi “sospetti”… Allora nella mia testa cominciavo a dirmi: “Qui sta accadendo qualcosa di strano…”. Ma sono comunque riuscito a fare una siesta. E quando mi hanno eletto ho avuto una sorprendente sensazione di pace dentro di me». E oggi come si sente? «Mi sento un parroco. Di una parrocchia molto grande, planetaria, certo, ma mi piace mantenere lo spirito da parroco. E stare in mezzo alla gente. Dove trovo sempre Dio».

12 poster per ricordare Don Bosco e i suoi detti più famosi – RMG

Dalla notizia di ANS, per festeggiare la festa di San Giovanni Bosco:

 

Don Bosco, uomo di preghiera e d’azione, non solo ha gettato le basi di un immenso movimento di persone che lungo i secoli si dedica alla salvezza dei giovani, ma ha anche lasciato a tutti i suoi figli spirituali un grande bagaglio di indicazioni utili per non perdere mai la rotta.

Tra quello che era solito ripetere, e che è stato poi raccolto e testimoniato dai suoi contemporanei, e ciò che scisse in prima persona, ci sono pagine e pagine di aforismi che in maniera netta e con uno stile icastico offrono tuttora indicazioni valide per una vita bella, piena di significato e santa.

In vista della festa di Don Bosco, il Settore per la Comunicazione Sociale ha pensato di selezionare alcuni di questi suoi celebri detti e ne ha realizzato dei semplici, ma accattivanti poster, che insieme all’immagine del santo diffondono ancora oggi i suoi illuminanti pensieri.

Al Don Bosco di Asti la comunità salesiana è in festa

Anche la comunità salesiana di Asti si prepara a festeggiare San Giovanni Bosco e ringraziare per la presenza dei salesiani nella città da più di cent’anni.

Di seguito l’invito da parte di Don Genesio Tarasco, direttore dei salesiani di Asti.

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A fine mese tutta la famiglia salesiana celebra la festa di don Bosco. E’ un santo che ormai è divenuto patrimonio dell’umanità: non appartiene più solo ai Salesiani, ma come prete diocesano, astigiano di nascita, appartiene alla Chiesa universale e come “Padre e Maestro” della gioventù appartiene al mondo intero. Il nostro Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artimez, ha lanciato a tutti i Salesiani del mondo per l’anno 2023 la strenna: “COME LIEVITO NELLA FAMIGLIA UMANA D’OGGI”. Ciò significa che per lo spirito di don Bosco non esiste esclusione alcuna e soprattutto che per garantire un futuro felice ai nostri ragazzi è necessario partire dalla famiglia.

Agli inizi della sua opera don Bosco, insieme a Mamma Margherita e ad altre mamme dei suoi ragazzi, ha voluto creare una vera famiglia per chi famiglia non aveva ed ha lasciato come stile di vita dei suoi salesiani proprio lo spirito di famiglia. Nella Società occidentale l’istituzione più in crisi oggi è la famiglia ed è necessario che, chi ha raccolto il messaggio di don Bosco e vuole diffonderlo, si preoccupi della famiglia, sia lievito che silenziosamente fa crescere una cultura positiva riguardo alla famiglia, attui politiche efficaci a sostegno della famiglia, aiuti a riscoprire quei valori che fanno della famiglia il luogo di crescita, ma anche di maggior sicurezza e conforto. La fedeltà al matrimonio, l’amore e la responsabilità verso i figli, il rispetto e la riconoscenza dovuto a chi ci ha generato alla vita sono valori irrinunciabili se vogliamo guardare ad un futuro sereno, pacifico e luminoso che si preoccupa non solo della casa comune, ma anche della casa domestica.

Il don Bosco di Asti offre due momenti importanti alla gente della parrocchia, ai giovani che frequentano l’Oratorio, a quanti della città vogliono unirsi al ringraziamento ed alla preghiera.

Domenica 29 gennaio alle ore 10.00 ci sarà una solenne concelebrazione presieduta dall’Economo ispettoriale don Giorgio Degiorgi. Docente di diritto canonico, consultore del tribunale ecclesiastico, ex direttore della Casa di Novara oggi è responsabile della gestione economica di tutte le casa del Piemonte, della Valle d’Aosta e della Lituania. A seguire saranno proposti giochi per i ragazzi, “un boccone con don Bosco”, una grande tombolata nel pomeriggio.

Il 31 gennaio, giorno della festa liturgica di don Bosco, alle ore 18.30 tutta la famiglia salesiana è invitata alla grande celebrazione presieduta dal nostro vescovo monsignor Marco Prastaro. E’ il modo con cui la nostra comunità dice grazie per il dono di don Bosco, per la presenza dei suoi figli da più di cent’anni nella città, dei sessant’anni ormai conclusi della parrocchia nel Borgo don Bosco. E’ una presa di coscienza di quante possibilità di bene ci sono in questo tempo ed in questa terra a favore dei nostri ragazzi. E’ un impegno per tutti quelli cha a don Bosco si ispirano di fare a tutti tutto il possibile perché, come era solito ripetere ai suoi ragazzi:

Ognuno sia felice nel tempo presente e beato nell’eternità.

La Voce di New York: “Don Bosco, fondatore dei Salesiani”

Il giornale La Voce di New York pubblica un articolo, a cura di Lisa Bernardini, a proposito della figura di Don Bosco. A New York infatti i salesiani si trovano nella Parrocchia di St John Bosco, Port Chester, nella Comunità salesiana di New Rochelle, il Santuario Mariano di Stony Point.

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Uno dei santi più amati in vita e uno dei più invocati, per le grazie che si ottengono per sua intercessione, Don Bosco ha dato origine alla congregazione dei Salesiani oggi presente in 134 Paesi.

Visitare i luoghi che hanno visto operare questo santo permette di capire come sia riuscito a conquistare i cuori di tutto il mondo: con l’ascolto, la misericordia, la comprensione, ma anche il gioco, la musica, il teatro.

Un press tour di indubbio fascino è stato organizzato a Torino da Don Giuseppe Costa, già direttore della Libreria Editrice Vaticana e co-portavoce della Congregazione Salesiana. Invitati decine di giornalisti accreditati presso la Sala Stampa Vaticana e la Stampa Estera Italiana e noi de La Voce di New York.

A Valdocco, Torino, abbiamo incontrato il X Successore di Don Bosco, Don Ángel Fernández Artime, Rettore Maggiore dei Salesiani: uomo carismatico, che viaggia in tutto il mondo per assolvere impegni importanti sempre con il sorriso accogliente, il cuore sincero, il desiderio di essere utile come è nello spirito salesiano.

Il Museo Casa Don Bosco, recentemente rinnovato ed arricchito di memorie, lo abbiamo visitato con la direttrice Stefania Di Vita. Qui il santo ha fatto opera di apostolato. Vedere il letto dove ha cessato di vivere o ascoltare la storia della sua vita dalla voce emozionata dei preti salesiani fa sentire quello che il santo è riuscito a donare al mondo.

Se decidete di visitarlo potete stare proprio a Valdocco, nella struttura Casa Don Bosco, e pranzare nel ristorante della Basilica. Immancabile una visita a Colle Don Bosco e al centro spirituale, con una sosta nella Chiesa di Castelnuovo per vedere il Fonte Battesimale dove furono battezzati Don Bosco, san Giuseppe Cafasso e il beato Giuseppe Allamano. Una visita al Tempio a lui dedicato fa scoprire una sua reliquia. A completamento del tour, la Messa alla Basilica torinese di Maria Ausiliatrice, protettrice di Don Bosco e di quanti si rifanno alla sua leadership spirituale.

Giovanni Melchiorre Bosco, noto come don Bosco, nato a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815, si è spento a Torino il 31 gennaio 1888.

La sua vita è stata fondata su tre pilastri: ragione, religione e amorevolezza, principi con cui ha formato tanti giovani in tutto il mondo. Fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, è stato canonizzato da papa Pio XI nel 1934. Di origini molto povere, la sua famiglia contadina abitava ai Becchi, una frazione di Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco). Il padre morì quando “Giovannino” aveva due anni, ma prima aveva sposato in seconde nozze Margherita Occhiena, donna caritatevole, dedita alla famiglia e ai valori della solidarietà e della chiesa, fondamentale nella formazione del futuro santo. A nove anni, “Giovannino” sogna alcuni ragazzi che bestemmiano e litigano.

Mentre lui si scaglia contro di loro con pugni e calci per farli smettere, appare un uomo dal volto luminosissimo che gli dice :

«Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno (…) Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici».

Nel sogno vede poi la Vergine Maria che gli mostra il campo da lavorare e conclude:

«Renditi umile, forte e robusto (…) A suo tempo tutto comprenderai».

La grande avventura spirituale e pedagogica di Don Bosco inizia da qui. Ogni domenica, dopo i Vespri, riunisce i suoi coetanei sul prato davanti casa, e li fa giocare, e ripete loro le varie prediche che ascolta personalmente in chiesa e che ricorda perfettamente. Il 26 marzo 1826, giorno della sua prima comunione, Giovannino, per sfuggire alle angherie del fratellastro, va a lavorare come garzone in una cascina. Passano gli anni, e passano anche tanti mestieri (falegname, calzolaio, sarto) che si adatta a fare pur di avere la possibilità di pagarsi gli studi. A vent’anni entra in seminario. Viene ordinato sacerdote il 5 giugno 1841. Si perfeziona negli studi di teologia morale nel Convitto Ecclesiastico di Torino.

Inizia il suo apostolato, costruisce l’ oratorio di Valdocco, e fonda la Congregazione Salesiana al servizio della gioventù, che avrebbe raggiunto in futuro uno sviluppo incredibile sia nel nostro Paese che all’estero. Nel 1868 la consacrazione a Valdocco della basilica di Maria Ausiliatrice, nel 1876, l’organizzazione della prima spedizione missionaria in Argentina, nel 1880 Leone XIII gli affida la costruzione del tempio del S. Cuore a Roma. Fa appena in tempo a recarsi nell’Urbe per l’inaugurazione prima di morire. Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo dichiara «padre e maestro della gioventù» per la sua pedagogia, che ha permesso di formare buoni cristiani e onesti cittadini.

Le sue ultime parole:

«Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in paradiso».

Negli USA sono circa 200 i Salesiani di Don Bosco. Oltre che nello Stato di New York, esistono comunità in California, Connecticut, Florida, Illinois, Louisiana, Maryland, Massachusetts, New Jersey e Texas. Probabilmente, il maggior numero di Salesiani al mondo si trova in India, anche se una loro forte presenza si trova nell’Europa Meridionale, Italia, Spagna e Portogallo. La maggior crescita numerica è in Africa centrale e Orientale.

Nello Stato di New York i salesiani si trovano nella Parrocchia di St John Bosco, Port Chester, nella Comunità salesiana di New Rochelle, il Santuario Mariano di Stony Point.

Asti: celebrazioni del 60° di fondazione della parrocchia Don Bosco

L’8 dicembre, oltre alla festa dell’Immacolata, si ricorda al Don Bosco di Asti, il 60° di fondazione della parrocchia e non solo: i 60 anni del Vescovo Mons. Marco Prastaro, che ha presieduto l’Eucarestia.

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L’8 dicembre al don Bosco si è concluso l’anno giubilare della Parrocchia. 60 anni di presenza salesiana al servizio della chiesa locale e della comunità civile.

E’ la Provvidenza che ci ha voluti qui, ha esordito il direttore della Comunità salesiana nel saluto iniziale. Quanto bene, quanta grazia di Dio è stata profusa in questo rione, soprattutto a favore di tanti giovani, che i figli di don Bosco hanno incontrato sul loro cammino. Questa consapevolezza ci riempie il cuore di gioia e di riconoscenza, di fiducia nel buon Dio, che non abbandona mai il suo popolo, che non gli fa mai mancare i suoi doni di grazia.

Ha presieduto l’eucaristia monsignor Marco Prastaro, vescovo di Asti, che per una felice coincidenza proprio in questo stesso giorno ha festeggiato il suo 60° compleanno, affiancato dall’emerito monsignor Francesco Ravinale e dal cancelliere vescovile il diacono Natale Campanella.

Erano presenti alcune autorità civiche: Il Questore dott. Sebastiano Salvo, il Sindaco della città dott. Maurizio Rasero, l’assessore Giovanni Boccia, la capogruppo del Partito democratico Maria Ferlisi, il rettore del Pallio del Borgo don Bosco e consigliere comunale Marco Scassa, le Suore FMA dell’Istituto Mazzarello.

Un gran concorso di gente ha gremito la chiesa: hanno animato la funzione sacra, i giovani dell’Oratorio, un bel numero di ministranti ed il gruppo dei cantori con alcune “Vecchie glorie” tra i suonatori.

Commentando il vangelo, il Vescovo si è rivolto ai giovani ed ha sottolineato quanto sia importante in una comunità come la nostra la collaborazione tra le varie generazioni: gli anziani con la loro esperienza ed i giovani con la forza, la fantasia e la creatività della loro giovinezza. Ha ricordato loro l’importanza di una  presenza continuativa della parrocchia gestita in stile salesiano ed ha invitato i giovani a far tesoro di tanta esperienza e di guardare al loro futuro con costanza e decisione, mostrandosi cristiani senza paura e “trasgressivi” nell’accezione usata da  Papa Francesco nella sua visita ad Asti.

Al momento dell’offertorio al vescovo, è stata donata una cassetta di prodotti locali e, al termine della santa messa, i bambini del catechismo  e delle scuole della parrocchia hanno presentato i loro omaggi. Anche al Parroco i bambini hanno offerto un grazioso presepe.

Al termine della celebrazione il Vescovo ha scoperto, incastonato su una colonna d’angolo della chiesa, un frammento a forma di tessera della prima pietra di quella che era la chiesa parrocchiale di 60 anni fa. Per tanti anni è rimasto nell’ufficio del parroco ora è stato reso visibile ai fedeli come segno di continuità con la chiesa di allora e di impegno pert i prossimi 60 anni nel realizzare il progetto di Dio per la gente di oggi.

Sul sagrato della chiesa parrocchiale, è seguito il “Cerchio mariano” a ricordo dell’Ave Maria recitata da don Bosco nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi in Torino con Bartolomeo Garelli, astigiano, l’8 dicembre del 1841. Al termine della sua vita don Bosco affermerà che tutta la sua opera era dipesa da quell’Ave Maria.

Per l’occasione la San Vincenzo della parrocchia ha allestito un’esposizione di piccoli oggetti donati e realizzati dai bambini di varie scuole cittadine, affinché il ricavato vada ai poveri della città.

Ubi missa, ibi mensa” dicevano i vecchi prelati di un tempo e così nel salone dell’Oratorio è seguito il pranzo dei collaboratori della parrocchia, presente una bella rappresentanza di giovani dell’Oratorio. Ha benedetto la mensa mons. Francesco Ravinale, affiancato dai due diaconi Natale Campanella e Pierluigi Maggiora. Sono state servite oltre 120 persone con un ricco menù irrorato da una generosa barbera locale.

Un grazie sentitissimo al gruppo dei più stretti collaboratori del parroco don Jacek Jankosz, che sotto la sua sapiente regia ancora una volta ha fatto fare un “figurone” degno della circostanza alla Parrocchia, all’Oratorio ed alla Casa salesiana.

A conclusione di tutto, nel pomeriggio, i giovani hanno riportato la sala giochi alla sua funzione principale, abbellendola con gli addobbi natalizi.

Le celebrazioni sono state riprese anche in un articolo del giornale “La Nuova Provincia”, che vi alleghiamo:

Capriglio: Memoria in onore di Mamma Margherita nel 166° anniversario della sua morte

Venerdì 25 novembre è stata celebrata una Messa presso la parrocchia “San Martino” a Capriglio in onore del 166° anniversario dalla morte di Mamma Margherita.

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Venerdì scorso, 25 novembre, alle ore 21 locali (UTC+1), in memoria della Venerabile Margherita Occhiena, madre di San Giovanni Bosco, è stata celebrata una Messa presso la parrocchia “San Martino” a Capriglio, ricordando in questo modo il 166° anniversario del suo dies natalis nel suo paese natale. Margherita Occhiena, nota come Mamma Margherita, è morta a Torino, all’Oratorio di Valdocco, il 25 novembre del 1856, ed è stata dichiarata Venerabile il 23 ottobre 2006.

La celebrazione eucaristica è stata presieduta da don Michele Molinar, Vicario Ispettoriale dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta (ICP), e concelebrata dal Direttore dell’opera salesiana del Colle Don Bosco, don Thathireddy Vijaya Bhaskar Reddy, don Mario Maritano, SDB, professore emerito dell’Università Pontificia Salesiana (UPS), e don Domenico Valsania, il Vicario diocesano dell’Unità Pastorale “Mamma Margherita”, formata dalle comunità di Capriglio, Montafia, Viale e Cortazzone. Ha animato il coro “Mamma Margherita” di Capriglio.

Nell’omelia don Molinar ha ricordato quanto Mamma Margherita sia amata:

Io stesso sono un fan di Mamma Margherita: è una presenza che è tanto cara a voi e tanto cara a noi Salesiani, perché la mamma e il papà, ma la mamma, soprattutto, è quella che per nove mesi ha fatto uno con noi. Non la si dimentica più e lascia un segno che è profondissimo. La Prima Lettura ci dice che questo segno a nome di Dio si chiama appartenenza. L’appartenenza si gioca tra affetti e legami e anche con Dio, soprattutto con Dio, è così.

Successivamente il Presidente dell’associazione “Amici del Museo di Mamma Margherita”, Diego Occhiena, ha fatto riferimento alla recente visita del Santo Padre Francesco ad Asti e nell’astigiano del 19-20 novembre scorsi – un incontro familiare per salutare i suoi parenti rimasti in quella terra: come la diocesi di Asti ha definito “incontro tanto atteso” tale appuntamento, così Occhiena ha ricordato l’episodio dell’“incontro tanto atteso” che la giovane Margherita, attorno ai diciassette anni di età, ebbe quando andò a Torino nell’aprile del 1805, con la sua famiglia, per ricevere la benedizione di Papa Pio VII, che tornava da Parigi dove aveva incoronato Napoleone.

Chieri – Pellicole storiche su San Giovanni Bosco: due proiezioni nel cortile del Comune – Corriere

Questa sera, giovedì 1 settembre, alle ore 21.15 presso il Cortile del Palazzo Comunale di Chieri (Via Palazzo di Città , 10) si terrà la proiezione di 2 pellicole storiche su San Giovanni Bosco datate 1935 e 1945. Di seguito l’articolo dedicato all’iniziativa pubblicato sul settimanale Corriere di Chieri e dintorni.

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“Per il film volevo persone di razza piemontese con caratteri somatici e che sapessero parlare piemontese. Questo film nasce sapendo di viaggiare oltre i confini nazionali, ma senza perdere la dimensione nativa di don Bosco”.

Sono le parole di Goffredo Alessandrini, regista del film “Don Bosco” (1935, 89 minuti) e del documentario “Don Bosco ritorna” (1945, 21 minuti), in programma giovedì alle 21,30 alla rassegna “Cinema e teatro in corte” (via Palazzo di Città 10,4 euro il costo del biglietto).

«Si tratta di due pellicole storiche di grande valore, e di notevole interesse per i chieresi introduce Gianni Deambrogio, titolare del cinema Splendor e organizzatore della rassegna estiva di proiezioni – Non solo perché riguardano don Bosco e i salesiani, presenze di spicco nel nostro territorio, ma anche perché offrono rapidi scorci della città e delle colline com’erano quasi novantanni fa».

La proiezione sarà preceduta da un inquadramento storico da parte di Elena Testa, responsabile dell’Archivio nazionale cinema impresa di Ivrea, e da Daria Magni che ha curato il restauro digitale della pellicola del 1935. Elena Testa riassume la trama della pellicola, prodotta dalla Lux Film:

«Racconta la vita del santo piemontese: dall’infanzia nelle campagne del Monferrato, alla giovinezza in seminario, dall’attività educativa e sociale compiuta a Torino con i ragazzi degli strati sociali più umili, fino alla fondazione dell’opera salesiana e alla canonizzazione», il film fu girato tra Torino, Chieri, il Monferrato e gli studi della Fert-Microtecnica Del Chierese che cosa si vede? «Soprattutto le colline, più qualche scorcio della città. Ma gran parte delle scene, comprese quelle torinesi, sono o in interni oppure in luoghi che è difficile localizzare». Per realizzarlo furono impressionati 40.000 metri di Alcune immagini del film sulla vita di San Giovanni Bosco girato nel 1935 pellicola, 2500 dei quali furono montati. Il costo del film fu di oltre 2 milioni di lire. Il film uscì un anno esatto dopo la canonizzazione di don Bosco, dopo soli sei mesi di lavorazioni. Dietro la macchina da presa c’è Goffredo Alessandrini, regista noto per le commedie “dei telefoni bianchi” ambientate nei palazzi dell’alta borghesia, ma anche per film di propaganda come “Luciano Serra pilota” o “Giarabub”. Per rendere più verosimile il film fa recitare persone reali, non attori professionisti: un centinaio tra sacerdoti, ragazzi d’oratorio, ma anche monsignori e vescovi, con la sarta Maria Vincenza Stiffi nei panni di mamma Margherita. L’unica eccezione è per l’interprete di don Bosco: il regista sceglie il torinese Gian Paolo Rosmino, anche per una evidente somiglianza col Santo.

«Nel film c’è una netta separazione tra la vita di campagna faticosa, povera ma ricca di valori, e la vita in città dove don Bosco trova un vuoto di valori da riempire – prosegue Elena Testa –  i salesiani seguono il film in ogni sua fase, sanno che la pellicola dovrà avere un valore catechistico ed educativo. Non abbiamo trovato documenti che provino un preaccordo tra la Lux e i salesiani, forse l’accordo era sulla distribuzione di cui i salesiani potevano garantire la diffusione in tutto il mondo. Di certo è che i salesiani sapevano che i diritti sarebbero stati ceduti a loro».

Proprio a causa dell’uso che si farà del film nascono contrasti tra il regista, più attento alla dimensione spettacolare, e i salesiani legati alla storicità dei fatti: «Nella prima versione uscita nell’aprile del 1935, Alessandrini inserisce un episodio inventato della vita del santo. Un gruppo di ragazzi della “Generala”, il riformatorio di Torino, esce dal carcere per una passeggiata con don Bosco. Ma alcunicli loro scappano, salvo poi ripresentarsi pentiti dal santo».

Nella versione successiva, la seconda (quella che è stata restaurata e sarà proiettata a Chieri), questa scena viene modificata: don Bosco non è più in rassegnata attesa di chi si e dileguato ma ha un ruolo attivo, quasi a far percepire un miracolo.

«Sembra che la difficoltà più grande sia stata quella di conciliare il documentario con lo spettacolo: la produzione e il regista sono più attenti all’uomo e meno al santo».

All’uscita il film ha più consensi di critica che di pubblico: ma dalla fine del ’35 inizia un viaggio che lo porta in Francia, Spagna, Ungheria, Stati Uniti, Olanda, Canada, Messico, Belgio, Brasile e Sud America, nel circuito delle case salesiane dove riscuote un enorme successo. Per il restauro si è partiti dal negativo conservato nel Fondo Salesiani depositato da Direzione Generale Opere Don Bosco nel 2016 a Ivrea.

Questa copia si è rivelata completa per quanto riguarda la seconda parte, ma lacunosa per la prima che è stata ricostruita grazie a una copia positiva della Cineteca di Bologna, una copia positiva del Museo Nazionale del Cinema e due copie in 16 mm conservate a Ivrea Per il secondo tempo, invece, è stato usato quasi interamente il negativo originale del fondo salesiano di Ivrea, eccetto che per la scena della “Generala”, ricostruita con le copie positive e sul cui lavoro è stato fondamentale utilizzare come riferimento sonoro una copia conservata alla George Eastman Museum di Rochester.

“Don Bosco ritorna”, sempre firmato da Alessandrini, racconta invece il rientro a Valdocco dell’urna di don Bosco, il 13 maggio 1945: «Per evitare che potesse andare persa in un bombardamento nel 1942 era stata trasferita in segreto al Colle, dov’era stata collocata nel santuarietto di Maria Ausiliatrice. Il ritorno a Torino, con una processione che attraversò la città, fu un evento con una partecipazione eccezionale».

Terza tappa del corso di preparazione alla professione perpetua nei luoghi di Don Bosco

Dal 16 al 22 agosto si è svolta la terza tappa di preparazione alla professione perpetua dei giovani confratelli d’Italia, vissuta in Piemonte sui luoghi di Don Bosco. Sono stati 18 i partecipanti, più il predicatore e il direttore.

La settimana di esercizi spirituali ha avuto inizio con il compleanno di Don Bosco, vissuto a Valdocco semplicemente con un vespro pregato nella Chiesa di San Francesco di Sales come inizio significativo per tutto il gruppo, seguito da un ritiro spirituale di cinque giorni presso la Casa di Spiritualità delle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea ad Andrate (TO), predicato da Don Enrico Stasi, direttore del postnoviziato a Nave. Il tempo di silenzio, riflessione e condivisione fraterna e il posto tranquillo con un incredibile panorama hanno aiutato il clima di rigenerazione spirituale.

Domenica 21, penultimo giorno, i confratelli hanno vissuto a Colle Don Bosco una “giornata di deserto” con la celebrazione penitenziale e il sacramento di riconciliazione, concluso con la santa messa celebrata nel santuarietto di Maria Ausiliatrice del Colle. Il corso si è concluso lunedì a Torino Valdocco, dove ciascuno ha potuto meditare i posti di Don Bosco con calma e tranquillità.

Per concludere, si è celebrata la messa con il rinnovo della professione nella chiesa di San Francesco di Sales, ricordando Don Bosco che celebrava lì l’eucaristia ai suoi ragazzi e invocando San Francesco di Sales nell’anno giubilare del quattrocentesimo anniversario della sua morte.