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Messaggi del Rettor Maggiore ai giovani del Movimento Giovanile Salesiano

Da Note di Pastorale Giovanile, la nuova rubrica: Messaggi del Rettor Maggiore ai giovani del Movimento Giovanile Salesiano.

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Da alcuni anni il Rettor Maggiore dei Salesiani, in occasione della Festa di don Bosco, il 31 gennaio, manda una “lettera” ai giovani del Movimento Giovanile Salesiano (del mondo, ovviamente), come un saluto, un momento di cordialità, uno scambiarsi gli auguri.

In genere tale messaggio origina dal tema della Strenna  (l’impegno che ogni anno viene lanciato ai membri della Famiglia Salesiana), oppure da qualche evento di Congregazione e di Chiesa, come la GMG, l’Anno Santo, il Sinodo sui giovani, o qualche speciale anniversario salesiano.

Tale messaggio “circola” nei nostri ambienti non solo come “parola” che indirizza, ma anche e soprattutto come segno di famiglia, appunto per la speciale predilezione per i giovani che nel nome di don Bosco tutti i suoi Successori hanno.

E allora raccogliamo qui la documentazione che siamo riusciti a reperire. Al momento non riusciamo ad andare indietro al 2000; chissà che qualche ricercatore o salesiano o giovane di buona memoria possa completare questo lavoro.

Sarà poi nostra cura trovare e mettere on line, prima che il tempo ingoi tutto, il materiale prodotto dei vari Confronti internazionali, Incontro Europei, Assemblee nazionali, Forum e quant’altro che riguarda il Movimento Giovanile Salesiano. Ma anche le pagine che i vari Rettori Maggiori nelle loro Circolari o gli stessi Atti dei Capitoli Generali hanno scritto.

Il MGS è – anche nelle parole dei Rettori Maggiori – la sintesi e il modello operativo della nostra Pastorale Giovanile, nell’intreccio della dimensione del coinvolgimento-partecipazione dei giovani, della spiritualità che proviene dall’azione dello Spirito in don Bosco, della cura formativa e “missionaria” che ne ha la comunità “salesiana” allargata nella sua missione educativa-pastorale.

 

Il sogno della pace. La GMG di Lisbona, profezia di fraternità universale

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile di novembre.

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di don Rossano Sala

Un nuovo inizio

La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ha segnato una vera e propria ripartenza dopo la drammatica esperienza della pandemia. Si respirava una certa tensione ecclesiale rispetto alla riuscita di questo incontro mondiale. Gli organizzatori erano realmente preoccupati. Alcuni pensavano che dopo la pandemia sarebbe finito il tempo dei grandi raduni internazionali, altri invece immaginavano una presenza molto ridotta di giovani. La Chiesa invece ha scommesso di nuovo sui giovani e ancora una volta ha avuto ragione! E dopo questo evento l’aria è finalmente cambiata, come ha ben commentato papa Francesco qualche giorno dopo il termine degli eventi:

Questa GMG di Lisbona, venuta dopo la pandemia, è stata sentita da tutti come dono di Dio che ha rimesso in movimento i cuori e i passi dei giovani, tanti giovani da tutte le parti del mondo – tanti! – per andare a incontrarsi e incontrare Gesù.
La pandemia, lo sappiamo bene, ha inciso pesantemente sui comportamenti sociali: l’isolamento è degenerato spesso in chiusura, e i giovani ne hanno risentito in modo particolare. Con questa Giornata Mondiale della Gioventù, Dio ha dato una “spinta” in senso contrario: essa ha segnato un nuovo inizio del grande pellegrinaggio dei giovani attraverso i continenti, nel nome di Gesù Cristo. E non è un caso che sia accaduto a Lisbona, una città affacciata sull’oceano, città-simbolo delle grandi esplorazioni via mare[1].

Un nuovo inizio, dunque, che ha invertito la rotta. Speriamo che lo sia anche per la pastorale giovanile e la Chiesa in Italia. Non è poco aver accompagnato 65.000 giovani italiani a Lisbona. Significa aver messo da parte un certo “tesoretto” da far ora fruttificare nella vita quotidiana, nei nostri ambienti ecclesiali e nella società tutta. Si può ripartire prendendo sul serio il “mandato” che Francesco ha consegnato a tutti i giovani nel giorno della trasfigurazione del Signore, ultimo della GMG di Lisbona:

«Signore, è bello per noi essere qui!» (Mt 17,4). Queste parole, che disse l’apostolo Pietro a Gesù sul monte della Trasfigurazione, vogliamo farle anche nostre dopo questi giorni intensi. È bello quanto stiamo sperimentando con Gesù, ciò che abbiamo vissuto insieme, ed è bello come abbiamo pregato, con tanta gioia del cuore. Allora possiamo chiederci: cosa portiamo con noi ritornando alla vita quotidiana?
La prima: brillare. Gesù si trasfigura. Il Vangelo dice: «Il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2). […] Il nostro Dio illumina. Illumina il nostro sguardo, illumina il nostro cuore, illumina la nostra mente, illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita. Sempre con la luce del Signore.
Il secondo verbo è ascoltare. Sul monte, una nube luminosa copre i discepoli. E questa nube, dalla quale parla il Padre, che cosa dice? «Ascoltatelo», «questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo» (Mt 17,5). È tutto qui: tutto quello che c’è da fare nella vita sta in questa parola: ascoltatelo. Ascoltare Gesù. Tutto il segreto sta qui. Ascolta che cosa ti dice Gesù.
Brillare è la prima parola, siate luminosi; ascoltare, per non sbagliare strada; e infine la terza parola: non avere paura. Non abbiate paura. Una parola che nella Bibbia si ripete tanto, nei Vangeli: “non abbiate paura”. Queste furono le ultime parole che nel momento della Trasfigurazione Gesù disse ai discepoli: «Non temete» (Mt 17,7)[2].

Brillare, ascoltare e non avere paura. Un piccolo ma prezioso programma non solo per tutti i giovani, ma per la Chiesa nel suo insieme. Diventa un compito chiaro, un manifesto da prendere sul serio, una prospettiva attorno a cui creare coinvolgimento e corresponsabilità tra giovani e adulti.

Un messaggio chiaro

Per chi ha vissuto una delle tante GMG degli ultimi decenni, sa che questo evento è un’esperienza di fratellanza universale più unica che rara. Effettivamente trovare tante nazionalità così diverse che vivono insieme in un clima di festa e di comunione è praticamente quasi impossibile. La GMG è un’esperienza di pace universale, un momento magico in cui si prende atto che la convivenza pacifica dei popoli è una possibilità reale. Effettivamente,

mentre in Ucraina e in altri luoghi del mondo si combatte, e mentre in certe sale nascoste si pianifica la guerra – è brutto questo, si pianifica la guerra! –, la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti[3].

I giovani desiderano la pace. Lo hanno detto chiaramente con la loro presenza pacifica e gioiosa per tutti i giorni della GMG. Lo ribadiscono continuamente quando si parla con loro e quando è data loro con serietà la parola.
Lisbona, è stato detto varie volte durante i giovani della GMG, è una città che per sua natura è legata alla ricerca della pace e all’unione tra i popoli. Durante l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico Francesco è stato oltremodo esplicito e diretto sull’argomento della guerra e della pace. Direi perfino provocatorio e profetico. Conviene risentire alcuni passaggi per intero:

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5).
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita.
Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi[4].

Un grande monito per il mondo degli adulti e dei politici dell’Europa e dell’Occidente a prendere sul serio ciò che dicono a parole e che poi raramente si concretizza nei fatti. Speriamo che non sia inascoltato, ma inneschi un percorso serio e consapevole che ci faccia cambiare rotta.

Dall’agonia al parto

Incontrando i giovani universitari presso l’Università cattolica del Portogallo Francesco ha chiesto di non pensare a questo tempo come a qualcosa di bloccato e incontrovertibile, come fosse legato ad un ineludibile destino di violenza, guerra e morte. Ha chiesto addirittura di interpretare i tempi difficili che stiamo vivendo in modo diverso. Non come percorso a senso unico, ma come sofferenza che potrà dare nuova vita al mondo. Pensiero ardito, il suo:

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita[5].

Viene ripreso in filigrana il pensiero di Gesù nel vangelo di Giovanni, quando afferma che la vita nuova passa attraverso la sofferenza, come nel parto:

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia[6].

Gesù parla della croce, della sua sofferenza offerta per la vita del mondo, come di un parto che dona vita piena al mondo nuovo che si sta affacciando. Proprio nel momento massimo dello sconforto offre ai discepoli una diversa interpretazione della sua morte. È un ribaltamento a cui non sono ancora pronti, ma a cui dovranno aderire, riconoscendo come la più grande catastrofe della storia diventerà radice di una pace e di una gioia che non avranno confini, perché «egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne»[7].
Con questo spirito costruttivo Francesco sfida i giovani: «Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!»[8]. Certo, perché dove i discepoli erano certi che tutto era andato perduto, Gesù dirà che tutto è stato compiuto: la sua morte sarà fonte di vita piena e abbondante per tutti, nessuno escluso.
Se ci pensiamo bene, il primo “imprenditore di sogni” è proprio Francesco, che ancora una volta ci stupisce per la giovinezza del suo pensiero e della sua proposta. Proprio nel momento conclusivo della GMG ci consegna con commozione il suo grande sogno per questo mondo tanto amato da Dio e tanto lacerato dagli uomini:

In particolare, accompagniamo con l’affetto e la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante le guerre, sono molti i conflitti. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto. Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità.
E, tornando a casa, continuate a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le diverse nazionalità, le lingue, le storie possono unire anziché dividere. Siete speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti![9]

Si sogna la pace, si prega per la pace. Proprio in Portogallo, dove la Madonna è apparsa a tre piccoli pastorelli rivelando misteri di guerra e di pace nel mondo moderno e contemporaneo. Mai come oggi il messaggio e le profezie di Fatima è così attuale.
Proprio lì, in questo piccolo e periferico borgo ai confini dell’Europa, nel silenzio adorante e nella preghiera perseverante, il successore di Pietro ha chiesto con insistenza il dono della pace: «Ho pregato, ho pregato. Ho pregato la Madonna e ho pregato per la pace. Non ho fatto pubblicità. Ma ho pregato. E dobbiamo continuamente ripetere questa preghiera per la pace. Lei nella prima guerra mondiale aveva chiesto questo. E io questa volta l’ho chiesto alla Madonna. E ho pregato. Non ho fatto pubblicità»[10].

I diversi testi legati al tema della pace citati sopra e ripresi dalla recente Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ci sembrano un’ottima introduzione all’articolato e ricco Dossier che segue, dove in molti modi vengono declinati i linguaggi e le pratiche della pace, che così appaiono possibili e realizzabili. Esso vuole essere una grande spinta a diventare in ogni occasione degli operatori di pace nel proprio contesto di azione civile ed ecclesiale, così da essere riconosciuti come amici e familiari di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»[11]. Che il sogno della pace diventi sempre più una realtà concreta e sperimentabile per tutti i giovani, nessuno escluso. E per tutta la Chiesa e la società. Il mondo ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo tempo.
Un grande ringraziamento per la tessitura del presente Dossier va a Renato Cursi, da anni membro attivo e propositivo della redazione di NPG, che con competenza ed eleganza sempre accompagna la nostra rivista in molti modi apprezzati dai lettori. La sua esperienza salesiana internazionale, oltre che la sua competenza specifica nell’ambito delle istituzioni di pace, ne fanno una vera ricchezza per noi tutti. Il suo lavoro quotidiano all’interno del mondo sociale in ottica salesiana rimane una garanzia di concretezza e sensibilità per i giovani, soprattutto per i più poveri e abbandonati.

NOTE

[1] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[2] Francesco, Omelia del 6 agosto 2023.
[3] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[4] Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del 2 agosto 2023.
[5] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[6] Gv 16,21-22.
[7] Ef 2,14.
[8] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[9] Francesco, Angelus del 6 agosto 2023.
[10] Francesco, Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno del 6 agosto 2023.
[11] Mt 5,9.

Sulla strada dei sogni: dossier sulla proposta pastorale 2023/2024

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile.

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LA CHIUSURA DEL CERCHIO

Negli ultimi tre anni il dossier NPG di approfondimento della proposta pastorale MGS si è concentrato sul primo sogno di don Bosco, quello comunemente conosciuto come il “sogno dei nove anni”. Esso è stato l’avvio di un triennio di proposte pastorali per i ragazzi e i giovani delle opere salesiane, dagli oratori alle scuole alle parrocchie nei cammini di iniziazione ed educazione alla fede, e anche coagulo di riflessioni pastorali nelle comunità educative, in una sorta di trittico unitario e organico, secondo la seguente scansione:

“Nel cuore del mondo” (cf NPG 5/2020): è stata messa a fuoco la realtà in cui siamo chiamati a vivere, a crescere e ad agire. Come il piccolo Giovannino fu invitato a stare al centro del cortile, anche i giovani si sono sentiti interpellati a vivere la loro esistenza nel cuore del nostro tempo, e ad essere proprio lì lievito, sale, luce.

 Successivamente si sono approfondite alcune parole di Maria che nel sogno invitavano Giovannino Bosco a lavorare sul proprio carattere, ad assumere una personalità a tutto tondo: “Renditi umile, forte e robusto” (cf NPG 5/2021). L’idea di fondo era che per essere degli educatori e pastori all’altezza della propria vocazione fosse necessario prima di tutto lavorare su se stessi, migliorandosi continuamente.

Lo scorso anno ci si è concentrati nella pedagogia e nella pastorale salesiana, intessuta di familiarità e confidenza, mansuetudine e carità. “Noi ci stiamo” era il motto che attestava la disponibilità di giovani ed educatori a partecipare al carisma salesiano con tutto se stessi. Veniva richiamato e sviluppato un modo originale di stare in mezzo ai giovani, oltre che uno stile preciso per vivere la giovinezza (cf NPG 5/2022).

Ora, come preparazione immediata alla ricorrenza bicentenaria del sogno dei nove anni (2024), è sembrato importante concentrare l’attenzione sulla possibilità e sulla capacità di sognare oggi. Come giovani e adulti, come educatori e pastori coltiviamo dei sogni e desideriamo sognare. Talvolta però la capacità immaginativa è ridotta e umiliata, e non permette di avere grandi sogni. Occorre allora chiarire e spalancare l’orizzonte, e non solo come bella metafora: aprirsi a un’attitudine promettente verso il futuro che lascia spazio a Dio ed entra in dialogo con Lui, accogliendo il suo punto di vista. Esattamente qui si inserisce e prende corpo la proposta pastorale per l’anno 2023-24: “Tu vedi più lontano di me”.

Se il Quaderno offerto ai giovani e agli educatori regala una “segnaletica per tornare a sognare”, il dossier ne riprende e approfondisce alcuni temi, e così pure la Newsletter corrispondente. Il tempo della fatica e della fragilità che stiamo vivendo a livello sociale – pensiamo solo alla pandemia che ci ha accompagnato in questi anni, alle tante situazioni conflittuali tuttora in essere e alle tante forme di povertà che stanno emergendo – e anche a livello ecclesiale – pensiamo alla metamorfosi della Chiesa in questo nostro tempo, segnato da una diminuzione della pratica religiosa e da una rinnovata ricerca spirituale – ci invitano a riattivare la nostra capacità di immaginazione creativa, e insieme con essa la nostra disponibilità a sognare. Di questo ci si renderà maggior conto nelle testimonianze dei giovani, sia a livello di “sogno sulla chiesa” che come “sogno sulla propria vita”: testimonianze che formano la parte esperienziale ed esistenziale dei giovani, come sogni da realizzare, una volta “svegli” o risvegliati.

Dilatare il cuore. L’orizzonte di una “programmazione”

Dal nuovo numero di NPG.

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di don Rossano Sala

La necessità di guardare lontano

Come sempre in questi ultimi anni l’editoriale di gennaio ha un respiro ampio. Penso che oggi più che mai sia necessario alzare lo sguardo per osservare il tutto della nostra azione pastorale da una prospettiva estesa, prendendo una certa distanza dal presente per poterlo comprendere meglio.
Effettivamente una delle esperienze che sto facendo in questi ultimi anni nel mondo della pastorale in generale e della pastorale giovanile in particolare è quella di una anomala concentrazione sulle emergenze del momento. Siamo troppo incurvati sul breve e sul brevissimo termine. Talvolta vedo l’incapacità di guardare lontano, di scrutare gli orizzonti, di avere un occhio capace di abbracciare almeno il medio, se non il lungo termine. Forse manchiamo un po’ di “lungimiranza”, di quella virtù che sa oltrepassare l’immediatezza.
Il nostro dunque è un invito ad allargare lo sguardo, a indagare un orizzonte più ampio, a non lasciarsi rinchiudere nelle catene di un presentismo che ci fa mancare l’aria. Questo dice quanto una Rivista come la nostra ha un compito ben preciso e penso oggi più strategico che mai: aiutare tutti coloro che la frequentano a non affondare nelle sabbie mobili di un presentismo che non ha futuro perché dimentica il passato. E che fa della riflessione seria e fondata un caposaldo della sua vocazione specifica nel mondo della pastorale dei giovani. Possiamo dire che questa è la nostra vocazione original.
Seguendo la sagacia di Chesterton, non possiamo che convenire sul fatto che «la Chiesa cattolica è l’unica cosa in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo […] Una realtà antica quanto la Chiesa Cattolica ha accumulato un arsenale e una camera del tesoro a cui attingere; può pescare con cura tra i secoli e chiamare un’epoca in soccorso di un’altra. Ha la possibilità di evocare il mondo antico perché ristabilisca l’equilibrio del nuovo» [1]. E tutto questo la Chiesa lo fa con la coltivazione di pensiero profondo, che passa necessariamente attraverso uno studio impegnato.
Sappiamo per esperienza che il cuore soffre quando lo sguardo è corto. Non riesce a trovare spazio di espressione e gli manca l’ossigeno. Il libro dei Salmi ha una bella espressione legata alla vita del credente che ci fa bene riportare alla nostra attenzione all’inizio di questo 2023: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» [2]. Il Signore con la sua grazia – simile ad una fiamma che scalda e illumina – allarga il nostro cuore e acuisce il nostro sguardo. E questo avviene attraverso esperienze di vita, condivisione di pensiero e collaborazioni operative.
Mi pare significativo mettere qui nero su bianco la bella avventura che stiamo vivendo insieme, quella di fare squadra e fare rete con il gruppo di redazione di NPG. In tutto siamo quasi 25 persone, e insieme portiamo avanti la riflessione sui contenuti da proporre, gli autori da coinvolgere e gli stili operativi da assumere. In questi ultimi anni, intorno alla metà di giugno, ci prendiamo una giornata di lavoro insieme in vista della programmazione dell’anno successivo. È un momento “generativo”: partendo dalle nostre diverse sensibilità e competenze, cerchiamo di sintonizzarci su ciò che sarà importante trattare: temi di prospettiva, problemi impellenti, approfondimenti necessari.
La nostra programmazione non è scritta a tavolino e in solitaria da qualche mente particolarmente brillante, ma è frutto di un discernimento comunitario. Mi piace allora dare voce in questo “editoriale” al lavoro che abbiamo fatto in redazione, proponendo ai lettori i cammini che percorreremo insieme nel 2023.

Sette passaggi cruciali

Dossier sono da sempre il cuore pulsante della nostra Rivista. Le tematiche sono quelle più importanti, ed ecco perché abbiamo ritenuto opportuno fare le seguenti scelte.
A gennaio, in piena continuità con il progetto della Conferenza Episcopale Italiana SemeDiVento abbiamo visto come l’attenzione agli adolescenti rimane qualcosa di decisivo per una comunità cristiana che desidera essere significativa. Una pastorale a misura di adolescenti è vivace, creativa, dinamica: abbiamo bisogno di una scossa che ci ridoni quell’entusiasmo che a volte rischiamo di perdere.
In febbraio abbiamo pensato ad una delle proposte pastorali che si sono riscoperte nel periodo postpandemico, cioè al pellegrinaggio. Non è solo una proposta pastorale, ma è la vera metafora della vita cristiana quella del pellegrinaggio: camminare e faticare insieme, condividere le risorse e le fragilità di ciascuno, andare insieme verso una meta significativa, riconoscendo che siamo stranieri e pellegrini su questa terra.
In marzo prenderemo sul serio un aspetto poco visibile dell’educazione: la cura e l’attenzione di coloro che si prendono cura di altri. Di fronte al fenomeno del burn-out e della fatica a vivere la responsabilità educativa da parte di formatori e pastori, ci è sembrato strategico concentrarci seriamente su questo aspetto, mettendolo a fuoco con realismo, serietà e maturità.
Nel numero di aprile-maggio tratteremo di un aspetto importante per qualificare la nostra pastorale giovanile. È la sua natura generativa e quindi vocazionale: effettivamente una pastorale giovanile che non sia vocazionalmente intenzionata non sembra essere all’altezza della sua vocazione, e rischia di essere una pastorale senza meta e senza orizzonte. D’altra parte una pastorale giovanile “in chiave vocazionale” è stata oggettivamente richiesta dal Sinodo sui giovani.
Arriviamo a settembre-ottobre 2023. Ci siamo resi conto che il mondo giovanile è in rapidissimo cambiamento e che quindi quasi a cadenza annuale dobbiamo scattare una fotografia aggiornata della cultura giovanile. I giovani, sismografi e sentinelle del nostro tempo, vanno monitorati nei loro mutamenti, per non perdere una conoscenza viva della loro condizione esistenziale sempre in magmatico movimento.
Novembre ci riserverà una riflessione sul tema della pace. Sulle sue condizioni, sulle sue istituzioni e soprattutto su come impostare con saggezza un cammino di “educazione alla pace” nel senso evangelico del termine. Stiamo vivendo – come dice papa Francesco – una “terza guerra mondiale a pezzi” e a partire dagli inviti e dalle provocazioni di Fratelli tutti ci sembrava necessario offrire spunti educativi e pastorali in questo ambito.
Dulcis in fundo, il numero di dicembre 2023 ci offrirà un Dossier sulle strutture pastorali che ospitano le nostre attività. Come si stanno modificando negli ultimi decenni e quali attenzioni pastorali suggeriscono? In che modo strutture nate per esigenze che oggi non ci sono più possono essere trasformate creativamente per rispondere alle attuali necessità pastorali? Come progettare nuove strutture pastorali adeguate alle sensibilità giovanili contemporanee?
Non mi soffermo in dettaglio sugli Studi e sulle Rubriche (sia in cartaceo che online) offerte per il 2023. Si potrà trovarne l’elenco preciso e aggiornato in quarta di copertina. Sono anch’essere frutto del discernimento del gruppo di redazione e rendono conto delle diverse attenzioni che sono emerse dal confronto fraterno. Solo dai titoli proposti il lettore inserito nel dinamismo quotidiano della pastorale giovanile potrà facilmente intuire la loro attualità e freschezza, oltre che l’urgenza. Sono il segno della vivacità di una Rivista che desidera rimanere sul pezzo e mai vuole allontanarsi dalla concretezza dell’azione educativa ed evangelizzatrice.

Due momenti decisivi

Concludo con due rilanci, che vengono dai due eventi che la Chiesa cattolica a livello universale si prepara a vivere rispettivamente ad agosto e ottobre del 2023. Sono due momenti di grande convocazione che, in un modo o in un altro, ci chiedono partecipazione e corresponsabilità.
Il primo è squisitamente nostro. La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. Abbiamo dedicato a questo momento il Dossier di dicembre 2022. L’intento era quello di “scaldare i motori” risvegliando il desiderio di vivere – tutti i giovani e tutte le Diocesi, tutti i movimenti e le associazioni, tutte le congregazioni religiose impegnate con i giovani – un’esperienza di Chiesa entusiasmante, che ci renda sempre più consapevoli di essere parte di una famiglia senza confini. La GMG sarà davvero per tutti noi una grande occasione per confermare la nostra appartenenza ecclesiale, per vivere un pellegrinaggio condiviso, per riscoprire la nostra fede e per riconoscerci ancora una volta fratelli e sorelle perché figli e figlie di un unico Padre.
Il secondo riguarda tutti. Dopo due anni di cammino preparatorio che ha coinvolto tutte le componenti della Chiesa, nell’ottobre 2023 ci sarà la prima delle due sessioni del Sinodo sulla sinodalità a livello di Chiesa universale. La seconda è prevista per l’ottobre del 2024. Vorrei ancora una volta ribadire che questo momento di confronto sulla forma sinodale della Chiesa – dove tutti sono chiamati ad essere protagonisti e dove nessuno può rimanere una comparsa – è stato il frutto maturo del Sinodo sui giovani. Questi ultimi hanno chiesto di prendere sul serio la riforma della Chiesa per essere all’altezza dell’evangelo di Dio e dei tempi che corrono. Tutto ciò non sarà estraneo al presente e al futuro della pastorale giovanile, in quanto il rinnovamento del volto della Chiesa è la necessaria premessa in vista della sua significatività per tutti i giovani, nessuno escluso.

NOTE

1 G.K. CHESTERTON, La Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento, Lindau, Torino 2010, 85.86.
2 Sal 118, 32.

Note di Pastorale Giovanile, gli articoli di Dalmazio Maggi

La presenza di don Dalmazio Maggi nella comunità del CSPG è stata soprattutto per l’animazione di parrocchie e oratori e come “delegato CNOS” per l’associazione PGS, cioè lo sport educativo che per tanti anni ha coordinato l’animazione e la pratica sportiva negli ambienti salesiani, garantendone la dimensione educativa e culturale e l’ispirazione carismatica. Poi la storia dell’associazione ha seguito il suo corso al di fuori dei riferimenti istituzionali di congregazione, ma continua ad offrire un modello di sport appunto educativo e con grande attenzione alle periferie e ai giovani più disagiati, nello stile tipicamente salesiano, di don Bosco.

A questo è servita in effetti la presenza di salesiani e suore salesiane che hanno vissuto questo ruolo (e le suore ancora oggi). Dopo il mitico “don Gino” (Borgogno), don Dalmazio Maggi ha proseguito questo impegno con il suo dinamismo tipicamente salesiano.
Anche se abbiamo dato lungo spazio al ricordo della PGS, occorre tuttavia ricordare che l’azione di pensiero e coordinamento principale e per cui anche oggi è ricordato, don Maggi l’ha svolto per il settore di PG delle parrocchie e oratori, come ricordato sopra, con una serie di convegni che sono rimasti “fondativi” in Italia (e che cercheremo di mettere on line sotto la rubrica con questo nome nella parte SDB del sito).

Un altro grande ambito di riflessione all’interno della comunità e della rivista è stato sia lo sport (anche con libri Elledici), che i diversi destinatari dell’azione educativa, in tutte le fasce dell’età: preadolescenti, adolescenti e giovani, circa tematiche come il gruppo, gli itinerari di educazione alla fede, e vari sussidi di gruppo e approfondimenti annuali delle proposte pastorali offerte ai nostri ambienti educativi: buona penna, utili riflessioni, decisamente.

Rientrato nell’azione educativa usuale dei nostri collegi e parrocchie, apprendendo i nuovi linguaggi e app offerte dalla tecnologia, continua il contatto con i tanti giovani incontrati con frequenti e-mail che richiamano temi ed eventi ecclesiali, invitando alla riflessione e a una scelta di vita cristiana, dunque coraggiosa e gioiosa.

Don Mail” (come viene bonariamente chiamato anche dai suoi confratelli) vive ancora in un cortile di oratorio, come ha sempre “predicato” (e fatto), anche se ora “digitale”.

Trovate gli articoli di don Maggi nella pagina dedicata sul sito di Note di Pastorale Giovanile:

“Noi ci stiamo” #sharethedream: la nuova proposta pastorale MGS

Dal dossier di Note di Pastorale Giovanile sulla proposta pastorale 2022/2023, “Noi ci stiamo” «Non con le percosse, ma con la mansuetudine» #sharethedream

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L’orizzonte della chiamata. Ripartiamo con coraggio dalla “grande domanda”

di don Rossano Sala, autore del Quaderno di Lavoro.

“Noi ci stiamo!”. È questo il motto sintetico della proposta pastorale per l’Italia salesiana per l’anno 2022-23. È una chiamata a mettersi in gioco con coraggio, offrendo la propria disponibilità. Ma se questa parola è la punta di un iceberg, bisogna che noi andiamo in profondità, che scaviamo per trovarne le radici, che cogliamo i grandi orizzonti di questa chiamata alla corresponsabilità con Dio e alla collaborazione tra noi.

In questo contributo, che ha appunto lo scopo di indagare i dinamismi della chiamata, ci proponiamo di percorrere insieme alcuni piccoli e preziosi passaggi che ci possano assicurare una base sicura per riaffermare che davvero “noi ci stiamo” con cognizione di causa, e non semplicemente nella logica di un’emozione mutevole e passeggera. Partiamo da lontano, riconoscendo il dono di esistere, e arriviamo, passo dopo passo, alla necessità di prendere oggi delle decisioni coraggiose.

Il dono dell’esistenza

Prendiamo il via dalla nostra esistenza concreta. Dalla consapevolezza che quello che siamo non è primariamente opera nostra. Ovvero dal fatto incontestabile che siamo preceduti, che siamo figli. Sembrerebbe una banalità, ma spesso ce lo dimentichiamo proprio. Un modo di pensare molto aggressivo a volte ci convince che ci facciamo da soli, che siamo figli di noi stessi e che non abbiamo nessuna responsabilità verso gli altri.
Un pensiero onesto, che fa perno intorno al reale, ci restituisce una socialità originaria che caratterizza la nostra esistenza. Non c’è mai stato un momento nella storia in cui io esistevo e gli altri invece no. È vero esattamente il contrario: c’è stato un tempo in cui il mondo e gli altri esistevano e io invece non c’ero ancora. I nostri genitori esistevano prima di noi, così come i nostri nonni, e anche i nostri fratelli o sorelle maggiori.
Nelle diverse epoche che studiamo sui libri di storia il nostro nome non compare. Per molto tempo io non ci sono stato e ad un certo punto sono nato, sono venuto al mondo. E non per mia iniziativa. E questo vale per tutti. Ci sarà anche un momento in cui sarò chiamato a lasciare questo mondo, che continuerà senza di me.
In base a questa realtà sperimentiamo continuamente di essere stati amati e voluti prima ancora di averne la percezione. Non è stata opera nostra, ma un dono che abbiamo ricevuto da altri. Primariamente da parte di coloro che si sono presi cura di noi. La vita è un dono che abbiamo ricevuto, senza alcun nostro merito. Altri hanno impiegato senza troppi calcoli e con tanta generosità tempo, risorse e affetti per farci crescere.
Ecco allora la sintesi del primo passaggio: bisogna rifiutare la menzogna dell’autofondazione, riconoscendo che siamo stati donati a noi stessi e che la vita è prima di tutto un dono gratuito che abbiamo ricevuto. Ecco che il primo e più importante atteggiamento dell’esistenza rimane sempre la gratitudine.

L’esistenza come dono

Il secondo passaggio è logico rispetto al primo: se esistiamo nella forma del dono, la realizzazione della nostra esistenza avrà la medesima forma del dono. Di solito, di fronte ad un favore ricevuto, rispondiamo: “A buon rendere”. Come a dire, ho ricevuto un dono da qualcuno, magari inaspettato, e adesso questo diventa un impegno di restituzione, un piccolo debito da onorare. Non è un obbligo stringente, ma una risposta naturale, eticamente importante, una spinta che ci porta al contraccambio. Ne va della nostra dignità.
Se riconosciamo che siamo frutto di un dono inatteso, ecco che la nostra vita diventa se stessa se impostata come un’esistenza capace di dono e di servizio. San Francesco di Sales, di cui quest’anno celebriamo i 400 anni dalla morte, parla a questo proposito di “estasi della vita”. È una bella espressione, che non ha nulla di intimistico, ma tutto di apostolico. Egli, guardando all’esempio di Gesù, l’uomo per eccellenza che sa riconoscere la sua esistenza come un dono ricevuto, indica al cristiano la via del dono concreto. Al di là dell’estasi della contemplazione – che ci eleva a Dio in una preghiera particolarmente intensa – e di quella dell’intelletto – che ci fa conoscere in maniera limpida le cose di Dio e degli uomini –, l’estasi dell’azione è caratterizzata da una continua carità, dolcezza, benevolenza e dedizione. È la via della generosità sistemica verso tutti. Tale estasi diventa il criterio di discernimento radicale sulla qualità della vita umana e cristiana:

Quando dunque si incontra una persona che nell’orazione ha dei rapimenti per mezzo dei quali esce e sale al di sopra di se stessa fino a Dio, e tuttavia non ha estasi della vita, ossia non conduce una vita elevata e congiunta a Dio, con la mortificazione dei desideri mondani, della volontà e delle inclinazioni naturali, per mezzo di una dolcezza interiore, di semplicità e umiltà, e soprattutto per mezzo di una continua carità, credimi, Teotimo, tutti i suoi rapimenti sono dubbi e pericolosi; sono rapimenti adatti a creare ammirazione negli uomini, ma non a santificare chi li prova[1].

L’estasi della vita è quindi il criterio reale, autentico e decisivo per la santità, per il semplice motivo che è nella vita di tutti i giorni che essa si riceve, si costruisce e si esprime:

Ci sono molti santi in cielo che non sono mai andati in estasi né sono stati rapiti nella contemplazione; infatti, quanti martiri e grandi santi e sante troviamo nella storia che nell’orazione non hanno mai avuto altro privilegio se non quello della devozione e del fervore? Ma non c’è mai stato santo che non abbia avuto l’estasi o il rapimento della vita e dell’azione, superando se stesso e le proprie inclinazioni naturali. […] Chiunque è risuscitato a questa vita nuova del Salvatore, non vive più né a sé, né in sé, né per sé, ma con il suo Salvatore, nel suo Salvatore e per il suo Salvatore[2].

La vita come “estasi”

Papa Francesco è in pieno accordo con san Francesco di Sales quando invita i giovani a vivere nella logica dell’estasi. Ha il coraggio di provocare ogni giovane con queste parole: «Che tu possa vivere sempre più quella “estasi” che consiste nell’uscire da te stesso per cercare il bene degli altri, fino a dare la vita»[3]. Questo significa che l’incontro con Dio produce estasi non perché strappa il credente dalla realtà e dalla trama di relazioni in cui è inserito, ma perché lo spinge a uscire da se stesso, superando i suoi stessi limiti per lasciarsi conquistare dalla bellezza dell’amore per gli altri e consacrarsi alla ricerca del loro bene:

Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene. Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria, condividendo con altri giovani il nostro affetto, il nostro tempo, la nostra fede e le nostre inquietudini. La Chiesa offre molti e diversi spazi per vivere la fede in comunità, perché insieme tutto è più facile[4].

Il senso preciso dell’estasi, come spiegato dal santo savoiardo e dal pontefice argentino, ci aiutano a mettere in luce la struttura responsoriale dell’esistenza, ovvero il nostro originario “essere per gli altri”. Siamo noi stessi quando usciamo verso gli altri, quando abbandoniamo le angustie del nostro individualismo e ci apriamo alla bellezza dell’incontro. Quando ci chiniamo con umiltà sulle ferite degli altri e siamo disponibili a dare di più a chi ha ricevuto di meno dalla vita. Contro l’antropologia della prestazione, che in fondo genera una società della stanchezza e dello sfinimento, siamo chiamati a riscoprire con determinazione che la nostra esistenza è una risposta d’amore ad un amore che a nostra volta abbiamo ricevuto. Ciò va vissuto nella concretezza della nostra vita. Che è unica e singolare. Situata nel tempo e nello spazio, vissuta nella storia in cui siamo inseriti. Questo ci porta ad entrare nello spazio del discernimento vocazionale.

Caro cardo salutis. Le radici vocazionali della corporeità – NPG

Da Note di Pastorale Giovanile, l’introduzione di don Rossano Sala al dossier del numero di marzo “Siamo corpo – dall’emergenza al discernimento“, a cura di don Gustavo Cavagnari e don Alberto Martelli.

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Un argomento difficile

Parliamo di corpo. È questo l’argomento del Dossier NPG di marzo 2022. Tema ostico, quello del corpo. Significa focalizzarci sull’unicità della nostra persona, non solo dal punto di vista esteriore. Il corpo manifesta lo spessore della nostra singolarità. Noi siamo corpo, appunto. Prima di essere un limite, il corpo è una possibilità. Con il corpo noi siamo nel mondo come oggetti e soprattutto come soggetti.
Come leggeremo nelle pagine seguenti – di cui ringrazio i diversi autori che ci hanno con fatica e soddisfazione messo mano – quella del corpo è una vera emergenza epocale. Propriamente, la condizione attuale dei nostri corpi di carne è la cartina al tornasole di una “questione antropologica” che ha nel corpo una particolare visibilità, tanto da farne un sintomo palese di una “crisi antropologica” in atto da molto tempo.
Ogni sintomo, come sappiamo, rimanda a qualcosa di più importante e radicale: potrebbe essere il segno esteriore di una grave patologia, ma anche un qualcosa che la precede e la manifesta. Se nel primo caso le cose potrebbero mettersi davvero male, nel secondo vediamo nel sintomo una spia provvidenziale, che chiede giusta attenzione e rapida azione.
Attraverso questo Dossier desideriamo pensare alla questione del corpo in questa seconda direzione: lo vediamo come un segnale chiaro per tutti di una rotta che dobbiamo almeno rimettere in discussione.

Non c’è nulla di più interiore dell’esteriorità

Che cosa può dirci un corpo disseminato di piercing e di tatuaggi? O il modo di curare i nostri capelli? O, ancora, il nostro modo di vestire? Oppure che cosa ci dicono le difficoltà alimentari degli adolescenti, che siano l’anoressia per le ragazze e la bulimia per i ragazzi? O alcuni comportamenti estremi che palesemente maltrattano e puniscono il nostro corpo?
Di certo dicono molto rispetto all’anima umana e alla postura spirituale di un ragazzo, di un giovane o di un adulto [1]. Sappiamo che ci sono tanti modi di comunicare, e sicuramente il corpo ha il suo linguaggio che dobbiamo almeno cercare di intuire. Il corpo parla in molti modi. Ultimamente è diventato quasi una tela bianca a completa disposizione del soggetto, su cui ognuno dipinge se stesso per manifestarsi agli altri.
Azzardiamo quindi la tesi per cui la nostra interiorità si fa visibile attraverso il nostro corpo. Il disagio e la fatica, il dolore e l’ansia, la gioia e la felicità si esprimono attraverso di esso, che in genere diventa sempre meno qualcosa da accogliere, accettare e rispettare e sempre più uno spazio espositivo costantemente visibile. Quasi una “mostra permanente”, aperta tutti i giorni dell’anno e a tutte le ore del giorno.
Attraverso il nostro corpo diciamo noi stessi, perché il corpo ha a che fare “interiormente” con la nostra persona. Sappiamo, per esempio, che violare il corpo di un altro attraverso un abuso sessuale significa segnare in profondità la sua interiorità, sfigurare per sempre la sua anima, ferire indelebilmente il suo spirito. Penetrare nel corpo dell’altro significa invadere il suo spazio vitale, entrare in un mondo altro rispetto al proprio, superare quella “distanza di sicurezza” che ha nei confini corporei un limite da valicare solo con sapienza, prudenza e rispetto… e mai con violenza.

Note di Pastorale Giovanile, gruppo di redazione al lavoro per il 2022

Il 21 giugno, nella casa del Sacro Cuore di Roma, si è ritrovato il gruppo di redazione di Note di pastorale Giovanile per il consueto appuntamento di discernimento e discussione sulla Rivista per il prossimo anno.

Dopo uno stop dovuto all’emergenza sanitaria che ha costretto al collegamento on line, la riunione si è svolta in presenza. La modalità di lavoro è stata quella del “discernimento generativo”, proprio per valorizzare la presenza e lo scambio di persona.

Don Michele Falabretti, vicedirettore di NPG e Responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile, Ernesto Diaco, direttore dell’ufficio Scuola della CEI e don Rossano Sala, direttore di NPG e docente all’UPS hanno introdotto la giornata con una panoramica su quanto sta accadendo nella Chiesa italiana e universale.

C’è stato poi lo spazio per il discernimento generativo, con il contributo di tutti e con quanto ciò che si era ascoltato aveva suscitato in ciascuno dei presenti. Il cuore della discussione è stato proprio il cambiamento epocale che stiamo ancora vivendo, che è epocale non solo perché il mondo è diverso rispetto a un anno fa ma perché siamo dentro un sentimento forte. Come si può rispondere alle domande di senso che oggi risuonano nella vita di tanti? Sicuramente il cammino sinodale, sia come metodo di lavoro che come esercizio per mettere in campo azioni pastorali.

Dopo il pranzo, c’è stato il tempo della programmazione: ascoltate le riflessioni del mattino, i membri del gruppo di redazione hanno proposto temi per il prossimo anno di Note di Pastorale Giovanile, una rivista che cresce di anno in anno anche fuori dal mondo salesiano e che ormai è diventata punto di riferimento per la formazione e l’approfondimento della Pastorale Giovanile nella Chiesa italiana.

“Umile, forte e robusto”: testimonianze di vita

Il numero estivo di NPG lancia la proposta pastorale dell’Italia Salesiana per il prossimo anno: “Amati e chiamati. Renditi umile, forte e robusto”. Di seguito, alcune testimonianze sul tema.

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In ascolto del sogno della vita
Emanuele Bonazzoli *

Quante volte ho invidiato don Bosco per avere avuto un sogno che, per quanto ermetico indicasse la via. Io non sono bravo a sognare, o almeno, a sognare al modo di don Bosco. Ho inseguito un po’ di sogni (erano soltanto miei desideri) ma quasi mai sono riuscito ad arrivare laddove “sognavo”. Forse perché, a differenza di don Bosco, ciò che sognavo era solo nella mia mente, non nel cuore di Dio. Eppure sento di avere anch’io seguito l’indicazione di un sogno, che mi ha accompagnato: cercare la gioia del cuore, coltivarla, “perché la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). Ci sono esperienze nella vita che alimentano il desiderio, altre che alimentano il cuore. Sono queste ultime che mi hanno formato, mi hanno dato un respiro e mi hanno arricchito come persona portandomi su sentieri che non avrei percorso e trovando là la gioia inaspettata. Ho vissuto in questo senso l’invito a rendermi “umile, forte e robusto”. L’umiltà si è più volte scontrata con la testardaggine di fare secondo la mia volontà, di mettere sulla bocca di Dio il mio pensiero, anche quando mi mostrava un’altra via; per me umiltà è ascoltare, guardare il proprio percorso, avere il coraggio di cambiare anche radicalmente la propria condizione di vita. Nella fortezza riconosco la resistenza allo sbandamento, all’inseguire vie meno impegnative: la fortezza si è concretizzata nello stare, nell’allenare la perseveranza e la costanza e, soprattutto, nel coltivare la pazienza. La robustezza è la capacità di non essere spezzati ed è una condizione che uno non si può dare da solo: è robusto chi ha costruito insieme, chi sa di appartenere ad una famiglia, chi riconosce le sue radici e non le recide, chi anche nel momento di aridità pesca nella sua bisaccia i valori che ha custodito durante i tempi della ricchezza umana e spirituale. Oggi penso di vivere con la consapevolezza di questi tre doni che mi permettono di essere quel che sono in un quotidiano che ritengo molto semplice e ordinario. Ho sempre sognato per me esperienze straordinarie, impegni con grandi responsabilità, viaggi per il mondo. Ho trovato un’ordinarietà quasi banale, agli occhi di molti. L’ordinarietà della vita di marito, papà e insegnante. Eppure un quotidiano che mi richiede di rimettere in gioco quell’umiltà, quella fortezza e quell’essere robusto di chi cammina e fa camminare, di chi indica la strada e contemporaneamente ascolta chi cammina con lui, anche se più piccolo, perché la strada si fa insieme. Mi sono accorto che per essere uomini ed educatori che fanno sognare serve essere uomini in ascolto dell’altro: un ascolto positivo, propositivo, senza giudizio e portatore di bellezza. Mi sono allenato ad ascoltare me stesso, così rigido, testardo e sicuro di essere nel giusto: ho imparato che oltre al bianco e al nero, esiste il grigio. Mi sono allenato ad ascoltare la coppia: un noi che comprende un io e un tu e lo supera, che non annulla le individualità ma le può plasmare; una famiglia che non può sentirsi arrivata solo perché è economicamente e affettivamente stabile. Mi sono allenato ad ascoltare i miei figli quando sono seduto a terra a giocare alle costruzioni, quando racconto per la settantesima volta la stessa fiaba, quando vengo interpellato sui poteri di un Superpigiamino, quando faccio l’ennesimo richiamo: ho intuito la pazienza di Dio Padre nella mia “mistica del pannolino”. Mi sono allenato ad ascoltare i miei allievi, scovando nello sguardo e nelle storie (in questo momento storico filtrate dai silenzi degli schermi) le scintille di futuro e di Speranza, costruendo l’autostima la cultura, rileggendo insieme la bellezza dell’arte. Se io credo nei sogni (ma non quelli della mia testa), gli altri intuiscono che è possibile credere in un sogno e cercano il proprio. Che bello essere cacciatori e accompagnatori di sogni! In questo momento sto vivendo in un periodo di muta, di cambiamento. La pandemia mi ha molto interrogato sul valore delle cose, sul chi voglio essere, sul dove voglio essere e per chi. La condizione attuale ha molto toccato il senso di comunità proprio della Chiesa, ha rimesso in discussione il valore dell’uomo, del creato, della prossimità. Come famiglia siamo in un momento in cui restiamo robusti perché stiamo mettendo fondo alla bisaccia della nostra esperienza; ma percepiamo che non possiamo più accontentarci del “tornerà tutto come prima”. Sappiamo che è scritto un sogno per noi e ci siamo messi in ascolto, facendo attenzione che i flutti dell’ordinario non ci travolgano. Dove andremo? Sarà il sogno, speriamo indicato da Lui, a dircelo.

* 41 anni, marito e papà felice. Insegnante di storia dell’arte e italiano L2. La sua vita è quella di un “normale milanese”: casa, lavoro e parrocchia (che vorrebbe fosse più presente). Gli manca l’oratorio: al momento la mia parrocchia non ne ha uno!!!


Un’impronta forte

Cristiana Calogiuri *

Ho messo piede in Oratorio che ero proprio piccola, una bambina dell’età che hanno oggi i miei bambini di prima elementare. Di quei tempi conservo il ricordo della mia catechista che non era come le altre, era più giovane. Cantavamo, coloravamo e poi ci raccontava tante storie su don Bosco e su Domenico Savio. Sembravano favole. Soprattutto il sogno dei 9 anni, con gli animali, era simile alle favole che colpiscono l’immaginazione di ogni bambino. Crescendo mi sono sentita in prima persona parte di quel ‘campo’ nel quale ogni giorno qualcuno si prendeva cura di me. Ho prima ammirato, poi osservato e infine veramente copiato i miei educatori, i salesiani che erano al mio fianco. Crescere e sentire l’invito a rendersi ‘umile, forte e robusto’ come rivolto anche a me è stato naturale. Il mio percorso in oratorio come persona e come animatrice è stato un impegno quotidiano, costruito giorno per giorno e mai da sola. Il lavoro su se stessi non è mai solitario. Ho avuto accanto sempre un gruppo di persone con le quali il confronto, la discussione, le gioie, sono servite tanto, soprattutto a scegliere quell’impegno continuamente. Ed oggi, guardandomi indietro, ringrazio Dio per l’opportunità che ho avuto, per le persone che ho conosciuto, per i miei amici. Sono cose su cui rifletto oggi, perché quel periodo è stato un’immersione completa, una successione di impegni, di lavoro, di ragazzi e ragazze che ho conosciuto piccoletti e che oggi sono uomini, donne, belle persone, padri e madri. Per questo dico che è stato tutto naturale, perché quasi non me ne sono accorta. Il mio carattere, un po’ puntiglioso, cocciuto, insofferente, è stato plasmato con dolcezza, senza strappi. Forse l’umiltà non l’ho imparata proprio fino in fondo, ma la forza sì. Una forza che si è fatta coraggio in tante occasioni, ma che ha avuto sempre accanto qualcuno a sostenerla. Talvolta una forza che nasceva dal cercare di guardare sempre lontano, oltre gli ostacoli che puntualmente arrivano per farci desistere. Una forza che prima di tutto ha aiutato me a fare scelte non sempre facili e comode, ma che alla fine si sono rivelate le più giuste per la mia vita. La cosa più faticosa è stato ‘irrobustirmi’. L’ho vissuta come la capacità di dare valore e qualità alle cose. Per questo ho dovuto frenare l’impulsività o la frenesia di gettarmi nelle attività, per lo studio, la riflessione, la preghiera. Per andare in profondità e non rimanere in superficie nei rapporti, nell’accompagnamento dei giovani o nel lavoro. Oggi sono un’insegnante di scuola primaria. Se penso a vent’anni fa, non l’avrei mai detto perché avrei voluto insegnare nelle superiori e avere ragazzi grandi così come in oratorio. Ma la vita prende strade strane e l’abilitazione nella primaria è una di quelle. Avevo fatto tutto un altro percorso come educatrice professionale e mi vedevo in una comunità, con ragazzi difficili…Invece no, proprio una cara amica di un altro oratorio mi mise la famosa ‘pulce nell’orecchio’. Ed eccomi qui oggi a fare la maestra. Lo dico con tutto il rispetto che è dovuto verso un mestiere antico e nobile che cerco di onorare ogni giorno. Quest’anno ho una classe prima. È emozionante! Bambini piccoletti, nanerottoli di 5 e 6 anni che sbocciano giorno dopo giorno. E non parlo solo del fatto che all’inizio non sanno né leggere né scrivere e adesso sono dei campioni, o del fatto che riescono a seguire per ore delle lezioni al computer con la maestra che si commuove a vedere i loro occhietti attenti e le manine virtuali alzate. Mi riferisco al lavoro educativo fatto su ciascuno di loro. Sarà la deformazione professionale da animatrice, ma li guardo e li vedo grandi, e mi immagino quante cose bellissime faremo in questi cinque anni e quando torneranno a trovarmi per raccontarmi cosa fanno, cosa studiano, se quello che abbiamo fatto insieme lo ricordano, se è servito. È il lavoro più bello del mondo. Ogni tanto mi fermo a pensare a tutto quello che mi sarei persa oggi se non avessi avuto la forza di cambiare strada, mettere la retromarcia e poi dare un’accelerata in avanti. Penso anche ad un’altra cosa, che mi dicono spesso le mie colleghe. Dicono che sono una persona sorridente. In verità c’è poco da sorridere in questo periodo, però io non riesco a non farlo. Sono cresciuta così, con i ‘segreti della santità’ che don Bosco suggerisce a Domenico Savio. Ed anche lì, oltre all’allegria e al fare del bene, c’è l’impegno nei doveri di studio e di preghiera, l’invito a quel ragazzino a crescere robusto, di spessore. Concludo, come spesso faccio, con un grazie a Don Bosco che per me è stato veramente un padre, un maestro e un amico, una mano poggiata sulla spalla, una guida ‘nel cercare il bene delle anime nostre e la salvezza del prossimo’, un’impronta forte nella mia vita, solo in minima parte per merito mio.

* Del 1975. Animatrice e Salesiana Cooperatrice dell’OCG dei Salesiani di Lecce. Membro della Segreteria Nazionale del Movimento Giovanile Salesiano e Coordinatrice Nazionale dal 2004 al 2007. Laureata in Scienze dell’Educazione e in Scienze della Formazione Primaria, presidente dell’Associazione di promozione sociale StradeGiovani che opera nell’ambito dell’animazione culturale e vicepresidente della Coop. Don Bosco che gestisce il DB d’Essai Cinema e Teatro di Lecce. Docente di Scuola Primaria con esperienza nell’ambito della didattica speciale e dell’uso delle tecnologie applicate all’insegnamento.


Con i piedi in terra… nel segno di Don Bosco

Sebastiano Manzella *

Il sogno dei nove anni e le indicazioni ricevute dal piccolo Giovannino hanno avuto effetto su di me e sulla mia vita, plasmandomi e rinnovandomi sul piano della vitalità spirituale, senza dubbio durante il periodo universitario. Partecipavo regolarmente all’oratorio e al grest estivo, conoscevo già Don Bosco e la sua storia, ma durante il periodo di frequenza dell’università ne ho approfondito la sua spiritualità e la sua pedagogia facendo mio quel “renditi umile, forte e robusto” del sogno. Non è facile per nessun diciottenne lasciare la famiglia, cambiare città e amici per raggiungere l’obbiettivo di studiare per professionalizzarsi e per me in particolare il passaggio dalla scuola al mondo universitario è stato un grosso ostacolo. Ho imparato sulla mia pelle e sulle notti insonni che non bisogna mai darsi per vinti e di rimboccarsi sempre più le maniche e con umiltà affrontare le difficoltà una dopo l’altra. Mi sono circondato di amici e colleghi universitari con cui studiare, ma allo stesso tempo ci incoraggiavamo e ci sostenevamo facendoci forza l’uno con l’altro, riconoscendo che nella vita si ha molto da imparare con l’umiltà di non sentirsi superiore a nessuno e il coraggio di affrontare qualsiasi situazione. Nel mio caso, a differenza del piccolo Giovannino Bosco che poteva far riferimento solo su Mamma Margherita, ogni sforzo è stato condiviso e supportato dalla mia famiglia, che mi ha protetto e irrobustito, senza non pochi sacrifici, per poter fronteggiare le ansie e le paure pre-esame. Nello stesso periodo ho vissuto anche forti esperienze di fede e di Chiesa con il movimento giovanile salesiano: una su tutte la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011. Queste esperienze hanno portato in me sempre una nuova vitalità che si è trasformata in intraprendenza e fiducia nelle varie situazioni che sono stato chiamato ad affrontare, senza perdere i tratti della gioia e dell’allegria tipiche dello stile salesiano. Quanto provato e imparato in quegli anni “di palestra” è diventato preziosissimo quando ho deciso, al termine degli studi, di trasferirmi a Milano per motivi lavorativi. Nonostante le nuove e diverse difficoltà, avevo già maturato i miei punti fermi che al contempo si erano radicati in me: gli insegnamenti di Don Bosco, sempre validi, attuali, adattabili a ognuno di noi. Tutto ciò ha contribuito sicuramente al mio percorso di crescita umana e spirituale oltre che professionale, diventando ciò che sono nella vita di tutti i giorni e con chiunque io incontri, portando con me anche tanta buona volontà, disponibilità e pazienza perché come dice Madre Teresa di Calcutta: “C’è chi crede che tutto gli è dovuto, ma non è dovuto niente a nessuno. Le cose si conquistano con dolcezza e umiltà!” e solo così potremo raccogliere miglioramenti dalle vicissitudini che incontriamo. Ci sono e ci saranno sempre momenti difficili, situazioni di sconforto, come ad esempio la pandemia che stiamo vivendo e che sta mettendo tutti a dura prova, e rimanere chiusi in sé stessi nella propria solitudine sicuramente non porterà mai benefici. Al contrario, ritornare a ciò che sono stati i punti forti del proprio vissuto, rimettendosi in cammino, magari facendosi supportare da una persona fidata, può rimetterci in “carreggiata” e renderci più forti e robusti di prima, senza avere paura delle scelte giuste o sbagliate che possiamo fare, e dei rischi che esse comportano.

Se pianti onestà, raccoglierai fiducia.
Se pianti bontà, raccoglierai amici.
Se pianti umiltà, raccoglierai grandezza.
Se pianti perseveranza, raccoglierai vittoria.
Se pianti considerazione, raccoglierai armonia.
Se pianti duro lavoro, raccoglierai successo.
Se pianti perdono, raccoglierai riconciliazione.
Se pianti apertura, raccoglierai intimità.
Se pianti pazienza, raccoglierai miglioramenti.
Se pianti fede, raccoglierai miracoli.

* 31 anni, nato a Siracusa, per motivi di lavoro trasferito a Milano. Laureato in Ingegneria Informatica a Catania, al momento si occupa di ricerca e sviluppo di soluzioni software nell’ambito dei Big Data e del Machine Learning.


Un tesoro da custodire

Valentina Mazzer *

Ultimamente una suora dell’oratorio (nel quale, ahimé, sono meno presente di quanto vorrei rispetto al passato, sperando di essere “perdonata” per questo) mi ha chiesto di fare una piccola testimonianza alla Comunità animatori locale per parlare del “travaglio interiore” che si prova intorno ai 20/21 anni, suggerendomi di ripensare a quel periodo della mia vita e di come don Bosco vi abbia inciso. Ritornare con la mente e con il cuore ad uno dei periodi più appassionati e profondi della mia vita è stata l’occasione anche per completare la riflessione di cui sto scrivendo. Negli anni dell’università Dio e don Bosco hanno fatto irruzione nella mia vita, mettendola un po’ a soqquadro. Questa confusione mi ha permesso di cominciare a guardare davvero a me stessa e riconoscere che anche negli anni precedenti, pur se a piccoli passi, la vita in oratorio mi stava strutturando interiormente: quelle mura, quelle persone, quei momenti condivisi, stavano permettendo ad una fragile e insicura Valentina di scoprire se stessa e iniziare a camminare nel mondo. A volte mi spaventa pensare a quanta Grazia sia passata per quel cortile. Le scoperte di tutti quegli anni, le lotte, le mie fragilità emerse, sono state senza dubbio il cammino per rendermi forte, interiormente forte. Tuttora vacillo, tuttora sono fragile, ma il ricordo della profondità di alcuni momenti vissuti in quegli anni agli esercizi spirituali, ai ritiri, nelle giornate di comunità o di servizio sono una roccia che riscopro, sempre più a distanza di tempo, molto salda. Un aspetto che ancora mi stupisce è come crescere in oratorio con i miei amici, inseguendo un po’ quei passi di don Bosco che vedevamo qui e lì, non mi abbia mai snaturata. Da sempre nutro una passione per il mondo della giustizia, del diritto e vengo simpaticamente presa in giro perché “voglio la pace nel mondo” e sono sempre troppo diplomatica. Abitando l’ambiente salesiano a volte può essere forte il rischio di pensare che per tutti esista solo la declinazione dell’impegno educativo puro: tutti insegnanti ed educatori. Ma questo è un falso mito e per me, come per molti altri, non è stato così. Grazie ad una guida sapiente, dopo un iniziale smarrimento, ho scoperto che essere cristiani e salesiani aveva parecchi snodi comuni con i miei studi di giurisprudenza, con la passione per la giustizia e il senso dello Stato. “Buoni cristiani e onesti cittadini”, così insegnava don Bosco ai suoi ragazzi e queste parole risuonavano nel mio cuore, tracciavano involontariamente i passi della mia vita, facendomi scoprire che potevo avere un posto nel mondo e che per farlo dovevo rendermi “umile, forte e robusto”. Si tratta di un cammino che dura per sempre, ma a poche settimane del matrimonio, pensando che con Luca mi accingo a costruire una nuova famiglia, rileggere alcuni passaggi della vita e scorgervi in essa un piccolo progetto educativo, di cui ero inconsapevolmente la protagonista, mi commuove molto e suscita enorme gratitudine. Non sono convinta che il racconto della mia esperienza sia particolarmente edificante per chi mi legge, ma spero che susciti almeno un po’ di naturale speranza nel fatto che tutto il nostro operare per i giovani non va mai smarrito, e che, anche se in modi a noi non sempre chiari, segna la loro vita. Aveva proprio ragione don Bosco quando intuiva che, fornendogli l’occasione per crescere umili, forti e robusti, i giovani avevano l’occasione di custodire il proprio tesoro interiore e prepararsi a spenderlo nel mondo da adulti. Dopo qualche anno nel Movimento giovanile salesiano, la vita mi conduce ora verso altre quotidianità, fatte di lavoro, studio e famiglia. Lo raccontavo ridendo ai ragazzi della Comunità animatori qualche giorno fa: lo stile salesiano e il metodo preventivo si possono esercitare anche all’Inps e studiando. Nel mondo del lavoro l’essere buoni cristiani e onesti cittadini passa per lo scegliere di esercitare la propria attività, qualunque essa sia, con cura, in modo preparato e senza sotterfugi. I colleghi, gli utenti, le mie compagne di studio sono il prossimo che incontro ora nelle mie giornate e che meritano quello sguardo, tutto salesiano, di semplicità e accoglienza che don Bosco insegnava. Quotidianamente, cercando di studiare per costruire il mio sogno, mi sforzo di non mirare al risultato ad occhi chiusi, vivendo invece tutto ciò che la vita mi riserva. Nonostante le fatiche e i sacrifici su questa strada siano tanti, io continuo a sperarci e affido al Signore il mio cammino: comunque vada mi sforzo di ricordare sempre che lo studio mi ha formata anche come persona, non solo professionalmente. Da ultimo, l’essere umile, forte e robusto come voleva don Bosco mi fa pensare alla famiglia che con Luca mi accingo a costruire. Condivido con voi la speranza che questa crescita interiore sia il sostegno saldo per la vita familiare e, forse, genitoriale che ci attenderà. Nel raccogliere e scrivere tutti questi spunti mi sono sentita un po’ come se questa occasione di riflessione fosse il momento buono per aprire la mia valigia da viaggio, quella con cui sposterò tutte le mie cose nella nuova casa, e scegliere cosa portare di essenziale, di prezioso, di indispensabile da ricordare e custodire. La gratitudine è davvero tanta per tutto ciò che in questi anni ho ricevuto dal Signore e da don Bosco: ciò che sono oggi lo devo a loro tramite le persone che mi sono state messe accanto, con cui ho camminato e cammino tuttora.

* Prez per gli amici dell’oratorio. 31 anni, cresciuta nell’oratorio delle FMA di Conegliano. Vicinissima al matrimonio con Luca. Dopo l’abilitazione come avvocato, persegue il sogno di diventare magistrato; nel frattempo lavora all’Inps, alternando le ore di lavoro in ufficio con quelle sui libri e i corsi di preparazione per magistratura. È stata coordinatrice della Consulta MGS negli anni 2015-18.

La speranza dell’uomo nel sogno di un ragazzo
Michele Zecchin *

Quante volte, in particolare nei periodi di crisi come questo, lo sconforto e la tristezza raggiungono uomini e donne senza distinzioni, in ogni luogo del mondo, cercando di far morire anche le più grandi luci di speranza presenti nel cuore di ogni essere umano? E il terreno che incontrano è dei più propizi, con affetti che vengono meno, senso di solitudine, difficoltà nel vedere la fine del tunnel. Ma è proprio in questi momenti che un cristiano, in particolare se cresciuto in ambienti salesiani, ha un’“arma” in più, una strada da percorrere, una modalità per affrontare le situazioni, che ha potuto sviluppare per mantenere viva la speranza ogni giorno, per superare le crisi e donare affetto e fiducia anche al prossimo. E, per quanto possa essere bizzarro, parte tutto da un sogno di un ragazzo.

L’adolescenza e l’esperienza MGS
La prima volta che ascoltai il sogno dei 9 anni, frequentando le scuole salesiane, ero piccolo e lo considerai un racconto fine a se stesso, come molti miei coetanei: con il tempo, le occasioni di ascoltarlo più volte, le numerose esperienze vissute nel MGS, le condivisioni con amici, salesiani e FMA, capii invece quanto quel “renditi umile, forte e robusto” fosse una chiave vincente per formare il carattere e pian piano diventare “adulto”. Oppure, per dirla come don Bosco, “buon cristiano e onesto cittadino”. Ed è stato proprio così, perché guardandomi indietro, oltre all’educazione datami dalla famiglia, dalle persone care e dalla scuola è stata anche l’interiorizzazione delle parole di Maria a don Bosco che mi hanno pian piano aiutato (anche se, ovviamente, non ci sono sempre riuscito) ad essere umile, a cercare di imparare dalle diverse situazioni della vita, a “capire” prima di “agire”, a diventare forte e robusto senza “abbattersi” negli insuccessi o quando le cose non andavano come sperato, cercando sempre il lato positivo in tutto ciò che accade ancora oggi. E naturalmente affidandosi a Dio e al Suo disegno su ognuno di noi. Certo non è stato (e non è) facile, i momenti di “caduta” sono numerosi, le sofferenze pure: ma l’umiltà è sempre stata una parola che quotidianamente sentivo attorno a me e che dovevo sforzarmi di fare mia.

La vita adulta
Ed è proprio così che una formazione iniziata (inconsapevolmente) da piccolo e cresciuta lentamente (ma in modo continuo) ha portato prima ad una scoperta e poi alla consapevolezza di una speranza interiore data dalla presenza di Dio in ogni cristiano. E tutto ciò mi ha permesso di affrontare il passato, il presente (e con l’aiuto di Dio anche il futuro) con rinnovata fiducia e un certo ottimismo. E così le diverse scelte che mi si sono poste davanti nel corso della vita ho sempre cercato di farle con umiltà e con la certezza di Qualcuno accanto: che non vuol dire averle fatte in modo superficiale ma, al contrario, sono state frutto di una crescita e di una “robustezza” interiore che consente poi di affrontare anche il peso delle conseguenze di queste scelte. Eh già, perché l’umiltà nello scegliere non ci rende esenti poi da quanto queste scelte comportano: un cambio di stile di vita, di lavoro, di città, ecc. non ci lasciano di certo indifferenti. Pensare e decidere in modo umile è una cosa bella, ma il diventare forti e robusti è sicuramente necessario per “sopportare” quanto i cambiamenti comportano, per mantenere fede alle decisioni prese, per poter essere capaci di perseverare nel nostro cammino. Cammino che non è di certo privo di rischi e insicurezze che anch’io, come la vita di ogni persona che non è semplice e senza salite, ho dovuto affrontare ogni tanto (un lutto, una malattia, la perdita di una persona cara, del lavoro). A volte mi è capitato che proprio la scelta più umile mi ha fatto poi affrontare le conseguenze più gravose e pesanti (quante volte sarebbe più facile scegliere la strada più semplice o in discesa…ma non lo facciamo perché sarebbe a scapito di altre persone?): ed è proprio qui che l’esser diventato robusto mi viene in soccorso, per permettermi di arrivare ugualmente alla metà anche se con sforzi maggiori. Quant’è bello arrivare in cima ad una montagna con i propri sforzi e le proprie gambe, senza prendere scorciatoie o una funivia? La sensazione al raggiungimento dell’obbiettivo è tutt’altra cosa: e questo accade nella vita di tutti i giorni e in tutti gli ambiti in cui operiamo. Non posso di certo paragonarmi al Santo dei giovani (non sarebbe umile, non trovate?) ma devo dire che nel corso della mia vita le parole “umiltà” e “robustezza” sono state compagne di viaggio: dove c’era la prima serviva anche l’altra e dove c’era la seconda era necessaria la prima per capire cosa servisse fare in quel determinato momento. Come anticipato non è stato sempre facile e non lo è tutt’oggi e non nascondo che varie volte non ci sono riuscito, ma la metodologia “insegnata” da Maria è sicuramente vincente e porta molto frutto: di questo ne sono certo e la auguro a tutte le persone che sono alla ricerca di un aiuto per uscire dai momenti più tristi e difficili della propria vita.

* Lavora da oltre 18 anni in un’azienda per refrigerazione e condizionamento; attualmente è responsabile di un team di progettisti hardware nell’ufficio tecnico della stessa azienda. Salesiano Cooperatore dal 2015 e membro del Consiglio locale di Belluno dei Cooperatori. È stato Coordinatore della Consulta MGS nel triennio 2007-2009.


“A suo tempo tutto comprenderemo”

Marco Lardino e Ivana Borruso *

Quando abbiamo conosciuto il Movimento Giovanile Salesiano eravamo Marco, un animatore dell’Oratorio San Paolo di Torino e Ivana, animatrice del Valentino di Casale Monferrato. Grazie a un campo animatori della Pastorale Giovanile ci siamo conosciuti e a partire dall’autunno successivo il servizio nell’ambito della Consulta Ispettoriale e poi Nazionale del MGS è stato la prima esperienza salesiana vissuta insieme. Nei dieci anni di servizio nel MGS abbiamo potuto toccare con mano il sogno dei 9 anni. Quasi correndo lungo il filo che lega i Becchi al Sacro Cuore di Roma, siamo entrati in quel “tempo” in cui la vita scorre senza che ancora se ne colga il senso finale. È il tempo del “a suo tempo tutto comprenderai”. Ad ogni arrivo a Roma avevamo occasione di sostare davanti all’altare di Maria Ausiliatrice nella Basilica del Sacro Cuore e salire quei tre gradini della Sacrestia da cui l’anziano don Bosco rivelava che quel tempo in cui comprendere era compiuto. In quegli anni ponevamo le basi di un progetto di vita che si alimentava alla comune passione educativa e all’amore per don Bosco. Quel progetto è diventato la nostra famiglia. Il giorno del nostro Matrimonio abbiamo scelto di essere fecondi come famiglia restituendo ciò che avevamo ricevuto. La fedeltà verso questa scelta, maturata anche nella promessa di Salesiani Cooperatori, ci ha reso capaci di generare anche nei momenti più duri. Proprio nei momenti di maggior difficoltà abbiamo sperimentato come la fecondità dell’amore si realizzi se si accoglie la Croce nella propria vita con autentica libertà, affrontando con coraggio le proprie fragilità. Oggi siamo mamma e papà di un meraviglioso bimbo che da sempre ci attendeva dall’altra parte del mondo. Ci sono volute l’umiltà di accettare le nostre fragilità, la forza di camminare lungo un percorso lungo e tortuoso, la robustezza che solo la Fede, seppur messa alla prova, può dare. Forse anche a noi Maria ha sussurrato al cuore infinite volte “a suo tempo tutto comprenderete”. Non sappiamo quale sarà il tempo in cui comprenderemo ma cogliamo nell’arrivo del piccolo Gaon un segno dolcissimo della Provvidenza sul nostro cammino insieme. Possiamo dire di essere cresciuti nel Movimento Giovanile Salesiano. Servire come animatori nazionali del MGS è stata una palestra di vita eccezionale. Con gli altri giovani con cui abbiamo condiviso il nostro servizio abbiamo imparato ad assumerci delle responsabilità e siamo grati ai Salesiani e alle Salesiane che ci hanno lasciato uno spazio di protagonismo così importante. Abbiamo studiato tanto, approfondito i documenti della Chiesa, della Famiglia Salesiana e il lavoro di chi ci aveva preceduto in quel ruolo. Poco più che ventenni abbiamo avuto la fortuna di collaborare con adulti, laici e consacrati, che ci hanno incoraggiati di fronte alle nostre timidezze, stimolati a prendere iniziative, sostenuti nei progetti, anche i più ambiziosi. Non sono mancate le incomprensioni e i dibattiti. Abbiamo imparato a mediare e a rispettare le differenti esperienze e sensibilità che compongono un mondo complesso come quello salesiano. Abbiamo imparato il senso della corresponsabilità, parola chiave per descrivere il ruolo che i laici devono avere nella Chiesa e il rapporto da costruire tra laici, religiosi e consacrati. Nel MGS abbiamo potuto condividere con i Salesiani e le Salesiane la responsabilità di dare il nostro contributo al lavoro nel campo indicato da Maria a don Bosco. Oggi, superato il confine del “giovanile”, da “adulti” del Movimento Salesiano, abbiamo scelto di impegnarci nella stessa missione giovanile come descritto dal Progetto di Vita Apostolica dei Salesiani Cooperatori: “condividendo con i giovani il gusto di vivere con autenticità i valori della verità, libertà, giustizia, senso del bene comune”. Proviamo a farlo nel nostro lavoro, nella nostra famiglia, nell’impegno sociale e nell’animazione di un gruppo di giovani universitari e lavoratori della nostra Comunità Salesiana a Torino. La foto che accompagna questa nostra testimonianza è la migliore sintesi che potevamo offrire del lungo percorso che ci ha portati fino a qui. Era il 2013, si era appena concluso il Confronto MGS Italia al Colle don Bosco e ci siamo trovati insieme, membri di due diverse Segreterie nazionali, a festeggiare una grande festa salesiana che con coraggio e perseveranza avevamo sognato, progettato e, con l’aiuto di Maria, realizzato. Queste righe non sarebbero complete se non elencassimo i compagni di questo incredibile viaggio. Lo facciamo da sinistra verso destra: Orazio di Modica, Mattia di Conegliano, Renato di Roma, Myriam di Portici, Marco di Torino, Chiara di Civitanova Marche, Marco, oggi don Marco, di Genova, Ivana di Torino, don Claudio Belfiore, Suor Giuseppina Barbanti oggi in Paradiso, Emanuele di Milano.

* Marco, 38 anni, sposato con Ivana e papà di Gaon. Lavora nella comunicazione sociale in una Fondazione torinese. Ivana, 39 anni, sposata con Marco e mamma di Gaon. Lavora come maestra elementare in una scuola pubblica di Torino. Entrambi sono Salesiani Cooperatori dal 2011 e svolgono il loro servizio nell’Oratorio San Paolo di Torino.

Direttorio per la catechesi: una sezione dedicata nel sito di NPG

Nel sito di Note di Pastorale Giovanile è disponibile una sezione sulla catechesi, con articoli rivolti anzitutto agli animatori giovanili, perché siano catechisti e perché quanto di formativo viene proposto sia trasformato in catechesi genuina. A cura di Cesare Bissoli.