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#NonSIamoInvisibili: lettera ai genitori da parte dell’Ispettore

Si riporta di seguito la Lettera dell’Ispettore don Enrico Stasi rivolta a tutti i genitori dei ragazzi e delle ragazze delle Scuole Salesiane dell’Ispettoria ICP.

Gent. mi genitori,

giunto alla fine del mio mandato, ho l’occasione di rivolgermi con una lettera personalmente a ciascuno di voi; a voi che avete deciso di iscrivere i vostri figli ad una scuola salesiana, ritenendo fosse la scelta migliore per la loro crescita e la loro formazione. In questo modo avete esercitato un diritto garantito dalla nostra Costituzione: quello della libera scelta educativa. La Costituzione italiana afferma il diritto dei genitori ad educare ed istruire i propri figli in un sistema di offerte formative ed educative pluralista, al pari di quanto attuato in tutti i Paesi europei. Un diritto che, come ben sapete, in Italia è fortemente penalizzato dal fatto che le Scuole Pubbliche Paritarie, cioè non gestite dallo Stato, comportano un doppio onere economico per le famiglie che le scelgono.

In questi anni con le Associazioni che ci rappresentano, ci siamo mossi a livello politico perché finalmente le famiglie potessero essere sostenute nelle loro scelte e si portasse a compimento la reale parità scolastica di cui abbiamo celebrato quest’anno i 20 anni (Legge Berlinguer n.62 del 2000).

Sia chiaro in questo contesto che non mi sto riferendo ai finanziamenti diretti ai gestori delle scuole paritarie, lascio ad altri momenti questo tema, ma penso in questo momento a voi che già ci avete scelto, come a tutti i genitori che vorrebbero iscrivere i loro figli in una scuola di don Bosco e non ne hanno le possibilità e non osano chiedere sconti sulle rette.

In questo periodo di pandemia la situazione economica del nostro Paese è in condizioni drammatiche e molti soffrono perdite finanziarie consistenti; l’AGSC (Associazione Genitori Scuole Cattoliche) sta da alcune settimane portando avanti una petizione volta a chiedere al Governo un aiuto concreto a favore dei genitori delle Scuole Paritarie e dei vari Istituti in questo momento difficile. La petizione è indirizzata al Presidente del Consiglio e molti di voi l’avranno letta e spero sottoscritta, ed ha come obiettivo:

  • la detraibilità integrale delle rette pagate dalle famiglie per la frequenza scolastica e per i servizi educativi nelle scuole paritarie nel corso del 2020;
  • l’istituzione di un fondo straordinario adeguatamente finanziato per la erogazione di contributi aggiuntivi alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2019/2020, a tutela dei propri dipendenti e del servizio svolto alle famiglie in aggiunta ai 500 milioni già insufficienti.

A ciò si aggiunge la richiesta delle nostre Associazioni di poter almeno accedere ai finanziamenti stanziati per l’acquisto di attrezzature scolastiche, device e quanto occorre per adeguare le nostre scuole e le nostre famiglie alle nuove esigenze della didattica.

Nonostante questa mobilitazione e la presenza di numerosi emendamenti di diverse forze parlamentari sia di governo sia di opposizione, in nessun decreto, compreso l’ultimo Rilancia Italia è presente nulla di quanto richiesto per le nostre famiglie, per la scuola dei nostri ragazzi. Per questo motivo le Conferenze dei Religiosi e delle Religiose d’Italia (CISM e USMI) hanno diramato un comunicato nel quale propongono: “un gesto simbolico che faccia rumore e coinvolga tanti altri cittadini, oltre ogni schieramento, perché chi ama la scuola sa bene che questa è trasversale a tutto”.

Il gesto è quello di interrompere la didattica per i giorni 19 e 20 maggio, invitando ciascuna scuola paritaria ad adoperarsi con lezioni, video, dirette Fb dalle pagine delle scuole che saranno aperte a tutti per diffondere i temi della libertà di scelta educativa; il diritto di apprendere senza discriminazione, la parità scolastica tra scuola pubblica statale e pubblica paritaria …., ne avrete letto sugli organi di stampa.

Come Scuole salesiane di Italia abbiamo deciso di continuare regolarmente la didattica a distanza, per non penalizzare ulteriormente studenti e genitori già fortemente toccati dalla grave situazione che stiamo vivendo, ma desideriamo coinvolgervi direttamente e chiedere che facciate sentire la vostra voce: questo lo scopo essenziale di questa lettera. Nelle scuole ci saranno, ove possibili, interventi specifici per sensibilizzare i vostri figli; i nostri siti esporranno i motivi della protesta ma forse voi potete fare molto di più sostenendo queste richieste e questi diritti facendo sentire la vostra voce a tutti i livelli, anche e soprattutto a livello politico, per quanto vi è possibile. La vostra libertà di scelta educativa non può più essere ulteriormente contrastata. Non ci pare giusto!

Invitiamo ad unirvi alle nostre richieste a vostro vantaggio, condividendo sui vostri profili social (Facebook, Instagram, Whatsapp) lo slogan: “per una vera parità nella scuola pubblica #NONsiamoINVISIBILI” che comparirà anche sui siti e sui canali social delle nostre scuole. Vi invitiamo inoltre a rimanere informati sulle scelte di questo e dei futuri governi affinché davvero si arrivi a garantire l’accessibilità e la sostenibilità delle nostre scuole e non venga per Voi meno la possibilità di esercitare il diritto alla libera scelta educativa.

Cari Genitori, vi ringrazio di cuore per quello che potete fare. Siamo al vostro fianco e insieme ce la possiamo fare.

Vi saluto cordialmente

Torino, 18 maggio 2020

Don Enrico Stasi

Ispettore

Lettera del Rettor Maggiore: il nostro 28° Capitolo Generale “Speciale”

Il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, ha inviato in questi giorni una lettera ai suoi confratelli, i membri della Famiglia Salesiana, i laici impegnati nella missione salesiana e i tanti giovani animatori, educatori e catechisti con il cuore di Don Bosco: “IL NOSTRO 28° CAPITOLO GENERALE ‘SPECIALE’. Tra il dolore del Coronavirus e l’ESPERIENZA PASQUALE”.

“Di fronte a questa situazione di tribolazione, consapevoli della sua complessità, non possiamo, come credenti, trascurare lo sguardo credente. Il Papa stesso ci ha avvertito di non sprecare questi giorni difficili”.

(Don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore)

La prospettiva del Rettor Maggiore raggiunge poi l’immediato futuro, nel quale si profilano “gravi conseguenze, anche economiche, in molte nostre case”. Di fronte a tale scenario l’invito è senza incertezze:

“Dobbiamo pensare a una carità e a una solidarietà molto concrete… Pensiamo quindi a come riadattarci, ma mai al prezzo di lasciare i nostri destinatari più poveri senza la cura e l’attenzione da parte della casa salesiana in cui sono sempre stati”.

La lettera è disponibile, nelle cinque lingue più parlate nella Congregazione, sul sito sdb.org.

Lettera del Vescovo Cesare Nosiglia ai sacerdoti torinesi

In queste settimane, molte persone consacrate  sono in prima fila per offrire il proprio servizio e sostegno. Per questo motivo l’arcivescovo di Torino ha voluto scrivere una lettera personale a tutti i sacerdoti della diocesi; e una lettera analoga è indirizzata ai preti della diocesi di Susa.

Si riporta di seguito la lettera scritta dal Mons. Cesare Nosiglia ai preti di Torino:

Cari presbiteri,

dal profondo del mio animo ho deciso di scrivervi una lettera in questo tempo difficile e certamente molto doloroso per voi e i vostri fedeli. Non è una delle solite lettere pastorali o omelie ma un aprirvi il mio cuore. Vorrei, ora più che mai, essere con voi vescovo, padre e amico.

Siamo pastori. Gesù ci ricorda che il buon pastore di fronte al lupo non ha paura e non fugge come un mercenario ma difende il suo gregge. Ogni pecora del suo gregge sa che può contare su di lui, pronto a donare tutto se stesso – persino la vita – per le sue pecore. So bene quanto questo da un lato ci consola perché anche noi facciamo parte del gregge del Signore e siamo da lui difesi e sostenuti; ma dall’altro siamo anche consapevoli che la nostra vocazione di pastori che vivono in mezzo al loro gregge sia oggi apprezzata, cercata e attesa dalla nostra gente spaventata e disorientata.

Siamo padri. Ed ora è il momento di vivere questo dono che abbiamo ricevuto e forse non abbiamo mai considerato abbastanza. Manifestiamo dunque la nostra paternità non escludendo alcuno dal nostro amore e dalla nostra preghiera, ma soprattutto aiutando le persone e famiglie che sono più in difficoltà. Infondiamo coraggio a chi ha subito o sta ancora lottando con la malattia e sosteniamo la sua fede e la fiducia nel Signore.

Siamo amici, come Gesù ci ha insegnato: «Non vi chiamo servi ma amici». Quante volte abbiamo sottolineato che il nostro ministero è un servizio a Dio e alla comunità che la Chiesa ci ha affidato! Oggi siamo chiamati a fare un passo in più e a considerarci veramente amici di tutti secondo l’invito di Gesù che ci dice: «non c’è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici». La vita che possiamo donare è la nostra serenità, fiducia e speranza nel Signore, che siamo chiamati a infondere nelle persone.Soffriamo tutti per la mobilità ridotta, i contatti personali inesistenti. È vero. Ma la vita della Chiesa è una storia delle ricchezze che proprio le difficoltà hanno stimolato e fatto crescere. Restare «connessi» fra noi, oggi, è anche un sfida alla nostra intelligenza e alla nostra ingegnosità…

Siamo persone. I compiti che la missione ci assegna non cancellano le nostre singole e umane fragilità e sofferenze. Non mancano anche tra voi, confratelli che hanno perso o sono molto preoccupati per i loro cari. Anche per noi la solitudine, i dubbi la paura sono amaro pane quotidiano. Non possiamo ignorare tali fragilità e sofferenze e non dobbiamo nasconderle. Infatti è a cominciare da questa prospettiva che testimoniamo la ricchezza dei doni del Signore: la fede e la speranza; ed è da qui che siamo chiamati a valorizzare le nostre risorse: la fortezza, la temperanza…

C’è una parola che dovrebbe diventare «virale» per tutti noi di questi tempi: ed è «confidenza». Confidenza nel Signore prima di tutto. Ma confidenza anche nei rapporti tra di noi: nessuno ha da rimanere solo. Sentiamoci, parliamo – anche solo per sapere come si sta. Teniamo viva quelle rete di stima, di amicizia, di fraternità che è la sostanza del nostro essere «clero», cioè patrimonio eletto del Signore.

Carissimi,

a questi semplici pensieri che mi partono dal cuore aggiungo un grazie che vorrei fosse accolto da ciascuno di voi. Vi ringrazio per l’impegno con cui vi rendete in qualche modo presenti soprattutto verso quelle persone che piangono i loro cari e non possono nemmeno dare loro l’ultimo saluto e una stretta di mano o una carezza.

Vi ringrazio per la costante preghiera che scandisce le vostre giornate, dalla Messa celebrata da soli ma per l’intera comunità, al rosario alla Madonna Consolata che come ci ha ricordato il Papa ha ottenuto nel passato tante grazie in occasione di eventi come questo, ed è certamente disponibile anche oggi a donarci il suo aiuto e la sua protezione.

Vi ringrazio per la vostra vicinanza, realizzata attraverso gli strumenti digitali, verso i ragazzi e giovani dell’oratorio e del catechismo, le loro catechiste e catechisti e animatori.

Ringrazio in particolare i cappellani degli ospedali,i diaconi, i medici e operatori sanitari, i volontari Caritas e quanti si prestano per alleviare la solitudine di tanti anziani soli mediante una telefonata o una preghiera fatta apposta per loro.

Il virus passerà, ne siamo certi; e tante saranno e le tragedie che si porterà dietro ma ci darà modo di riflettere profondamente sul nostro stile di vita, sul dare importanza a ciò che conta veramente rispetto a tante altre cose ritenute necessarie e in realtà superflue e secondarie.

Vi benedico di cuore e mi auguro che al più presto potremo ritrovarci insieme per continuare la nostra missione e ritrovare slancio e vigore per il nostro impegno verso e con i nostri fedeli.

Cesare vescovo, padre e amico

“Opzione Valdocco”: il messaggio del Papa ai Capitolari

Ai partecipanti al 28° Capitolo generale dei Salesiani sul tema «Quali salesiani per i giovani di oggi?» il Papa ha inviato il seguente messaggio, letto durante i lavori di venerdì 6 marzo.

Cari fratelli!

Vi saluto con affetto e ringrazio Dio di poter, pur a distanza, condividere con voi un momento del cammino che state percorrendo.

È significativo che, dopo alcuni decenni, la Provvidenza vi abbia condotto a celebrare il Capitolo Generale a Valdocco – il luogo della memoria – dove il sogno fondativo si concretizza e fece i primi passi. Sono sicuro che il rumore e il vociare degli oratori sarà la musica migliore, la più efficace perché lo Spirito ravvivi il dono carismatico del vostro fondatore. Non chiudete le finestre a questo rumore di sottofondo… Lasciate che vi accompagni e che vi mantenga inquieti e intrepidi nel discernimento; e permettete che queste voci e questi canti, a loro volta, evochino in voi i volti di tanti altri giovani che, per varie ragioni, si trovano come pecore senza pastore (cfr Mc 6,34). Questo vociare e questa inquietudine vi terranno attenti e svegli davanti a qualunque tipo di anestesia autoimposta e vi aiuteranno a rimanere in una fedeltà creativa alla vostra identità salesiana.

Ravvivare il dono che avete ricevuto

Pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare che siamo immersi in un momento di cambiamenti, con tutto ciò che di incertezza questo genera. Nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale. L’inconsistenza e la “fluidità” degli avvenimenti, ma soprattutto la velocità con cui si susseguono e si comunicano le cose, fa sì che ogni tipo di previsione diventi una lettura condannata ad essere riformulata al più presto (cfr Cost. ap. Veritatis gaudium, 3-4). Tale prospettiva si accentua ancor più per il fatto che le vostre opere sono orientate in modo particolare al mondo giovanile che in sé stesso è un mondo in movimento e in continua trasformazione. Questo ci chiede una doppia docilità: docilità ai giovani e alle loro esigenze e docilità allo Spirito e a tutto quello che Egli voglia trasformare.

Assumere responsabilmente questa situazione – a livello sia personale sia comunitario – comporta l’uscire da una retorica che ci fa dire continuamente “tutto sta cambiando” e che, a forza di ripeterlo e ripeterlo, finisce col fissarci in un’inerzia paralizzante che priva la vostra missione della parresia propria dei discepoli del Signore. Tale inerzia può anche manifestarsi in uno sguardo e un atteggiamento pessimistici di fronte a tutto ciò che ci circonda e non solo rispetto alle trasformazioni che avvengono nella società ma anche in rapporto alla propria Congregazione, ai fratelli e alla vita della Chiesa. Quell’atteggiamento che finisce per “boicottare” e impedire qualunque risposta o processo alternativo, oppure per far emergere la posizione opposta: un ottimismo cieco, capace di dissolvere la forza e novità evangelica, impedendo di accettare concretamente la complessità che le situazioni richiedono e la profezia che il Signore ci invita a portare avanti. Né il pessimismo né l’ottimismo sono doni dello Spirito, perché entrambi provengono da una visione autoreferenziale capace solo di misurarsi con le proprie forze, capacità o abilità, impedendo di guardare a ciò che il Signore attua e vuole realizzare tra di noi (cfr Esort. ap. postsin. Christus vivit, 35). Né adattarsi alla cultura di moda, né rifugiarsi in un passato eroico ma già disincarnato. In tempi di cambiamenti, fa bene attenersi alle parole di San Paolo a Timoteo:

«Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (2 Tm 1,6-7).

Queste parole ci invitano a coltivare un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici. Questo aiuterà ad addentrarsi nel cammino con lo spirito e l’apporto proprio dei figli di Don Bosco e, come lui, sviluppare una «valida rivoluzione culturale» (Enc. Laudato si’, 114). Questo atteggiamento contemplativo permetterà a voi di superare e oltrepassare le vostre stesse aspettative e i vostri programmi. Siamo uomini e donne di fede, il che suppone l’essere appassionati di Gesù Cristo; e sappiamo che tanto il nostro presente quanto il nostro futuro sono impregnati di questa forza apostolico-carismatica chiamata a continuare a permeare la vita di tanti giovani abbandonati e in pericolo, poveri e bisognosi, esclusi e scartati, privati di diritti, di casa… Questi giovani attendono uno sguardo di speranza in grado di contraddire ogni tipo di fatalismo o determinismo. Attendono di incrociare lo sguardo di Gesù che dice loro «che in tutte le situazioni buie e dolorose […] c’è una via d’uscita» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 104). È lì che abita la nostra gioia.

Né pessimista né ottimista, il salesiano del sec. XXI è un uomo pieno di speranza perché sa che il suo centro è nel Signore, capace di fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5). Solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di rassegnazione e sopravvivenza difensiva. Solo questo renderà feconda la nostra vita (cfr Omelia, 2 febbraio 2017), perché renderà possibile che il dono ricevuto continui ad essere sperimentato ed espresso come una buona notizia per e con i giovani di oggi. Questo atteggiamento di speranza è capace di instaurare e inaugurare processi educativi alternativi alla cultura imperante che, in non poche situazioni – sia per indigenza e povertà estrema sia per abbondanza, in alcuni casi pure estrema –, finiscono con l’asfissiare e uccidere i sogni dei nostri giovani condannandoli a un conformismo assordante, strisciante e non di rado narcotizzato. Né trionfalisti né allarmisti, uomini e donne allegri e speranzosi, non automatizzati ma artigiani; capaci di «mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 36).

L’“opzione Valdocco” del vostro 28° Capitolo Generale è una buona occasione per confrontarsi con le fonti e chiedere al Signore: “Da mihi animas, coetera tolle”.[1] Tolle soprattutto ciò che durante il cammino si è andato incorporando e perpetuando e che, sebbene in un altro tempo è potuto essere una risposta adeguata, oggi vi impedisce di configurare e plasmare la presenza salesiana in maniera evangelicamente significativa nelle diverse situazioni della missione. Questo richiede, da parte nostra, di superare le paure e le apprensioni che possono sorgere per aver creduto che il carisma si riducesse o identificasse con determinate opere o strutture. Vivere fedelmente il carisma è qualcosa di più ricco e stimolante del semplice abbandono, ripiego o riadattamento delle case o delle attività; comporta un cambio di mentalità di fronte alla missione da realizzare.[2]

L’“opzione Valdocco” e il dono dei giovani

L’Oratorio salesiano e tutto ciò che sorse a partire da esso, come racconta la biografia dell’Oratorio, nacque come risposta alla vita di giovani con un volto e una storia, che misero in moto quel giovane sacerdote incapace di rimanere neutrale o immobile davanti a ciò che accadeva. Fu molto più di un gesto di buona volontà o di bontà, e persino molto più del risultato di un progetto di studio sulla “fattibilità numerico-carismatica”. Lo penso come un atto di conversione permanente e di risposta al Signore che, “stanco di bussare” alle nostre porte, aspetta che andiamo a cercarlo e a incontrarlo… O che lo lasciamo uscire, quando bussa da dentro. Conversione che implica (e complica) tutta la sua vita e quella di coloro che gli stavano attorno. Don Bosco non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare.

Scegliendo e accogliendo il mondo dei bambini e dei giovani abbandonati, senza lavoro né formazione, ha permesso loro di sperimentare in modo tangibile la paternità di Dio e ha fornito loro strumenti per raccontare la loro vita e la loro storia alla luce di un amore incondizionato. Essi, a loro volta, hanno aiutato la Chiesa a re-incontrarsi con la sua missione:

«La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (Sal 118,22).

Lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione.[3] La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni: accogliere, integrare e far crescere le migliori qualità come dono per gli altri, soprattutto per quelli emarginati e abbandonati dai quali non ci si aspetta nulla. Lo disse Paolo VI: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa… Ci vuole dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 15). Ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri.

Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti dell’oratorio da realizzare.[4] Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra la sua volontà e i suoi sogni.[5] Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di dinamiche senza sentirsene il padrone. Un’unione che ci ricorda che siamo “Chiesa in uscita” e ci mobilita per questo: Chiesa capace di abbandonare posizioni comode, sicure e in alcune occasioni privilegiata, per trovare negli ultimi la fecondità tipica del Regno di Dio. Non si tratta di una scelta strategica, ma carismatica. Una fecondità sostenuta in base alla croce di Cristo, che è sempre ingiustizia scandalosa per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti alla sofferenza o sono scesi a patti con l’ingiustizia nei confronti dell’innocente. «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine, perché chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché anche la società sia più madre» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 75).

L’“opzione Valdocco” e il carisma della presenza

È importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo. La missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo. Quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e a diventare una caricatura.

In questo senso, uno degli ostacoli che possiamo individuare non ha tanto a che vedere con una qualsiasi situazione esterna alle nostre comunità, ma piuttosto è quello che ci tocca direttamente per un’esperienza distorta del ministero…, e che ci fa tanto male: il clericalismo. È la ricerca personale di voler occupare, concentrare e determinare gli spazi minimizzando e annullando l’unzione del Popolo di Dio. Il clericalismo, vivendo la chiamata in modo elitario, confonde l’elezione con il privilegio, il servizio con il servilismo, l’unità con l’uniformità, la discrepanza con l’opposizione, la formazione con l’indottrinamento. Il clericalismo è una perversione che favorisce legami funzionali, paternalistici, possessivi e perfino manipolatori con il resto delle vocazioni nella Chiesa.

Un altro ostacolo che incontriamo – diffuso, e perfino giustificato, soprattutto in questo tempo di precarietà e fragilità – è la tendenza al rigorismo. Confondendo autorità con autoritarismo, esso pretende di governare e controllare i processi umani con un atteggiamento scrupoloso, severo e perfino meschino di fronte ai limiti e alle debolezze propri o altrui (soprattutto altrui). Il rigorista dimentica che il grano e la zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,24-30) e «che non tutti possono tutto e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte dalla grazia. In qualsiasi caso, come insegnava sant’Agostino, Dio ti invita a fare quello che puoi e a chiedere quello che non puoi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 49). San Tommaso d’Aquino con grande finezza e sottigliezza spirituale ci ricorda che «il diavolo inganna molti. Alcuni attirandoli a commettere i peccati, altri invece all’eccessiva rigidità verso chi pecca, così che se non può averli con il comportamento vizioso, conduce alla perdizione quelli che ha già, utilizzando il rigore dei prelati, i quali, non correggendoli con misericordia, li inducono alla disperazione, ed è così che si perdono e cadono nella rete del diavolo. E questo capita a noi, se non perdoniamo ai peccatori».[6]

Coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica. Un educatore «che non teme di porre limiti e, al tempo stesso, si abbandona alla dinamica della speranza espressa nella sua fiducia nell’azione del Signore dei processi, è l’immagine di un uomo forte, che guida ciò che non appartiene a lui, ma al suo Signore»[7]. Non ci è lecito soffocare e impedire la forza e la grazia del possibile, la cui realizzazione nasconde sempre un seme di Vita nuova e buona. Impariamo a lavorare e a confidare nei tempi di Dio, che sono sempre più grandi e saggi delle nostre miopi misure. Lui non vuole distruggere nessuno, ma salvare tutti.

È urgente, pertanto, trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni battezzato – con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti – e non solo dei cosiddetti “attori qualificati” (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 120); una partecipazione dove il servizio, e il servizio al più povero, sia l’asse portante che aiuti a manifestare e a testimoniare meglio nostro Signore, «che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Vi incoraggio a continuare a impegnarvi per fare delle vostre case un “laboratorio ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e missioni nella Chiesa.[8]

In questo senso, penso concretamente a due presenze della vostra comunità salesiana, che possono aiutare come elementi a partire dai quali confrontare il posto che occupano le diverse vocazioni tra di voi; due presenze che costituiscono un “antidoto” contro ogni tendenza clericalista e rigorista: il Fratello Coadiutore e le donne.

I Fratelli Coadiutori sono espressione viva della gratuità che il carisma ci invita a custodire. La vostra consacrazione è, innanzitutto, segno di un amore gratuito del Signore e al Signore nei suoi giovani che non si definisce principalmente con un ministero, una funzione o un servizio particolare, ma attraverso una presenza. Prima ancora che di cose da fare, il salesiano è ricordo vivente di una presenza in cui la disponibilità, l’ascolto, la gioia e la dedizione sono le note essenziali per suscitare processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivistica e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani.

Che ne sarebbe di Valdocco senza la presenza di Mamma Margherita? Sarebbero state possibili le vostre case senza questa donna di fede? In alcune regioni e luoghi «ci sono comunità che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza che alcun sacerdote passasse da quelle parti, anche per decenni. Questo è stato possibile grazie alla presenza di donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo. Per secoli le donne hanno tenuto in piedi la Chiesa in quei luoghi con ammirevole dedizione e fede ardente» (Esort. ap. postsin. Querida Amazonia, 99). Senza una presenza reale, effettiva ed affettiva delle donne, le vostre opere mancherebbero del coraggio e della capacità di declinare la presenza come ospitalità, come casa. Di fronte al rigore che esclude, bisogna imparare a generare la nuova vita del Vangelo.

Vi invito a portare avanti dinamiche in cui la voce della donna, il suo sguardo e il suo agire – apprezzato nella sua singolarità – trovino eco nel prendere le decisioni; come un attore non ausiliare ma costitutivo delle vostre presenze.

L’“opzione Valdocco” nella pluralità delle lingue

Come in altri tempi, il mito di Babele cerca di imporsi in nome della globalità. Interi sistemi creano una rete di comunicazione globale e digitale capace di interconnettere i vari angoli del pianeta, col grave pericolo di uniformare monoliticamente le culture, privandole delle loro caratteristiche essenziali e delle loro risorse. La presenza universale della vostra famiglia salesiana è uno stimolo e un invito a custodire e a preservare la ricchezza di molte delle culture in cui siete immersi senza cercare di “omologarle”. D’altra parte, sforzatevi affinché il cristianesimo sia capace di assumere la lingua e la cultura delle persone del luogo. È triste vedere che in molte parti si sperimenta ancora la presenza cristiana come una presenza straniera (soprattutto europea); situazione che si riscontra anche negli itinerari formativi e negli stili di vita (cfr ibid., 90).[9] Al contrario, agiremo come ci ispira questo aneddoto che Don Bosco, alla domanda in quale lingua gli piacesse parlare, rispose: “Quella che mi ha insegnato mia madre: è quella con cui posso comunicare più facilmente”. Seguendo questa certezza, il salesiano è chiamato a parlare nella lingua materna di ognuna delle culture in cui si trova. L’unità e la comunione della vostra famiglia è in grado di assumere e accettare tutte queste differenze, che possono arricchire l’intero corpo in una sinergia di comunicazione e interazione dove ognuno possa offrire il meglio di sé per il bene di tutto il corpo. Così la salesianità, lungi dal perdersi nell’uniformità delle tonalità, acquisterà un’espressione più bella e attrattiva… saprà esprimersi “in dialetto” (cfr 2 Mac 7,26-27).

Nello stesso tempo, l’irruzione della realtà virtuale come linguaggio dominante in molti dei Paesi in cui voi svolgete la vostra missione esige, in primo luogo, di riconoscere tutte le possibilità e le cose buone che produce, senza sottovalutare o ignorare l’incidenza che possiede nel creare legami, soprattutto sul piano affettivo. Da ciò non siamo immuni neppure noi adulti consacrati. La tanto diffusa (e necessaria) “pastorale dello schermo” ci chiede di abitare la rete in modo intelligente riconoscendola come uno spazio di missione,[10] che richiede, a sua volta, di porre tutte le mediazioni necessarie per non rimanere prigionieri della sua circolarità e della sua logica particolare (e dicotomica). Questa trappola – pur in nome della missione – ci può rinchiudere in noi stessi e isolarci in una virtualità comoda, superflua e poco o per niente impegnata con la vita dei giovani, dei fratelli della comunità o con i compiti apostolici. La rete non è neutrale e il potere che possiede per creare cultura è molto alto. Sotto l’avatar della vicinanza virtuale possiamo finire ciechi o distanti dalla vita concreta delle persone, appiattendo e impoverendo il vigore missionario. Il ripiegamento individualistico, tanto diffuso e proposto socialmente in questa cultura largamente digitalizzata, richiede un’attenzione speciale non solo riguardo ai nostri modelli pedagogici ma anche riguardo all’uso personale e comunitario del tempo, delle nostre attività e dei nostri beni.

L’“opzione Valdocco” e la capacità di sognare

Uno dei “generi letterari” di Don Bosco erano i sogni. Con essi il Signore si fece strada nella sua vita e nella vita di tutta la vostra Congregazione allargando l’immaginazione del possibile. I sogni, lungi dal tenerlo addormentato, lo aiutarono, come accadde a San Giuseppe, ad assumere un altro spessore e un’altra misura della vita, quelli che nascono dalle viscere della compassione di Dio. Era possibile vivere concretamente il Vangelo… Lo sognò e gli diede forma nell’oratorio.

Desidero offrirvi queste parole come le “buone notti” in ogni buona casa salesiana al termine della giornata, invitandovi a sognare e a sognare in grande. Sappiate che il resto vi sarà dato in aggiunta. Sognate case aperte, feconde ed evangelizzatrici, capaci di permettere al Signore di mostrare a tanti giovani il suo amore incondizionato e di permettere a voi di godere della bellezza a cui siete stati chiamati. Sognate… E non solo per voi e per il bene della Congregazione, ma per tutti i giovani privi della forza, della luce e del conforto dell’amicizia con Gesù Cristo, privi di una comunità di fede che li sostenga, di un orizzonte di senso e di vita (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).

Sognate… E fate sognare!

Roma, San Giovanni in Laterano, 4 marzo 2020

CnosFap – Rubrica del direttore: lettera di luglio 2019

Si riporta di seguito la lettera del Direttore del CNOS-FAP PiemonteLucio Reghellin, per il mese di luglio 2019.

Il mese concluso è stato periodo di esami per gli allievi dei nostri CFP e, dal rimando che ho avuto, i risultati sono stati complessivamente positivi, perché quasi tutti hanno conseguito il titolo regionale di qualifica o il diploma professionale del quarto anno. Ora li attende il lavoro, accompagnati dai nostri operatori degli sportelli SAL che sono impegnati anche con l’avvio dei numerosi tirocini estivi.

Nel frattempo molti operatori hanno iniziato i corsi di aggiornamento nazionali e regionali: anche questo è un momento importante che la nostra Associazione assicura ogni anno a tutto il personale. Un grande sforzo da parte di tutti, soprattutto dopo un anno intenso come quello che abbiamo vissuto.

Giugno è stato anche mese di verifica dell’andamento delle attività (riesame), sia nei singoli CFP che a livello di Associazione. Il Consiglio Direttivo ha preso decisioni importanti: dalle nomine dei nuovi direttori di CFP, agli indirizzi programmatici per avviare la fase esecutiva in vista del nuovo anno formativo. Nel frattempo il personale degli uffici della Sede Regionale è impegnato nelle attività di tipo amministrativo e contabile, di progettazione dei vari bandi e delle attività a supporto, di raccolta dei risultati e dei documenti per provvedere alla presentazione delle domande di rimborso agli enti pubblici per ogni progetto che si chiude.

In questo periodo sono arrivate le nomine dei Direttori salesiani da parte del superiore religioso, l’Ispettore Don Enrico Stasi. Diamo “il benvenuto o bentornato” in CNOS-FAP a quelli che andranno in un’opera salesiana in cui c’è anche la presenza del CFP: Don Luca Barone al Rebaudengo, Don Luigi Compagnoni che dal Rebaudengo va ad Alessandria, Don Alessandro Borsello che arriva a Bra.

Penso siano già noti a tutti i nuovi Direttori di CFP: Gianluca Dho a Savigliano, già coordinatore di centro e progettista a Fossano, Debora Gastaldi a Saluzzo, dove era coordinatore di centro, Lidia Magrassi ad Alessandria, sede in cui era responsabile amministrativo. Al CFP di Vercelli è stato nominato Don Gabriele Miglietta, già Direttore dei CFP di Saluzzo e Savigliano. A coloro che assumono i nuovi incarichi facciamo i nostri migliori auguri perché possano svolgere il loro servizio nel migliore dei modi, con la collaborazione di tutti. Facciamo anche gli auguri a tutti i Coordinatori che li affiancheranno, sia quelli di nuova nomina che quelli confermati.

Nel mese scorso si è insediata la nuova Giunta Regionale del Piemonte a seguito dell’esito elettorale. Il compito di guidare l’Assessorato di riferimento per la Formazione Professionale è toccato a Elena Chiorino, ex sindaco del comune di Ponderano (BI), che avrà le delega anche di Istruzione, Lavoro, e Diritto allo Studio universitario. A lei e a tutta la Giunta a partire dal neo Presidente Alberto Cirio va il nostro augurio affinchè possano svolgere il loro mandato nell’interesse dei Cittadini e proseguire il lavoro delle Amministrazioni precedenti che hanno creduto concretamente nella FP e l’hanno fatta diventare un’eccellenza a livello nazionale ed europeo.

Lucio Reghellin

Sinodo dei giovani 2018 – Materiale Preparatorio

Nell’ottobre del 2018 si terrà la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Nella mattinata del 13 gennaio si è tenuta, presso la Sala Stampa della Santa Sede, la Conferenza Stampa di presentazione del Documento Preparatorio del Sinodo, in cui i giovani presenti hanno espresso alla stampa il loro desiderio di “diventare protagonisti non solo di un futuro ancora da venire, ma anche e soprattutto di un presente che ci chiama già oggi a costruire la civiltà dell’Amore, mettendo a frutto i nostri talenti nei luoghi in cui siamo chiamati a vivere”.

Il Santo Padre ha rivolto una Lettera indirizzata direttamente ai giovani, esortandoli a partecipare attivamente al cammino sinodale, perché il Sinodo è per loro e perché tutta la Chiesa si mette in ascolto della loro voce, della loro sensibilità, della loro fede, come anche dei loro dubbi e delle loro critiche. Li invita inoltre ad ‘uscire’, sull’esempio di Abramo, per incamminarsi verso la terra nuova costituita «da una società più giusta e fraterna» da costruire fino alle periferie del mondo.

Il documento preparatorio si propone di individuare le modalità migliori per accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata alla vita in pienezza e per annunciare loro più efficacemente il Vangelo. Il Documento dà avvio alla fase della consultazione di tutto il Popolo di Dio: è indirizzato alle Conferenze episcopali, ai Consigli dei Gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, ai dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali. È prevista, inoltre, una consultazione dei giovani stessi attraverso un sito Internet.