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Il messaggio del Rettor Maggiore al termine del CG28

“Trovarci qui, a Valdocco, nella nostra culla, qui dove tutti siamo nati in Don Bosco, ha reso molto speciale questo Capitolo”.

Così il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, al termine del 28° Capitolo Generale, ha voluto salutare la Famiglia Salesiana.

Il Rettor Maggiore ha affidato ad un videomessaggio alcune riflessioni e considerazioni sul Capitolo Generale recentemente concluso; un Capitolo Generale che, come affermato dallo stesso Don Ángel Fernández Artime, sarà ricordato “veramente come speciale”. A rendere questo Capitolo così “speciale” hanno sicuramente contribuito i giovani che vi hanno preso parte e che ai salesiani hanno chiesto semplicemente di continuare a far sentire la loro presenza.

E in questo videomessaggio, il Rettor Maggiore ha voluto incoraggiare tutta la Famiglia Salesiana a perseverare nella Fede, in questi tempi difficili, nei quali un virus “ci parla della nostra fragilità” e “può veramente farci vedere che non siamo onnipotenti”.

A nome di tutti i capitolari, il nostro saluto affettuoso e il mio, con la preghiera qui [a Valdocco] con la presenza della Madonna.

Il Rettor Maggiore

CG28: Intervista al Rettor Maggiore e al nuovo Vicario

A conclusione del 28° Capitolo Generale, ecco l’intervista al Rettor Maggiore, don Angel Fernandez Artime, rieletto dal Capitolo Generale come 10° successore di Don Bosco e l’intervista a don Stefano Martoglio, il nuovo Vicario del Rettor Maggiore. Si riportano di seguito i due video dedicati pubblicati dall’Agenzia d’informazione Salesiana ANS.

I confratelli hanno mostrato e hanno espresso in tutta la settimana del discernimento e dell’elezione del Rettor Maggiore, del suo Vicario e di tutti i membri del Consiglio, una grande espressione di fiducia. Penso che se noi uniamo questo sentimento di grande serenità assieme ad una fiducia nel dire “andiamo avanti a dare il meglio di noi” questo si vive come una grazia e un dono di Dio.
(il Rettor Maggiore, don Angel Fernandez Artime)

Questo incarico nuovo conferma un percorso di amore verso la Congregazione. Che cosa significa per te persona?

Per me persona, significa un rinnovato amore e fiducia al Signore, perché solo sulla fede in Dio si prendono queste responsabilità nella fiducia dei confratelli.
Rappresenta una sfida di crescita sulla fede di Dio e sulla fiducia degli uomini.
(il nuovo Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio)

Don Artime ancora sei anni per i giovani più poveri – La Voce e il Tempo

La Voce e il Tempo dedica nella giornata di oggi, giovedì 19 marzo, un articolo con l’intervista al Rettor Maggiore, don Angel Fernandez Artime, rieletto dal Capitolo Generale come 10° successore di Don Bosco. Si riporta di seguito l’intervista, a cura di Marina Lomunno.

Intervista – Il 28° Capitolo generale della Congregazione dei Salesiani ha riconfermato rettore il 10° successore di san Giovanni Bosco: don Angel Fernandez Artime, spagnolo, nato il 21 agosto 1960 a Gozon-Luanco nelle Asturie, figlio di una famiglia di pescatori.

Don Ángel Fernández Artime, al 2014 Rettore maggiore dei salesiani, è stato rieletto al primo scrutinio dal 28° Capitolo generale della Congregazione dei salesiani a Valdocco, interrotto nei giorni scorsi a causa dell’emergenza coronavirus. Ordinato sacerdote il 4 luglio 1987, si è laureato in Teologia Pastorale e con Licenza in Filosofia e Pedagogia. Nel 2009 è stato nominato Ispettore dell’Argentina Sud, dove ha conosciuto e collaborato personalmente con l’allora arcivescovo di Buenos Aires, card. Jorge Mario Bergoglio.

Don Artime cosa significa essere confermato il 10° successore di don Bosco in questo momento della sua vita religiosa?

Uno dei cardini della nostra scelta religiosa è l’obbedienza pertanto ero pronto a continuare il servizio alla mia congregazione come Rettor Maggiore se questa fosse stata la richiesta dell’Assemblea capitolare, cercando nella fede di trovare la volontà di Dio per assolvere al meglio il mio compito. Ma ero anche pronto a terminare questo incarico per cedere il testimone all’11° successore di don Bosco e accettare un altro impegno con tutta la semplicità con cui serviamo i nostri fratelli. Questa conferma e rielezione indica non tanto che il mio servizio di guida e animazione è stato sereno, ma piuttosto segna la maturità e la concordia che in questo momento regnano nella congregazione, in tutto il mondo. Un tempo di serenità nelle scelte prioritarie che si esplica nel confermare sempre più la nostra identità carismatica, perché c’è bisogno di essere fedeli al Signore come ci ha insegnato don Bosco. E conferma che la scelta della congregazione è di assoluta comunione con tutta la Chiesa universale nella persona, adesso, di Papa Francesco: al 28° Capitolo abbiamo rinnovato questa adesione perché don Bosco ci ha raccomandato di essere fedeli a Papa. Infine il Capitolo – e questo sarà il mio impegno prioritario per il prossimo sessennio – ha dato l’indicazione molto forte di «essere per i giovani e tra questi i più bisognosi, i più poveri». Sono gli stessi giovani di tutto il mondo presenti al Capitolo in delegazione che ce lo hanno chiesto: «siate uomini di Dio capaci di mostrare che Dio ci ama». Vogliamo continuare su questa strada e a questo mi dedicherò nei prossimi 6 anni.

Le sue prime parole dopo la rielezione sono state appunto per i giovani, in sintonia con il tema del 28° Capitolo «Quale salesiano per i giovani d‘oggi». Cosa accomuna i ragazzi e le ragazze dei 134 paesi in cui sono presenti le vostre opere?

Rispondo con le parole dei giovani presenti al Capitolo: «Non abbiamo bisogno di voi per amministrare case e servizi, di salesiani gestori o organizzatori di attività, questo possiamo farlo noi. Abbiamo invece bisogno di presenza, di amici, fratelli e anche di papà». I giovani oggi hanno bisogno di paternità ci hanno chiesto in assemblea: «Cari salesiani, vi chiediamo di essere anche i nostri padri: noi vi amiamo, abbiamo bisogno di essere amati anche da voi». Un’altra richiesta che ci hanno comunicato i delegati, giovani dai 25-30 che provenivano da tutti i 5 continenti, è il bisogno di crescere nella fede con il nostro aiuto, con la guida «di uomini consacrati per mostrarci che Dio ci ama». Credo che questo valga per i delegati che hanno intrapreso un cammino di fede ma anche e soprattutto per tutti gli altri. Amare i giovani ed essere per loro, come ci raccomandava don Bosco vale per tutti i giovani, di tutte le religioni, quelli che si sono allontanati o che sentono Dio vicino e quelli che Dio non l’hanno ancora scoperto. Infine al Capitolo abbiamo rafforzato la nostra convinzione che siamo e dobbiamo essere salesiani per i ragazzi, le ragazze e i giovani più bisognosi, scartati e più sfruttati. Per questo sono nati i salesiani e questo sarà il mio primo impegno nel governo della congregazione dei prossimi sei anni.

Era anche questo che intendeva Papa Francesco quando da Valdocco in occasione della sua visita a Torino per il Bicentenario di don Bosco ha invitato i salesiani ad essere concreti…

Il Papa nel messaggio che ci ha inviato per il 28° Capitolo ci ha scritto: «Cari salesiani mi piace la scelta di celebrare il vostro capitolo Valdocco; l’’opzione Valdocco’ significa tante cose: la prima è che Valdocco è segno di presenza in mezzo ai giovani: Valdocco oggi vuol dire ‘salesiani in mezzo ai giovani’». Il Papa inoltre ci ha raccomandato di «non permettere che il clericalismo sia presente nella vostra congregazione» e di far conoscere l’internazionalità della nostra famiglia come già facciamo in tutte le culture e con tutte le lingue. E infine ci ha invitato a valorizzare nelle nostre opere la presenza delle donne come è successo qui a Valdocco con Mamma Margherita e tutte le mamme dei ragazzi di don Bosco da Cagliero a Domenico Savio all’Arcivescovo Gastaldi. Ecco la concretezza salesiana a cui ci invita ancora una volta Francesco.

Il Capitolo si è concluso anzitempo per evitare contagio da coronavirus secondo le disposizioni del Governo. Nel 1854 durante l’epidemia di colera che colpì Torino gli storici narrano che don Bosco per far fronte all’emergenza cittadina ospitò a Valdocco alcuni gli orfani e invitò i suoi giovani a soccorrere gli ammalati…

Quando si sono diffuse le prime notizie del coronavirus abbiamo invitato tutte le nostre opere ad affidarci a Maria Ausiliatrice chiedendo la sua protezione per noi, per la gente, per gli ammalati, per i defunti. Al Capitolo abbiamo avuto il dono di non aver nessun contagiato ma, quando sono stati vietati incontri e raduni, abbiamo chiesto il permesso alle autorità preposte per finire i lavori con le elezioni e, quando in tutt’Italia è stata stabilita zona rossa, abbiamo sospeso il Capitolo anche se il termine era fissato per il 4 aprile. Tutti i 242 capitolari provenienti dalle nostre opere presenti in 134 nazioni nei 5 continenti stanno cercando di tornare nei loro paesi. Abbiamo chiesto a tutte le nostre comunità nel mondo di accogliere con grande senso di cittadinanza e responsabilità le direttive dei Governi dei singoli paesi: è il nostro modo di vivere questo periodo come buoni cristiani e onesti cittadini sulle orme di don Bosco. Ho letto sui giornali in questi giorni qualche commento ironico: «prima si pregava Dio adesso si chiudono le chiese»… Io dico che è necessario chiudere le chiese, è una questione di responsabilità: chiudere la chiesa non significa chiudere la possibilità di pregare e di affidarsi a Dio.

“Opzione Valdocco”: il messaggio del Papa ai Capitolari

Ai partecipanti al 28° Capitolo generale dei Salesiani sul tema «Quali salesiani per i giovani di oggi?» il Papa ha inviato il seguente messaggio, letto durante i lavori di venerdì 6 marzo.

Cari fratelli!

Vi saluto con affetto e ringrazio Dio di poter, pur a distanza, condividere con voi un momento del cammino che state percorrendo.

È significativo che, dopo alcuni decenni, la Provvidenza vi abbia condotto a celebrare il Capitolo Generale a Valdocco – il luogo della memoria – dove il sogno fondativo si concretizza e fece i primi passi. Sono sicuro che il rumore e il vociare degli oratori sarà la musica migliore, la più efficace perché lo Spirito ravvivi il dono carismatico del vostro fondatore. Non chiudete le finestre a questo rumore di sottofondo… Lasciate che vi accompagni e che vi mantenga inquieti e intrepidi nel discernimento; e permettete che queste voci e questi canti, a loro volta, evochino in voi i volti di tanti altri giovani che, per varie ragioni, si trovano come pecore senza pastore (cfr Mc 6,34). Questo vociare e questa inquietudine vi terranno attenti e svegli davanti a qualunque tipo di anestesia autoimposta e vi aiuteranno a rimanere in una fedeltà creativa alla vostra identità salesiana.

Ravvivare il dono che avete ricevuto

Pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare che siamo immersi in un momento di cambiamenti, con tutto ciò che di incertezza questo genera. Nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale. L’inconsistenza e la “fluidità” degli avvenimenti, ma soprattutto la velocità con cui si susseguono e si comunicano le cose, fa sì che ogni tipo di previsione diventi una lettura condannata ad essere riformulata al più presto (cfr Cost. ap. Veritatis gaudium, 3-4). Tale prospettiva si accentua ancor più per il fatto che le vostre opere sono orientate in modo particolare al mondo giovanile che in sé stesso è un mondo in movimento e in continua trasformazione. Questo ci chiede una doppia docilità: docilità ai giovani e alle loro esigenze e docilità allo Spirito e a tutto quello che Egli voglia trasformare.

Assumere responsabilmente questa situazione – a livello sia personale sia comunitario – comporta l’uscire da una retorica che ci fa dire continuamente “tutto sta cambiando” e che, a forza di ripeterlo e ripeterlo, finisce col fissarci in un’inerzia paralizzante che priva la vostra missione della parresia propria dei discepoli del Signore. Tale inerzia può anche manifestarsi in uno sguardo e un atteggiamento pessimistici di fronte a tutto ciò che ci circonda e non solo rispetto alle trasformazioni che avvengono nella società ma anche in rapporto alla propria Congregazione, ai fratelli e alla vita della Chiesa. Quell’atteggiamento che finisce per “boicottare” e impedire qualunque risposta o processo alternativo, oppure per far emergere la posizione opposta: un ottimismo cieco, capace di dissolvere la forza e novità evangelica, impedendo di accettare concretamente la complessità che le situazioni richiedono e la profezia che il Signore ci invita a portare avanti. Né il pessimismo né l’ottimismo sono doni dello Spirito, perché entrambi provengono da una visione autoreferenziale capace solo di misurarsi con le proprie forze, capacità o abilità, impedendo di guardare a ciò che il Signore attua e vuole realizzare tra di noi (cfr Esort. ap. postsin. Christus vivit, 35). Né adattarsi alla cultura di moda, né rifugiarsi in un passato eroico ma già disincarnato. In tempi di cambiamenti, fa bene attenersi alle parole di San Paolo a Timoteo:

«Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (2 Tm 1,6-7).

Queste parole ci invitano a coltivare un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici. Questo aiuterà ad addentrarsi nel cammino con lo spirito e l’apporto proprio dei figli di Don Bosco e, come lui, sviluppare una «valida rivoluzione culturale» (Enc. Laudato si’, 114). Questo atteggiamento contemplativo permetterà a voi di superare e oltrepassare le vostre stesse aspettative e i vostri programmi. Siamo uomini e donne di fede, il che suppone l’essere appassionati di Gesù Cristo; e sappiamo che tanto il nostro presente quanto il nostro futuro sono impregnati di questa forza apostolico-carismatica chiamata a continuare a permeare la vita di tanti giovani abbandonati e in pericolo, poveri e bisognosi, esclusi e scartati, privati di diritti, di casa… Questi giovani attendono uno sguardo di speranza in grado di contraddire ogni tipo di fatalismo o determinismo. Attendono di incrociare lo sguardo di Gesù che dice loro «che in tutte le situazioni buie e dolorose […] c’è una via d’uscita» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 104). È lì che abita la nostra gioia.

Né pessimista né ottimista, il salesiano del sec. XXI è un uomo pieno di speranza perché sa che il suo centro è nel Signore, capace di fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5). Solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di rassegnazione e sopravvivenza difensiva. Solo questo renderà feconda la nostra vita (cfr Omelia, 2 febbraio 2017), perché renderà possibile che il dono ricevuto continui ad essere sperimentato ed espresso come una buona notizia per e con i giovani di oggi. Questo atteggiamento di speranza è capace di instaurare e inaugurare processi educativi alternativi alla cultura imperante che, in non poche situazioni – sia per indigenza e povertà estrema sia per abbondanza, in alcuni casi pure estrema –, finiscono con l’asfissiare e uccidere i sogni dei nostri giovani condannandoli a un conformismo assordante, strisciante e non di rado narcotizzato. Né trionfalisti né allarmisti, uomini e donne allegri e speranzosi, non automatizzati ma artigiani; capaci di «mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 36).

L’“opzione Valdocco” del vostro 28° Capitolo Generale è una buona occasione per confrontarsi con le fonti e chiedere al Signore: “Da mihi animas, coetera tolle”.[1] Tolle soprattutto ciò che durante il cammino si è andato incorporando e perpetuando e che, sebbene in un altro tempo è potuto essere una risposta adeguata, oggi vi impedisce di configurare e plasmare la presenza salesiana in maniera evangelicamente significativa nelle diverse situazioni della missione. Questo richiede, da parte nostra, di superare le paure e le apprensioni che possono sorgere per aver creduto che il carisma si riducesse o identificasse con determinate opere o strutture. Vivere fedelmente il carisma è qualcosa di più ricco e stimolante del semplice abbandono, ripiego o riadattamento delle case o delle attività; comporta un cambio di mentalità di fronte alla missione da realizzare.[2]

L’“opzione Valdocco” e il dono dei giovani

L’Oratorio salesiano e tutto ciò che sorse a partire da esso, come racconta la biografia dell’Oratorio, nacque come risposta alla vita di giovani con un volto e una storia, che misero in moto quel giovane sacerdote incapace di rimanere neutrale o immobile davanti a ciò che accadeva. Fu molto più di un gesto di buona volontà o di bontà, e persino molto più del risultato di un progetto di studio sulla “fattibilità numerico-carismatica”. Lo penso come un atto di conversione permanente e di risposta al Signore che, “stanco di bussare” alle nostre porte, aspetta che andiamo a cercarlo e a incontrarlo… O che lo lasciamo uscire, quando bussa da dentro. Conversione che implica (e complica) tutta la sua vita e quella di coloro che gli stavano attorno. Don Bosco non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare.

Scegliendo e accogliendo il mondo dei bambini e dei giovani abbandonati, senza lavoro né formazione, ha permesso loro di sperimentare in modo tangibile la paternità di Dio e ha fornito loro strumenti per raccontare la loro vita e la loro storia alla luce di un amore incondizionato. Essi, a loro volta, hanno aiutato la Chiesa a re-incontrarsi con la sua missione:

«La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (Sal 118,22).

Lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione.[3] La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni: accogliere, integrare e far crescere le migliori qualità come dono per gli altri, soprattutto per quelli emarginati e abbandonati dai quali non ci si aspetta nulla. Lo disse Paolo VI: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa… Ci vuole dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 15). Ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri.

Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti dell’oratorio da realizzare.[4] Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra la sua volontà e i suoi sogni.[5] Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di dinamiche senza sentirsene il padrone. Un’unione che ci ricorda che siamo “Chiesa in uscita” e ci mobilita per questo: Chiesa capace di abbandonare posizioni comode, sicure e in alcune occasioni privilegiata, per trovare negli ultimi la fecondità tipica del Regno di Dio. Non si tratta di una scelta strategica, ma carismatica. Una fecondità sostenuta in base alla croce di Cristo, che è sempre ingiustizia scandalosa per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti alla sofferenza o sono scesi a patti con l’ingiustizia nei confronti dell’innocente. «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine, perché chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché anche la società sia più madre» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 75).

L’“opzione Valdocco” e il carisma della presenza

È importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo. La missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo. Quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e a diventare una caricatura.

In questo senso, uno degli ostacoli che possiamo individuare non ha tanto a che vedere con una qualsiasi situazione esterna alle nostre comunità, ma piuttosto è quello che ci tocca direttamente per un’esperienza distorta del ministero…, e che ci fa tanto male: il clericalismo. È la ricerca personale di voler occupare, concentrare e determinare gli spazi minimizzando e annullando l’unzione del Popolo di Dio. Il clericalismo, vivendo la chiamata in modo elitario, confonde l’elezione con il privilegio, il servizio con il servilismo, l’unità con l’uniformità, la discrepanza con l’opposizione, la formazione con l’indottrinamento. Il clericalismo è una perversione che favorisce legami funzionali, paternalistici, possessivi e perfino manipolatori con il resto delle vocazioni nella Chiesa.

Un altro ostacolo che incontriamo – diffuso, e perfino giustificato, soprattutto in questo tempo di precarietà e fragilità – è la tendenza al rigorismo. Confondendo autorità con autoritarismo, esso pretende di governare e controllare i processi umani con un atteggiamento scrupoloso, severo e perfino meschino di fronte ai limiti e alle debolezze propri o altrui (soprattutto altrui). Il rigorista dimentica che il grano e la zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,24-30) e «che non tutti possono tutto e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte dalla grazia. In qualsiasi caso, come insegnava sant’Agostino, Dio ti invita a fare quello che puoi e a chiedere quello che non puoi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 49). San Tommaso d’Aquino con grande finezza e sottigliezza spirituale ci ricorda che «il diavolo inganna molti. Alcuni attirandoli a commettere i peccati, altri invece all’eccessiva rigidità verso chi pecca, così che se non può averli con il comportamento vizioso, conduce alla perdizione quelli che ha già, utilizzando il rigore dei prelati, i quali, non correggendoli con misericordia, li inducono alla disperazione, ed è così che si perdono e cadono nella rete del diavolo. E questo capita a noi, se non perdoniamo ai peccatori».[6]

Coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica. Un educatore «che non teme di porre limiti e, al tempo stesso, si abbandona alla dinamica della speranza espressa nella sua fiducia nell’azione del Signore dei processi, è l’immagine di un uomo forte, che guida ciò che non appartiene a lui, ma al suo Signore»[7]. Non ci è lecito soffocare e impedire la forza e la grazia del possibile, la cui realizzazione nasconde sempre un seme di Vita nuova e buona. Impariamo a lavorare e a confidare nei tempi di Dio, che sono sempre più grandi e saggi delle nostre miopi misure. Lui non vuole distruggere nessuno, ma salvare tutti.

È urgente, pertanto, trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni battezzato – con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti – e non solo dei cosiddetti “attori qualificati” (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 120); una partecipazione dove il servizio, e il servizio al più povero, sia l’asse portante che aiuti a manifestare e a testimoniare meglio nostro Signore, «che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Vi incoraggio a continuare a impegnarvi per fare delle vostre case un “laboratorio ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e missioni nella Chiesa.[8]

In questo senso, penso concretamente a due presenze della vostra comunità salesiana, che possono aiutare come elementi a partire dai quali confrontare il posto che occupano le diverse vocazioni tra di voi; due presenze che costituiscono un “antidoto” contro ogni tendenza clericalista e rigorista: il Fratello Coadiutore e le donne.

I Fratelli Coadiutori sono espressione viva della gratuità che il carisma ci invita a custodire. La vostra consacrazione è, innanzitutto, segno di un amore gratuito del Signore e al Signore nei suoi giovani che non si definisce principalmente con un ministero, una funzione o un servizio particolare, ma attraverso una presenza. Prima ancora che di cose da fare, il salesiano è ricordo vivente di una presenza in cui la disponibilità, l’ascolto, la gioia e la dedizione sono le note essenziali per suscitare processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivistica e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani.

Che ne sarebbe di Valdocco senza la presenza di Mamma Margherita? Sarebbero state possibili le vostre case senza questa donna di fede? In alcune regioni e luoghi «ci sono comunità che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza che alcun sacerdote passasse da quelle parti, anche per decenni. Questo è stato possibile grazie alla presenza di donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo. Per secoli le donne hanno tenuto in piedi la Chiesa in quei luoghi con ammirevole dedizione e fede ardente» (Esort. ap. postsin. Querida Amazonia, 99). Senza una presenza reale, effettiva ed affettiva delle donne, le vostre opere mancherebbero del coraggio e della capacità di declinare la presenza come ospitalità, come casa. Di fronte al rigore che esclude, bisogna imparare a generare la nuova vita del Vangelo.

Vi invito a portare avanti dinamiche in cui la voce della donna, il suo sguardo e il suo agire – apprezzato nella sua singolarità – trovino eco nel prendere le decisioni; come un attore non ausiliare ma costitutivo delle vostre presenze.

L’“opzione Valdocco” nella pluralità delle lingue

Come in altri tempi, il mito di Babele cerca di imporsi in nome della globalità. Interi sistemi creano una rete di comunicazione globale e digitale capace di interconnettere i vari angoli del pianeta, col grave pericolo di uniformare monoliticamente le culture, privandole delle loro caratteristiche essenziali e delle loro risorse. La presenza universale della vostra famiglia salesiana è uno stimolo e un invito a custodire e a preservare la ricchezza di molte delle culture in cui siete immersi senza cercare di “omologarle”. D’altra parte, sforzatevi affinché il cristianesimo sia capace di assumere la lingua e la cultura delle persone del luogo. È triste vedere che in molte parti si sperimenta ancora la presenza cristiana come una presenza straniera (soprattutto europea); situazione che si riscontra anche negli itinerari formativi e negli stili di vita (cfr ibid., 90).[9] Al contrario, agiremo come ci ispira questo aneddoto che Don Bosco, alla domanda in quale lingua gli piacesse parlare, rispose: “Quella che mi ha insegnato mia madre: è quella con cui posso comunicare più facilmente”. Seguendo questa certezza, il salesiano è chiamato a parlare nella lingua materna di ognuna delle culture in cui si trova. L’unità e la comunione della vostra famiglia è in grado di assumere e accettare tutte queste differenze, che possono arricchire l’intero corpo in una sinergia di comunicazione e interazione dove ognuno possa offrire il meglio di sé per il bene di tutto il corpo. Così la salesianità, lungi dal perdersi nell’uniformità delle tonalità, acquisterà un’espressione più bella e attrattiva… saprà esprimersi “in dialetto” (cfr 2 Mac 7,26-27).

Nello stesso tempo, l’irruzione della realtà virtuale come linguaggio dominante in molti dei Paesi in cui voi svolgete la vostra missione esige, in primo luogo, di riconoscere tutte le possibilità e le cose buone che produce, senza sottovalutare o ignorare l’incidenza che possiede nel creare legami, soprattutto sul piano affettivo. Da ciò non siamo immuni neppure noi adulti consacrati. La tanto diffusa (e necessaria) “pastorale dello schermo” ci chiede di abitare la rete in modo intelligente riconoscendola come uno spazio di missione,[10] che richiede, a sua volta, di porre tutte le mediazioni necessarie per non rimanere prigionieri della sua circolarità e della sua logica particolare (e dicotomica). Questa trappola – pur in nome della missione – ci può rinchiudere in noi stessi e isolarci in una virtualità comoda, superflua e poco o per niente impegnata con la vita dei giovani, dei fratelli della comunità o con i compiti apostolici. La rete non è neutrale e il potere che possiede per creare cultura è molto alto. Sotto l’avatar della vicinanza virtuale possiamo finire ciechi o distanti dalla vita concreta delle persone, appiattendo e impoverendo il vigore missionario. Il ripiegamento individualistico, tanto diffuso e proposto socialmente in questa cultura largamente digitalizzata, richiede un’attenzione speciale non solo riguardo ai nostri modelli pedagogici ma anche riguardo all’uso personale e comunitario del tempo, delle nostre attività e dei nostri beni.

L’“opzione Valdocco” e la capacità di sognare

Uno dei “generi letterari” di Don Bosco erano i sogni. Con essi il Signore si fece strada nella sua vita e nella vita di tutta la vostra Congregazione allargando l’immaginazione del possibile. I sogni, lungi dal tenerlo addormentato, lo aiutarono, come accadde a San Giuseppe, ad assumere un altro spessore e un’altra misura della vita, quelli che nascono dalle viscere della compassione di Dio. Era possibile vivere concretamente il Vangelo… Lo sognò e gli diede forma nell’oratorio.

Desidero offrirvi queste parole come le “buone notti” in ogni buona casa salesiana al termine della giornata, invitandovi a sognare e a sognare in grande. Sappiate che il resto vi sarà dato in aggiunta. Sognate case aperte, feconde ed evangelizzatrici, capaci di permettere al Signore di mostrare a tanti giovani il suo amore incondizionato e di permettere a voi di godere della bellezza a cui siete stati chiamati. Sognate… E non solo per voi e per il bene della Congregazione, ma per tutti i giovani privi della forza, della luce e del conforto dell’amicizia con Gesù Cristo, privi di una comunità di fede che li sostenga, di un orizzonte di senso e di vita (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).

Sognate… E fate sognare!

Roma, San Giovanni in Laterano, 4 marzo 2020

Don Ángel Fernández Artime confermato come Rettor Maggiore

Tutta l’Italia salesiana abbraccia don Ángel Fernández Artime rieletto come 10° successore di don Bosco. A lui, con obbedienza di figli, tutto il nostro affetto e la nostra preghiera per proseguire la missione di don Bosco per i giovani.

Si riporta di seguito il comunicato pubblicato oggi dall’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS.

(ANS – Roma) – Il Capitolo Generale 28° della Congregazione Salesiana ha rinnovato a Don Ángel Fernández Artime il mandato di Rettor Maggiore, per il sessennio 2020-2026. L’elezione è avvenuta al primo scrutinio.

Don Ángel Fernández Artime, 59 anni, è nato il 21 agosto 1960 a Gozón-Luanco, nelle Asturie, Spagna; ha emesso la sua prima professione il 3 settembre 1978, i voti perpetui il 17 giugno 1984 a Santiago de Compostela ed è stato ordinato sacerdote il 4 luglio 1987 a León.

Originario dell’Ispettoria di Spagna-León, ha conseguito la Laurea in Teologia Pastorale e la Licenza in Filosofia e Pedagogia.

È stato Delegato di Pastorale giovanile, Direttore della scuola di Ourense, membro del Consiglio e Vicario ispettoriale e, dal 2000 al 2006, Ispettore. È stato membro della commissione tecnica che ha preparato il Capitolo Generale 26. Nel 2009 è stato nominato Ispettore dell’Argentina Sud, e grazie a tale incarico ha anche avuto modo di conoscere e collaborare personalmente con l’allora arcivescovo di Buenos Aires, card. Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco.

Nel dicembre del 2013 venne nominato Superiore dell’Ispettoria “Spagna-Maria Ausiliatrice” – incarico che tuttavia non ha mai svolto perché prima di essere insediato come Ispettore è stato eletto dal Capitolo Generale 27, anche in quel caso al primo scrutinio, come Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana. Era il 25 marzo del 2014.

Sulle orme di Don Bosco con don Pietro Ricaldone e don Filippo Rinaldi

Sulle orme di Don Bosco“, un video che parla delle grandi figure di don Pietro Ricaldone e del Beato don Filippo Rinaldi, grazie alle voci di Alessio Franco (Sindaco di Lu Monferrato e Cuccaro), don Pier Giorgio Verri s.d.b. (parroco di Lu Monferrato), don Egidio Deiana (parroco del Centro Don Bosco di Alessandria) e Paola Volpi (studiosa di storia di Mirabello Monferrato).

Siamo in Piemonte, tra le colline del Monferrato, in provincia di Alessandria. Un territorio molto legato a Don Bosco. Durante le passeggiate autunnali che il Santo infatti proponeva ai suoi ragazzi, diverse volte è passato per questi paesi lasciando un’impronta di vita cristiana e di sana allegria giovanile.

Quest’anno alcuni di questi paesi sono in festa perché ricordano e celebrano date importanti di Salesiani loro compaesani che hanno portato il carisma e la passione educativa di Don Bosco nel mondo, insieme alle loro radici monferrine.

Il comune di Mirabello Monferrato ricorda i 150 anni della nascita di don Pietro Ricaldone, 4° successore di  Don Bosco come Rettor Maggiore dei Salesiani dal 1932 al 1951. Prima di lui, come successore di Don Bosco, don Filippo Rinaldi, di Lu Monferrato, a 5 km da Mirabello, ricco di umanità e santità, beatificato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II. Sia don Pietro Ricaldone che don Filippo Rinaldi sono stati due personalità importanti in un periodo storico delicato, guidando la Famiglia Salesiana con il cuore di Don Bosco.

Un video che trasmette le radici di vita cristiana di don Pietro Ricaldone e don Filippo Rinaldi e che incentiva a venire a scoprire questi meravigliosi luoghi. Accanto a queste due figure di eccellenza, questo territorio ha visto altri grandi testimoni salesiani, come il missionario salesiano Evasio Rabagliati di cui si ricordano i 100 anni dalla morte, e Mons. Ernesto Coppo, nato a Rosignano e formatosi a Borgo San Martino, poi missionario salesiano a New York e infine Vicario Apostolico in Australia, il quale trasmise l’impronta di don Bosco a tutta la famiglia salesiana.

(don Egidio Deiana)

Per informazioni  per la visita dei luoghi di don Pietro Ricaldone:

comitato.donpietroricaldone@gmail.it

Rettor Maggiore: Il profilo dell’educatore al centro dei lavori del CG28

Il quotidiano L’Osservatore Romano dedica un articolo a cura del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime sul profilo dell’educatore al centro dei lavori del capitolo generale salesiano e sul tema «Quali Salesiani per i giovani di oggi?». Di seguito il testo dell’articolo pubblicato in data odierna.

Il profilo dell’educatore al centro dei lavori del capitolo generale salesiano

Con don Bosco come modello

ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME

«La nostra non è un’assemblea di azionisti di una industria, non è un’assemblea politica con le fazioni dai contrastanti interessi economici, di prestigio, di ambizioni. Noi siamo qui Chiesa, meglio, assemblea di uomini consacrati, riuniti nel nome del Signore, votati totalmente a un ideale sovrannaturale: noi sentiamo di essere uomini di fede, le cui preoccupazioni hanno le loro radici nella fede e la cui attività, anche questa in atto, è tutta illuminata, ravvivata e motivata dalla fede. Siamo qui infatti non per interessi in qualsiasi modo umano, ma per gli interessi di Dio, del suo Regno, della sua Chiesa»

( Discorso del Rettor maggiore don Luigi Ricceri in apertura del Capitolo Generale Speciale, Roma 1971 ).

Pensando al frutto del nostro Capitolo generale, ciò che ho appena citato risulta decisivo: ciò che non conduce all’incontro con Dio nella persona del suo Figlio Gesù Cristo non viene da Dio e non ci servirà. Ciò che non ci rende più fedeli al carisma e allo stesso don Bosco, il nostro fondatore, è destinato al fallimento anche se i miraggi del momento sembrano annunciare qualcos’altro. Non siamo una Congregazione con molti secoli di vita; ma non siamo neppure gli ultimi arrivati e i 160 anni di storia ci hanno già insegnato molto. Solo lasciandosi guidare dallo Spirito di Dio la Congregazione trova il modo di dare la risposta migliore qui ed ora. Solo uno sguardo libero e lucido di fronte a mentalità fortemente secolarizzate ed edoniste permette un cammino sicuro.

Altri tentativi, prima o poi falliscono, logorano e fanno languire quell’ideale di vita che portò alla fondamentale decisione del giovane Cagliero: «Frate o non frate, sto con Don Bosco». Tutti i presenti conoscono il tema del Capitolo generale: «Quali Salesiani per i giovani di oggi?». Il tema risponde all’urgenza che abbiamo di concentrare la nostra attenzione, in questo momento della nostra storia, sulla persona del salesiano che come uomo di Dio, consacrato e apostolo, deve essere capace di sintonizzarsi il meglio possibile con gli adolescenti e i giovani di oggi e con il loro mondo allo scopo di camminare con loro, nell’educazione e formazione alla fede, aiutandoli ad essere buoni credenti – considerando che molte volte professano altre religioni – e preparandoli per la vita, accompagnandoli nella ricerca di senso e all’incontro con Dio. E siamo consapevoli di non essere solo noi ad avere la responsabilità di questa missione. La realizziamo contando su numerose altre forze di educatori ed educatrici, dei tanti laici di tutte le presenze del mondo salesiano.

Il tema che ci occuperà in queste sette settimane è unico e articolato in tre nuclei:

  • la priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi;
  • il profilo del salesiano per i giovani di oggi;
  • insieme ai laici, nella missione e nella formazione.

Il mondo nel quale viviamo in questo XXI secolo, caratterizzato dalla diversità delle culture e dei contesti, ha bisogno di incontrare salesiani consacrati – apostoli preparati e disposti a vivere la propria vita con la mente e il cuore di don Bosco. Salesiani capaci di continuare a donare la vita per i giovani del mondo di oggi, con i loro linguaggi, le loro visioni e i loro interessi.

Senza dubbio molti di questi adolescenti e giovani si trovano nelle case salesiane, mentre molti altri frequentano “altri cortili”: siamo salesiani anche per loro. Quanto proposto al Capitolo generale come sfida per l’intera Congregazione, speriamo di realizzarlo nell’unico modo possibile e valido: nel cammino della fedeltà al Signore e a don Bosco e nella fedeltà ai giovani.

Molti di questi giovani, con maggiore o minore consapevolezza, chiedono di non essere abbandonati al loro destino, un destino incerto, come naufraghi, per la nostra incapacità di essere educatori, amici, fratelli e padri – come, invece, fu don Bosco per i giovani del suo tempo – in grado di percepire le loro necessità o di ascoltare la loro chiamata. Per questa ragione la riflessione capitolare deve concentrarsi sui seguenti elementi. Dare l’assoluto primato alla missione salesiana con i giovani di oggi , e tra loro dando la priorità ai più bisognosi, ai più poveri e abbandonati.

Una predilezione per gli adolescenti e i giovani di oggi che in un certo senso sono, senza dubbio, differenti da quelli di dieci anni fa; come differenti sono i contesti sociali ed educativi nei quali vivono e che per tale ragione condizionano oggettivamente la nostra missione . Sappiamo bene che parlando di questa predilezione per i giovani ci stiamo riferendo a qualcosa di essenziale e di costitutivo della nostra identità carismatica.

Citando il testo della lettera di convocazione al CG28 ricordo all’assemblea capitolare questa priorità:

«Il nuovo Capitolo generale sarà un’opportunità per discernere attentamente e per verificare con coraggio se le nostre presenze, le nostre opere e le nostre attività sono al servizio dei giovani più poveri; se essi occupano il nostro cuore e sono al centro delle nostre preoccupazioni e dei nostri interessi; se concentriamo le nostre energie e sforzi per loro».

Ciò che ci viene chiesto e che ci si aspetta da noi salesiani sarà possibile solo se saremo in grado di essere «come don Bosco, con i giovani e per i giovani». Per questo una parte decisiva della nostra riflessione e delle nostre delibere capitolari dovrà prestare particolare attenzione alla persona del salesiano e alla nostra formazione, sia iniziale sia permanente.

Con don Bosco come modello, dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire uomo consacrato di fede profonda; dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire passione apostolica per i giovani; dire oggi salesiano dovrebbe essere lo stesso che dire figlio di Dio che sa di essere e si sente padre dei giovani; dire oggi salesiano dovrebbe essere lo stesso che dire identità carismatica di ognuno che arricchisce la Chiesa del carisma di don Bosco e crea la comunione ecclesiale; dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire apostolo dei giovani sempre fedele, sempre flessibile e creativo; dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire sempre educatore, sempre amico dei giovani. Un profilo di salesiano che non si improvvisa ma che si forma. È questo uno dei motivi che ci ha portato a vedere l’importanza di questo tema capitolare.

La vocazione di ciascuno di noi è risposta a una chiamata; una chiamata di amore e di grazia che riceviamo con gratitudine e stupore, non come diritto o merito. È una chiamata personale in un momento concreto della storia di ciascuna persona, nella trama del tempo e spesso con molteplici mediazioni; è una chiamata in un determinato contesto familiare, sociale, religioso, culturale; è una chiamata che giunge nel mondo di ciascuno, con la propria diversità e, forse, complessità. E in contesti e condizioni così diversi, ognuno di noi deve compiere un percorso che ci condurrà, nella sequela del Signore Gesù, a plasmare il nostro cuore e la nostra personalità in modo tale da avere in noi stessi lo stesso cuore pastorale di don Bosco, a imitazione di Gesù Buon Pastore, e con il desiderio di donarci generosamente agli altri, in particolare ai giovani.

Senza vivere in un genericismo, che sarebbe preoccupante e pericoloso, ma come consacrati, salesiani di don Bosco nella Chiesa per i giovani. Il profilo che deve avere il salesiano non può essere frutto dell’improvvisazione, ma deve passare attraverso le mediazioni delle diverse tappe formative, con le loro esperienze, i tempi e le persone. Sappiamo bene che questo cammino non si può percorrere senza l’aiuto delle mediazioni. Frequentemente queste mediazioni sono molte e diversificate. Immagino che la nostra riflessione capitolare prenderà coscienza del modo in cui, avendo presente il profilo del salesiano di oggi, diventa più importante che mai contare su un autentico discernimento e accompagnamento. E per questo il ruolo della comunità o delle comunità salesiane locali, il ruolo dei laici delle comunità educative pastorali e quello dei confratelli dell’ispettoria saranno di fondamentale importanza.

La riflessione e la comprensione della nostra realtà formativa nel mondo attuale ci condurranno, durante i lavori, a chiederci di quale rinnovamento formativo abbiamo bisogno, dal momento che i giovani salesiani di oggi sono tutti “nativi digitali“, provenendo da contesti culturali forse molto diversi dal nostro. Professiamo le stesse Costituzioni salesiane, ma nelle nazioni, nelle culture, nei linguaggi e in contesti molto differenti. Tutto ciò deve portarci a pensare a processi formativi personalizzati che, forse, sono l’unica garanzia di un buon cammino vocazionale con prospettiva di futuro. A ciò si collega, evidentemente, la necessità di continuare ad avere le migliori équipe formative; équipe consolidate e stabili, non improvvisate ma composte da persone preparate per questo specifico servizio. Crediamo certamente che la missione condivisa con i laici è una via per la scoperta dell’identità carismatica e che oggi si manifesta come l’unico modo possibile di portare avanti la missione salesiana nella complessità del nostro mondo, nella diversità e complessità di tante situazioni nazionali e culturali, e nella molteplicità dei contesti. Come ho affermato anche nella lettera di convocazione: saremo chiamati a discernere con realismo, coraggio e determinazione, l’orientamento del cammino da percorrere in questo XXI secolo, in un momento ecclesiale molto speciale di rinnovamento e purificazione. Siamo chiamati a dare il primato e la centralità nelle nostre decisioni e delibere a ciò che si riferisce alla missione salesiana a favore dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani più poveri e bisognosi, gli ultimi, coloro che spesso sono ignorati o scartati. Siamo chiamati a vivere in un permanente atteggiamento di formazione per non smettere di essere per e con i giovani. Siamo chiamati ad avere una visione e un cuore grande per valorizzare tutto il potenziale apostolico che, come salesiani e laici insieme, abbiamo.

Per i giovani di oggi

Con la relazione del rettor maggiore dei salesiani, di cui pubblichiamo ampi stralci, sono entrati nel vivo, sabato 22 febbraio a Valdocco (Torino), i lavori del ventottesmo Capitolo generale della Congregazione fondata da don Bosco. Alla presenza di duecentoquarantadue ispettori e delegati dai centotrentaquattro Paesi dove i salesiani sono attivi, dei rappresentanti di una buona parte dei gruppi appartenenti alla Famiglia salesiana, di due vescovi e di quattro cardinali salesiani, il rettor maggiore ha ricordato l’obiettivo di questo raduno: trovare una risposta comune alla domanda: «Quali Salesiani per i giovani di oggi?». Questione non banale con risposta non scontata se si considerano il cambiamento della condizione giovanile degli ultimi anni e l’ampiezza di situazioni che si presentano nei diversi Paesi. I lavori del Capitolo si concluderanno sabato 4 aprile.

La Voce e il Tempo: Quali salesiani per i giovani d’oggi?

La Voce e il Tempo ha pubblicato nella giornata di ieri un articolo dedicato al 28° Capitolo Generale e all’apertura ufficiale avvenuta sabato 22 febbraio. Di seguito l’articolo, a cura di Marina Lomunno.

Quali salesiani per i giovani d’oggi?

Maria Ausiliatrice – Si è aperto ufficialmente, nella mattinata di sabato 22 febbraio nella Casa Madre di Valdocco, il 28° Capitolo della Società di San Francesco di Sales – Partecipano 242 padri capitolari provenienti da 66 nazioni in rappresentanza delle 7 Regioni nelle quali è divisa la congregazione presente in 134 Paesi dei 5 continenti.

«Vi incoraggio a proseguire con generosità e fiducia le molteplici attività in favore delle nuove generazioni: oratori, centri giovanili, istituti professionali, scuole e collegi. Senza dimenticare coloro che, ai tempi di Don Bosco, erano chiamati ‘ragazzi di strada’: questi erano i suoi prediletti, perché avevano tanto bisogno di speranza, di essere formati alla gioia della vita cristiana. Oggi la Chiesa si rivolge a voi, figli e figlie spirituali di questo grande Santo, e in modo concreto vi invita ad uscire, ad andare sempre di nuovo a trovare i ragazzi e i giovani là dove vivono: nelle periferie delle metropoli, nelle aree di pericolo fisico e morale, nei contesti sociali dove mancano tante cose materiali, ma soprattutto manca l’amore, la comprensione, la tenerezza, la speranza. Andare verso di loro con la traboccante paternità di don Bosco».

Sono le parole che l’Arcivescovo Cesare Nosiglia ha inviato in occasione dell’apertura ufficiale del 28° Capitolo della Società di San Francesco di Sales avvenuta a Valdocco, nella Casa Madre della famiglia salesiana, nella mattinata di sabato 22 febbraio: dopo la solenne concelebrazione nella Basilica di Maria Ausiliatrice, dove sono venerate le reliquie di don Bosco, il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, decimo successore del santo dei giovani, ha pronunciato il discorso di apertura.

Al termine, il Regolatore del Capitolo, don Stefano Vanoli, ha dichiarato aperti i lavori incentrati sulla risposta alla domanda «Quali salesiani per i giovani d’oggi?» che indicherà il cammino del prossimo sessennio della congregazione. «Il tema» ha precisato il Rettor Maggiore «risponde all’urgenza che abbiamo di concentrare la nostra attenzione, in questo momento della nostra storia, sulla persona del salesiano che come uomo di Dio, consacrato e apostolo, deve essere capace di sintonizzarsi il meglio possibile con gli adolescenti e i giovani di oggi e con il loro mondo allo scopo di camminare con loro, nell’educazione e formazione alla fede, aiutandoli ad essere buoni credenti – considerando che molte volte professano altre religioni – e preparandoli per la vita, accompagnandoli nella ricerca di senso e all’incontro con Dio».

La concelebrazione d’apertura del capitolo a Maria Ausiliatrice: il card. Il card. João Braz de Aviz, accanto al Rettor Maggiore don Artime e al suo predecessore, don Pascual Chávez Villanueva

E proprio sui luoghi dove incontrare i giovani, mons. Nosiglia, che sabato 29 febbraio presiederà in Basilica la Messa per i capitolari, nel suo messaggio ha richiamato come l’oratorio di don Bosco sia nato dall’incontro con i ragazzi di strada e per un certo tempo è stato itinerante tra i quartieri di Torino. «Possiate annunciare a tutti la misericordia di Gesù, facendo ‘oratorio’ in ogni luogo, specie i più impervi; portando nel cuore lo stile oratoriano di Don Bosco e mirando a orizzonti apostolici sempre più ampi».

Il lavori del 28° Capitolo nel Teatro Grande di Valdocco

Il 28° Capitolo si è aperto con la Messa in Basilica nella giornata in cui la Chiesa celebra la festa della Cattedra di San Pietro: richiamando le parole di Papa Francesco pronunciate proprio a Maria Ausiliatrice durante la sua visita a Torino per il Bicentenario di don Bosco il 21 giugno 2015, il card. João Braz de Aviz che ha presieduto la concelebrazione, nella sua omelia ha richiamato la fedeltà dei santi al successore di Pietro e il ruolo fondamentale dei salesiani nella Chiesa. «Voi siete parte viva del popolo di Dio con il particolare carisma di essere ‘pastori di giovani’, soprattutto di quelli più fragili». Accanto card. Braz de Aviz, il Rettor Maggiore don Artime, il suo predecessore, don Pascual Chávez Villanueva, i cardinali salesiani Tarcisio Bertone, Riccardo Ezzati e Oscar Andres Rodriguez Maradiaga e 10 vescovi salesiani. E poi i rappresentanti della articolata famiglia salesiana, un albero che ha radici a Valdocco e che si è ramificato in 30 gruppi tra laici e consacrati che condividono il carisma del santo dei giovani per un totale di 402.500 membri sparsi nel mondo.

Il Rettor Maggiore saluta il sindaco Chiara Appendino

Alla Messa ha partecipato anche il sindaco Chiara Appendino in rappresentanza della città di Torino accanto a madre Yvonne Reungoat, superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. «Da torinese e senza nascondere una nota di orgoglio, mi fa piacere ricordare che il seme da cui è nata questa grande pianta è germogliato proprio a Torino» ha scritto il sindaco nel messaggio inviato a Rettor Maggiore per l’inizio del Capitolo. «Questo seme che, in poco più di due secoli di storia, ha lasciato segni indelebili e contribuito a connotare in maniera forte il carattere della nostra città. La strada tracciata da don Bosco, seguita dai suoi successori, è fatta di impegno tra la gente e si manifesta ogni giorno come presenza viva e attiva tra coloro che più hanno bisogno di sostegno, di essere aiutati a diventare donne e uomini capaci di contribuire, con il proprio lavoro e l’impegno nel sociale, alla crescita della propria comunità. Un percorso che invita i giovani a impiegare le proprie migliori energie in campo professionale e all’interno della società civile, così come nel servizio al prossimo».

Il 28° Capitolo dei salesiani, che torna a Valdocco dopo 62 anni, terminerà il 4 aprile. Il prossimo appuntamento tra sei anni.

La Messa di inizio del 28° Capitolo Generale

Benvenuti a Valdocco dove tutti siamo nati come Salesiani. I Becchi, luogo natìo del nostro padre Don Bosco, e Valdocco, luogo del primo Oratorio stabile e della nascita della nostra Congregazione sono pieni di significato e di senso per ciascuno di noi. Più volte ho affermato, in varie occasioni, che qui, a Valdocco, tutto ci parla.

Benvenuti al Ventottesimo Capitolo Generale qui a Valdocco, dove ritorniamo dopo sessantadue anni dall’ultimo capitolo qui celebrato.

Queste le parole di benvenuto del Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, all’inizio dell’Omelia della Messa di inizio del 28° Capitolo Generale avvenuta domenica scorsa – 16 febbraio – presso la Basilica di Maria Ausiliatrice di Valdocco. A concelebrare insieme al Rettore, il Vicario don Francesco Cereda e l’Ispettore ICP don Enrico Stasi.

Una Basilica gremita non solo dai tanti confratelli provenienti da tutto il mondo per vivere il Capitolo dal tema “Quali salesiani per i giovani d’oggi?”, ma anche di molti fedeli che hanno voluto partecipare alla celebrazione.

In questa prima settimana i lavori del Capitolo saranno rivolti soprattutto all’ascolto e alla riflessione in merito alle relazioni del Rettor Maggiore e del suo Consiglio sullo stato della Congregazione, oltre che alla creazione di un clima di discernimento.

Al mattino di sabato 22 febbraio invece, vi sarà la cerimonia di apertura ufficiale del CG28, che sarà trasmessa anch’essa in diretta.

Diretta ANS – Domenica 16 Febbraio Ore 18.30

Celebrazione Eucaristica di inizio Capitolo generale 28

Presiede il Rettor Maggiore dei Salesiani

Publiée par Agenzia Info Salesiana – Ans sur Dimanche 16 février 2020

Rivivi il momento:

La veglia di preghiera aspettando don Bosco

Nella serata di ieri, mercoledì 29 gennaio 2020, si è svolta la veglia di preghiera “itinerante” a Valdocco, in preparazione alla festa ormai prossima di San Giovanni Bosco.

Don Guido Enrico, Rettore della Basilica,  ha invitato i partecipanti a compiere un cammino verso tre luoghi significativi di Valdocco: il cortile principale dove si trova la statua di Don Bosco, la Cappella di San Francesco di Sales e la Basilica di Maria Ausiliatrice:

“Perché vogliamo ricordare Don Bosco nella storia e ricordarlo oggi”.

L’incontro ha così avuto inizio alle ore 21.00 presso il cortile di Valdocco per poi proseguire nella chiesa di San Francesco di Sales ed infine davanti all’urna del Santo, nella Basilica di Maria Ausiliatrice.

“Don Bosco ha fatto di questo luogo uno spazio di dialogo e di incontro con i giovani”.

Il tutto è stato animato da alcuni passi della Parola, dai canti, dalle preghiere e dalla meditazione, con una partecipazione attiva da parte dei presenti. Per l’occasione, alcuni momenti di riflessione sono stati guidati dallo spettacolo di Sand Art, a cura di Compagnie Sabbie Luminose, attraverso la rappresentazione con la sabbia di alcuni episodi ripresi dalla vita di don Bosco.

L’incontro si è poi concluso in Basilica con la tradizionale “Buona Notte” salesiana da parte del Rettore Maggiore, don Ángel Fernández Artime:

“Dire Don Bosco è dire Maria Ausiliatrice. Il Santo dei giovani aveva la profonda convinzione che era Lei che faceva tutto. Ma non possiamo pensare a Don Bosco senza la presenza di sua madre, Mamma Margherita. Don Bosco non è nato ricco. Don Bosco è nato in una famiglia, con la fragilità di un bambino e la sua vita è stata segnata dai sacrifici e dalla presenza di Dio e di Mamma Margherita. Oggi è il momento di ringraziare per la sua vita. Senza Don Bosco non saremmo oggi qui come Famiglia Salesiana”.

(ANS)

Rivivi l’evento